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Una corretta lettura dell’art. 38, comma 2, legge fallimentare:oltre la revoca anche le dimissioni-Diritto.it

 

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Del Dott. Giuseppe Caristena

1. La vicenda

In data 8 settembre 2011 è stata depositata la sentenza n. 18348 con cui i giudici della prima

sezione della Corte di Cassazione avevano, in data 21 aprile 2011, condannato un ex curatore

fallimentare al risarcimento del danno per inesatto adempimento delle proprie funzioni

nell’ambito della procedura concorsuale. Veniva così confermata dagli ermellini la decisione dei

giudici di merito.

In particolare, all’ex curatore è stato contestato di non aver tempestivamente receduto, durante il

suo incarico professionale, da un contratto locativo dei locali aziendali della fallita, mantenendo

così in vita l’obbligazione di pagamento dei relativi canoni.

Ma non solo. All’ex curatore è stato altresì contestato di aver consentito alla fallita la prosecuzione

dell’attività imprenditoriale. Tra l’altro, senza che gli introiti confluissero all’attivo fallimentare.

Insomma, oltre al danno la beffa.

Sin dal primo grado, la difesa dell’ex curatore, per quel che a noi qui interessa, ha fatto leva

sull’interpretazione letterale, restrittiva, dell’art. 38, comma 2, Regio Decreto 16 marzo 1942, n.

267 (Legge Fallimentare). Si è tentato, infatti, di correre ai ripari eccependo che il convenuto aveva

a suo tempo lasciato l’incarico in forza di proprie dimissioni, anziché per impulso dell’autorità

giudiziaria ex art. 37 l. fall.1

Il nuovo art. 37 statuisce che:

“1. Il tribunale può in ogni tempo, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d'ufficio,

revocare il curatore.

2. Il tribunale provvede con decreto motivato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori.

3. Contro il decreto di revoca o di rigetto dell'istanza di revoca, è ammesso reclamo alla corte di appello ai sensi

dell'articolo 26; il reclamo non sospende l'efficacia del decreto”.

L’articolo in questione è stato modificato dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (in vigore dal 16 luglio 2006), che ha

apportato anche l’aggiunta del nuovo terzo comma. Il testo previgente prevedeva che:

“1. [i]l tribunale può in ogni tempo, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d'ufficio,

revocare il curatore.

2. Il tribunale provvede con decreto, sentiti il curatore ed il pubblico ministero.”

2

Per capire meglio, al secondo comma del sopracitato art. 38 si legge che “[d]urante il fallimento

l'azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore, previa

autorizzazione del giudice delegato, ovvero del comitato dei creditori.”2

In poche parole, la difesa del convenuto puntava alla dichiarazione d’inammissibilità dell’azione

risarcitoria promossa dal nuovo curatore, sostenendo che la vicenda non fosse da ricondurre al

suddetto articolo in virtù di un’interpretazione prettamente letterale dello stesso, volta a

restringerne il campo d’applicazione al solo caso di revoca del curatore.

Per di più, il convenuto ricordava, a supporto della propria difesa, l’avvenuta approvazione del

rendiconto. Evento a carattere asseritamente preclusivo dell’azione di responsabilità di cui si

discute.

L’impianto difensivo messo in piedi dall’ex curatore non ha però convinto i giudici nel corso di

tutto il processo, tant’è che in ultimo grado è stata, in buona sostanza, confermata la condanna al

risarcimento del danno patito dal ceto creditorio.

Tale giudizio è frutto di un’argomentazione con cui i giudici hanno inteso riconoscere il carattere

(naturalmente) elastico dell’art. 38, comma 2, l. fall.

In effetti, per le ragioni riportate nel paragrafo successivo, l’interpretazione estensiva della norma

appare la più corretta, dal punto di vista logico, e più in armonia con il corpo normativo che

disciplina la materia fallimentare.

