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Fermo amministrativo illegittimo: nessun risarcimento per il contribuente- Cassazione civile , sez. tributaria, sentenza 22.09.2011 n° 19315-Altalex.it

 

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 “Per ottenere un risarcimento per i danni subiti in sede di riscossione esattoriale è necessario che il provvedimento di fermo amministrativo sia stato posto in esecuzione, di conseguenza non ha diritto al risarcimento del danno il contribuente che abbia ricevuto un preavviso di fermo amministrativo in quanto, in quella circostanza, il credito del fisco è del tutto inesistente”.

Questo il principio regolatore deducibile dalla sentenza 22 settembre 2011, n. 19315 pronunciata dalla sezione tributaria della Corte Suprema, e depositata lo scorso 22 settembre, ad accoglimento del ricorso proposto da una società di riscossione che si era vista infliggere, in primo ed unico grado, la condanna al risarcimento del danno per aver erroneamente notificato un avviso di fermo amministrativo ad un contribuente.

Decisione non condivisa dalla sezione tributaria della Suprema Corte, ad avviso della quale non è sufficiente, ai fini della configurazione di un diritto risarcitorio in capo al contribuente, un illegittimo preavviso di fermo, ma occorre la materiale esecuzione del provvedimento amministrativo, mediante iscrizione dell'atto che lo dispone nei registri immobiliari a cura del concessionario (art. 86 comma II D.P.R. 602/1973).

Mancando questa, continua la Corte, manca la necessaria sussistenza di un danno inferto da un comportamento antigiuridico, necessario presupposto del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, e l'aver comunque ritenuto la società ricorrente responsabile per non aver revocato il provvedimento, per ciò solo condannandola al risarcimento del danno, costituisce, da parte della sentenza impugnata, violazione dei principi informatori della responsabilità aquiliana.

Per questo motivo, la sezione tributaria del Supremo Organo giudicante ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti di merito,ex art. 384 c.p.c. ha rigettato il ricorso introduttivo del giudizio, condannando il contribuente intimato al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.

(Fonte Altalex)

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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Sentenza 22 settembre 2011, n. 19315

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 14.12.2004 il Giudice di Pace di Carinola, in accoglimento del ricorso proposto dalla …., nei confronti della …., dichiarava che la ricorrente non era debitrice delle somme portate dalla cartella esattoriale, annullata in sede giurisdizionale, ed affermava la responsabilità della convenuta; per non aver revocato il provvedimento di fermo dell'autovettura, condannandola al risarcimento del danno liquidato, in via equitativa, nell'importo indicato in ricorso di Euro 900,00,oltre che al pagamento delle spese processuali.

Per la cassazione della sentenza, ricorrono, in via principale, la ….. , in via incidentale, l'intimata. La concessionaria ha depositato controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso principale e quello incidentale, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti, ex art. 335 c.p.c.. L'eccezione d'inammissibilità del ricorso incidentale, che va ora esaminata, sollevata dalla …., per non esser l'Avv….  iscritta nell'Albo speciale dei patrocinanti innanzi a questa Corte, è infondata, constando che l'atto è sottoscritto, pure, dall'Avv…., iscritto nel predetto Albo, che viene indicato, nella procura, come codifensore e che ha, pure, proceduto a certificare l'autenticità della sottoscrizione della parte, apposta nella procura speciale, rilasciata a margine dell'atto stesso.

Col primo motivo (indicato come punto 2), del ricorso principale, la ricorrente denuncia "insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 113 c.p.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 5)" per avere la sentenza impugnata totalmente omesso di fare riferimento a norme di legge o a principi giuridici, determinando il danno in adesione acritica alla tesi dell'istante.

Col secondo motivo (indicato come punto 3.1), la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'artt. 132 c.p.c., art. 2043 c.c., D.M. n. 127 del 2004, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, affermando che l'impugnata sentenza ha errato nel ritenerla consapevole degli atti giudiziari con cui era stato annullato il credito d'imposta, quando nessun provvedimento di sospensione o di sgravio le era stato comunicato, sicchè il provvedimento di fermo sull'autovettura della contribuente costituiva un atto dovuto.

Con il terzo motivo (indicato come punto 3.2), …. deduce, sotto altro profilo, la violazione delle predette norme all'art. 132 c.p.c., art. 2043 c.c., D.M. n. 127 del 2004, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, affermando che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, il fermo si esegue mediante iscrizione nei registri mobiliari, di cui viene data comunicazione al soggetto contro il quale si procede. Nella specie, il fermo non era stato mai eseguito, con conseguente insussistenza del presupposto della sua riconosciuta responsabilità aquiliana, per carenza dell'elemento soggettivo della colpa, e per l'assenza di pregiudizi di sorta per la Società intimata.

Col quarto motivo (indicato come punto 3.3), la ricorrente afferma che, nella determinazione delle spese giudiziali, il Giudice di pace ha disatteso le norme di riferimento, superando i massimi di tariffa e liquidando spese non dovute.

