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La sanatoria dell'abusivismo edilizio ed i successivi provvedimenti in materia urbanistica- WikiJus.it

 

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Autore: Daniele Minussi

 

Elenco dei capitoli

 

    Note

   

 

Nel nostro Paese la rilevanza del fenomeno delle edificazioni abusive ha imposto al legislatore una speciale attenzione per risolvere un duplice problema. Da un lato quello di scoraggiare l'attività abusiva di edificazione, sanzionando gli speculatori, dall'altro di come eventualmente pervenire ad un recupero, ove possibile, di quanto edificato, cogliendo quantomeno l'opportunità per le casse pubbliche di giovarsi di entrate straordinarie.

 

Una prima risposta alle predette questioni venne tentata con l'emanazione della Legge 28 febbraio 1985, n. 47 , entrata in vigore il successivo 17 marzo.

 

La nuova normativa conobbe una nutrita serie di modificazioni (cfr. in tal senso il D.L. 23 aprile 1985, n. 146 (convertito nella Legge 21 giugno 1985, n. 298 ) e il D.L. 20 novembre 1985, n. 656 (convertito nella Legge 24 dicembre 1985, n. 780).

 

Anche il Governo emanò in materia ulteriori innovazioni attraverso il ricorso alla decretazione di urgenza: si pensi ai D.L. 28 marzo 1986, n. 76; D.L. 30 settembre 1986, n. 605; D.L. 9 dicembre 1986, n. 823; D.L. 9 marzo 1987, n. 71; D.L. 8 maggio 1987, n. 178; D.L. 9 luglio 1987, n. 264; D.L. 4 settembre 1987, n. 367; D.L. 7 novembre 1987, n. 458 tutti non convertiti in legge da parte del Parlamento.

 

E' importante sottolineare l'intervento della Giudice delle leggi (Corte Cost., 302/88 ) che si pronunziò nel senso dell'illegittimità del reiterato ricorso allo strumento del decreto legge, il che indusse in qualche misura le Camere ad approvare la Legge 13 marzo 1988, n. 68 per il cui tramite venne convertito, sia pure con modifiche, il D.L. 12 gennaio 1988, n. 2.

 

Punti qualificanti della disciplina della legge del 1985 (avente ad oggetto, tra le altre cose, la disciplina le procedure di sanatoria delle opere abusivamente realizzate fino al giorno 1 ottobre 1983), possono essere considerati la precisazione circa l'attività di vigilanza sull'edificazione; la predisposizione di un sistema sanzionatorio rigoroso in relazione agli illeciti, con la previsione di una generale possibilità di una sanatoria per gli abusi meramente formali; l'introduzione di procedure semplificate per la formazione di strumenti urbanistici (con particolare riferimento alle opere interne agli edifici, non più soggette nè a concessione nè ad autorizzazione). Venne inoltre previsto il rilascio da parte del Comune del certificato di destinazione urbanistica attestante la situazione giuridica urbanistica dei suoli, con specifico riferimento alle prescrizioni relative all'attitudine edificatoria dei medesimi.

 

Per quanto attiene all' impatto della nuova normativa sull' attività negoziale, occorre rammentare i seguenti aspetti:

 

    previsione della nullità per gli atti di trasferimento a titolo oneroso della proprietà e di altri diritti reali (ad eccezione dell'atto costitutivo di servitù) relativi a terreni privi di allegazione del certificato di destinazione urbanistica;

    previsione della nullità degli atti trasferimento a titolo oneroso della proprietà e di altri diritti reali relativi a fabbricati non contenenti le menzioni relative alla disciplina urbanistica. Successivamente la Legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora abrogata dal D. Lgs. 267/00 ), mediante la quale sono stati introdotti nuovi principi dell'ordinamento dei Comuni e delle Province, venne a porre importanti novità concernenti le competenze degli enti locali in materia di gestione del territorio e di urbanistica. Tra esse vanno ricordate l'introduzione del piano territoriale di coordinamento di competenza della Provincia, l'individuazione della città metropolitana quale nuovo organo di governo delle aree urbane (cui sono tra l'altro attribuite le competenze dell'accordo di programmazione quale istituto, con precise possibilità di incidenza sugli strumenti urbanistici, per la realizzazione di interventi che richiedono l'azione integrata di una pluralità di soggetti pubblici).

 

 

Nel frattempo la disciplina temporanea delle ipotesi di formazione di silenzio-assenso per le concessioni edilizie che, come abbiamo visto, venne introdotto dalla Legge 94/82 fino al 31 dicembre 1984, venne successivamente prorogata, per il tramite di reiterati interventi fino alla data del 31 dicembre 1991.

 

Da ultimo, con la legge 17 febbraio 1992, n. 179 venne addirittura disposta l'eliminazione di ogni termine.La Legge 4 dicembre 1993, n. 493 stabilì un procedimento più macchinoso. Quando l'Amministrazione fosse rimasta silente a fronte delle richieste del cittadino, si sarebbe attivato un controllo sostitutivo da parte della regione. Ad esso avrebbe potuto fare seguito la nomina di un commissario ad acta presso il Comune inadempiente, commissario che avrebbe successivamente dovuto provvedere all'emanazione dell'atto. Lo strumento normativo certamente ebbe ad appesantire la procedura. Ecco allora che il legislatore venne, con singolare pendolarismo, a reintrodurre nuovamente per il tramite del D.L. 26 luglio 1994, n. 468 la procedura del silenzio-assenso.Successivamente, con il D.L. 27 marzo 1995, n. 88 , la disciplina ha conosciuto l'ennesima inversione di rotta, con il ritorno ad un sistema simile a quello già disciplinato nella Legge 493/93 . Questa impostazione venne ribadita dalla Legge 23 dicembre 1996, n. 662 .

 

Attraverso la decretazione di urgenza succedutasi a decorrere dal D.L. 468/94 erano state apportate significative innovazioni al regime delle trasformazioni edilizie ed urbanistiche del territorio fra le quali vanno ricordate:

 

    l'inserimento della mancata adozione degli strumenti urbanistici generali fra le cause di scioglimento dei Consigli comunali previste dall'art. 39 della Legge 142/90 (ora abrogata dal D. Lgs. 267/00 ) e attualmente dall'art.141 D. Lgs. 267/00;

    la previsione dell'approvazione tacita degli strumenti urbanistici generali, da parte della Regione (o degli enti da essa delegati), per l'infruttuoso decorso del termine fissato dalla legge per l'approvazione esplicita;

    la soppressione del regime autorizzatorio per gli interventi edilizi e la sottoposizione di una serie di essi alla c.d. DIA, vale a dire la denuncia di inizio dell'attività (prevista dall'art.19 della Legge 241/90 ) accompagnata da una relazione tecnica di asseverazione di un professionista abilitato. Con la L.122/10, in sede di conversione del D.L. 78/10 la disciplina della DIA è stata rivoluzionata. Al posto della stessa è stata introdotta la c.d. SCIA (cioè la "Segnalazione di inizio di attività"). Essa sostituisce ogni autorizzazione il cui rilascio dipenda esclusivamente da accertamento di requisiti di carattere tecnico. La SCIA non puà essere utilizzata in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.

 

 

Tuttavia la Corte Costituzionale con la sentenza 360/96 affermò nettamente l'incompatibilità rispetto all'art. 77 della Cost. della prassi consistente nella costante reiterazione dei decreti-legge.Il Giudice delle Leggi pertanto escluse che in caso di mancata conversione il Governo potesse riprodurre, con un nuovo decreto, il contenuto normativo dell'intero testo o di singole disposizioni del decreto non convertito, nei casi in cui il nuovo provvedimento non risultasse fondato su autonomi (e pur sempre straordinari) motivi di necessità ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non avrebbero potuto essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto.Qualsiasi ulteriore intervento normativo del governo, quindi, non avrebbe potuto porsi in un rapporto di continuità sostanziale con il decreto non convertito, dovendo risultare caratterizzato da contenuti sostanzialmente diversi, ovvero da nuovi presupposti giustificativi di natura straordinaria. Decaduto così il D.L. 24 settembre 1996, n. 495 , la Legge 23 dicembre 1996, n. 662 , collegata alla finanziaria per il 1997, oltre a specificare ulteriormente la disciplina del condono delle costruzioni abusive, ha costituito l'occasione per ribadire le norme procedurali già poste in materia di rilascio della concessione edilizia e per modificare il procedimento di denuncia dell'inizio di attività, che non sostituisce più il regime autorizzatorio, piuttosto affiancandosi a questo.

 

Sono stati espressamente fatti salvi gli effetti delle precedenti disposizioni.

 

Nell'elaborare il c.d. "nuovo condono edilizio", introdotto inizialmente con il D.L. 26 luglio 1994, n. 468 , quantomeno il legislatore mostrò di tener conto dell'esperienza già fatta nel 1985, ponendo quale condizione per la regolarizzazione dell'immobile da sanare, non solo le somme a titolo di oblazione, bensì anche la corresponsione degli oneri concessori.Il D.L. 468/94 , per la parte riguardante il condono, venne inizialmente reiterato con i DD.LL. 551/94 e 649/94. In seguito la relativa normativa fu trasfusa nell'art. 39 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Corte Cost., 416/95 ) nota1. Alcuni aspetti hanno rinvenuto la loro disciplina in successivi provvedimenti normativi (cfr. DD.LL. 24/95,88/95,193/95,310/95,400/95, 498/95,30/96,154/96,285/96,388/96,495/96) e nell'art. 2 commi 37-59, della Legge 23 dicembre 1996, n. 662 .

 

Per le linee guida dell'intervento è stata presa a riferimento la disciplina già contenuta nei capi IV e V della Legge 47/85 , in relazione alla quale sono state comunque apportate rilevanti modifiche.

 

La sanabilità è riferita:

 

    alle opere ultimate ovvero sospese in forza di un provvedimento amministrativo o giudiziale entro il 31 dicembre 1993;

    alle opere aventi dimensioni non eccedenti una volumetria pari a 750 metri cubi (ovvero ad ampliamenti di misura non superiore a 750 metri cubi o al 30% dell'opera legittima ampliata);

    ai casi in cui la presentazione della domanda di sanatoria venga fatta entro il termine del 31 marzo 1995. Occorre rilevare, in relazione al punto 2 che precede che, in concreto, sono suscettibili di essere sanati anche edifici di notevoli dimensioni per il tramite della presentazione di più domande provenienti da soggetti diversi, ciascuno per quanto attiene alla parte di immobile di spettanza.

 

 

La legge prevede il perfezionamento di una fattispecie di silenzio assenso, in base alla quale la sanatoria si perfeziona (sempre che l'oblazione dovuta sia determinata correttamente e ne sia stato corrisposto integralmente l'importo unitamente a quello concernente il contributo concessorio) con il decorso del termine di un anno, elevato a due anni per i Comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti. Tale termine decorre dal 1° gennaio 1997.

 

La disciplina del nuovo condono è stata comunque posta in correlazione a quella concernente i particolari vincoli che possono sussistere relativamente alla tutela paesaggistica, idrogeologica, dei parchi naturali . Nelle zone soggette a tali vincoli non vige il principio del silenzio-assenso, dovendo piuttosto applicarsi l'opposta regola del silenzio-rifiuto ogniqualvolta l'autorità preposta alla tutela del vincolo sia stata richiesta dell'emissione del prescritto parere. Ciò anche in esito all'entrata in vigore della Legge 14 maggio 2005, n.80 (che ha convertito con modificazioni il D.L. 14 marzo 2005 n. 35 ), il cui art. 3 al comma n. 6 ter ha modificato l'art. 20 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 .

 

Di particolare interesse si manifestano le conseguenze, di cui si dirà partitamente, relative alla negoziazione delle edificazioni abusive ovvero alla carente allegazione all'atto di trasferimento della proprietà del bene del certificato di destinazione urbanistica.

 

Note

 

 

nota1

 

La Corte Costituzionale con sentenza 416/95 ha avuto occasione di precisare i limiti di costituzionalità delle sanatorie in materia edilizia. Essa ha avuto modo di precisare che l'art. 39 della Legge 724/94 è legittimo poiché rappresenta una risposta "del tutto eccezionale", che soddisfa "straordinarie ragioni finanziarie e di recupero della base impositiva", ponendo rimedio a un fenomeno diffuso reso possibile dalla insufficiente "incisività e tempestività dell'azione di controllo e di repressione degli Enti locali e delle Regioni". La Corte, però, ha parallelamente avvertito che "ben diversa sarebbe la situazione in caso di reiterazione di una norma del genere e soprattutto di ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio". In tal caso ben altre sarebbero "le valutazioni sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere eccezionale, con le peculiari caratteristiche della singolarità e ulteriore irripetibilità": più ancora della rinuncia a reprimere e sanzionare i comportamenti illeciti, sarebbe imperdonabile, infatti, la rinuncia "alla tutela del territorio e dell'ambiente in cui vive l'uomo".

 

Circolare N.4/E, Decreto-legge del 31 maggio 2010 n. 78, Commento alle novità fiscali, primi chiarimenti

Autore: Redazione WikiJus I

 

OGGETTO: Decreto-legge del 31 maggio 2010 n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Commento alle novità fiscali -Primi chiarimenti

 

PREMESSA

 

La presente circolare fornisce i primi chiarimenti in ordine alle disposizioni di carattere fiscale contenute nel decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (d’ora innanzi decreto) col proposito di illustrarne il contenuto complessivo e favorirne la corretta applicazione da parte degli uffici.

Ulteriori problematiche interpretative ed applicative relative a specifiche disposizioni saranno oggetto di successivi documenti di prassi.

 

1. Interventi in materia previdenziale (articolo 12, comma 10)

 

L’art. 12, comma 10, D.L. n. 78/2010 prevede che con “Con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) ai sensi del comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall’art. 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento”.

 

L’articolo in esame pertanto prevede che, a partire dalle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2011, il computo dei trattamenti di fine servizio del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, che non sia già sottoposto al regime TFR, si effettui secondo le regole di cui all’art. 2120 c.c. concernente il trattamento di fine rapporto.