2. La parola dei giudici di Cassazione

Prima di illustrare le motivazioni con cui la Corte di Cassazione ha deciso di confermare la

condanna risarcitoria dell’ex curatore, è interessante evidenziare un particolare aspetto connesso

all’esercizio dell’azione di responsabilità.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 38, legge fallimentare, l’iniziativa processuale spetta

unicamente al nuovo curatore, fermo restando che questi debba ottenere il placet del “giudice

delegato, ovvero del comitato dei creditori”.

La presenza nel testo della congiunzione alternativa “ovvero” è stata oggetto di varie

interpretazioni.

2 Vale la pena di ricordare la sentenza di Cass. civ., Sez. I, 5 aprile 2001, n. 5044, in Il Fallimento, 2002, 57, con nota di

Capocchi, in cui è stato dichiarato che tale azione, “in considerazione della natura del rapporto, equiparabile al

mandato”, si prescrive nel termine decennale, che “non decorre prima della sostituzione del curatore, a nulla rilevando

che l'illecito rimonti ad un tempo notevolmente anteriore, per il fondamentale principio che la prescrizione comincia a

decorrere solo dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.)”. Conformemente già Cass. civ., Sez. III,

4 ottobre 1996, n. 8716 e Cass. civ., Sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1507.

3

C’è chi reputa sufficiente l’autorizzazione richiesta ad uno solo dei due organi sopra menzionati. A

ben riflettere, si tratterebbe della tesi più in linea con l’interpretazione letterale, principio

d’ermeneutica, che in questo caso non appare poi così fuori luogo da poter essere trascurato.

Restando agganciati a questo primo orientamento, nel caso in cui si sia deciso per una richiesta

rivolta ad entrambi gli organi, la mancata concessione da parte di uno di questi, secondo alcuni

autori, non paralizzerebbe comunque l’esercizio dell’azione di responsabilità, data la posizione di

asserita parità che tali organi assumono3. Altri, invece, propendono per la via del reclamo al fine di

uscire dall’impasse creato dalla mancata concessione dell’autorizzazione da parte di uno dei due

organi interpellati4.

Altri ancora ritengono più opportuno che il nuovo curatore si rivolga ad entrambi gli organi,

consapevole comunque di poter esercitare l’azione di responsabilità in forza anche di una sola

autorizzazione, e ferma restando la via del reclamo da parte di qualunque soggetto interessato

avverso il provvedimento che concede o nega l’autorizzazione o avverso la sua omissione, con

eventuale sospensione della procedura già innescata in forza di una sola autorizzazione.5

Dall’altra parte, l’orientamento più rigido esige il rilascio della doppia autorizzazione, giustificando

tale necessità sulla base del diverso valore assunto dal “benestare” del giudice delegato rispetto a

quello del comitato dei creditori. Difatti, il primo organo garantirebbe la legittimità degli atti,

mentre il secondo certificherebbe l’opportunità della decisione del curatore, titolare dei compiti

gestori nel corso della procedura (infra par. 3).

Veniamo ora ai passaggi di maggiore interesse contenuti nella sentenza in esame. I giudici,

soffermandosi su talune circostanze specifiche, hanno categoricamente rigettato una limitazione

del campo d’applicazione di una norma, frutto di una superficiale interpretazione letterale, come

avvenuto nella vicenda in esame.

La prima questione affrontata dai giudici nasce dal fatto che all’art. 38, secondo comma, l. fall., si

legge di un’azione di responsabilità promossa nei confronti del curatore revocato.

Nonostante sia menzionata la sola ipotesi della revoca, gli ermellini chiariscono che tale

indicazione non è da considerarsi “tassativa, bensì solo normale”. Essi statuiscono giustamente

che sia da sussumere sotto questa fattispecie normativa astratta anche l’ipotesi in cui il curatore

abbia lasciato il proprio incarico sulla base di dimissioni. Come è accaduto nel caso di specie.