Con il ricorso incidentale, la … si duole che l'impugnata sentenza non abbia preso in esame e riconosciuto, ex art. 1226 c.c., il danno esistenziale, per il mancato utilizzo del veicolo, che chiede di valutare, con condanna al risarcimento del danno, ex art. 96 c.p.c..

Appare, anzitutto, opportuno rilevare che, come, più volte, affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 9393 del 2003, n. 21112 del 2005; n. 6382 del 2007; n. 10213 del 2008), le sentenze del giudice di pace emesse ex art. 113 cpv. c.p.c., quale quella in esame, sono ricorribili in cassazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2 e 4, per violazione delle norme processuali, e dunque, anche in caso di inesistenza della motivazione, nonchè, ai sensi del n. 5 della norma in esame, limitatamente alle ipotesi in cui la motivazione, pur formalmente esistente, debba considerarsi meramente apparente, per la concreta impossibilità di comprenderne la "ratio decidendi" (ad esempio a causa di radicale ed insanabile contraddittorietà di argomentazioni), mentre la censura di violazione della legge sostanziale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 è consentita soltanto in caso di inosservanza o falsa applicazione della Costituzione, delle norme di diritto comunitario sovranazionali, nonchè, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2004, dei principi informatori della materia, i quali si pongono come un limite del potere discrezionale del giudice nella determinazione della regola equitativa del caso concreto. Ne consegue che il ricorso che denunci siffatto vizio deve indicare specificamente quale sia il principio violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga in contrasto con esso (Cass. n. 284/2007; n. 26422/2008; n. 8644/2010).

A tale stregua, il primo motivo del ricorso principale è inammissibile. La censura formulata non denuncia, affatto, l'impossibilità di comprendere le ragioni della decisione, o l'esistenza di argomenti contrastanti, ma, afferma l'insufficienza della motivazione in relazione alla determinazione del "quantum" e la mancanza di riferimenti in diritto, denuncia, dunque, un tipico vizio motivazionale, che esula dal controllo relativo alle sentenze rese secondo equità, e la carenza di motivazione in diritto, critica quest'ultima che, non solo, non è pertinente, perchè la sentenza impugnata è stata emessa ex art. 113 cpv., ma che è, sempre, irrilevante, tenuto conto del disposto di cui all'art. 384 c.p.c., comma 2, secondo il quale questa Corte deve limitarsi a correggere la motivazione erronea, quando il dispositivo sia conforme a diritto.

Anche la violazione di legge, dedotta col secondo motivo, è inammissibile, perchè non individua il principio informatore che sarebbe stato, in tesi, violato, ma si limita, piuttosto, a denunciare l'errore del giudice di pace nella ricostruzione degli elementi di fatto - affermata conoscenza della concessionaria dell'esito, assolutorio per la contribuente, del giudizio tributario - la cui deduzione è, peraltro, preclusa in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge.

Il terzo motivo è, invece, fondato. L'impugnata sentenza, dopo aver dato conto che il provvedimento di fermo non è mai stato eseguito, essendo solo stata data comunicazione del preavviso, ha, ciononostante, ritenuto l'odierna ricorrente responsabile per non aver revocato detto provvedimento (la permanenza dei cui effetti "è stata fatta ritenere valida sino al deposito della comparsa di risposta"), e la ha condannata al risarcimento del danno, così violando i principi informatori della responsabilità aquiliana, che ricollegano il risarcimento alla necessaria sussistenza di un danno inferto a causa di un comportamento antigiuridico. Nella specie, l'assenza della condotta lesiva e la violazione dell'esposto principio sono ravvisabili nel fatto che non risulta esser mai stato emesso il provvedimento, la cui mancata revoca viene indicata come fonte dell'obbligo risarcitorio. L'impugnata sentenza va, dunque, cassata, con assorbimento del motivo del ricorso principale relativo alle spese del giudizio. Non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti di merito, la causa, alla stregua delle considerazioni appena esposte, può esser decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., col rigetto del ricorso introduttivo del giudizio. In conseguenza, va rigettato il ricorso incidentale, volto da ottenere il maggior risarcimento (già, peraltro, liquidato secondo domanda), richiesto, nonostante il richiamo all'art. 96 c.p.c., in relazione all'allegato danno esistenziale, per il mancato utilizzo del veicolo.

Le spese, secondo il criterio legale della soccombenza, vanno poste a carico della …. ed in favore della … e si liquidano, per il giudizio innanzi al Giudice di Pace, in Euro 600,00 di cui Euro 350,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori e, per il presente giudizio di legittimità, in Euro 450,00, di cui Euro 350,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale, inammissibile il primo ed il terzo, assorbito il quarto rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio.

Condanna la ... al pagamento, in favore della Gest Line, delle spese del giudizio, liquidate in Euro 600,00, oltre a spese generali e ad accessori per il giudizio innanzi al Giudice di Pace, ed in Euro 450,00, oltre a spese generali e ad accessori per il presente giudizio di legittimità.

 

 

 

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