 

L’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 12, comma 10, in commento è costituito esclusivamente dal “computo dei predetti trattamenti di fine servizio”; le nuove regole pertanto non mutano il trattamento fiscale delle prestazioni in esame, che resta disciplinato dalle disposizioni contenute nell’art. 19, comma 2 bis, del D.P.R. 22/12/1986, n. 917, concernenti la tassazione per i TFS.

 

2. Partecipazione dei comuni all’attività di accertamento tributario e contributivo (articolo 18)

 

Nell’ottica di rafforzamento dell’attività di contrasto all’evasione fiscale, l’articolo 18 del decreto modifica la disciplina relativa alla partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento, attraverso un duplice intervento sull’articolo 1 del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 -recante la disciplina della “Partecipazione dei comuni al contrasto all’evasione fiscale” -e sull’articolo 44 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – relativo alla “Partecipazione dei comuni all’accertamento”.

Per espressa previsione della disposizione in commento, una delle modalità attraverso cui i Comuni partecipano all’attività di accertamento consiste nella segnalazione all’Agenzia delle entrate, alla Guardia di finanza e all’INPS degli elementi utili ad integrare i dati contenuti nelle dichiarazioni presentate dai contribuenti, per la determinazione di maggiori imponibili fiscali e contributivi (comma 2).

 

Per agevolare tale forma di collaborazione, per i Comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti che non vi abbiano già provveduto è stato introdotto l’obbligo di costituire il Consiglio tributario con regolamento del Consiglio comunale ed entro il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto (comma 2, lettera a)).

 

Diversamente, per i Comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti che non siano già dotati del Consiglio tributario, è stato introdotto l’obbligo di riunirsi in consorzio (da costituire secondo le disposizioni di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), ai fini della successiva istituzione del Consiglio tributario (comma 2, lettera b)). La relativa convenzione, unitamente allo statuto del consorzio, deve essere adottata dai rispettivi Consigli comunali per l’approvazione entro il termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

 

Con specifico riferimento alle modifiche apportate alla disciplina prevista dall’articolo 44 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’articolo 18 del decreto abroga i commi quinto, sesto e settimo dell’articolo 44, contenenti la disciplina relativa alle “proposte di aumento” presentate dai Comuni, e il successivo articolo 45, istitutivo della commissione per l’esame delle proposte presentate dal Comune (comma 4, lettere d) ed e)).

 

Per effetto delle modifiche apportate dal decreto, ai sensi del novellato art. 44:

 

    l’Agenzia delle entrate mette a disposizione dei Comuni le dichiarazioni dei contribuenti persone fisiche in essi residenti;

    prima di emettere avvisi di accertamento sintetico (di cui all’articolo 38, quarto comma e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973) gli uffici inviano una segnalazione ai Comuni di domicilio fiscale dei soggetti passivi affinchè i medesimi Comuni, entro 60 giorni da quello del ricevimento della segnalazione, comunichino ogni elemento in loro possesso utile alla determinazione del reddito complessivo.

 

 

Il Comune di domicilio fiscale del contribuente (o il consorzio al quale lo stesso partecipa) è tenuto a segnalare all’ufficio fiscale qualsiasi integrazione degli elementi contenuti nelle predette dichiarazioni presentate dalle persone fisiche, indicando dati, fatti ed elementi rilevanti e fornendo ogni idonea documentazione atta a comprovarla.

 

Nel caso di omissione della dichiarazione, al Comune è riconosciuta la facoltà di segnalare dati, fatti ed elementi rilevanti, quando siano provati da idonea documentazione.

 

Il decreto, inoltre, modifica in parte l’articolo 1, comma 1, del d.l. n. 203 del 2005, prevedendo l’innalzamento al 33 per cento dell’ammontare della quota (originariamente pari al 30 per cento) spettante ai Comuni che contribuiscano all’accertamento medesimo (comma 5, lettera a)). Tale quota è determinata, per espressa previsione, sulla base delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi riscossi a titolo definitivo, a seguito dell’intervento del Comune che abbia contribuito all’accertamento stesso. I tributi su cui calcolare tale quota, nonché le relative modalità di attribuzione, sono individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e d’intesa con la Conferenza Unificata, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto (comma 7).

 

Specularmente, è previsto il medesimo innalzamento della quota percentuale da riconoscere ai Comuni con riferimento all’attività di vigilanza effettuata nei confronti delle persone fisiche che hanno chiesto l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero a far corso dal 1° gennaio 2006, ai sensi dell’articolo 83, comma 17, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 133) (comma 6).

 

Il comma 5, lettera b riformula l’articolo 1, comma 2, del d.l. n. 203 del 2005, al fine di richiamare la partecipazione dell’INPS e della Conferenza Unificata (in luogo della Conferenza Stato-città ed autonomia locali) alla individuazione delle modalità tecniche di accesso alle banche dati e di trasmissione delle copie delle dichiarazioni ai Comuni, nonché per inserire il riferimento della partecipazione dei Comuni anche all’accertamento contributivo.

 

È fatto salvo, comunque, il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 3 dicembre 2007, con cui sono state individuate le “Modalità di partecipazione dei comuni all’attività di accertamento, ai sensi dell’articolo 1 del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (…)”, con riferimento alle disposizioni relative alle modalità tecniche di accesso dei Comuni alle banche dati e alle dichiarazioni relative ai contribuenti ai Comuni, alle modalità di partecipazione degli stessi all’accertamento fiscale e contributivo ed alle caratteristiche e modalità di invio delle segnalazioni (comma 8).

Coerentemente con l’introduzione delle nuove modalità di partecipazione e di scambio dei dati con i Comuni per l’accertamento fiscale e contributivo, è abrogata la previsione secondo cui il Dipartimento delle finanze era tenuto a fornire, con cadenza semestrale, l’elenco delle iscrizioni a ruolo delle somme derivanti da accertamenti cui i Comuni abbiano contribuito (comma 5, lettera c)).

Infine, vengono fissati due rilevanti criteri di ripartizione della quota spettante ai Comuni che abbiano contribuito all’accertamento (comma 9).

 

È, infatti, previsto che gli importi riconosciuti ai Comuni a titolo di partecipazione all’accertamento sono calcolati al netto delle somme spettanti all’Unione europea e ad altri enti. Inoltre, sulle quote delle maggiori somme in questione, che lo Stato trasferisce alle Regioni a statuto ordinario, a quelle a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, spetta ai predetti enti riconoscere ai Comuni le somme dovute a titolo di partecipazione all’accertamento.

 

3. Aggiornamento del catasto (articolo 19)

 

L’articolo 19 del decreto, modificato dalla legge di conversione, dispone l’attivazione dell’Anagrafe Immobiliare Integrata, costituita e gestita dall’Agenzia del territorio, a decorrere dalla data del 1° gennaio 2011 al fine di contrastare l’evasione fiscale e contributiva che si realizza nell’occultamento dell’effettiva consistenza catastale degli immobili oggetto di imposizione.

 

Rinviando ai chiarimenti forniti dall’Agenzia del territorio in merito alla nuova disciplina con le circolari n. 3/T del 10 agosto 2010 e n. 2/T del 9 luglio 2010, per ciò che in questa sede rileva, l’articolo 19, comma 15, introduce uno specifico trattamento sanzionatorio con riferimento alla mancata o erronea indicazione dei dati catastali degli immobili nelle richiesta di registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni immobili esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite.

 

In particolare, la mancata o errata indicazione dei dati catastali è considerata fatto rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro ed è punita con la sanzione prevista dall’articolo 69 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.

 

Tale disposizione -volta a colpire l’omissione della richiesta di registrazione degli atti e dei fatti rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta ovvero l’omessa presentazione delle denunce degli eventi successivi alla registrazione -prevede l’applicazione della sanzione amministrativa dal 120 al 240 per cento dell’imposta dovuta.

 

La nuova previsione sanzionatoria si applica per le violazioni compiute a decorrere dal 1° luglio 2010.

 

4. Comunicazioni telematiche alla Agenzia delle Entrate (articolo 21)

 

Nell’ambito delle disposizioni dirette a rafforzare gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per il contrasto e la prevenzione dei comportamenti fraudolenti in materia di IVA, l’articolo 21 del decreto introduce l’obbligo, a decorrere dal 2011, di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA, di importo pari o superiore a 3.000 euro.

 

La limitazione dell’obbligo di tale comunicazione alle sole cessioni e prestazioni di importo unitario superiore a 3.000 euro consente di circoscrivere gli adempimenti ad una ristretta platea dei titolari di partita IVA, escludendo quei contribuenti di minori dimensioni per i quali gli oneri connessi all’adempimento dell’obbligo in questione appaiono non proporzionati alla finalità della disposizione.

 

Relativamente alle sanzioni previste per gli inadempimenti, la norma in commento stabilisce che l’omissione o l’incompleta trasmissione dei dati richiesti determina l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 11 del d.lgs. n. 471 del 1997 (da un minimo di 258 euro ad un massimo di 2.065 euro).

 

Al riguardo, si fa presente che con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 dicembre 2010 sono stati individuati i soggetti obbligati a tale comunicazione, gli elementi e i dati da comunicare, nonché le modalità di effettuazione della comunicazione.

 

5. Aggiornamento dell’accertamento sintetico (articolo 22)

 

L’articolo 22 del decreto riscrive l’articolo 38 -commi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo -del d.P.R. n. 600 del 1973 che disciplina le modalità con cui l’Amministrazione finanziaria procede alla determinazione sintetica del reddito in base ad elementi e circostanze di fatto presuntivi di una capacità reddituale netta superiore a quella effettivamente dichiarata (cd. redditometro).

 

Tali modifiche tengono conto del dichiarato obiettivo di adeguare l’accertamento basato sulla capacità di spesa del contribuente al nuovo contesto socio-economico, rendendolo più efficiente e dotandolo, nel contempo, di maggiori garanzie per il contribuente stesso.

 

Le modifiche in parola innovano profondamente l’istituto dell’accertamento sintetico, quale importante strumento di contrasto alla evasione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, con la conseguenza che la lista degli elementi indicativi di capacità contributiva messi a base della determinazione sintetica del reddito complessivo deve essere adeguata ai nuovi consumi e alle nuove abitudini economiche dei contribuenti.

 

Si riportano, qui di seguito, le novità introdotte dalla riforma al citato articolo 38:

 

    la determinazione sintetica del reddito avviene mediante la presunzione che le spese sostenute dal contribuente nel periodo d’imposta siano state finanziate con redditi posseduti nel periodo medesimo, ferma restando la possibilità, per il contribuente, di provare che le spese sono state effettuate con altri mezzi (ad esempio, con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile) (quarto comma);

    a tale presunzione si affianca l’accertamento “da redditometro”, ossia quello basato sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuati con decreto ministeriale di prossima pubblicazione attraverso l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza. Anche in questa ipotesi resta ferma, a favore del contribuente, la possibilità di prova contraria (quinto comma);

    nell’accertamento di cui ai precedenti commi, la determinazione sintetica del reddito complessivo è ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato (cd. clausola di garanzia che, prima della riforma, era pari ad un quarto) (sesto comma);

    in linea con le disposizioni contenute nella legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), l’ufficio finanziario che procede all’accertamento sintetico del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire -di persona o a mezzo di rappresentante -per fornire eventuali elementi di prova a proprio favore, e solo successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione (settimo comma);

    dal reddito complessivo determinato sinteticamente sono deducibili i soli oneri previsti dall’articolo 10 del T.U.I.R., ferma restando la spettanza delle detrazioni d’imposta relative ad oneri per i quali le stesse competono (ottavo comma).

 

 

Per effetto delle modifiche recate dall’articolo 22, è venuta meno la previsione secondo cui per poter procedere con l’accertamento sintetico era necessario che il superamento della soglia si verificasse per due o più periodi d’imposta, anche non consecutivi. Ne consegue che il nuovo accertamento sintetico può essere applicato in relazione a ciascuna annualità per la quale il reddito dichiarato non risulti in linea con quello presunto.

 

Si precisa, tuttavia, che le nuove disposizioni in commento hanno effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non era ancora scaduto alla data di entrata in vigore del decreto.

 

Considerata la rilevanza delle modifiche normative in esame, si rinvia ai futuri chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate.

 

6. Contrasto al fenomeno delle imprese “apri e chiudi” e Contrasto al fenomeno delle imprese in perdita “sistemica” (articoli 23 e 24)

 

Gli articoli 23 e 24 del decreto rispondono alla esigenza di monitorare in modo sistematico, nell’ambito dell’attività di controllo, quelle situazioni a più elevato rischio di evasione, tra le quali rientrano le imprese cosiddette “apri e chiudi” (ossia quelle imprese che cessano l’attività entro un anno dalla data di inizio della stessa), nonché le imprese in perdita “sistemica”.

 

Per questa loro peculiarità, tali imprese sono inserite ex lege nella selezione delle posizioni da sottoporre a controllo da parte dell’Agenzia delle entrate, della Guardia di Finanza e dell’INPS, atteso che, dall’esperienza dei controlli fiscali, a questa categoria di contribuenti sono stati spesso associati comportamenti fraudolenti sia di natura fiscale (false fatturazioni e frodi carosello) che contributiva.

Si evidenzia, tra l’altro, che la disposizione di cui all’art. 23 in esame fa riferimento alle sole imprese (a prescindere dalla natura giuridica delle stesse) e non ai professionisti, nonché ad un periodo di tempo che non è l’anno di imposta ma l’anno solare.

 

La disposizione contenuta nel comma 1 dell’articolo 24 del decreto si riferisce, nello specifico, alle imprese che si dichiarano in perdita, ai fini delle imposte sui redditi, per più annualità e per le quali il rischio di evasione è del tutto evidente, atteso che perdite reiterate esulano da ogni logica imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove persistente, non giustifica la sopravvivenza dell’impresa stessa.

 

Ai fini del monitoraggio, la norma esclude espressamente le perdite fiscali determinate da compensi erogati ad amministratori e soci, trattandosi di componenti reddituali tassati in capo ai percettori.

 

La norma non individua un periodo temporale minimo trascorso il quale la perdita può definirsi “sistemica”; pertanto, la perdita fiscale che si protrae per almeno due esercizi consecutivi sarà sufficiente, in assenza di deliberazioni sociali di aumenti di capitale a titolo oneroso, di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse, a legittimare l’attività di accertamento da parte degli Organi di controllo.

