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Tra le domande che piu’
frequentemente emergono in sede di incontro con i
titolari e/o il management d’azienda nonchè con i membri
del gruppo di lavoro impegnati nella valutazione dello
stress lavoro correlato, tra cui il Responsabile del
Servizio di Prevenzione e il Rappresentante dei
Lavoratori per la Sicurezza, ve ne sono soprattutto due:
- qual è il significato della
parola “stress”applicato al contesto organizzativo
- come è possibile distinguere lo
stress soggettivo da quello lavoro – correlato, quindi
quali sono i fattori che devono diventare oggetto di
analisi e misurazione e in base a quali criteri è
possibile stabilire il livello di pericolosità.
La conoscenza della risposta a
questi quesito è di fondamentale importanza per
impostare in maniera corretta il lavoro di valutazione
dello stress lavoro correlato.
Per questo ritengo sia
metodologicamente corretto offrire una breve spiegazione
che chiarisca cosa è lo stress nella letteratura
psicologica e come tale costrutto possa essere
contestualizzato nell’intervento in azienda. ’uso del
termine stress è molto diffuso nel parlare comune anche
se come vedremo, il significato attribuito ad esso nel
quotidiano è ampiamente generico rispetto alla
specificità dello stress lavoro correlato.
Le origini del termine “stress”
sono assai antiche. Pare infatti che derivi del termine
latino “strictus” che indicava qualcosa di “stretto” o
anche di “compresso”.
E’ nel XVII secolo che compare per
la prima volta nella sua evoluzione inglese, ad indicare
stati di difficoltà e/o afflizione personale.
E una successiva evoluzione avviene
tra il XVIII e il XIX secolo quando comincia ad essere
utilizzato nel linguaggio tecnico - scientifico per
indicare la forza (o strain) a cui si sottopone una
materia.
Ma è solo nella metà degli anni ’30
del secolo scorso che fa la sua specifica comparsa negli
scritti del fisiologo ed endocrinologo Hans Selye che
nel 1936 pubblicò sulla rivista Nature un articolo
considerato la pietra miliare degli studi sullo stress
così come oggi lo intendiamo.
In questo articolo Selye, facendo
seguito agli studi del collega Cannon (1929) sosteneva e
confutava l’esistenza di un processo di regolazione
(omeostasi) utilizzato dagli organismi per mantenere un
proprio equilibrio interno, adottando strategie utili a
fronteggiare i cambiamenti e le sollecitazioni
provenienti dal mondo circostante.
Selye aveva osservato organismi
sottoposti all’attacco e alla pressione di stimoli
nocivi quali forti sollecitazioni o traumi di natura
meccanica, così come l’esposizione a radiazioni
pericolose e/o a condizioni ambientali estreme (i
cosiddetti ”stressor”), e ne aveva ricavato che tutti
manifestavano invariabilmente una risposta fisiologica
sistemica, cioè riguardante tutta la fisiologia, tutti
gli apparati nell’insieme, che definì “aspecifica”
volendo significare che tale risposta era sempre uguale
di fronte a uno stimolo anomalo, nel bene o nel male.
Piu’ precisamente la risposta
aspecifica di cui parla Selye è caratterizzata da
modifiche nel funzionamento del sistema neurovegetativo
ed endocrino che possono arrivare al verificarsi di vere
e proprie disfunzioni anche gravi.
Parlando di “Sindrome Generale di
Adattamento” (SGA) Selye descrisse le tre fasi
attraverso le quali, secondo le sue osservazioni, il
fenomeno si sviluppa: la fase di allarme, la fase di
resistenza e in ultimo, la fase di adattamento.
Durante la fase di allarme lo
“stressor” cioè lo stimolo anomalo, innesca una volta
percepito, una risposta di attivazione generale a
seguito del quale i parametri di tutte le funzioni
vitali si modificano.
Si osserva un cambiamento della
pressione arteriosa e del ritmo del battito cardiaco;
cambia la produzione di neurotrasmettitori e
conseguentemente il funzionamento di tutti gli apparati.
Nella seconda fase, di
“resistenza”, l’organismo mette in gioco tutte le
possibili strategie per resistere all’urto delle
stimolazioni esterne per il tempo necessario.
Per fare questo lo stato di
ipervigilanza e di superlavoro fisiologico si accentua e
si mantiene per un tempo variabile, dipendente dal
protrarsi dello stimolo e dalla necessità di vigilare su
di esso, di rispondere o di difendersene nonché dalle
risorse di cui l’organismo dispone..
