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Quando il diavolo fa solo i coperchi...-La poco conosciuta ma invero incredibile storia della natura giuridica della TARSU/TIA, e sue poco nobili conseguenze(sull’IVA)-Diritto.it

 

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Antonio M. Polito

 

Pochi proverbi si adattano così bene al mondo giuridico, come quello per cui ‘il diavolo si nasconde nei dettagli’…

 

Chi studia e commenta il diritto, infatti, sa bene che il significato ed il senso di qualsiasi testo giuridico (sia esso di natura legislativa, giurisprudenziale o privatistica-contrattuale), può essere determinato da uno o più ‘dettagli’ del testo, come possono esserlo commi e sottocommi, brevi incisi, sin anche singoli aggettivi…

 

La storia della natura giuridica della ‘Tariffa’ per i rifiuti solidi urbani (TARSU/TIA) è, da questo punto di vista, esemplare, anche per il modo in cui evidenzia quanto lo strumento legislativo possa essere (ab)usato per forzare in maniera plateale l’interpretazione del già chiaro dato normativo.

 

Ma andiamo con ordine ricordando i punti essenziali della questione, in ciò ricalcando quanto evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 24 luglio 2009 che, come vedremo, sarà un nostro continuo e fondamentale elemento di riferimento.

 

Con il R.D. n. 1175 del 14 settembre 1931 (‘Testo unico per la finanza locale’), veniva previsto in favore del Comune un «corrispettivo per il servizio di ritiro e trasporto delle immondizie domestiche» la cui evidente dizione ‘sinallagmatica’ (di ‘servizio’, appunto) veniva già “radicalmente mutata”, come si esprime la Corte, “dall'art. 10 della legge 20 marzo 1941, n. 366 (Raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani), il quale ha attribuito ai Comuni la facoltà di istituire una «tassa» per la raccolta ed il trasporto delle immondizie e dei rifiuti ordinari (interni ed esterni), ponendo tale prelievo a carico dei soggetti occupanti i fabbricati posti nelle zone in cui si svolge (in regime di privativa comunale) il servizio di raccolta”.

 

Dopo circa cinquant’anni, l' art. 21 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 sostituiva quindi l'intera sezione II (artt. da 268 a 278) del capo XVIII (Proventi di servizi municipalizzati) del titolo III (Entrate comunali e provinciali) del suddetto R.D. n. 1175 del 1931. In particolare, specifica sempre la Suprema Corte, “con la nuova formulazione dell' art. 268 del testo unico, il legislatore ha esteso e reso obbligatorie sia l'effettuazione dei vari servizi relativi allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani «interni», sia l'applicazione della «tassa» […] a carico di chiunque occupi o conduca locali, a qualunque uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale. […] In particolare, il legislatore, nel ridisciplinare il suddetto prelievo comunale, ha individuato nel «costo di erogazione del servizio» il limite massimo di gettito, «al netto delle entrate derivanti dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti sotto forma di materiali o energia»; e ciò in coerenza con la denominazione di «tassa» (art. 268, citato). Nella medesima prospettiva della natura pubblicistica del prelievo, l'art. 9 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, […] ha previsto, con effetto dal 1° gennaio 1989, che mediante la «tassa» venissero coperti (in tutto o in parte) anche i costi dei servizi di smaltimento […] non solo dei rifiuti «interni», ma anche di quelli «di qualunque natura e provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o soggette ad uso pubblico». […].  L'art. 8 dello stesso decreto-legge ha ribadito la qualificazione di «tassa» del prelievo, inserendo tale denominazione anche nella rubrica della citata sezione II del regio decreto”.

 

Sino ai primi anni novanta, pertanto, la natura pubblicistica della ‘Tassa’ per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è fuori discussione.

 

Un ulteriore intervento sulla disciplina è però costituito dal decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 il quale “ha stabilito, all'art. 58, che, in relazione all'istituzione ed all'attivazione del servizio relativo allo «smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa» nelle zone del territorio comunale, i Comuni «debbono istituire una tassa annuale» (usualmente denominata "TARSU"), da applicarsi «in base a tariffa», secondo appositi regolamenti comunali, a copertura (dal cinquanta al cento per cento ovvero, per gli enti locali per i quali sussistono i presupposti dello stato di dissesto, dal settanta al cento per cento) del costo del servizio stesso. […] Quanto ai soggetti passivi, la tassa è dovuta (in solido tra i componenti del nucleo familiare o tra gli utilizzatori in comune degli immobili) da coloro che occupano o detengono locali od aree scoperte a qualsiasi uso adibiti - ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde - esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa. […] Il prelievo, dunque, è posto in relazione, da un lato, alla attitudine media ordinaria alla produzione quantitativa e qualitativa dei rifiuti per unità di superficie e per tipo di uso degli immobili e, dall'altro, alla potenziale fruibilità del servizio di smaltimento dei rifiuti da parte dei soggetti passivi. […] La natura pubblicistica e non privatistica del prelievo è ulteriormente evidenziata sia dalla regola secondo cui «L'interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo» (art. 59, comma 6, primo periodo); sia dal sopra citato comma 3-bis dell'art. 61 e successive modificazioni, che ha reso rilevante anche il costo dello spazzamento dei rifiuti esterni”.