 

Il 2 comma dell’articolo 24 del decreto – anche al fine di armonizzare l’attività sinergica tra Agenzie delle entrate e Guardia di finanza nell’ambito dell’attività di monitoraggio in esame – prevede coordinati piani di intervento annuali elaborati sulla base di analisi di rischio a livello locale nei confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di settore né a tutoraggio che, proprio a causa della reiterata esposizione di perdite fiscali, presentano un rischio di evasione complessiva particolarmente elevato.

 

Al riguardo, si rappresenta che la programmazione di controlli fiscali delle imprese in perdita prevista dalla norma in esame è in linea con quanto ribadito negli ultimi anni, sia dalla prassi amministrativa dell’Agenzia delle entrate (cfr., circolari n. 20/E del 16 aprile 2010 e n. 13/E del 9 aprile 2009), che dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., Corte di Cassazione, sentenze n. 24436 del 2 ottobre 2008 e n. 21536 del 15 ottobre 2007).

Sulla individuazione dei criteri selettivi da utilizzare per scegliere i soggetti da sottoporre a vigilanza fiscale – che dovranno rappresentare almeno un quinto della platea degli interessati – nonché per l’approfondimento di altri aspetti operativi della norma, si rinvia a successivi documenti ufficiali dell’Agenzia delle entrate.

 

7. Contrasto di interessi (articolo 25)

 

L’articolo 25 del decreto prevede l’assoggettamento a ritenuta d’acconto, ai fini dell’imposta sul reddito dei percipienti, dei compensi corrisposti mediante bonifici bancari o postali, quale modalità obbligatoria di pagamento per beneficiare di oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d’imposta.

 

Trattasi, nello specifico, delle spese di intervento di recupero del patrimonio edilizio, ai sensi dell’articolo 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni, nonché delle spese per interventi di risparmio energetico, di cui all’articolo 1, commi 344, 345, 346 e 347, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni.

 

Come precisato nel provvedimento del 30 giugno 2010 del Direttore dell’Agenzia delle entrate, le banche e le Poste Italiane S.p.A. che ricevono i bonifici disposti per le spese citate operano, all’atto dell’accredito dei pagamenti, la ritenuta del 10 per cento a titolo di acconto dell’imposta sul reddito dovuta dai eneficiari, con obbligo di rivalsa.

 

Il versamento delle ritenute deve essere effettuato secondo le ordinarie modalità di cui all’articolo 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la ritenuta.

 

Con la risoluzione n. 65/E del 30 giugno 2010 e la successiva circolare n. 40/E del 28 luglio 2010, cui si rinvia, l’Agenzia delle entrate ha fornito le istruzioni operative in merito alla corretta applicazione delle richiamate disposizioni.

 

8. Adeguamento alle direttive OCSE in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento (articolo 26)

 

L’articolo 26 del decreto introduce misure finalizzate a incrementare l’efficacia dell’azione di controllo dell’Amministrazione finanziaria sulle operazioni rientranti nella disciplina sui prezzi di trasferimento di cui all’articolo 110, comma 7, del TUIR (transfer pricing).

 

Tale intervento è finalizzato all’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni emanate dall’OCSE ed a Codice di condotta UE in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento, nonché ai principi di collaborazione e buona fede tra contribuenti ed Amministrazione finanziaria fissati nell’articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.

 

In particolare, l’articolo 26 introduce dopo il comma 2-bis, dell’articolo 1 del d.lgs. n. 471 del 1997, il comma 2-ter con il quale viene esclusa l’applicazione della sanzione prevista dal comma 2, dell’articolo 1 del d.lgs. n. 471 del 1997, in materia di dichiarazione infedele, al verificarsi delle condizioni ivi indicate.

 

In altri termini, la novella normativa attribuisce alle imprese la possibilità di usufruire di un regime di esonero dalle sanzioni per infedeltà delle dichiarazioni fiscali, qualora le stesse offrano la propria collaborazione al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria di determinare la loro effettiva capacità contributiva.

 

In particolare, le imprese possono consegnare all’Amministrazione finanziaria, in sede di controllo, una documentazione idonea a consentire agli accertatori il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati.

 

In generale, si tratta di documentazione finalizzata a consentire il riscontro della conformità dei prezzi di trasferimento praticati al principio del valore normale.

 

Così operando, l’Amministrazione finanziaria può disporre, in sede di verifica delle operazioni di transfer pricing, della documentazione necessaria a verificare la corrispondenza dei prezzi determinati tra imprese associate multinazionali con quelli praticati in regime di libera concorrenza.

 

La tipologia documentale prevista dalla disposizione in esame è stata individuata con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 settembre 2010 (prot. n. 2010/137654), in conformità con i contenuti del codice di condotta sulla documentazione dei prezzi di trasferimento per le imprese associate nell’Unione europea.

 

In particolare, nel citato documento direttoriale sono stati forniti precisi chiarimenti sia in merito alla “idoneità” della documentazione da esibire in sede di controllo, che in ordine alle modalità e termini di presentazione, al competente Ufficio finanziario e prima dell’avvio del procedimento di accertamento, della comunicazione attestante il possesso della documentazione richiesta.

 

Ne consegue che, in caso di accesso, ispezione, verifica o altra attività istruttoria, in assenza di detta comunicazione, è preclusa la possibilità per il contribuente di fruire del regime di favore previsto dalla disposizione in commento.

 

La norma prevede inoltre che, in sede di prima applicazione delle nuove disposizioni, i termini per la presentazione della comunicazione, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto, sono fissati in 90 giorni dalla pubblicazione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

 

La circolare n. 58/E del 15 dicembre 2010 ha fornito chiarimenti sulla corretta applicazione della disposizione in esame.

 

9. Adeguamento alla normativa europea in materia di operazioni intracomunitarie ai fini del contrasto delle frodi (articolo 27)

 

L’articolo 27 del decreto, in linea con le raccomandazioni espresse dalla Commissione europea in materia di contrasto alle frodi IVA, subordina -attraverso l’integrazione dell’articolo 35 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 -la possibilità di effettuare operazioni intracomunitarie alla preventiva autorizzazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

 

Nello specifico, nel comma 2 del citato articolo 35 è stata aggiunta la lettera e-bis, in base alla quale all’atto della presentazione del modello per l’attribuzione della partita IVA, all’operatore economico viene chiesto di specificare se intende effettuare operazioni intracomunitarie.

 

Sempre all’articolo 35 sono stati aggiunti:

 

    il comma 7-bis con cui viene previsto che, entro 30 giorni dalla data di attribuzione del numero di partita IVA, l’ufficio finanziario può emettere un provvedimento di diniego

    il comma 7-ter, che rinvia ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate il compito di individuare le modalità di diniego dell’autorizzazione o di revoca di quella precedentemente concessa.

 

 

La possibilità di effettuare operazioni intracomunitarie è subordinata ad una volontà espressa manifestata dal contribuente nella dichiarazione di inizio attività ovvero in un momento successivo rispetto all’inizio dell’attività, mediante apposita istanza da presentare direttamente ad un ufficio dell’Agenzia delle entrate -e alla mancata emanazione, entro 30 giorni dalla ricezione della dichiarazione di volontà, del provvedimento di diniego emesso dall’ufficio finanziario.

 

Al riguardo, si evidenzia che la norma non prevede un provvedimento autorizzativo espresso; opera quindi il meccanismo del silenzio-assenso.

 

Durante questi 30 giorni l’operatore economico può effettuare solo operazioni interne, non possedendo la soggettività attiva e passiva per effettuare operazioni intracomunitarie e non essendo, peraltro, incluso nell’archivio della banca dati VIES (VAT Information Exchange System).

 

Una volta trascorsi i 30 giorni, qualora non sia stato emanato un espresso e motivato provvedimento di diniego, il contribuente viene inserito nel citato archivio IES.

 

Da ultimo la novella introduce, sempre all’articolo 35 del d.P.R. n. 633 del 1972, il comma 15-quater che, per quanto riguarda le partite IVA già attribuite in Italia in data antecedente all’entrata in vigore delle nuove norme, demanda ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate la definizione dei criteri e delle modalità per la loro esposizione nel sistema comunitario VIES.

 

In attuazione di quanto disposto dai commi 7-ter e 15-quater dell’articolo 35 del d.P.R. n. 633/72, così come modificato dall’articolo 27 del d.l. n. 78 del 2010, con i provvedimenti n. 2010/188376 e prot. n. 2010/188381 sono state stabilite, rispettivamente, le modalità di diniego o revoca dell’autorizzazione ad effettuare operazioni intracomunitarie ad esito delle verifiche svolte dall’Agenzia nonché i criteri e le modalità di inclusione delle partite IVA nella banca dati dei soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie.

L’argomento sarà oggetto di ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle

entrate.

 

10. Incrocio tra le basi dati dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate per contrastare la microevasione diffusa (articolo 28)

 

L’articolo 28 del decreto prevede che l’Agenzia delle entrate esegua specifici controlli sui soggetti che, pur essendo titolari presso l’INPS di una posizione contributiva quali lavoratori dipendenti, risultano non aver mai dichiarato il relativo reddito; analoga previsione opera qualora risulti che non siano state effettuate da parte del datore di lavoro le ritenute d’imposta previste dalla vigente normativa. L’incrocio di tali dati è volto a contrastare una microevasione diffusa sul territorio, mediante il potenziamento dell’attività di controllo automatizzata, attribuita ad apposite articolazioni dell’Agenzia delle entrate, con competenza in tutto o parte del territorio nazionale, che dovranno essere individuate mediante regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate di cui all’articolo 71 del d.lgs. 30 luglio1999, n. 300.

 

L’articolo in parola modifica, peraltro, l’articolo 4 e l’articolo 10 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che disciplinano rispettivamente la competenza per territorio delle Commissioni tributarie e le parti del processo tributario. Il novellato articolo 4, comma 1, prevede che, in caso di controversia “proposta nei confronti di un centro di servizio o altre articolazioni dell’Agenzia delle entrate…”, è competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso. In tale evenienza, ai sensi del successivo articolo 10 del d.lgs. n. 546 del 1992, è parte del processo di fronte alla Commissione tributaria l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.

 

11. Concentrazione della riscossione nell’accertamento (articolo 29)

 

L’articolo 29 del decreto contiene tutta una serie di disposizioni volte a potenziare l’attività di riscossione.

 

In particolare, il comma 1 disciplina i nuovi contenuti degli avvisi di accertamento relativi alle imposte sul reddito, all’IVA e all’IRAP dei connessi provvedimenti di irrogazione sanzioni, funzionali all’attività di riscossione.

 

A tal riguardo, la lettera a) prevede che i citati atti, notificati a partire dal 1° luglio 2011 e concernenti i periodi di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, debbano contenere anche l’intimazione ad adempiere entro il termine di presentazione del ricorso:

 

    all’obbligo di pagamento dei tributi indicati negli avvisi di accertamento ovvero

    qualora il contribuente presenti ricorso, degli importi determinabili ai sensi dell’articolo 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ossia “la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati”.

 

 

Qualora i tributi dovuti in base all’accertamento vengano rideterminati, gli atti successivi -da notificare anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento -devono contenere l’intimazione di pagamento. Tale disposizione si applica anche in caso di accertamento con adesione -quando non sia versata anche una sola delle rate successive alla prima -ovvero quando a seguito di una sentenza della Commissione tributaria provinciale o regionale il tributo sia dovuto nella misura stabilita dall’articolo 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. In tale evenienza il pagamento deve avvenire entro 60 giorni dal ricevimento della raccomandata.

 

Ai sensi del disposto della lettera b), gli accertamenti in parola divengono esecutivi una volta trascorsi 60 giorni dalla notifica e devono espressamente contenere l’avvertimento che, decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento -in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo -la riscossione delle somme richieste è affidata all’agente della riscossione anche a fini dell’esecuzione forzata. Le modalità di riscossione saranno determinate con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate di concerto con il Ragioniere generale dello Stato.

 

In caso di fondato pericolo per la riscossione, la lettera c) prevede poi riproducendo il disposto dell’articolo 15-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 relativo all’iscrizione nei ruoli straordinari -che, decorsi sessanta giorni dalla notifica degli atti di cui alla lettera a), la riscossione delle somme dovute per il loro intero ammontare, comprensive di interessi e sanzioni, può essere affidata agli agenti della riscossione anche prima dei termini fissati dalle lettere a) e b). Anche in questo caso, quindi, gli accertamenti divengono esecutivi dopo 60 giorni dalla notifica; pertanto l’agente della riscossione non può procedere ad esecuzione forzata prima di tale termine.

 

Le lettere d) ed e) dispongono che l’ufficio competente, anche su richiesta dell’Agente per la riscossione, deve fornire tutti gli elementi utili al potenziamento dell’attività di riscossione, compresi quelli acquisiti in fase di accertamento.

 

L’agente della riscossione, senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, sulla base dello stesso accertamento che costituisce titolo esecutivo, procede all’espropriazione forzata con le stesse modalità previste per i tributi iscritti a ruolo, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di notifica dell’accertamento. Trascorso un anno dalla notifica dell’accertamento, si applicano le disposizioni dell’articolo 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui l’agente della riscossione ha l’obbligo di notificare al debitore un avviso che contiene l’intimazione ad effettuare, entro 5 giorni, il pagamento delle somme risultanti dall’atto di accertamento.

 

A partire dal giorno successivo al termine ultimo per la presentazione del ricorso, le somme dovute sono maggiorate degli interessi di mora, calcolati dal giorno successivo a quello di notifica dell’atto. All’agente per la riscossione spetta l’aggio, interamente a carico del debitore, e il rimborso delle spese di esecuzione, così come previsto dall’articolo 17 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112.

 

Al fine di coordinare le disposizioni già vigenti con le nuove norme, la lettera g) dispone che i riferimenti al ruolo e alla cartella di pagamento contenuti in norme vigenti si intendono effettuati agli atti di accertamento in parola. L’Agente della riscossione, solo dopo l’affidamento del carico, può concedere la dilazione di pagamento prevista dall’articolo 19 del d.P.R. n. 602 del 1973.

