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LE PAROLE PER PARLARE DI STRESS LAVORO CORRELATO: PSICOLOGIA E GIURISPRUDENZA NEL D. Lgs. 81/08" - Paola SIBANI

 

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Tra le domande che piu’ frequentemente emergono in sede di incontro con i titolari e/o il management d’azienda nonchè con i membri del gruppo di lavoro impegnati nella valutazione dello stress lavoro correlato, tra cui il Responsabile del Servizio di Prevenzione e il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, ve ne sono soprattutto due:

- qual è il significato della parola “stress”applicato al contesto organizzativo

- come è possibile distinguere lo stress soggettivo da quello lavoro – correlato, quindi quali sono i fattori che devono diventare oggetto di analisi e misurazione e in base a quali criteri è possibile stabilire il livello di pericolosità.

La conoscenza della risposta a questi quesito è di fondamentale importanza per impostare in maniera corretta il lavoro di valutazione dello stress lavoro correlato.

Per questo ritengo sia metodologicamente corretto offrire una breve spiegazione che chiarisca cosa è lo stress nella letteratura psicologica e come tale costrutto possa essere contestualizzato nell’intervento in azienda. ’uso del termine stress è molto diffuso nel parlare comune anche se come vedremo, il significato attribuito ad esso nel quotidiano è ampiamente generico rispetto alla specificità dello stress lavoro correlato.

Le origini del termine “stress” sono assai antiche. Pare infatti che derivi del termine latino “strictus” che indicava qualcosa di “stretto” o anche di “compresso”.

E’ nel XVII secolo che compare per la prima volta nella sua evoluzione inglese, ad indicare stati di difficoltà e/o afflizione personale.

E una successiva evoluzione avviene tra il XVIII e il XIX secolo quando comincia ad essere utilizzato nel linguaggio tecnico - scientifico per indicare la forza (o strain) a cui si sottopone una materia.

 

Ma è solo nella metà degli anni ’30 del secolo scorso che fa la sua specifica comparsa negli scritti del fisiologo ed endocrinologo Hans Selye che nel 1936 pubblicò sulla rivista Nature un articolo considerato la pietra miliare degli studi sullo stress così come oggi lo intendiamo.

In questo articolo Selye, facendo seguito agli studi del collega Cannon (1929) sosteneva e confutava l’esistenza di un processo di regolazione (omeostasi) utilizzato dagli organismi per mantenere un proprio equilibrio interno, adottando strategie utili a fronteggiare i cambiamenti e le sollecitazioni provenienti dal mondo circostante.

 

Selye aveva osservato organismi sottoposti all’attacco e alla pressione di stimoli nocivi quali forti sollecitazioni o traumi di natura meccanica, così come l’esposizione a radiazioni pericolose e/o a condizioni ambientali estreme (i cosiddetti ”stressor”), e ne aveva ricavato che tutti manifestavano invariabilmente una risposta fisiologica sistemica, cioè riguardante tutta la fisiologia, tutti gli apparati nell’insieme, che definì “aspecifica” volendo significare che tale risposta era sempre uguale di fronte a uno stimolo anomalo, nel bene o nel male.

Piu’ precisamente la risposta aspecifica di cui parla Selye è caratterizzata da modifiche nel funzionamento del sistema neurovegetativo ed endocrino che possono arrivare al verificarsi di vere e proprie disfunzioni anche gravi.

 

Parlando di “Sindrome Generale di Adattamento” (SGA) Selye descrisse le tre fasi attraverso le quali, secondo le sue osservazioni, il fenomeno si sviluppa: la fase di allarme, la fase di resistenza e in ultimo, la fase di adattamento.

Durante la fase di allarme lo “stressor” cioè lo stimolo anomalo, innesca una volta percepito, una risposta di attivazione generale a seguito del quale i parametri di tutte le funzioni vitali si modificano.

Si osserva un cambiamento della pressione arteriosa e del ritmo del battito cardiaco; cambia la produzione di neurotrasmettitori e conseguentemente il funzionamento di tutti gli apparati.

 

Nella seconda fase, di “resistenza”, l’organismo mette in gioco tutte le possibili strategie per resistere all’urto delle stimolazioni esterne per il tempo necessario.