La terza fase, detta di
“esaurimento”, subentra quando l’organismo supera la
soglia di resistenza e indipendentemente dal fatto che
lo stimolo sia stato elaborato con successo o meno
decade la capacità di far fronte alla situazione.
Conseguentemente compaiono risposte psico – fisiche
alterate tra cui anche i sintomi di malattie acute e/o
croniche.
Nel suo libro del 1956 intitolato
“The stress of life” Selye fa una sintesi del suo
pensiero ed evidenzia che lo stress rimane, a suo
avviso, una risposta fisiologica aspecifica di natura
adattiva.
Con questa affermazione sottolinea
che lo stress non è negativo in sé infatti, entro limiti
soggettivamente definiti puo’ essere addirittura
funzionale, in quanto puo’ essere un valido sistema di
vigilanza e di risposta agli stimoli.
In questo modo distingue tra
l’esistenza del di - stress che è la tipologia di stato
al quale normalmente ci si riferisce nell’interloquire
quotidiano, ovvero lo stress negativo e l’eu – stress
che è invece uno stato di attivazione performante il
quale, in misura adeguata, produce un piu’ elevato
livello di concentrazione, di ritenzione mnestica e
favorisce il problem solving.
La domanda conseguente a questa
distinzione è come sia possibile e quali siano i fattori
che consentono di annoverare una situazione o un evento
specifico tra le fonti di eu – stress o di – stress,
dato che è sotto gli occhi di tutti che di fronte al
medesimo tipo di evento, persone diverse si comportano
in modo diverso.
Per dare una risposta a questo
quesito è stato determinante l’apporto della scuola
cognitivista i cui rappresentanti hanno approfondito
come la mente funziona, come processa le informazioni e
quindi come attribuisce significato a cio’ che
percepiamo.
Lazarus (1966) insieme a Folkman
(1971) si sono concentrati sul processo di valutazione
che caratterizza la percezione soggettiva dell’evento e
la sensazione di eu – stress o di di-stress.
Secondo i due autori, le modalità
di valutazione degli eventi sono diversa da individuo e
individuo ed è lo stile interpretativo individuale a
determinare la percezione di di – stress o di eu-stress.
Il processo di valutazione e lo
stile cognitivo – emotivo soggettivo influisce a sua
volta sul processo di coping, cioè sulle strategie che
il soggetto elabora per affrontare la situazione
stressante.
In sintesi non sarebbe lo stimolo
in sé ad essere “negativo” o “positivo” ma sarebbe la
valutazione/interpretazione che il soggetto ne da, sulla
base delle proprie caratteristiche cognitive plasmatesi
a seguito delle proprie esperienze trascorse, delle
risorse personali e sociali su cui puo’ contare in quel
momento e da molti altri fattori.
LO STRESS LAVORO CORRELATO
Il tema dello stress quale
possibile fattore di rischio aveva già fatto la sua
comparsa da qualche anno nelle disposizioni europee.
Per esempio era già contemplato
nell’ambito della direttiva quadro 89/391 e nelle
direttive europee a contenuto strettamente tecnico.
Per esempio, la direttiva europea
90/270 relativa ai possibili rischi derivanti dall’uso
di videoterminali, risultava già orientata a considerare
le problematiche a cui oggi ci riferiamo quando,
all’art.3, comma 1, affermava che: “I datori di lavoro
sono tenuti a svolgere un’analisi delle postazioni
lavorative al fine di valutare le condizioni di salute e
sicurezza per i lavoratori, in particolare per quanto
attiene a eventuali rischi per la vista, disturbi fisici
e problemi di affaticamento fisico e mentale”.
E ancora, la direttiva europea
93/104 in materia di orario di lavoro, sottolineava
l’importanza di tutelare e sorvegliare lo stato di
salute dei lavoratori notturni quando all’art. 8, ad
essi completamente dedicato, il legislatore riconosceva
che il lavoro notturno “comporta rischi particolari o
rilevanti tensioni fisiche o mentali” e dava precise
indicazioni in merito a come intervenire.
Anche la direttiva europea 2006/42,
sottolineava specificando i requisiti ergonomici, che
“devono essere ridotti al minimo possibile il disagio,
la fatica e le tensioni psichiche (stress) dell’
operatore”.
Ma, di fatto, parlare di stress era
ancora piuttosto generico affinchè si potesse
intervenire concretamente.
Nel decennio intercorso fino ad
oggi molti studi, di diverso orientamento, sono stati
considerati e analizzati al fine di addivenire ad una
definizione che costituisse un punto di partenza
condiviso utile a creare un modello di analisi e si
intervento applicabile al mondo produttivo.