 

Nel caso in cui sia presentato ricorso avverso l’atto di accertamento, si rende applicabile l’articolo 39 del d.P.R. n. 602 del 1973, che prevede la facoltà per l’ufficio delle entrate di sospendere in tutto o in parte il ruolo fino alla sentenza della Commissione tributaria provinciale.

 

La lettera h) prevede, infine, che con regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 siano razionalizzate, in armonia con le nuove procedure, quelle di riscossione coattiva delle somme dovute anche a seguito dell’attività di liquidazione, controllo e accertamento sia ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto che ai fini degli altri tributi amministrativi dall’Agenzia delle Entrate e delle altre entrate che si riscuotono mediante ruolo.

 

Il comma 2 dell’articolo 29 modifica il primo comma dell’articolo 182-ter del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito L.F.) prevedendo che in sede di transazione fiscale le ritenute d’imposta effettuate e non versate possano essere solo oggetto di dilazione e non di falcidia.

 

Il medesimo comma interviene anche sul comma 6 del citato articolo 182-ter e, ponendo fine ad una situazione di incertezza, dispone che la proposta di transazione fiscale presentata nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (disciplinato dall’articolo 182-bis) deve essere corredata dalla documentazione prevista dall’articolo 161 della L.F. che, a sua volta, disciplina il concordato preventivo. Alla proposta di transazione deve, inoltre, essere allegata una dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal legale rappresentante, che la documentazione prevista dal citato articolo 161 rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. Tale obbligo è volto alla tutela dei terzi, ai quali l’accordo di ristrutturazione formatosi con procedura stragiudiziale offre minori garanzie rispetto al concordato preventivo che si svolge sotto il controllo degli organi giudiziali.

 

Viene, infine, inserito nell’articolo 182-ter un ultimo comma che prevede, per le sole ipotesi di transazione fiscale conclusa nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, la revoca di diritto della transazione nel caso in cui il debitore non esegua integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.

 

La disposizione di cui al comma 3 dell’articolo 29 prevede che l’agente della riscossione, al quale venga comunicata una proposta di concordato fallimentare, deve trasmetterla tempestivamente all’Agenzia delle entrate avvalendosi di ogni mezzo idoneo anche in deroga ai tempi ed alle modalità di cui all’art. 36 del D. Lgs. 112 del 1999, e può approvare la proposta in sede di votazione ai sensi dell’art. 127 del R.D. 267 del 1942, solo previa espressa autorizzazione di quest’ultima.

 

La norma recata dal comma 4 dell’articolo 29 riformula l’articolo 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che disciplina il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

 

La novellata norma prevede, al comma 1, che sia punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sul reddito e IVA, alieni simultaneamente o compia altri atti fraudolenti sui propri beni o su beni altrui, tali da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva delle imposte. Se l’ammontare delle imposte, interessi e sanzioni è superiore a 200.000 euro, è prevista una aggravante (reclusione da un anno a sei anni).

 

Il successivo comma 2 riconduce al reato in questione -e, quindi, alla medesima pena -anche la condotta di chi, nell’ambito della transazione fiscale, al fine di ottenere per sé o per altri il riconoscimento di un debito tributario di minore importo, indica nella documentazione presentata elementi passivi fittizi oppure espone elementi attivi in misura inferiore al reale, per un ammontare complessivo superiore a 50.000 euro (soglia di punibilità così individuata, in considerazione del fatto che la sottovalutazione del patrimonio, nell’ambito di procedure concorsuali o comunque preconcorsuali, equivale alla sottrazione di un importo pari alle somme destinate al pagamento delle imposte dovute e dei relativi accessori). Anche per questo reato è prevista una aggravante specifica qualora il falso riguardi l’indicazione di elementi attivi in misura inferiore al reale o di elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a 200.000 euro (reclusione da un anno a sei anni).

 

Rispetto al testo precedentemente in vigore, pertanto, la riformulazione dell’articolo 11 riduce la soglia di punibilità, fissandola a 50.000 euro, introduce uno specifico reato in caso di transazione fiscale, volto a punire comportamenti fraudolenti e prevede, nel contempo, una specifica aggravante sia nel caso di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, che nel caso di presentazione di falsa documentazione nell’ambito della transazione fiscale.

 

Il comma 5 dell’articolo 29 modifica l’articolo 27, comma 7, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, che, in relazione agli importi iscritti a ruolo, prevedeva a favore dell’Agente della riscossione, senza bisogno di annotazione o altra formalità, la conservazione della validità e del grado delle misure cautelari adottate dopo la notifica del provvedimento “con il quale vengono accertati di maggiori tributi”. La modifica in parola estende tale automatismo anche quando le misure cautelari sono adottate in base al processo verbale di constatazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione oppure all’atto di contestazione.

 

Il successivo comma 6 prevede che il curatore fallimentare, entro i 15 giorni successivi all’accettazione della nomina, comunichi all’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’articolo 9 del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, i dati relativi al fallimento, necessari per l’eventuale procedura d’insinuazione nel passivo fallimentare.

 

Il comma 7, infine, estende l’ipotesi di circostanze aggravanti del reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, previste dall’articolo 319-bis del codice penale, al caso di omesso o ritardato pagamento o rimborso di tributi da parte di pubblico ufficiale.

 

Lo stesso comma, infine, per deflazionare il contenzioso e favorire l’uso di strumenti volti ad una definizione concordata della pretesa tributaria -che spesso necessita di valutazioni complesse basate su mezzi di prova che soffrono di particolari limitazioni -circoscrive la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica (articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20) alla sola ipotesi di dolo, con riguardo alle valutazioni di diritto o di fatto effettuate ai fini della definizione del contesto mediante transazione fiscale (articolo 182-ter della L.F.), di accertamento con adesione (d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218) e di conciliazione giudiziale (articolo 48 del d.lgs. n. 546 del 1992), lasciando, peraltro, invariata la responsabilità amministrativa.

 

12. Preclusione alla autocompensazione in presenza di debito su ruoli definitivi (articolo 31)

 

Il comma 1 dell’articolo 31 del decreto pone un limite alla compensazione dei crediti relativi alle imposte erariali prevista dall’articolo 17, comma 1, del d.lgs. n. 241 del 1997, precludendo al contribuente la possibilità esercitarla in presenza di debiti per imposte erariali e relativi accessori iscritti a ruolo, se di importo superiore a 1.500 euro e per i quali sia scaduto il termine di pagamento.

La preclusione vale anche per le cartelle già notificate nel 2010 e, comunque, per tutte quelle il cui termine di pagamento sia già scaduto anteriormente al primo gennaio 2011.

La compensazione è, dunque, ancora possibile solo entro 60 giorni dalla notifica della cartella, ovvero qualora il pagamento dei ruoli sia eseguito tempestivamente.

 

L’indebita compensazione è punita con una sanzione pari al 50 per cento degli importi iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori e per i quali è scaduto il termine di pagamento e non può, comunque, superare il limite del 50 per cento dell’ammontare indebitamente compensato. La sanzione per indebita compensazione non può essere applicata finché sulla iscrizione a ruolo penda contestazione in sede giurisdizionale o amministrativa. In tale evenienza i termini per applicare la sanzione decorrono dal giorno successivo alla definizione della contestazione.

 

Nelle ipotesi in cui sull’iscrizione a ruolo penda contestazione, la decorrenza dei termini decadenziali per la notificazione dell’atto di contestazione decorre dal giorno successivo alla data della definizione della contestazione medesima.

 

Coerentemente con la stessa ratio della disposizione, la quale è stata introdotta al precipuo fine di contrastare le compensazioni immediate da parte di chi, pur disponendo di un credito erariale, sia nel contempo debitore di somme iscritte a ruolo per debiti erariali e relativi accessori, a volte di considerevole ammontare e risalenti nel tempo, costringendo spesso gli organi della riscossione a defatiganti attività esecutive spesso vanificate da deliberate spoliazioni preventive del proprio patrimonio, la disposizione va interpretata nel senso che al contribuente titolare di crediti di importo superiore a quello iscritto a ruolo, non è consentito effettuare alcuna compensazione se non assolve, preventivamente, l’intero debito per il quale è scaduto il termine di pagamento, unitamente con i relativi accessori.

 

La disposizione, pertanto, configura un obbligo di preventiva estinzione dei debiti iscritti a ruolo e non una “riserva indisponibile” del credito pari all’ammontare di tali debiti.

 

La disposizione chiarisce, poi, che la compensazione è vietata fino a concorrenza dell’importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori (per i quali è scaduto il termine di pagamento).

 

Quanto ai tributi cui fa riferimento, devono intendersi, ad esempio, le imposte dirette, l’imposta sul valore aggiunto ed le altre imposte indirette, con esclusione, quindi, dei tributi locali e dei contributi di qualsiasi natura.

 

La disposizione in esame ammette, poi, il pagamento, anche parziale, delle somme iscritte a ruolo per imposte erariali e relativi accessori mediante la compensazione dei crediti relativi a dette imposte, secondo modalità che saranno stabilite con apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze.

 

Prevede, inoltre, che nell’ambito delle attività di controllo dell’Agenzia delle entrate sia assicurata la vigilanza sull’osservanza del previsto divieto di compensazione.

 

13. Stock options ed emolumenti variabili a dirigenti e collaboratori del settore finanziario (articolo 33)

 

L’art. 33 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto per i dirigenti e i collaboratori di imprese che operano nel settore finanziario un’aliquota addizionale del 10% su specifici compensi.

 

L’addizionale, in particolare, si applica agli emolumenti variabili, corrisposti sotto forma di bonus e stock options, per la parte degli stessi che eccede il triplo della parte fissa della retribuzione.

 

L’intervento normativo si ricollega alle decisioni assunte in sede di G-20 volte ad eliminare gli effetti distorsivi prodotti sul sistema finanziario e sull’economia mondiale dai premi erogati sotto forma di bonus e stock options legati agli andamenti del mercato.

 

13.1 Ambito di applicazione dell’aliquota addizionale: individuazione del Settore finanziario

 

In mancanza di una espressa definizione di “settore finanziario” da parte della norma in esame, si ritiene che questo vada individuato nelle banche e negli altri enti finanziari, nonché negli enti e nelle altre società la cui attività consista in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni.

 

Sono quindi comprese nell’ambito applicativo della norma le banche nonché, ad esempio, le società di gestione (Sgr), le società di intermediazione mobiliare (Sim), gli intermediari finanziari, gli istituti che svolgono attività di emissione di moneta elettronica, le società esercenti le attività finanziarie indicate nell’art. 59, comma 1, lettera b), del Testo Unico Bancario, le holding che assumono e/o gestiscono partecipazioni in società finanziarie, creditizie o industriali.

 

13.2 Dipendenti e collaboratori soggetti a prelievo

 

L’addizionale trova applicazione nei confronti dei dipendenti che rivestono la qualifica di dirigenti e dei collaboratori che operano nel settore. Il riferimento ad una specifica categoria di lavoratori subordinati, tra quelle menzionate dall’art. 2095 c.c. che indica accanto ai dirigenti, i quadri, gli impiegati e gli operai comporta che il requisito di appartenenza alla categoria, il cui ruolo in linea generale è caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale, non essendo oggetto di specifica previsione normativa, è demandato al contratto di lavoro. La disposizione, inoltre, è rivolta ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, sul presupposto che anche a tali figure possa essere attribuita un elevato grado di autonomia e potere decisionale come si evince dalla relazione illustrativa al decreto che menziona tra i destinatari della norma gli amministratori di società.

 

La finalità della norma, tesa a assoggettare al prelievo aggiuntivo un particolare settore di attività ritenuto responsabile della recente crisi economico finanziaria, porta inoltre a ritenere che siano soggetti al prelievo dell’addizionale anche i dirigenti del settore bancario e finanziario che prestano la loro attività lavorativa all’estero, per i quali, ai fini dell’applicazione dell’aliquota addizionale del 10 per cento, occorrerà tener conto della retribuzione effettiva prevista dal contratto di lavoro, a prescindere dai criteri convenzionali di determinazione del relativo reddito da lavoro dipendente dettati dall’art. 51, comma 8-bis), del TUIR

 

13.3 Retribuzione imponibile

 

Presupposto per l’applicazione dell’aliquota addizionale è l’articolazione della retribuzione in una parte fissa e in una parte variabile, atteso che la base imponibile dell’addizionale è stabilita nella quota della retribuzione variabile che eccede il triplo di quella fissa annua.

 

Ai fini di tale rapporto, i compensi da assoggettare all’aliquota addizionale devono essere individuati sulla base delle pattuizioni contrattuali senza tener conto, pertanto, della rilevanza fiscale delle varie componenti retributive né del criterio temporale di individuazione del momento impositivo. In particolare, occorre considerare le componenti retributive fisse previste dal contratto di lavoro o di collaborazione (al lordo quindi delle ritenute fiscali e previdenziali) e raffrontarle con la retribuzione variabile maturata per il medesimo anno.

 

L’eventuale importo da assoggettare al prelievo aggiuntivo andrà quindi individuato a prescindere da eventuali rateazioni del premio di erogazione dello stesso dovendo ritenersi applicabile l’addizionale nell’ipotesi in cui, sommando i premi che maturano nel periodo d’imposta, risulti superato il triplo della retribuzione fissa prevista per il medesimo periodo, fermo restando che l’applicazione del prelievo sarà effettuata al momento della erogazione del premio.

 

Per quanto concerne gli emolumenti premiali erogati anziché in denaro sottoforma di stock options si ritiene che tra questi ultimi, attesa la formulazione generica della norma, rientrino tutte le forme di incentivazione realizzate con azioni, le quali rileveranno in ragione del loro valore normale, individuato ai sensi dell’articolo 9 del TUIR, alla data in cui vengono assegnate al dirigente o al collaboratore, al netto delle somme da questi corrisposte.