Per fare questo lo stato di ipervigilanza e di superlavoro fisiologico si accentua e si mantiene per un tempo variabile, dipendente dal protrarsi dello stimolo e dalla necessità di vigilare su di esso, di rispondere o di difendersene nonché dalle risorse di cui l’organismo dispone..

 

La terza fase, detta di “esaurimento”, subentra quando l’organismo supera la soglia di resistenza e indipendentemente dal fatto che lo stimolo sia stato elaborato con successo o meno decade la capacità di far fronte alla situazione. Conseguentemente compaiono risposte psico – fisiche alterate tra cui anche i sintomi di malattie acute e/o croniche.

 

Nel suo libro del 1956 intitolato “The stress of life” Selye fa una sintesi del suo pensiero ed evidenzia che lo stress rimane, a suo avviso, una risposta fisiologica aspecifica di natura adattiva.

Con questa affermazione sottolinea che lo stress non è negativo in sé infatti, entro limiti soggettivamente definiti puo’ essere addirittura funzionale, in quanto puo’ essere un valido sistema di vigilanza e di risposta agli stimoli.

In questo modo distingue tra l’esistenza del di - stress che è la tipologia di stato al quale normalmente ci si riferisce nell’interloquire quotidiano, ovvero lo stress negativo e l’eu – stress che è invece uno stato di attivazione performante il quale, in misura adeguata, produce un piu’ elevato livello di concentrazione, di ritenzione mnestica e favorisce il problem solving.

 

La domanda conseguente a questa distinzione è come sia possibile e quali siano i fattori che consentono di annoverare una situazione o un evento specifico tra le fonti di eu – stress o di – stress, dato che è sotto gli occhi di tutti che di fronte al medesimo tipo di evento, persone diverse si comportano in modo diverso.

 

Per dare una risposta a questo quesito è stato determinante l’apporto della scuola cognitivista i cui rappresentanti hanno approfondito come la mente funziona, come processa le informazioni e quindi come attribuisce significato a cio’ che percepiamo.

 

Lazarus (1966) insieme a Folkman (1971) si sono concentrati sul processo di valutazione che caratterizza la percezione soggettiva dell’evento e la sensazione di eu – stress o di di-stress.

Secondo i due autori, le modalità di valutazione degli eventi sono diversa da individuo e individuo ed è lo stile interpretativo individuale a determinare la percezione di di – stress o di eu-stress.

Il processo di valutazione e lo stile cognitivo – emotivo soggettivo influisce a sua volta sul processo di coping, cioè sulle strategie che il soggetto elabora per affrontare la situazione stressante.

In sintesi non sarebbe lo stimolo in sé ad essere “negativo” o “positivo” ma sarebbe la valutazione/interpretazione che il soggetto ne da, sulla base delle proprie caratteristiche cognitive plasmatesi a seguito delle proprie esperienze trascorse, delle risorse personali e sociali su cui puo’ contare in quel momento e da molti altri fattori.

 

LO STRESS LAVORO CORRELATO

 

Il tema dello stress quale possibile fattore di rischio aveva già fatto la sua comparsa da qualche anno nelle disposizioni europee.

Per esempio era già contemplato nell’ambito della direttiva quadro 89/391 e nelle direttive europee a contenuto strettamente tecnico.

Per esempio, la direttiva europea 90/270 relativa ai possibili rischi derivanti dall’uso di videoterminali, risultava già orientata a considerare le problematiche a cui oggi ci riferiamo quando, all’art.3, comma 1, affermava che: “I datori di lavoro sono tenuti a svolgere un’analisi delle postazioni lavorative al fine di valutare le condizioni di salute e sicurezza per i lavoratori, in particolare per quanto attiene a eventuali rischi per la vista, disturbi fisici e problemi di affaticamento fisico e mentale”.

 

E ancora, la direttiva europea 93/104 in materia di orario di lavoro, sottolineava l’importanza di tutelare e sorvegliare lo stato di salute dei lavoratori notturni quando all’art. 8, ad essi completamente dedicato, il legislatore riconosceva che il lavoro notturno “comporta rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali” e dava precise indicazioni in merito a come intervenire.

 

Anche la direttiva europea 2006/42, sottolineava specificando i requisiti ergonomici, che “devono essere ridotti al minimo possibile il disagio, la fatica e le tensioni psichiche (stress) dell’ operatore”.

 

Ma, di fatto, parlare di stress era ancora piuttosto generico affinchè si potesse intervenire concretamente.