A ben riflettere, non prendere per buona la tesi sposata dai giudici d’ultimo grado significherebbe

svilire la ratio della norma e impoverirne l’efficacia. Difatti, se si limitasse l’applicabilità della

norma al solo caso della revoca del curatore si arriverebbe paradossalmente a legittimare

l’elusione della legge, dal momento che ciascun furbo curatore, fiutando il rischio di

3 D’Attore, sub art. 38, in Nigro e Sadulli (a cura di),La riforma della legge fallimentare, Torino, 2006, 246.

4 Ruggiero, in La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2007, 290.

5 G. Verna, La responsabilità del curatore fallimentare, in Rivista dei dottori commercialisti, 2010, 1, 169.

4

responsabilità, non esiterebbe un istante a dimettersi dall’incarico prima dell’emersione di un

qualsiasi danno conseguenza della sua imperizia.

Detto ciò, è stato appalesato che il presupposto per l’esercizio dell’azione di responsabilità in

commento è da rinvenirsi in una vera e propria violazione dei propri doveri da parte del curatore,

anziché semplicemente nell’avvenuta revoca dello stesso.

L’altra questione, anch’essa connessa all’interpretazione letterale della stessa norma, consiste

nell’indagine sul carattere del rapporto tra approvazione del rendiconto e azione di responsabilità.

In altre parole, l’avvenuta approvazione del rendiconto di gestione osta all’esercizio dell’azione di

responsabilità contro il curatore?

Nel caso di specie l’ex curatore ha eccepito l’inammissibilità dell’azione in questione in quanto

preclusa dal fatto che il rendiconto, da egli presentato prima delle proprie dimissioni, fosse già

stato approvato senza che in quella sede fosse stata promossa alcuna contestazione nei confronti

della sua persona.

Il riferimento specifico è all’art. 116, l. fall., richiamato dall’ultimo comma dell’art. 38 della

medesima legge, in cui si legge che “il giudice [dopo che il curatore gli ha presentato l’esposizione

del rendiconto di gestione] ... fissa l’udienza fino alla quale ogni interessato può presentare le sue

osservazioni o contestazioni”. L’art. 116 cit. si conclude statuendo che “[s]e all’udienza stabilità

non sorgono contestazioni … il giudice approva il conto con decreto […]”.

Ebbene, anche su questo punto della difesa i giudici hanno avuto da ridire.

In effetti, è stato chiarito che il giudizio di rendiconto di cui all’art. 116, l. fall., è da considerarsi

semplicemente la sede naturale in cui promuovere l’azione di responsabilità nei confronti dell’ex

curatore, senza presunzione d’esclusività. E ciò “in forza di connessione assoluta, ex lege: data

l’ammissibilità della scissione del controllo più propriamente contabile da quello gestionale”.

In virtù di tale considerazione, non può ritenersi preclusa l’azione di responsabilità esercitata al di

fuori del giudizio sul rendiconto gestionale del curatore: né che l’azione sia esperita prima né che

lo si faccia dopo tale giudizio6.

6 A proposito del giudizio sul rendiconto di gestione, nella sentenza di Cass. civ., sez. I, 5 ottobre 2000, n. 13274 si

legge che: “[i]l giudizio che si instaura, ai sensi dell’art. 116 l. fall., in caso di mancata approvazione del rendiconto di

gestione del curatore può avere legittimamente ad oggetto non soltanto gli errori materiali, le omissioni ed i criteri di

conteggio adottati, ma anche l’accertamento delle responsabilità del curatore medesimo, ai sensi dell’art. 38, comma

2, stessa legge, ma l’esercizio di tale azione non costituisce un effetto normale ed automatico della mancata

approvazione del conto, né implica deroghe alle regole sul procedimento stabilite per il giudizio di cognizione

ordinario”. Sempre in merito al giudizio in questione, Cass., sez. I, 10 settembre 2007, n. 18940:“ Il giudizio di

approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla verifica contabile anche l'effettivo

controllo di gestione e può estendersi all'accertamento della personale responsabilità nel compimento di atti

pregiudizievoli per la massa o per i singoli creditori; in quest'ultimo caso il diniego di approvazione deve essere

preceduto dal concreto riscontro di tutti i requisiti di riconoscimento della responsabilità, incluso il pregiudizio

5

Da ultimo, per mero tuziorismo, si fa notare come questa conclusione sia in sintonia con quanto

normativamente stabilito in relazione all’approvazione del bilancio di società per azioni7.