 

13.4 Modalità applicative dell’addizionale

 

L’aliquota addizionale, disciplinata da una norma autonoma, non è inserita tra le aliquote IRPEF previste dal TUIR essendo rivolta soltanto ad alcune categorie di contribuenti e non alla generalità; si configura, pertanto, come un prelievo d’imposta indipendente dall’IRPEF anche se ne mutua la disciplina per quanto concerne l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso.

 

Trattandosi di una tassazione aggiuntiva ma distinta dall’applicazione dell’IRPEF ordinaria, l’addizionale, in particolare:

 

    non concorre all’importo sul quale possono essere fatte valere le eventuali detrazioni d’imposta;

    non rileva nella determinazione dell’aliquota media da applicare ai fini della tassazione separata;

    non deve essere considerata nell’imposta italiana che costituisce il limite entro cui può essere attribuito il credito d’imposta per l’imposta pagata all’estero.

 

In ragione del rinvio alle modalità applicative dell’IRPEF, l’addizionale può essere oggetto di compensazione sia interna che esterna.

 

Ai sensi dell’art. 33 del decreto legge in commento, l’addizionale è trattenuta dal sostituto d’imposta al momento di erogazione dei bonus e delle stock options, ed è da questi versata utilizzando i codici tributo istituiti con Risoluzione 4 gennaio 2011, n. 1/E.

 

Nel rispetto del principio di cassa, che regola il momento impositivo per la categoria del reddito di lavoro dipendente e assimilato, il prelievo deve essere operato al momento dell’erogazione della parte di premio che eccede il triplo della retribuzione fissa; tale condizione, qualora non sia riscontrabile al momento della corresponsione, andrà verificata al momento del conguaglio ed in tale sede andrà applicata l’addizionale.

 

Qualora i premi siano rateizzati in più periodi d’imposta, l’addizionale troverà applicazione nel momento in cui, tenuto conto delle precedenti corresponsioni, si verificherà il superamento del limite previsto dalla norma. La parte fissa della retribuzione di riferimento sarà sempre quella contrattuale dell’anno di maturazione del premio stesso.

 

Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia un soggetto estero, non tenuto agli obblighi di sostituzione in Italia, sarà il lavoratore dipendente residente che dovrà determinare e versare la maggiore imposta con le medesime modalità di versamento dell’IRPEF.

 

13.5 Decorrenza

 

L’articolo 56, comma 1 del decreto legge n. 78, prevede che lo stesso entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale avvenuta il 31 maggio 2010. Pertanto, il maggior prelievo troverà applicazione sui compensi variabili corrisposti a partire dalla predetta data, anche se maturati in anni precedenti.

 

14. Obbligo per i non residenti di indicazione del codice fiscale per l’apertura di rapporti con operatori finanziari (Articolo 34)

 

L’articolo 34 del decreto modifica l’articolo 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, che individua gli atti in cui deve essere indicato il codice fiscale. Come si evince dalla relazione illustrativa, con la novella in commento si sono volute superare le difficoltà connesse all’acquisizione dei dati relativi ai rapporti finanziari continuativi dei clienti non residenti e privi di codice fiscale, così da rendere più facilmente accertabili le violazioni fiscali da parte degli stessi o di terzi.

 

A tal fine è stata introdotta nel citato articolo 6, al comma 1, la lettera gquinquies) che dispone l’obbligo di indicare il codice fiscale anche su “atti o negozi delle società e degli enti di cui all’articolo 32, primo comma, numero 7), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600”, ossia delle banche, Poste Italiane S.p.A, intermediari finanziari, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio, società di gestione del risparmio e società fiduciarie, “conclusi con i clienti per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi clienti, riguardanti l’apertura o la chiusura di qualsiasi rapporto continuativo”.

 

Le persone fisiche non residenti in Italia prive del codice fiscale, possono chiederne l’attribuzione alla rappresentanza diplomatico-consolare italiana nel Paese di residenza, presentando la domanda (modello AA4/7) personalmente o a mezzo di persona delegata (cfr. decreto ministeriale 17 maggio 2001, n. 281; circolari n. 7/E del 22 febbraio 2010; n. 40/E del 9 settembre 2004; n. 30/E del 12 aprile 2002; n. 74/E del 2 agosto 2001); in alternativa, possono presentare la domanda ad un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate. All’atto della presentazione della domanda, il richiedente deve esibire un documento di identità valido; in caso di delega, la persona delegata deve esibire un proprio documento di identità e la copia del documento di identità del richiedente, entrambi in corso di validità.

 

I soggetti diversi dalle persone fisiche non obbligati alla dichiarazione di inizio attività IVA, possono richiedere il codice fiscale presentando il Modello AA5/6 ad un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle entrate, direttamente (in duplice esemplare, anche tramite persona delegata) o tramite raccomandata (in unico esemplare, allegando copia di un documento di identità valido del rappresentante).

 

Si rammenta inoltre che per “rapporto continuativo” si intendono i “rapporti finanziari caratterizzati, in generale, da un unico rapporto di durata, rientrante nell’esercizio dell’attività istituzionale dell’operatore finanziario, che possa dar luogo a più operazioni di versamento, prelievo o trasferimento di denaro o di altri valori” (cfr. circolare n. 42/E del 24 settembre 2009 che rinvia alla circolare n. 18/E del 4 aprile 2007). L’elenco di tali rapporti è riportato nella tabella “allegato 1” al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 febbraio 2008. Sono, invece, escluse dal novero dei rapporti continuativi le operazioni “extra conto”, ossia “quelle effettuate per cassa (cd. operazioni allo sportello) contro presentazione di denaro contante o assegni, senza transito in un qualsiasi rapporto” (cfr. citata circolare n. 42/E del 2009).

 

15. Razionalizzazione dell’accertamento nei confronti dei soggetti che aderiscono al consolidato nazionale (Articolo 35)

 

Il comma 1 dell’articolo 35 inserisce nel d.P.R. n. 600 del 1973 l’articolo 40bis.

 

La norma, nell’ottica di migliorare l’efficienza dell’azione amministrativa nonché garantire una maggiore tutela del diritto di difesa dei contribuenti sottoposti a controllo nell’ambito del consolidato nazionale di cui agli articoli 117 e seguenti del TUIR, introduce alcune novità per quel che concerne il procedimento di accertamento.

 

Di seguito si commentano le principali novità.

 

Al controllo delle dichiarazioni proprie presentate dalle società consolidate e dalla consolidante, nonché alle relative rettifiche, è preposto, ai fini IRES, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente alla data in cui è stata presentata la dichiarazione (comma 1).

 

Le rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al consolidato, la conseguente maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale e le relative sanzioni sono operate mediante l’emanazione di un atto unico da notificare sia alla consolidata che alla consolidante (comma 2).

 

Tale disposizione, eliminando il meccanismo del doppio livello accertativo (disciplinato dall’articolo 17 del decreto ministeriale 09 giugno 2004 che, ai sensi dei commi 3 e 4 dell’articolo 35 del decreto, è abrogato con effetto dal 1° gennaio 2011), consente ad entrambi i soggetti coinvolti nell’accertamento di partecipare sin dall’inizio alle diverse fasi del procedimento.

 

La norma, inoltre, introduce sul piano processuale un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra la società consolidata e la consolidante. In tal guisa, la definizione dell’atto unico in sede contenziosa produce i suoi effetti in modo univoco nei confronti di entrambi i soggetti, evitando il formarsi di giudicati contrastanti. Inoltre, il pagamento delle somme scaturenti dall’atto unico estingue l’obbligazione sia se effettuato dalla consolidata che dalla consolidante.

 

Dal 1° gennaio 2011, la consolidante può chiedere che le perdite di periodo del consolidato non utilizzate vengano computate in diminuzione dei maggiori imponibili, accertati a seguito dalle rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al consolidato e fino a concorrenza del loro importo. A tal fine, la consolidante dovrà presentare un’apposita istanza, all’ufficio competente ad emanare l’atto unico di accertamento, entro il termine per la proposizione del ricorso (comma 3).

 

 

Con tale previsione, il legislatore ha inteso eliminare la compensazione “automatica” del maggior reddito complessivo globale accertato con le perdite del consolidato non utilizzate -così come disciplinata dal comma 2, secondo periodo, dell’articolo 9 del citato decreto ministeriale 09 giugno 2004, che, giusto quanto disposto dal comma 3 dell’articolo 35 del decreto, è abrogato con l’entrata in vigore dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 -subordinandola alla presentazione di una apposita istanza.

 

La presentazione di tale istanza sospende il termine per l’impugnazione dell’atto, sia per la consolidata che per la consolidante, per un periodo di 60 giorni.

Entro i successivi 60 giorni dalla presentazione dell’istanza, l’ufficio -previo riscontro dell’utilizzabilità delle perdite -procede al ricalcolo dell’eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate e comunica l’esito alla consolidata ed alla consolidante.

 

Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 ottobre 2010, prot. n. 2010/154309 -previsto dal comma 3 dell’articolo 35 -è stato approvato il modello per la presentazione della predetta istanza, le modalità di presentazione (esclusivamente per via telematica direttamente dai contribuenti abilitati ad Entratel o Fisconline, ovvero mediante soggetti incaricati di cui ai commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del d.P.R. n. 322 del 1998) e le conseguenti attività dell’ufficio competente.

 

In particolare, il provvedimento suddetto specifica che “per perdite di periodo del consolidato” che possono essere richieste in diminuzione dei maggiori imponibili “devono intendersi sia le perdite relative al periodo d’imposta oggetto di rettifica, sia quelle ancora utilizzabili alla data di chiusura dello stesso ai sensi dell’art. 84 del TUIR… scomputando prioritariamente le perdite relative al periodo d’imposta oggetto di rettifica”.

 

Inoltre, il provvedimento precisa quali siano le perdite che si considerano già utilizzate al momento di presentazione dell’istanza, e, conseguentemente, non più usufruibili da parte della consolidante.

 

Le perdite richieste in diminuzione mediante la presentazione del modello non sono più nella disponibilità della consolidante.

 

Le attività di controllo della dichiarazione dei redditi del consolidato e le relative rettifiche, diverse da quelle conseguenti la rettifica delle singole dichiarazioni delle consolidate e della consolidante, sono attribuite all’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente nei confronti della società consolidante alla data in cui è stata presentata la dichiarazione (comma 4).

 

Fino alla scadenza del termine di decadenza stabilito nell’articolo 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’accertamento del reddito complessivo globale può essere integrato o modificato in aumento, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base agli esiti dei controlli previsti dai precedenti commi (comma 5). Il comma 2 dell’articolo 35 del decreto, in conseguenza di quanto previsto dal citato articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, inserisce nel d.lgs. n. 218 del 1997 l’articolo 9-bis, apportando importanti novità in tema di accertamento con adesione qualora a prendere parte al procedimento siano soggetti aderenti al consolidato nazionale.

 

In particolare, il nuovo articolo 9-bis dispone che:

 

    al procedimento di accertamento con adesione avente ad oggetto le rettifiche delle singole dichiarazioni di ciascuna consolidata (previste dal comma 2 dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973) partecipano sia la consolidante che la consolidata interessata dalle rettifiche, innanzi all’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente alla data in cui è stata presentata la dichiarazione. L’atto di adesione, sottoscritto anche da una sola di esse, si perfeziona qualora gli adempimenti di cui all’articolo 9 del d.lgs. n. 218 del 1997 (ovvero, il versamento delle somme dovute in base all’atto di adesione o il versamento della prima rata con la prestazione della garanzia, nei termini e secondo le modalità di cui all’articolo 8 del medesimo d.lgs.) siano posti in essere anche da parte di uno solo dei predetti soggetti (comma 1);

    specularmente a quanto disposto dal comma 2 dell’articolo 40-bis, anche in fase di adesione la consolidante ha la facoltà di chiedere che siano computate, in diminuzione dei maggiori imponibili, le perdite di periodo del consolidato non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo (comma 2).

 

 

Il medesimo comma 2 detta la disciplina anche per le ipotesi di adesione all’invito a comparire e di adesione ai verbali di constatazione, previste, rispettivamente, dagli articoli 5, comma 1-bis, e 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997. In entrambi i casi, alla prescritta comunicazione di adesione deve essere allegata l’istanza cartacea, presentata in ogni caso in via telematica, per l’eventuale compensazione con le perdite del consolidato non utilizzate, prevista dal comma 3 dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973.

 

Con il citato provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 ottobre 2010 – cui si rinvia -sono stati delineati i tempi, le modalità di presentazione, nonché le conseguenti attività dell’ufficio nell’ipotesi in cui l’istanza per il computo in diminuzione delle perdite sia presentata nel corso del procedimento di accertamento con adesione, ovvero di adesione ai sensi degli articoli 5, comma 1-bis, e 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997.

 

Il comma 4 dell’articolo 35, infine, fissa l’entrata in vigore delle disposizioni di cui ai commi precedenti al 1° gennaio 2011, le quali si applicano con riferimento ai periodi di imposta per i quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i termini per l’accertamento di cui all’articolo 43 del d.P.R. n. 600 del 1973.

 

16. Disposizioni antifrode (Articolo 36)

 

L’articolo 36 del decreto apporta significative modifiche al d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231.

 

In primo luogo, il comma 1, lettera a), aggiunge i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater all’articolo 28 del citato d.lgs. n. 231.

 

L’articolo 7-bis, al fine di contrastare quei Paesi nei quali è maggiore il rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo e non vi è un adeguato scambio di informazioni anche in materia fiscale, prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto e sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, provveda alla loro individuazione in una apposita lista.

 

Conseguentemente, il successivo articolo 7-ter dispone che i soggetti sottoposti agli obblighi di cui al d.lgs. n. 231 del 2007 in materia di antiriciclaggio (e, precisamente, gli enti e le persone di cui agli articoli 10, comma 2, ad esclusione della lettera g), 11, 12, 13 e 14, comma 1, lettere a), b), c) ed f) del medesimo d.lgs.) dovranno astenersi dall’instaurare un rapporto continuativo, eseguire operazioni o prestazioni professionali ovvero vi dovranno porre fine se già in essere, di cui siano parte direttamente o indirettamente società fiduciarie, trust, società anonime o controllate attraverso azioni al portatore che hanno sede nei Paesi individuati con il predetto decreto.