Ed è stato grazie l’Accordo Europeo
del 2004 che si è stabilito in modo chiaro, definitivo e
condiviso non solo la necessità di monitorare lo stress
lavoro correlato, ma alla base di tutto che si è ata una
definizione di cosa si intenda per stress lavoro
correlato
Per quanto riguarda l’Italia,
l’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro correlato è
stato recepito integralmente il 9 giugno 2008 grazie
alla sottoscrizione di un accordo interconfederale che
ha coinvolto tutte le parti sociali..
Che cosa si debba intendere per
stress lavoro correlato si comprende trasversalmente tra
le righe di tutto l’Accordo.
In primis la peculiare specificità
dello stress lavoro correlato va ricercata nel contesto
da cui deriva, ossia il contesto lavorativo.
Conseguentemente ai fini
dell’analisi e della valutazione vanno sondati solo ed
esclusivamente fattori organizzativi e mai individuali.
L’art. 3 comma 4. è molto chiaro a
questo proposito. Infatti troviamo indicato che “(…)Lo
stress lavoro correlato puo’ essere causato da fattori
diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale
inadeguatezza della gestione dell’organizzazione del
lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella
comunicazione, etc.”.
Vi è conferma di tale
interpretazione all’art 4.comma 2, in cui il
legislatore, pur senza fornire una lista esaustiva
indica alcuni fattori che possono provocare stati di
stress lavoro correlato.
Infatti troviamo scritto che
“L’individuazione di un eventuale problema di stress
lavoro –correlato puo’ implicare una analisi su fattori
quali l’eventuale inadeguatezza nella gestione
dell’organizzazione e dei processi di lavoro (disciplina
dell’orario di lavoro, grado di autonomia,
corrispondenza tra le competenze dei lavoratori ed i
requisiti professionali richiesti, carichi di lavoro,
etc.), condizioni di lavoro e ambientali (esposizione a
comportamenti illeciti, rumore, calore, sostanze
pericolose, etc.), comunicazione (incertezza in ordine
di prestazioni richieste, alle prospettive di impiego o
ai possibili cambiamenti, etc) e fattori soggettivi
(tensioni emotive e sociali, sensazione di non poter far
fronte alla situazione, percezione di mancanza di
attenzione nei propri confronti, etc)”.
Grazie all’inquadramento generale
dato dall’Accordo all’interpretazione dello stress
lavoro correlato, gli stessi “fattori soggettivi”
citati, non possono essere interpretati come “fattori
individuali” cioè come stati che il soggetto porta con
sé sul posto di lavoro dall’esterno.
Il legislatore evidenzia che
certamente la soggettività è coinvolta ma lo nella
misura in cui il contesto organizzativo consente o meno
al soggetto di “ corrispondere alle richieste o alle
aspettative riposte in loro” come citato dal art.3 comma
1.
E’ pur vero che l’Accordo
Interconfederale lasciava un margine molto ampio e che
da piu’ parti, forse da tutte, emergeva la richiesta di
una maggiore chiarezza, di indicazioni piu’ stringenti.
Pertanto ulteriori specifiche sono
giunte grazie alle indicazioni fornite nella lettera
circolare del 18 novembre 2010 del Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali in cui, “la Commissione
consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul
lavoro, ha approvato specifiche indicazioni per la
valutazione dello stress lavoro correlato”.
Il documento contiene ad oggi il
modello di percorso e una serie di indicatori da
monitorare considerati validi per svolgere la
valutazione in modo corretto.
Come impostare adeguatamente una
valutazione dello stress lavoro correlato sarà oggetto
dei prossimi interventi.
Riferimenti
bibliografici.
Cannon W.B.,
(1929) “Organization for physiological homeostasis”,
Physiol, Rev., 9, pp 399 - 431
Lazarus S. R.,
(1966) “Psychological stress and the coping process”, Mc
Graw Hill, New York.
Lazarus R.S.,
(1971) “The concept of stress and disease”, in “Society,
stress and disease”; Oxford Press
Lazarus R. S.,
Folkman S.; (1984) “Stress, appraisal and coping”,
Springer Publishing Company, New York.
Selye H. ;
(1936) “A syndrome produced by diverse nocuous agents”,
in Nature, (vol.138, 4 luglio 1936, Macmillan magazine
Ltd) p.32
Selye H.;
(1956); “The stress of life”; Mc Graw Hill (1956), New
York.
Selye H.;
(1974); “Stress without distress”, Lippincott, New York.
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