3. La figura del curatore e la natura della sua responsabilità

A titolo introduttivo di questo paragrafo bisogna ricordare che una tra le più interessanti novità

della riforma del diritto fallimentare8 risulta essere, senza dubbio, la rivisitazione dei ruoli

assegnati ai soggetti coinvolti nella procedura concorsuale.

Nel nuovo diritto fallimentare si apprezza un equilibrio tra gli organi coinvolti, frutto

principalmente: 1) del ridimensionamento del ruolo del giudice delegato, privato del potere

direzionale e oggi titolare principalmente della funzione di vigilanza sul rispetto delle regole

procedurali; e 2) del corrispondente potenziamento della figura del curatore, titolare, oggi in via

autonoma, di compiti di direzione e amministrazione all’interno dell’iter fallimentare.

A comprovare quanto sopra detto vi è il novellato art. 31, l. fall., al cui primo comma si legge: “[i]l

curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della

procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle

funzioni ad esso attribuite”9.

Emerge quindi un giudice delegato non più motore della procedura, bensì relegato a ruolo di

vigilante anziché direttore10.

Concentrandoci sulla figura del curatore fallimentare, l’art. 30, l. fall., afferma che: “il curatore, per

quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale”11.

In virtù di tale qualifica, il professionista che assume l’incarico di curatore non svolge un’attività

c.d. ”libera", cioè nei confronti di un cliente e regolata dalle norme che presiedono al contratto

d'opera professionale intellettuale, ma deve altrettanto con sicurezza ritenersi che egli esplichi un

compito, rientrante nell'attività professionale della sua categoria”. Egli, perciò, rimane “un privato,

eventualmente cagionato alla massa o ad uno dei creditori”. In senso conforme alla prima parte di questa massima,

Cass. 19 gennaio 2000, n. 547 e Cass. 14 ottobre 1997, n. 10028.

7 Ci si riferisce in particolare all’art. 2434 cod. civ., che statuisce come segue:”[l]’approvazione del bilancio non implica

liberazione degli amministratori, dei direttori generali, dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili

societari e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale”. Sulla stessa scia, seppur in tema di conto

corrente, si pone la Cass., sez. I, 19 marzo 2007, n. 6514:“la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto da

parte del correntista nel termine previsto dall'art. 1832 c.c. rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il

profilo meramente contabile, e non preclude pertanto la contestazione della validità e dell'efficacia dei rapporti

obbligatori da cui essi derivino”. Conformemente, Cass., 18 maggio 2006, n. 11749 e Cass., 5 maggio 2006, n. 10376.

8 Tale riforma è entrata pienamente in vigore in data 1 gennaio 2008, in virtù del D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169,

Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina

del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa.

9 Il vecchio primo comma dell’art. 31, l. fall., prevedeva quanto segue: “[i]l curatore ha l’amministrazione del

patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato”.

10 Cfr. Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo, sub art. 25.

11 Il curatore mantiene questa qualifica, sebbene in alcuni casi (i.e. esercizio provvisorio o affitto d’azienda) prenda il

posto del fallito nell’amministrazione del patrimonio.

6

che svolge, nell'ambito della sua attività professionale, un incarico giudiziario, in relazione al quale

incarico svolge pubblici poteri”.12

Detto ciò, il suo rapporto con la Pubblica Amministrazione non è riconducibile al contratto di

lavoro subordinato, né al contratto d’opera professionale. Il curatore, scelto tra gli iscritti in albi

professionali13, assume una doppia veste, dal momento che resta un privato che svolge un incarico

giudiziario, in qualità di pubblico ufficiale.