 

Trattasi, ad esempio, delle diverse società di gestione operanti nel mercato finanziario, nonché delle società che svolgono attività -subordinate al possesso di licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri -di commercio e mediazione, compresa l’esportazione e l’importazione di oro e di oggetti preziosi, di fabbricazione, di esercizio di case d’asta o gallerie d’arte, etc…(articolo 10, comma 2); degli intermediari finanziari e degli altri soggetti esercenti attività finanziaria (articolo 11); dei professionisti, ossia i soggetti iscritti nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’albo dei consulenti del lavoro, i notai e gli avvocati e degli altri soggetti (articolo 12); dei revisori contabili (articolo 13), nonché degli altri soggetti di cui all’articolo 14, comma 1, lettere a), b), c) ed f), ossia delle società di recupero crediti per conto terzi, di custodia e di trasporto di denaro contante, titoli o valori, delle agenzie di affari in mediazione immobiliare.

 

L’applicazione di tali misure è, altresì, prevista nei confronti di ulteriori entità giuridiche altrimenti denominate aventi sede nei Paesi sopra individuati di cui non è possibile identificare il titolare effettivo e verificarne l’identità.

 

L’articolo 7-quater, infine, prevede che con il medesimo decreto di cui al comma 7-bis verranno stabilite anche le modalità applicative ed il termine degli adempimenti di cui al comma 7-ter.

 

La successiva lettera b) aggiunge un ulteriore periodo all’articolo 41, primo comma, del d.lgs. n. 231 del 2007, in tema di segnalazione di operazioni sospette.

 

Più precisamente, nell’intento di individuare le operazioni a rischio riciclaggio, il legislatore introduce un nuovo “elemento di sospetto” costituito dal ricorso “frequente o ingiustificato” ad operazioni in contante, anche se di importo inferiore al limite previsto dall’articolo 49 del già citato d.lgs. n. 231 del 2007 (ovvero, la soglia di 5.000 euro, così come modificata dall’articolo 20, comma 1, del decreto), ed, in particolare, il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro.

 

In presenza di operazioni compiute con le predette modalità, i soggetti sopra indicati hanno l’obbligo di inviare una segnalazione alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria).

 

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con la circolare dell’11 ottobre 2010, prot. n. 297944, ha fornito chiarimenti sulla corretta applicazione della disposizione per quanto riguarda gli obblighi di segnalazione alla UIF (Unità di Informazione Finanziaria) da parte dei soggetti indicati negli articoli 10, comma 2, 11, 12, 13 e 14, del d.lgs. n. 231 del 2007, in presenza di operazioni compiute con le predette modalità.

 

In particolare, il documento di prassi precisa che “la mera ricorrenza dell’indicatore di cui all'articolo 36 del decreto legge 78/2010 non è motivo di per sé sufficiente per la segnalazione di operazioni sospette, per la quale rimane quindi indispensabile una valutazione complessiva fondata su una serie di elementi sia di natura oggettiva che soggettiva”.

 

La lettera c) dell’articolo 36 in commento inserisce il comma 1-ter all’articolo 57 del d.lgs. n. 231 del 2007, al fine di disciplinare il regime sanzionatorio applicabile nell’ipotesi di violazione dell’articolo 28 comma 7-ter del medesimo decreto, prevedendo un inasprimento delle pene pecuniarie al crescere dell’importo delle operazioni effettuate.

 

In particolare, si applicano le sanzioni nelle seguenti misure:

 

    5.000 euro per operazioni di importo fino a 50.000 euro;

    dal 10 al 40 per cento dell’importo dell’operazione qualora la stessa sia superiore a 50.000 euro;

    da 25.000 a 250.000 euro nel caso in cui l’importo dell’operazione non sia determinato o determinabile.

 

 

17. Disposizioni antiriciclaggio (articolo 37)

 

In ossequio al principio di trasparenza del sistema economico-finanziario, l’articolo 37 del decreto detta le disposizioni atte ad assicurare la compiuta conoscenza degli operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi black list (di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001) ammessi a partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture ai sensi del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

 

A tal fine, la norma introduce al comma 1 l’obbligo del rilascio di un’autorizzazione preventiva da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, secondo le modalità che verranno stabilite con successivo decreto del Ministro stesso entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

Il rilascio di tale autorizzazione è subordinato alla previa individuazione dell’operatore economico, individuale o collettivo, mediante la comunicazione dei dati che identificano gli effettivi titolari delle partecipazioni societarie -anche per il tramite di società controllanti e per il tramite di società fiduciarie -nonché alla identificazione del sistema di amministrazione, del nominativo degli amministratori e del possesso dei requisiti di eleggibilità previsti dalla normativa italiana. Ciò anche in deroga ad accordi bilaterali siglati con l’Italia che consentano la partecipazione alle procedure per l’aggiudicazione dei contratti di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, a condizioni di parità e reciprocità.

 

Il comma 2 della disposizione in commento prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto, possa escludere tale obbligo nei confronti di alcuni dei Paesi suddetti, ovvero di settori di attività svolte negli stessi, oppure estendere l’obbligo anche a Paesi cosiddetti non black list nonché a specifici settori di attività e a particolari tipologie di soggetti, al fine di prevenire fenomeni a particolare rischio di frode fiscale.

 

18. Altre disposizioni in materia tributaria (Articolo 38)

 

L’articolo 38 del decreto dispone, ai commi 1, 2 e 3, che gli enti erogatori di prestazioni sociali agevolate, comprese quelle erogate nell’ambito delle prestazioni del diritto allo studio universitario, a seguito della presentazione di dichiarazione sostitutiva di cui all’articolo 4 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109, comunicano all’INPS, nel rispetto delle norme a tutela della privacy, i dati dei soggetti fruitori delle prestazioni medesime. Tali dati sono nome, cognome, luogo e data di nascita e codice fiscale.

 

Le comunicazioni in parola sono effettuate in modalità telematica, secondo le indicazioni dell’INPS, sulla base di direttive del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; dette informazioni alimentano il Sistema informativo dei servizi sociali, di cui all’articolo 21 della l. 8 novembre 2000, n. 328.

 

Al fine di far emergere eventuali abusi nella fruizione delle prestazioni sociali agevolate è previsto che Agenzia delle entrate ed INPS si scambino ogni informazione necessaria, previa stipula di apposita convenzione, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali.

 

L’INPS, sulla base di informazioni trasmesse telematicamente dall’Agenzia delle entrate è, quindi, in grado di individuare i soggetti che, in ragione del maggior reddito accertato in via definitiva, hanno fruito indebitamente, in tutto o in parte, delle prestazioni in argomento.

 

In tale eventualità, oltre alla restituzione del beneficio indebitamente fruito, è prevista una sanzione da 500 a 5.000 euro, applicata dall’INPS in forza dei poteri e secondo le modalità previste dalle norme vigenti.

 

Le medesime sanzioni si applicano nei confronti di coloro per i quali si accerti, sulla base dello scambio di informazioni tra l’INPS e l’Agenzia delle entrate, uno scostamento tra reddito dichiarato ai fini fiscali e reddito indicato nella dichiarazione sostitutiva unica di cui all’articolo 4 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109, qualora tale scostamento abbia consentito l’accesso alle prestazioni agevolate in rassegna.

 

Il comma 4 dell’articolo 38 in commento mira a razionalizzare la materia delle notifiche fiscali. In particolare, la lettera a) elimina all’articolo 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, il riferimento alle articolazioni interne all’Amministrazione finanziaria interessate da riforme che ne hanno mutato la competenza per materia, nonché la competenza territoriale.

 

Con la medesima disposizione vengono inoltre ridefinite le modalità di comunicazione all’Agenzia delle entrate, da parte del contribuente, del domicilio diverso dalla residenza -eletto ai fini della notificazione degli atti e degli avvisi che lo riguardano. Le nuove modalità, prevedono esclusivamente la comunicazione:

 

    mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata al competente ufficio;

    in via telematica, con modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

 

 

La comunicazione non può più essere presentata tramite la dichiarazione annuale.

 

La nuova forma di comunicazione consente di individuare con certezza la decorrenza della variazione di domicilio, che ha effetto, ai sensi dell’articolo 60, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, dal trentesimo giorno successivo a quello della data di ricevimento della raccomandata con avviso di ricevimento ovvero della comunicazione telematica.

 

Si osserva, inoltre, che il terzo comma dell’articolo 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 non rinvia più, nella nuova formulazione, all’articolo 36 del medesimo decreto -abrogato dall’articolo 37 della l. 24 novembre 2000, n. 340 -ma agli articoli 35 e 35-ter del d.P.R. n. 633 del 1972, relativi alla dichiarazione di inizio attività, variazione dati o cessazione attività ai fini IVA, ed al modello attualmente previsto per la domanda di attribuzione del numero di codice fiscale da parte dei soggetti, diversi dalle persone fisiche, non obbligati alla dichiarazione di inizio attività IVA., né al modello relativo alla identificazione diretta ai fini IVA di soggetti non residenti.

 

La lettera b) dello stesso comma 4 in commento modifica, a sua volta, l’articolo 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, che, nella nuova formulazione, consente che la cartella sia notificata con le modalità di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge, consultabili anche telematicamente, dagli agenti della riscossione. È esclusa, in questo caso, l’applicazione dell’articolo 149-bis del codice di procedura civile, che disciplina la notificazione a mezzo posta elettronica eseguita dall’ufficiale giudiziario.

 

La nuova previsione consente, pertanto, l’utilizzo della posta elettronica, altrimenti inibito per effetto dell’esclusione di cui all’articolo 48, comma 2, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale).

 

La norma autorizza, altresì, gli Agenti della riscossione alla consultazione degli elenchi degli indirizzi di posta elettronica certificata (ad esempio quelli di cui all’articolo 16, commi 6 e 7, del d.l. n. 185 del 2008).

 

Il comma 5 della disposizione in esame prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze, le Agenzie fiscali e gli enti previdenziali, assistenziali e assicurativi, al fine di potenziare ed estendere i servizi telematici, possano definire termini e modalità per l’utilizzo esclusivo dei propri servizi telematici ovvero della posta elettronica certificata, anche a mezzo di intermediari abilitati, per la presentazione da parte degli interessati di denunce, istanze, atti e garanzie fideiussorie, per l’esecuzione di versamenti fiscali, contributivi, previdenziali, assistenziali e assicurativi, nonché per la richiesta di attestazioni e certificazioni.

 

I citati enti ed amministrazioni definiscono l’utilizzo dei servizi telematici o della posta certificata anche per gli atti, comunicazioni o servizi dagli stessi resi.

 

La disposizione consente di ridurre l’accesso fisico del cittadino presso i pubblici uffici e favorisce la dematerializzazione degli archivi, nell’ambito di un più diretto rapporto fra cittadini e pubblica amministrazione improntato a criteri di efficacia, efficienza ed economicità.

 

Nella richiesta e nella ricezione degli atti tramite i servizi telematici in parola i cittadini possono avvalersi degli intermediari abilitati alla trasmissione telematica, ferma restando, in ogni caso, la possibilità di utilizzare le modalità tradizionali da parte delle fasce più deboli.

 

La norma demanda ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate la definizione degli atti per i quali la registrazione prevista per legge è sostituita da una denuncia esclusivamente telematica di una delle parti, la quale assume qualità di fatto ai sensi dell’articolo 2704, primo comma, del codice civile.

 

L’ultimo periodo del comma 5 eleva da 30 a 60 giorni, decorrenti dalla presentazione del modello unico informatico, il termine entro cui l’ufficio, una volta controllata la regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte ai sensi dell’articolo 3-ter, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1992, n. 463, notifica avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata, qualora, sulla base degli elementi desumibili dall’atto, risulti dovuta una maggiore imposta.

 

Il comma 6, primo paragrafo, dell’articolo 38 prevede che l’Amministrazione finanziaria consenta a chiunque di verificare, con apposito servizio di libero accesso, l’esistenza e la corrispondenza tra il codice fiscale e i dati anagrafici disponibili in Anagrafe Tributaria.

 

Il secondo paragrafo prevede che l’Amministrazione finanziaria, al fine di favorire la qualità delle informazioni presso la Pubblica Amministrazione, renda accessibili il codice fiscale registrato in Anagrafe Tributaria e i dati anagrafici ad esso correlati:

 

    alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165;

    alle società interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto Nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della l. 30 dicembre 2004, n. 311;

    ai concessionari e gestori di pubblici servizi;

    ai privati che cooperano con le attività dell’Amministrazione finanziaria.

 

L’accesso ai dati disponibili in Anagrafe Tributaria è subordinato alla stipula di apposita convenzione.

 

L’articolo 38, comma 7, prevede una modalità agevolata di effettuazione del conguaglio fiscale, a favore di coloro che percepiscano un redditi di pensione non superiori ad euro 18.000, nel caso in cui la relativa imposta risultante dal conguaglio di fine anno sia di importo complessivamente superiore a 100 euro.

 

In presenza delle condizioni richieste, le imposte dovute sono prelevate dal sostituto d’imposta in un numero massimo di undici rate a partire dal mese successivo a quello in cui è effettuato il conguaglio, in deroga alla regola generale prevista dall’articolo 23, comma 3, del d. P.R. n. 600 del 1973.

 

La rateizzazione del pagamento non comporta l’applicazione degli interessi.

 

La norma, riferita ai soli redditi da pensione di ammontare annuo non superiore a 18.000 euro, si prefigge, dunque, il chiaro intento di favorire i pensionati più deboli per i quali il debito d’imposta derivante dal conguaglio potrebbe risultare particolarmente oneroso, prevedendo la dilazione nel pagamento delle imposte dovute e l’eliminazione dal carico impositivo degli interessi.

 

L’ente pensionistico, pertanto, verificando sulla base delle informazioni messe a disposizione dal Casellario Centrale Pensioni che il reddito da pensione annuo è di importo non superiore a 18.000 euro, opera le ritenute in 11 rate a partire dal mese successivo a quello in cui ha effettuato il conguaglio e non oltre quello per il quale sono versate le ritenute per il mese di dicembre, se l’imposta dovuta risulta di importo superiore a 100 euro.