 

Nonostante dunque il testo normativo inizi a presentare qualche ambiguità (‘Tassa annuale’ -TARSU- da applicarsi ‘in base a tariffa’…), le caratteristiche del prelievo lasciano, secondo l’autorevole lettura della Suprema Corte, ben pochi dubbi in ordine alla natura pubblicistica dello stesso.

 

Un terzo intervento legislativo si è poi realizzato con l'entrata in vigore dell'art. 49 del cosiddetto "decreto Ronchi" (D.Lgs. n. 22/1997), il quale “ha previsto l'istituzione, da parte dei Comuni medesimi, di una «tariffa» per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, nelle zone del territorio comunale. Tale tariffa - usualmente denominata tariffa di igiene ambientale (TIA) - «è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio» (comma 4). […] Il metodo normalizzato è stato approvato con il regolamento di cui al d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158. È tenuto al pagamento della tariffa «chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale» (comma 3)”.

 

Quarta ed ultima rilevante modifica legislativa del prelievo di natura tributaria è infine costituita dall'art. 238 del D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, il quale “ha soppresso la tariffa di cui all'art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, sostituendola con la diversa «tariffa per la gestione dei rifiuti urbani» (come testualmente indicato nella rubrica dell'articolo), che una disposizione successiva (l'art. 5, comma 2-quater, del citato decreto-legge n. 208 del 2008) denomina «tariffa integrata ambientale (TIA)». […] La tariffa integrata è dovuta da chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani (comma 1, primo periodo). Detta tariffa, in particolare, è «commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri [...] che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali» (comma 2). […] La medesima tariffa «è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonché da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio» (comma 4). È espressamente previsto che la tariffa «è applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata» (comma 3) e che la sua riscossione, volontaria o coattiva, «può» essere effettuata secondo le disposizioni del d.P.R. n. 602 del 1973, «mediante convenzione con l'Agenzia delle entrate» (comma 12)”.

 

A consuntivo del suo excursus normativo, la Suprema Corte affronta quindi la problematica centrale della valutazione della natura, tributaria o meno, delle varie ‘tariffe’ sui rifiuti solidi urbani, per come succedutesi nel tempo, intendendo precisare sul punto come “mediante numerose pronunce, [essa Corte abbia] indicato i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi. Tali criteri, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i prelievi stessi, consistono nella doverosità della prestazione, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis: sentenze n. 141 del 2009; n. 335 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005). […] Quanto all'irrilevanza della denominazione, lo stesso art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 stabilisce espressamente che i tributi vanno individuati indipendentemente dal nomen iuris («comunque denominati»). Inoltre, il termine «tariffa» - nella tradizione propria della legislazione tributaria - ha un valore semantico neutro, nel senso che non si contrappone necessariamente a termini quali «tassa» e «tributo», tanto che anche l'art. 58 del d.lgs. n. 507 del 1993 testualmente prevede che la TARSU (cioè una «tassa» e, quindi, un «tributo») si applica «in base a tariffa». […] Dalla comparazione tra la TARSU e la TIA emergono le forti analogie dei due prelievi. Entrambi mostrano un'identica impronta autoritativa e somiglianze di contenuto con riguardo alla determinazione normativa, e non contrattuale, della fonte del prelievo. […] [Sia per la TARSU che per la T.IA.] il fatto generatore dell'obbligo di pagamento è legato non all'effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all'utilizzazione di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti ed alla potenziale fruibilità del servizio di smaltimento. In secondo luogo, in relazione ad entrambi i pagamenti, sussiste una medesima struttura autoritativa e non sinallagmatica, che emerge sotto svariati e concorrenti profili. In particolare, con riguardo ai due suddetti prelievi: a) i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime, appunto, di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata; b) i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi; c) la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio. […] [L]a TIA - analogamente alla TARSU nella disciplina risultante dal disposto del comma 3-bis dell'art. 61 del d.lgs. n. 507 del 1993 (riportato al punto 6.1.2.) e dell'art. 31, comma 23, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – […] [h]a la funzione, cioè, di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibili a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente. L'unica sostanziale differenza sul punto tra i due prelievi si riduce al fatto che, mentre per la TARSU il gettito deve corrispondere ad un ammontare compreso tra l'intero costo del servizio ed un minimo costituito da una percentuale di tale costo determinata in funzione della situazione finanziaria del Comune (art. 61, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993); per la TIA il gettito deve, invece, assicurare sempre l'integrale copertura del costo dei servizi (art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997). Tuttavia, tale differenza non è sufficiente a caratterizzare in senso privatistico la TIA, perché nulla esclude che una pubblica spesa (come il costo di un servizio utile alla collettività) possa essere integralmente finanziata da un tributo”.