Nel decennio intercorso fino ad oggi molti studi, di diverso orientamento, sono stati considerati e analizzati al fine di addivenire ad una definizione che costituisse un punto di partenza condiviso utile a creare un modello di analisi e si intervento applicabile al mondo produttivo.

 

Ed è stato grazie l’Accordo Europeo del 2004 che si è stabilito in modo chiaro, definitivo e condiviso non solo la necessità di monitorare lo stress lavoro correlato, ma alla base di tutto che si è ata una definizione di cosa si intenda per stress lavoro correlato

 

Per quanto riguarda l’Italia, l’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro correlato è stato recepito integralmente il 9 giugno 2008 grazie alla sottoscrizione di un accordo interconfederale che ha coinvolto tutte le parti sociali..

 

Che cosa si debba intendere per stress lavoro correlato si comprende trasversalmente tra le righe di tutto l’Accordo.

In primis la peculiare specificità dello stress lavoro correlato va ricercata nel contesto da cui deriva, ossia il contesto lavorativo.

Conseguentemente ai fini dell’analisi e della valutazione vanno sondati solo ed esclusivamente fattori organizzativi e mai individuali.

L’art. 3 comma 4. è molto chiaro a questo proposito. Infatti troviamo indicato che “(…)Lo stress lavoro correlato puo’ essere causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza della gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione, etc.”.

 

Vi è conferma di tale interpretazione all’art 4.comma 2, in cui il legislatore, pur senza fornire una lista esaustiva indica alcuni fattori che possono provocare stati di stress lavoro correlato.

Infatti troviamo scritto che “L’individuazione di un eventuale problema di stress lavoro –correlato puo’ implicare una analisi su fattori quali l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro (disciplina dell’orario di lavoro, grado di autonomia, corrispondenza tra le competenze dei lavoratori ed i requisiti professionali richiesti, carichi di lavoro, etc.), condizioni di lavoro e ambientali (esposizione a comportamenti illeciti, rumore, calore, sostanze pericolose, etc.), comunicazione (incertezza in ordine di prestazioni richieste, alle prospettive di impiego o ai possibili cambiamenti, etc) e fattori soggettivi (tensioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di mancanza di attenzione nei propri confronti, etc)”.

 

Grazie all’inquadramento generale dato dall’Accordo all’interpretazione dello stress lavoro correlato, gli stessi “fattori soggettivi” citati, non possono essere interpretati come “fattori individuali” cioè come stati che il soggetto porta con sé sul posto di lavoro dall’esterno.

Il legislatore evidenzia che certamente la soggettività è coinvolta ma lo nella misura in cui il contesto organizzativo consente o meno al soggetto di “ corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro” come citato dal art.3 comma 1.

 

E’ pur vero che l’Accordo Interconfederale lasciava un margine molto ampio e che da piu’ parti, forse da tutte, emergeva la richiesta di una maggiore chiarezza, di indicazioni piu’ stringenti.

 

Pertanto ulteriori specifiche sono giunte grazie alle indicazioni fornite nella lettera circolare del 18 novembre 2010 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in cui, “la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro, ha approvato specifiche indicazioni per la valutazione dello stress lavoro correlato”.

Il documento contiene ad oggi il modello di percorso e una serie di indicatori da monitorare considerati validi per svolgere la valutazione in modo corretto.

 

Come impostare adeguatamente una valutazione dello stress lavoro correlato sarà oggetto dei prossimi interventi.

 

 

Riferimenti bibliografici.

Cannon W.B., (1929) “Organization for physiological homeostasis”, Physiol, Rev., 9, pp 399 - 431

Lazarus S. R., (1966) “Psychological stress and the coping process”, Mc Graw Hill, New York.

Lazarus R.S., (1971) “The concept of stress and disease”, in “Society, stress and disease”; Oxford Press

Lazarus R. S., Folkman S.; (1984) “Stress, appraisal and coping”, Springer Publishing Company, New York.

Selye H. ; (1936) “A syndrome produced by diverse nocuous agents”, in Nature, (vol.138, 4 luglio 1936, Macmillan magazine Ltd) p.32

Selye H.; (1956); “The stress of life”; Mc Graw Hill (1956), New York.

Selye H.; (1974); “Stress without distress”, Lippincott, New York.

 

 

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