Per i soggetti che percepiscono più trattamenti pensionistici dal medesimo sostituto d’imposta, quest’ultimo deve tener conto dell’imposta complessivamente dovuta in relazione a tutti i trattamenti pensionistici che eroga. Nel caso in cui l’imposta non possa essere trattenuta per incapienza del rateo di pensione, tornano applicabili le disposizioni dell’articolo 23, comma 3, del dpr n. 600 del 1972 che regolano tale ipotesi. In particolare il pensionato, che non abbia fornito al sostituto d’imposta la provvista, potrà o chiedere che la ritenuta sia operata sulle rate successive a quella in cui si è verificata l’incapienza, con applicazione degli interessi dello 0,50 per cento mensile, ovvero versare entro il 15 gennaio dell’anno successivo l’ammontare che non è stato trattenuto La disposizione, in assenza di specifici termini di decorrenza risulta applicabile a partire dal conguaglio di fine anno relativo al periodo d’imposta 2010.

 

Il comma 10 della disposizione in esame consente alle società che, in virtù dell’articolo 3, comma 24, lettera b), del d.l. n. 203 del 2005, risultino cessionarie di rami d’azienda relativi alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, di richiedere ai medesimi enti i dati e le notizie relative ai beni dei contribuenti iscritti a ruolo. Tali dati, strettamente necessari per la riscossione dei ruoli in carico alle predette società cessionarie, possono essere forniti dagli enti locali tramite accesso al sistema informativo del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

La disposizione rileva ai fini e per gli effetti dell’articolo 19, comma 2, lettera d), del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, ai sensi del quale costituiscono causa di perdita del diritto al discarico il mancato svolgimento dell’azione esecutiva su tutti i beni del contribuente la cui esistenza, al momento del pignoramento, risultava dal sistema informativo del Ministero dell’economia e delle finanze, a meno che i beni pignorati non fossero di valore pari al doppio del credito iscritto a ruolo, nonché sui nuovi beni la cui esistenza è stata comunicata dall’ufficio ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19.

 

Il comma 11 dell’articolo 38 ricomprende l’esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria fra le attività non aventi natura commerciale ai sensi dell’articolo 74, comma 2, lettera b), del TUIR. La previsione in commento estende, quindi, l’ambito applicativo della norma citata che, nella precedente formulazione, limitava l’esclusione della natura commerciale alle sole attività previdenziali, assistenziali e sanitarie esercitate da enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le Aziende sanitarie locali.

 

È previsto, inoltre, che gli apporti effettuati da enti pubblici e privati di previdenza obbligatoria, costituiti da una pluralità di immobili prevalentemente locati al momento dell’apporto, sono soggetti alle previsioni dell’articolo 8, comma 1-bis, del d.l. 25 settembre 2001, n. 351, con conseguente applicazione delle imposte indirette in misura fissa.

 

Il comma 12 dell’articolo 38 in commento stabilisce che i termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti pubblici previdenziali, di cui all’articolo 25 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, non si applicano, limitatamente al periodo compreso tra il 1° gennaio 2010 e il 31 dicembre 2012, ai contributi non versati e agli accertamenti notificati successivamente alla data del 1° gennaio 2004, dall’Ente creditore.

 

Si evidenzia che, ai sensi del citato articolo 25, i contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali sono iscritti in ruoli resi esecutivi, a pena di decadenza:

 

    per i contributi o premi non versati dal debitore, entro il 31 dicembre dell’anno successivo al termine fissato per il versamento; in caso di denuncia o comunicazione tardiva o di riconoscimento del debito, tale termine decorre dalla data di conoscenza, da parte dell’ente;

    per i contributi o premi dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici, entro il 31 dicembre dell’anno successivo alla data di notifica del provvedimento ovvero, per quelli sottoposti a gravame giudiziario, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui il provvedimento è divenuto definitivo.

 

 

Il comma 13 della disposizione in esame prevede l’esclusione dagli obblighi dichiarativi di cui all’articolo 4 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167 (modulo RW della dichiarazione del redditi), in capo:

 

    alle persone fisiche che prestano lavoro all’estero per lo Stato italiano, per una sua suddivisione politica o amministrativa o per un suo ente locale, e le persone fisiche che lavorano all’estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce, l’Italia la cui residenza fiscale in Italia sia determinata, in deroga agli ordinari criteri previsti dal TUIR, in base ad accordi internazionali ratificati. Tale esonero si applica limitatamente al periodo di tempo in cui l’attività lavorativa è svolta all’estero;

    ai soggetti residenti in Italia che prestano la propria attività lavorativa in via continuativa all’estero in zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi, con riferimento agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria detenute nel Paese in cui svolgono la propria attività lavorativa.

 

 

Beneficiano dell’esclusione in parola i dipendenti di ruolo pubblici che risiedono all’estero per motivi di lavoro, per i quali sia prevista la notifica alle autorità locali ai sensi delle convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e sulle relazioni consolari e che, in virtù dell’articolo 1, comma 9, lettera b), della l. 27 ottobre 1988, n. 470, mantengono ai fini fiscali la residenza in Italia.

 

La disposizione si applica, altresì, a quei soggetti che prestano la propria attività lavorativa all’estero presso organizzazioni internazionali cui aderisce l’Italia, vale a dire i lavoratori presso organizzazioni internazionali (ad esempio ONU, NATO, Unione europea, OCSE). La residenza fiscale di tali soggetti è fissata, in base agli accordi internazionali che riconoscono particolari privilegi e immunità alle organizzazioni internazionali, nello Stato di provenienza, indipendentemente dai requisiti indicati nella normativa interna di ciascuno Stato.

 

L’esonero dall’obbligo di compilazione del modulo RW della dichiarazione annuale dei redditi è giustificato, per esigenze di semplificazione degli adempimenti tributari, fintanto che i predetti soggetti prestano la propria attività all’estero e viene meno al rientro in Italia, qualora questi mantengano, per qualsiasi motivo, gli investimenti o le attività all’estero.

 

La disposizione esonera dall’obbligo dichiarativo anche i frontalieri, limitatamente agli investimenti e alle attività estere di natura finanziaria detenute nel Paese in cui svolgono la propria attività lavorativa.

 

Il comma 13-sexies dell’articolo 38 in commento dispone l’esonero delle società a prevalente partecipazione pubblica, che esercitano l’attività di accertamento e di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni, dal rispetto dei requisiti di capitalizzazione minimi previsti per l’iscrizione all’albo di cui di cui all’articolo 53, comma 1, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.

 

Il comma 13-septies della disposizione in esame modifica l’articolo 2, comma 1, del d.P.R. 21 dicembre 1996, n. 696, recante operazioni non soggette all’obbligo di certificazione. Nella nuova formulazione, l’esonero da tale obbligo è esteso alle prestazioni di servizi effettuate dalle imprese di cui all’articolo 23, del d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261, attraverso la rete degli uffici postali e filatelici, dei punti di accesso e degli altri centri di lavorazione postale cui ha accesso il pubblico, nonché quelle rese al domicilio del cliente tramite gli addetti al recapito. Attualmente, le prestazioni di servizi in rassegna sono rese dalla società Poste Italiane S.p.A., esercente il servizio universale di cui all’articolo 3 del citato d.lgs. n. 261.

 

19. Regime fiscale di attrazione europea (Articolo 41)

 

Con l’articolo 41 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 viene introdotto nell’ordinamento tributario domestico un regime che favorisce, come si legge nella relazione illustrativa al decreto, “la circolazione di sottosistemi giuridici all’interno dell’Unione Europea”. Si tratta di una disposizione volta ad incoraggiare le imprese europee ad intraprendere nuove iniziative in Italia, consentendo loro di scegliere uno tra i regimi fiscali vigenti negli altri Stati membri dell’Unione.

 

Più precisamente, la norma consente alle imprese estere residenti in uno Stato membro dell’Unione Europea, che intendono avviare nuove attività economiche in Italia, di chiedere l’applicazione della normativa tributaria vigente in un qualunque altro Stato membro in luogo di quella italiana.

 

Tale opzione è preclusa ai soggetti che risultano avere residenza fiscale in Italia. L’accordo di ruling concluso rimane in vigore per tre periodi d’imposta.

 

Il regime impositivo che l’impresa estera può scegliere di sostituire è quello riferito alla “normativa tributaria statale italiana”; in altri termini, restano escluse dall’ambito di applicazione della norma in commento le imposte locali di competenza, ad esempio, di Comuni, Province e Regioni.

 

Al fine di attrarre realmente nuovi investimenti di soggetti esteri nel nostro Paese, mediante l’avvio di ulteriori iniziative imprenditoriali rispetto a quelle già esistenti in Italia, il comma 1-bis della norma in esame subordina la facoltà di essere assoggettati ad un regime fiscale “alternativo” al rispetto di due condizioni. In particolare, il legislatore ha previsto che la disposizione possa generare un concreto impulso positivo sulla vigente economia nazionale, circoscrivendone il campo di applicazione alle attività economiche che:

a) non risultino già esistenti alla data del 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del decreto legge);

b) siano effettivamente esercitate nel territorio dello Stato italiano.

 

Per poter beneficiare del regime fiscale prescelto e consentire all’Amministrazione finanziaria di verificare anche la sussistenza dei suddetti requisiti, i soggetti interessati devono presentare apposita istanza di interpello secondo la procedura di cui all’articolo 8 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269.

Occorre evidenziare, inoltre, che il regime fiscale facoltativo introdotto dal citato articolo 41 viene concesso non solo alle imprese estere che decidono di svolgere una nuova attività economica nel nostro Paese ma anche ai loro dipendenti e collaboratori.

 

L’ultimo comma dell’articolo 41, infine, delega a un decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’economia e delle finanze tutte le necessarie disposizioni attuative del regime ivi previsto.

 

Tale decreto provvederà, pertanto, a disciplinare sia gli aspetti sostanziali sia quelli procedurali non espressamente regolati dalla norma in commento.

 

20. Reti di imprese (Articolo 42)

 

La disciplina sulle reti d’impresa è stata originariamente introdotta dall’articolo 3, commi da 4-ter a 4-quinquies, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n. 33. L’articolo 42 del decreto interviene in materia:

 

    sul piano civilistico, con i commi 2-bis e 2-ter, che sostituiscono rispettivamente i commi 4-ter e 4-quater dell’articolo 3 del decreto legge n. 5 del 2009, di tal che la principale fonte normativa regolatrice dell’autonomia privata in materia deve continuare a ravvisarsi nel novellato articolo 3 da ultimo citato e nelle norme ivi richiamate;

    sul piano fiscale, con i successivi commi da 2-quater a 2-septies, che istituiscono, in favore delle imprese che sottoscrivono o che aderiscono a un contratto di rete, una misura agevolativa a carattere temporaneo, subordinata all’autorizzazione della Commissione europea.

 

Il comma 2 dell’articolo 42 dispone, inoltre, che alle reti di impresa, riconosciute in base alle previsioni dei commi successivi, “competono vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari, nonché la possibilità di stipulare convenzioni con l’A.B.I. nei termini definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze”.

 

Al riguardo si segnala che con decisione C(2010)8939 def. del 26 gennaio 2011 la Commissione europea ha ritenuto che la misura in favore delle reti di imprese non costituisce aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

 

20.1 Elementi principali del contratto di rete

 

Per quanto di più immediato interesse ai fini della misura agevolativa, è opportuno evidenziare che elemento essenziale del contratto di rete disciplinato dal comma 4-ter dell’articolo 3 del decreto-legge n. 5 del 2009 è il “programma comune di rete”, sulla base del quale gli imprenditori si obbligano a “collaborare in forme e ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale commerciale tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa” per perseguire lo scopo di “accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”.

 

Il contratto di rete, inoltre, “può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”.

 

La norma in commento, innovando rispetto alla previgente disciplina, stabilisce quindi che l’istituzione del fondo patrimoniale comune e la nomina dell’organo comune non costituiscono elementi essenziali ai fini della configurabilità del contratto di rete.

 

Il medesimo comma 4-ter, nell’indicare analiticamente il contenuto del contratto di rete, annovera alla lettera c)“la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile. … ;”.

 

20.2 Agevolazione fiscale per utili accantonati e investiti

 

L’agevolazione è prevista in favore delle imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete e consiste in un regime di sospensione di imposta di cui possono fruire gli utili d’esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati alla realizzazione di investimenti previsti dal programma comune, preventivamente asseverato. Detto beneficio spetta a condizione che le somme accantonate siano destinate al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all’affare per realizzare entro l’esercizio successivo gli investimenti previsti dal programma di rete.

 

In merito alla determinazione dell’importo agevolabile viene stabilito, altresì, che gli utili che non concorrono alla formazione del reddito non possono eccedere, in ogni caso, il limite di euro 1.000.000 per ciascuna impresa, nonché per ciascun periodo d’imposta in cui è consentito l’accesso all’agevolazione, fermo restando il limite stabilito dal comma 2-quinquies pari a 20 milioni di euro per l’anno 2011 e 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.

 

Il regime di sospensione di imposta cessa, e quindi gli utili accantonati concorrono alla formazione del reddito, nell’esercizio in cui la riserva è utilizzata per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio ovvero in cui viene meno l’adesione al contratto di rete.

 

Il beneficio fiscale in commento opera esclusivamente in sede di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta relativo all’esercizio cui si riferiscono gli utili destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all’affare. Per il periodo d’imposta successivo, l’acconto delle imposte dirette è calcolato assumendo come imposta del periodo precedente quella che si sarebbe applicata in mancanza delle previsioni di cui al comma 2-quater.

 

L’agevolazione spetta esclusivamente ai fini delle imposte sui redditi e non opera ai fini dell’IRAP.

 

Sotto il profilo temporale si rileva che l’agevolazione opera fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2012. In proposito si sottolinea che il comma 2septies dell’articolo 42 subordina l’operatività della norma in commento all’autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell’articolo 108, par. 3, del TFUE (c.d. clausola di stand still).

 

Si evidenzia infine che l’adesione al contratto di rete non comporta l’estinzione, né la modificazione della soggettività tributaria delle imprese che aderiscono all’accordo in questione, né l’attribuzione di soggettività tributaria alla rete risultante dal contratto stesso.