 

Interessata della questione per motivi legati all’individuazione della giurisdizione competente (ordinaria o tributaria), la Suprema Corte si esprime tuttavia anche in ordine alla collegata tematica dell’imposizione ad IVA delle tariffe/tributi così individuati, oggetto di nostro più diretto interesse ai fini del presente scritto.

 

Per quanto anticipato, pertanto, la Corte, nel 2009, concludeva che “ambedue i prelievi sono estranei all'àmbito di applicazione dell'IVA. Infatti, la rilevata inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l'entità del prelievo - quest'ultima commisurata, come si è visto, a mere presunzioni forfetarie di producibilità dei rifiuti interni e al costo complessivo dello smaltimento anche dei rifiuti esterni - porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell'assoggettamento ad IVA ai sensi degli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 e caratterizzato dal pagamento di un «corrispettivo» per la prestazione di servizi. […] Se, poi, si considerano gli elementi autoritativi sopra evidenziati, propri sia della TARSU che della TIA, entrambe le entrate debbono essere ricondotte nel novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (da ultimo, art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della Direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006; come ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia CE del 16 settembre 2008, in causa C-288/07) esclude in via generale dall'assoggettamento ad IVA, perché percepiti da enti pubblici «per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità» (come si desume a contrario dalla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008), sempre che il mancato assoggettamento all'imposta non comporti una distorsione della concorrenza (distorsione, nella specie, non sussistente, in quanto il servizio di smaltimento dei rifiuti è svolto dal Comune in regime di privativa)”.

 

Questa, dunque, è la non semplice ricostruzione della questione relativa alla natura della Tariffa sui rifiuti solidi urbani sino al 2009, anno in cui la Suprema Corte ne ha autorevolmente e definitivamente definito la natura pubblicistica di ‘tassa’.

 

Tale conclusione, tuttavia, ha sollevato un delicato aspetto nei confronti degli Enti (pubblici) che gestiscono il servizio di smaltimento rifiuti, atteso che, sino ad oggi, tutti questi Enti continuano ad addebitare, oltre alla tassa, anche l’ammontare dell’IVA sulla stessa; addebito che si appalesa apertamente illegittimo per le motivazioni appena sopra descritte dalla Corte Costituzionale.

 

Ma se questo ‘indebito arricchimento’ da parte dello Stato e/o degli Enti gestori del Servizio avrebbe comportato, in qualsiasi paese liberale, un diritto da parte del consumatore/utente a vedersi rimborsare le somme indebitamente riconosciute ai soggetti di cui sopra, nel nostro Paese ciò non è così facile, atteso che, nel frattempo, è intervenuto, appunto, il ‘diavolo’ in uno dei suoi scivolosi, nascosti ed infidi ‘dettagli’…

 

Nel nostro caso, più precisamente, il ‘diavoletto’ ha le forme di un nascosto comma (n.33, l’ultimo) di un articolo (n.14) del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 (‘misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica’), convertito con L. n.122 del 30 luglio 2010, che, intitolato agli enti locali, ha previsto che “le disposizioni di cui all’art.238 del D. Lgs. n.152 del 2006 si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”.

 

A ciò, si aggiunga che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con propria Circolare n. 3 dell’11 novembre 2010, ritiene che la disposizione precedente, applicabile alla ‘tariffa’ di cui all’art.268 del D. Lgs. n.152/2006 (c.d. ‘TIA2’), si debba applicare anche nei confronti della c.d. ‘TIA1’, ovvero a quella ‘tariffa di igiene ambientale’ prevista dall’art.49 del D. Lgs. n.22/1997.

 

Il tutto, ovviamente, con la conseguenza di annullare il buon diritto, da parte dei contribuenti, a non vedersi aggiungere l’IVA sui ‘tributi’ e rendere quantomeno complicato il recupero delle somme indebitamente percepite dallo Stato e dagli Enti locali gestori del servizio di smaltimento rifiuti…

 

A ben vedere, tuttavia, la norma lascia aperte le seguenti problematiche:

 

a)    Può una norma di (sedicente) ‘interpretazione autentica’ essere manifestamente contraria all’intrinseca natura giuridica di un tributo che si è obbligati a pagare per Legge?

 

b)    Può comunque, una norma emanata a metà 2010, applicarsi in via retroattiva per il periodo pregresso, ed annullare il buon diritto degli utenti a vedersi rimborsare l’IVA indebitamente pagata?

 

c)    Può il Ministero delle Finanze, in virtù di una sua ulteriore, ed ancora più estensiva ‘interpretazione’, applicare quanto detto per il Decreto del 2006, anche a quello del 1997?

 

Come è evidente, in questo caso davvero, ad una pentola del tutto ‘scoperchiata’ dalla Corte Costituzionale nel 2009 in favore di un indebito pagamento (da decenni!) dell’IVA sulla Tassa sui rifiuti solidi urbani, il Parlamento ha elaborato un diabolico ‘coperchio’ per tacitare ogni possibile azione risarcitoria, ma sarà davvero così?

 

Forse, a questo punto, solo le Corti, di Merito e di Legittimità, potranno fornire una definitiva risposta per il ripristino di una sentita esigenza di legalità.

 

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