Per quanto riguarda la responsabilità dell’organo in questione, l’art. 38, al suo comma 1, stabilisce

che esso è responsabile quando non “adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o

derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”14.

Come risulta chiaramente dal testo della norma, il nuovo disposto dell’art. 38 non fa più

riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia, ex art. 1176, co. 1, cod. civ., bensì a quella, di

maggior spessore, del professionista, ex art. 1176, co. 2, cod. civ.15

Si tratta di una novità che conferma il punto di vista da tempo affermatosi in dottrina16.

Altra novità è l’agganciamento della diligenza professionale non solo alla legge, ma anche al piano

di liquidazione17, restando esclusa la possibilità di agire avverso il curatore in relazione al merito

delle proprie decisioni.

Prima di proseguire oltre, si precisa che per poter agire contro il curatore è ovviamente necessario

che, a prescindere dalla natura della sua responsabilità, sussistano i seguenti elementi:

l’intenzionalità della condotta18, il verificarsi del danno, e il nesso causale fra questi elementi.

Quanto al profilo di responsabilità del curatore che a noi più interessa, ossia per i danni arrecati al

patrimonio fallimentare (massa dei creditori), la dottrina maggioritaria propende per la natura

contrattuale.19

Tra le ragioni a sostegno della suddetta tesi vi è, in primis, la natura di mandato rivestita

dall’incarico affidato e accettato dal curatore, ossia un contratto con cui il professionista si obbliga

12 In questi termini Cass. civ., Sez. III, 15 luglio 2005, n. 15030.

13 Ex art. 28, legge fallimentare.

14 L’affidamento dei compiti di direzione e amministrazione al curatore fallimentare ha portato alcuni autori a rilevare

talune analogie tra la sua responsabilità e quella dell’amministratore di società di capitali di cui all’art. 2392, co. 1, cod.

civ. Altri ancora hanno ritenuto più plausibile l’accostamento con quella del liquidatore di società ex art. 2489, co. 2,

cod. civ., pur tuttavia rinviando, quest’ultimo articolo, alla responsabilità degli amministratori. Si veda sul punto G.

Verna – S. Verna, La liquidazione delle società di capitali, Padova, 2009, 116 ss.

15 Il testo precedente, nella sua prima parte, statuiva quanto segue: “[i]l curatore deve adempiere con diligenza ai

doveri del proprio ufficio.”

16 Cfr. Santini, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1977, 25 ss.; Satta, Istituzioni di diritto

fallimentare, Padova, 1996, 122.

17 Dalla lettura dell’art. 104-ter il piano di liquidazione risulta essere “una fattispecie a formazione progressiva”,

nonché “momento di raccordo operativo” tra curatore e comitato dei creditori, che in tale sede detiene poteri

nettamente più incisivi rispetto a quelli del giudice delegato, che svolge il solo controllo di legalità sull’atto. Così si è

espresso De Crescienzo, La responsabilità del curatore fallimentare: la nuova disciplina, in Il Fallimento, 2009, 4, 380.

18 La responsabilità contrattuale del curatore sarà ricondotta all’art. 2236 cod. civ., ai sensi del quale nel caso in cui la

prestazione comporti problemi di particolare complessità, il professionista ne risponderà solo per dolo o colpa grave.

19 Tra tutti, Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Assago, 2007, 263; Ruggiero, in La Legge

fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2007, 290; Serao – Ruvolo, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da

Fauceglia e Panzani, Padova, 2009, 333.

7

ad agire nell’interesse della giustizia e dei creditori del fallito20. Si tratta, a ben vedere, di un

rapporto riconducibile all’art. 1170 cod. civ.

In secondo luogo, la previsione di una “diligenza professionale” con cui il curatore deve eseguire la

propria prestazione, commisurata alla “natura dell’incarico”, ha senso solo se si parla di

responsabilità contrattuale.