 

20.3 Disposizioni di attuazione e controlli

 

Le norme in esame demandano a successivi atti la definizione di taluni aspetti procedimentali e attuativi del regime agevolativo.

 

Il comma 2-quater dell’articolo 42 stabilisce che il programma comune di rete deve essere “preventivamente asseverato”. L’asseverazione comporta la previa verifica della sussistenza nel caso specifico degli elementi propri del contratto di rete e dei relativi requisiti di partecipazione in capo alle imprese che lo hanno sottoscritto. L’asseverazione è rilasciata da “organismi espressione dell’associazionismo imprenditoriale muniti dei requisiti previsti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, ovvero, in via sussidiaria, da organismi pubblici individuati con il medesimo decreto”.

 

Il successivo comma 2-sexies demanda a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, l’individuazione di “criteri e modalità di attuazione dell’agevolazione”, anche ai fini del rispetto del limite degli stanziamenti, stabiliti in misura pari a 20 milioni di euro per il 2011 e di 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013 dal comma 2-quinquies.

 

La norma dispone infine che l’Agenzia delle Entrate, avvalendosi dei propri poteri di accertamento e di controllo, “vigila sui contratti di rete e sulla realizzazione degli investimenti che hanno dato accesso all’agevolazione, revocando i benefici indebitamente fruiti” (articolo 42, comma 2-quater).

 

21. Agevolazioni per il rientro in Italia di ricercatori e docenti (articolo 44)

 

L’art. 44 ha previsto un’agevolazione fiscale ai fini IRPEF e IRAP per incentivare i ricercatori e i docenti residenti all’estero ad esercitare in Italia la loro attività.

 

La disposizione riproduce sostanzialmente l’agevolazione prevista dall’art. 17, comma 1, del DL n. 185/2008 (conv. L. n. 2/2009) e, come spiegato dalla relazione illustrativa, ne costituisce una estensione temporale.

 

Il richiamato articolo 17 del D.L. n. 185 trova applicazione fino al periodo d’imposta 2015 in quanto favorisce il rientro dei docenti e ricercatori residenti all’estero che vengono a svolgere l’attività in Italia e acquistano e mantengono la residenza in Italia, nell’arco dei cinque anni successivi a quello di entrata in vigore del decreto stesso, ed è applicabile nel periodo d’imposta in cui il ricercatore o il docente diviene fiscalmente residente in Italia e nei due periodi d’imposta successivi.

 

La nuova disposizione estende l’agevolazione fino al 31 dicembre 2017; si applica, infatti, ai docenti o ricercatori che vengono a svolgere attività in Italia e assumono qui la residenza nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del provvedimento (31 maggio 2010) e i cinque anni solari successivi (31 dicembre 2015) ed è, anche essa, applicabile nel periodo d’imposta in cui il ricercatore acquista la residenza e nei due periodi d’imposta successivi.

 

Si ricorda che il beneficio consiste, ai fini IRPEF, nella esclusione dal reddito di lavoro dipendente (o dal reddito assimilato a quello di lavoro dipendente) e di lavoro autonomo del novanta per cento dei compensi percepiti da detti soggetti in relazione all’attività di ricerca.

 

Ai fini IRAP detti compensi non concorrono alla formazione della base imponibile del ricercatore, se si tratta di un lavoratore autonomo, oppure del sostituto che eroga i compensi, nel caso questi si riferiscano a redditi di lavoro dipendente o assimilato.

 

Il ricercatore può prestare l’attività a favore di Università o altri centri di ricerca pubblici e privati, nonché di imprese o enti che, in ragione della peculiarità del settore economico in cui operano, dispongano di strutture organizzative finalizzate alla ricerca.

 

L’agevolazione trova applicazione nei confronti dei ricercatori o docenti che si trovano nelle seguenti condizioni:

 

    siano in possesso di un titolo di studio universitario o ad esso equiparato;

    non siano occasionalmente residenti all’estero;

    abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi;

    acquistino e mantengano la residenza fiscale in Italia per tutto il periodo in cui usufruiscono dell’agevolazione.

 

 

Per quanto riguarda gli altri profili applicativi dell’art. 44 del D.L in commento si rinvia ai precedenti documenti di prassi e in particolare ai chiarimenti forniti in materia dalla circolare 22 dell’08/06/2004, illustrativa di analoga disposizione recata dall’art. 3 del DL n. 269/2003 (conv. L. n. 326/2003).

 

22. Disposizioni in materia di procedure concorsuali (Articolo 48)

 

L’articolo 48 introduce alcune disposizioni nel Regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267, recante la disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa (di seguito L.F.), volte ad agevolare il risanamento della crisi d’impresa che precede il fallimento.

 

Al fine di favorire e promuovere l’erogazione di nuovi finanziamenti alle imprese in difficoltà da parte sia di intermediari bancari e finanziari che, ove l’impresa sia esercitata in forma societaria, dei soci, nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti è stata espressamente disposta la prededucibilità di alcune specifiche categorie di crediti.

 

Nello specifico, il comma 1 della disposizione in commento introduce nella L.F., successivamente all’articolo 182-ter, relativo alla “Transazione fiscale”, l’articolo 182-quater, contenente, per l’appunto, “Disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti”.

 

La norma intende tutelare i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in qualsiasi forma da banche ed intermediari, iscritti negli elenchi di cui agli articoli 106 e 107 del d.lgs. del 1° settembre 1993, n. 385 (c.d. Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dal D. Lgs. 13 agosto 2010, n. 141), erogati in esecuzione di un concordato preventivo, ai sensi degli articoli 160 e seguenti, ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, riconoscendo che tali crediti siano considerati prededucibili, ai sensi dell’articolo 111.

 

A norma del primo comma del citato articolo 111 “le somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo sono erogate nel seguente ordine:

 

    per il pagamento dei crediti prededucibili;

    per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l’ordine assegnato dalla legge;

    per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell’ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori indicati al n. 2, qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa”.

 

 

Ai fini procedurali, infatti, si devono considerare prededucibili ai sensi dell’articolo 111 della L.F. sia i crediti previsti da una specifica disposizione di legge che quelli sorti in occasione o in funzione di procedure concorsuali, tenendo in considerazione che i medesimi devono essere soddisfatti in via prioritaria con l’utilizzo delle somme realizzate a seguito della liquidazione dell’attivo.

 

Sono, inoltre, prededucibili i crediti derivanti da finanziamenti effettuati dai predetti soggetti nella fase precedente il deposito della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.

 

In quest’ultima ipotesi, i suddetti finanziamenti dovranno essere previsti dal piano di cui all’articolo 160, con cui l’imprenditore propone ai creditori un concordato preventivo, o dall’accordo di ristrutturazione dei debiti.

 

Ulteriore condizione richiesta è che la prededuzione dei menzionati crediti sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il Tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo, ovvero con cui l’accordo sia omologato.

 

In deroga a quanto previsto dagli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, la prededucibilità di cui al comma 1 dell’articolo 182-quater, trova applicazione anche per i crediti derivanti dai finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell'ottanta per cento del loro ammontare.

 

In particolare, l’articolo 2467 del codice civile prevede la “postergazione” dei finanziamenti dei soci a favore della società, rispetto alla soddisfazione degli altri creditori. Analoga previsione è contenuta nell’articolo 2497-quinquies del codice civile (che fa riferimento al citato articolo 2467) con riguardo ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti.

 

Sono, infine, prededucibili i compensi spettanti al professionista incaricato di predisporre la relazione che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, nel caso del concordato preventivo (ai sensi dell’articolo 161, terzo comma, della L.F.), ovvero la relazione sull’attuabilità dell’accordo, nel caso della ristrutturazione dei debiti (ex articolo 182-bis, primo comma, della L.F.). Occorre, tuttavia, che a tal riguardo vi sia una esplicita previsione nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero con cui l’accordo sia omologato.

 

Ai sensi dell’articolo 177 della L.F. “(…) i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca (…) non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto od in parte al diritto di prelazione”. Pertanto, i creditori sopra menzionati sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze richieste per l’approvazione del concordato, ai sensi dell’articolo 177, nonché dal computo della percentuale dei crediti, in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti, prevista dall’articolo 182-bis, primo e sesto comma.

 

 

Il comma 2, dell’articolo 48 del decreto integra anche la disciplina dettata in materia di ristrutturazione dei debiti, prevedendo che dopo il quinto comma dell’articolo 182-bis, della L.F., siano aggiunte le seguenti disposizioni:

 

    sesto comma: il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive, di cui al terzo comma, può essere richiesto dall’imprenditore anche durante lo svolgimento delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, laddove abbia raggiunto un’intesa con la maggioranza qualificata dei creditori. In tal caso, occorrerà depositare presso il tribunale competente, ai sensi dell’articolo 9 della L.F.: 1. la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma, ossia la documentazione richiesta per la proposizione della domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo; 2. una proposta di accordo, correlata da una dichiarazione dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori, che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti; 3. una dichiarazione del professionista, circa la sussistenza delle condizioni per assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. Si precisa che quest’ultima dichiarazione dovrà avere i requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), della L.F., secondo cui “non sono soggetti all’azione revocatoria: (…) d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano (…) la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile”. La predetta istanza di sospensione viene pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione.

    comma settimo: Il tribunale, dopo aver verificato la completezza della documentazione depositata, provvede a fissare con decreto l’udienza entro il termine di 30 giorni dal deposito dell’istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Durante il corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire ad un accordo di ristrutturazione dei debiti, con le maggioranze di cui al primo comma, e delle condizioni per il regolare pagamento dei creditori, con i quali non sono in corso trattative o che hanno, comunque, negato la propria disponibilità a trattare, il Tribunale dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive. Va, peraltro, precisato che con lo stesso decreto il Tribunale può disporre di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, assegnando il termine di non oltre 60 giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista, a norma del primo comma. Il suddetto decreto è reclamabile a norma del quinto comma, in quanto applicabile.

    comma ottavo: Solo a seguito del deposito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, nei termini assegnati dal tribunale, trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma.

 

Il comma 2-bis della disposizione in esame prevede, infine, che dopo l’articolo 217 della L.F., relativo alla “bancarotta semplice” sia inserito l’articolo 217-bis, che stabilisce l’“esenzioni dai reati di bancarotta” di cui ai precedenti articoli 216, terzo comma, e 217, in relazione ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo, di cui all’articolo 160, o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ovvero del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d).

 

Sulle materie disciplinate dall’articolo 48 si rinvia ad un successivo documento di prassi amministrativa di approfondimento.

 

23. Disposizione in materia di contenzioso tributario (Articolo 48-ter)

 

L’articolo 48-ter del decreto, inserito dalla legge di conversione, modifica la lettera b) dell’articolo 3, comma 2-bis, del d.l. del 25 marzo 2010, n. 40 che contempla disposizioni volte a deflazionare il contenzioso pendente innanzi alla Commissione tributaria centrale e alla Corte di Cassazione.

 

La novità interessa le controversie tributarie pendenti presso i menzionati organi giurisdizionali, per le quali:

 

    i ricorsi siano stati iscritti a ruolo nel primo grado entro e non oltre il 25 maggio 2000;

    l’Amministrazione finanziaria dello Stato risulti soccombente nei precedenti gradi del giudizio.

 

Per le modalità della definizione in esame è previsto un meccanismo differenziato, a seconda dell’organo giurisdizionale innanzi al quale è pendente la controversia (cfr. circolare n. 37/E del 21 giugno 2010).

 

Più precisamente, la lettera a) del comma 2-bis, del citato articolo 3, prevede che “le controversie tributarie pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale, (…) sono automaticamente definite con decreto assunto dal presidente del collegio o da altro componente delegato. (…)”.

 

La successiva lettera b) del medesimo comma 2-bis stabilisce, invece, che “le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione possono essere estinte con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia determinato ai sensi dell’articolo, comma 3, della l. 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, e contestuale rinuncia ad ogni eventuale pretesa di equa riparazione ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89 (…)”. A tale previsione si è quindi aggiunto, con l’articolo 48-ter in commento, che “l’avvenuto pagamento estingue il giudizio a seguito di attestazione degli uffici dell’amministrazione finanziaria comprovanti la regolarità della istanza ed il pagamento integrale di quanto dovuto ai sensi del presente decreto”.

 

24. Garanzia per il versamento di somme dovute per effetto di accertamento con adesione (Articolo 52-bis)

 

L’articolo 52-bis del decreto, inserito dalla legge di conversione, introduce, in via sperimentale, a partire dal 31 luglio 2010 e fino al 31 dicembre 2011, la possibilità, ai fini del perfezionamento dell’accertamento con adesione in forma rateizzata di cui all’articolo 9 del d.lgs. n. 218 del 1997, qualora le rate successive alla prima siano superiori a 50.000 euro, di avvalersi di una ulteriore forma di garanzia -diversa da quelle già previste, ossia polizza fideiussoria, o fideiussione bancaria ovvero fideiussione rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi iscritti in apposito albo-da prestarsi attraverso ipoteca volontaria di primo grado.

 

In particolare, la norma prevede due condizioni essenziali affinché la garanzia possa assumere la forma dell’ipoteca volontaria:

 

    deve trattarsi di ipoteca volontaria di primo grado, cioè sullo stesso bene non devono essere iscritte altre ipoteche aventi un numero d’ordine progressivo precedente;

    il valore dell’ipoteca, che deve essere pari al doppio del debito erariale o della somma oggetto di rateizzazione, deve essere comunque accettato dall’amministrazione finanziaria.

 

 

25. Disposizioni finanziarie (Articolo 55)

 

L’articolo 55, commi 1 e 2, del decreto interviene sul versamento dell’acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, disponendo il differimento dello stesso, per il periodo di imposta 2011 e 2012, nei limiti che saranno determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze.

 

Per ciò che concerne i soggetti che si avvalgono dell’assistenza fiscale, i commi 1 e 2 dell’articolo sopra citato prevedono che i sostituti di imposta trattengano l’acconto, tenendo conto del differimento che sarà disposto con il citato DPCM.

 

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