Altra ragione è che la responsabilità da mandato è conseguenza dell’inadempimento di doveri, a

differenza di quella da atto illecito che nasce dalla contravvenzione a divieti21.

L’ipotesi menzionata non esaurisce però la casistica.

Difatti, avverso il curatore è possibile agire anche per il pregiudizio economico da questi arrecato,

non al patrimonio fallimentare, bensì a un singolo creditore o a un terzo estraneo alla procedura22,

o ancora al fallito23.

Il danneggiato, diretto interessato, in tal caso dovrà agire ex art. 2043 cod. civ. (responsabilità

extracontrattuale) e direttamente nei confronti del curatore e del patrimonio personale dello

stesso.

In queste ultime ipotesi, estranee alla disciplina dell’art. 38 l. fall., non saranno necessari: la

cessazione dall’incarico del curatore (revoca o dimissioni!), la presentazione del rendiconto di

gestione, l’autorizzazione del giudice delegato o del comitato dei creditori (supra par. 2). 24

4. Note conclusive

I giudici coinvolti nel caso in commento, di merito e di legittimità, hanno avuto il gran merito (mi

scuso per il gioco di parole!) di porre un argine a certe difese che se tollerate avrebbero messo a

serio rischio il sistema giustizia riferito alla materia risarcitoria in ambito fallimentare.

Basti pensare al già menzionato rischio di elusione della legge se le dimissioni non fossero

ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 38, co. 2, l. fall.

Mi trovano d’accordo le tesi abbracciate dagli ermellini, che hanno come denominatore comune il

rigetto di un’interpretazione meramente letterale e quindi restrittiva della suddetta previsione

normativa.

20 Adempimento tipico di tale mandato è, per esempio, la periodica elaborazione da parte del curatore di un rapporto

sulla gestione, che viene poi inviato ai creditori e all’autorità giudiziaria (art. 33, ultimo comma, l. fall.).

21 G. Verna, La responsabilità del curatore fallimentare, op. cit., 116 ss.

22 Per esempio, per le irregolarità del curatore nei confronti di quel creditore non inserito, dallo stesso curatore, nel

suo progetto di riparto. Oppure quando il curatore non ha provveduto (o lo ha fatto tardivamente) ad agire in via

cautelativa in relazione ad alcuni beni del fallito, e da ciò ne è scaturito un danno per un soggetto terzo.

A proposito di quest’ultima fattispecie, ne approfitto per ricordare che il curatore, una volta in possesso dei beni del

fallito, ne diviene custode a tutti gli effetti e con tutti gli obblighi che ne derivano.

23 Per esempio, se il curatore con la sua condotta ha danneggiato beni del fallito rimasti estranei alla procedura

fallimentare.

24 Cass. 23 luglio 2007, n. 16214, in Mass., 2007, 1321.

8

Ciò, tra l’altro, per una questione di giustizia.

A ben riflettere, non è concepibile pensare che in capo al curatore fallimentare sussista, in seguito

alla riforma della materia fallimentare, un fascio di poteri così qualitativamente consistente senza

però controbilanciarlo con un sistema di responsabilità tale da garantire la completa tutela, in

primo luogo, ai soggetti (i creditori) nell’interesse dei quali il curatore stesso, nell’ambito delle sue

funzioni, ha il dovere di agire.

Un’interpretazione puramente letterale dell’articolo in esame, volta al contenimento del suo

campo applicativo, non fa altro che indebolire il sistema di tutele della massa dei creditori

danneggiati dalla condotta negligente del curatore.

Per concludere, azzardo una metafora che, se letta bene, può far capire il nocciolo del discorso.

Escludere dall’ambito operativo dell’art. 38 cit. l’ipotesi dell’ex curatore dimissionario sarebbe, per

la massa dei creditori, un po’ come dirsi proprietario di un cane da compagnia senza però

possedere un guinzaglio. Nonostante le regole di condotta ad esso “impartite” si rischierebbe di

perderlo di vista alla prima distrazione.

 

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