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IL GOVERNO MONTI, I MERCATI E LA DEMOCRAZIA di Fausto Panunzi  -la voce.info

 

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Da destra e da sinistra si accusa il neonato governo Monti di non essere frutto di una scelta democratica, ma di una imposizione dei mercati. Il nuovo esecutivo nasce indubbiamente per l'emergenza sui mercati finanziari. E dalla paralisi decisionale del governo Berlusconi che avrebbe reso inevitabile il default. Quanto al ruolo più attivo della Bce, l'Italia sarà più credibile nell'invocarlo se darà l'impressione di voler mettere a posto i conti, senza scaricare sulla Banca centrale o su altri paesi i costi della crisi. Un conflitto di interessi che era meglio evitare.

 

Da destra e da sinistra si accusa il governo Monti appena nato di non essere frutto di una scelta democratica, ma di una imposizione dei mercati, dei “poteri forti”. Quanto c’è di fondato in questa accusa?

 

LE DECISIONI PRESE E QUELLE NON PRESE

 

Il governo Monti nasce indubbiamente a causa dell’emergenza sui mercati finanziari. L’aumento dello spread, cioè la differenza tra i rendimenti dei titoli di stato italiani a dieci anni e quelli tedeschi ha superato nelle scorse settimane i 500 punti base, vale a dire il 5 per cento. Il problema è che l’Italia ha un debito molto elevato, intorno ai 1.900 miliardi di euro, pari a circa il 120 per cento del Pil.

Questo debito è stato liberamente contratto dai governi che si sono susseguiti in questi anni per finanziare gli investimenti, ma anche le spese improduttive. Nessuno ha obbligato i governi precedenti, quelli democraticamente eletti, a mandare in pensione gli statali dopo sedici anni di lavoro oppure a pagare i vitalizi ai parlamentari dopo una legislatura o a spendere decine di miliardi di lire per autostrade mai finite come la Salerno–Reggio Calabria. Eppure, lo hanno fatto, senza che gli indignati scendessero in piazza a protestare. Quel debito ora deve essere rifinanziato. Ad esempio, nel 2012, l’Italia avrà bisogno di prendere a prestito più di 400 miliardi di euro. Ma non si fa credito a un soggetto già molto indebitato senza porgli delle condizioni. Una famiglia indebitata deve o aumentare le entrate o ridurre le spese oppure vendere una parte del suo patrimonio.

La crisi esplosa lo scorso agosto richiedeva che il governo Berlusconi facesse qualcosa: aumentare le tasse (ad esempio reintroducendo l’Ici) oppure ridurre la spesa pubblica (toccando la spesa previdenziale) e anche vendere pezzi del patrimonio (privatizzare Eni, Enel, Finmeccanica, Rai). Ma il governo non voleva o non poteva fare niente per veti interni o per non rimangiarsi promesse fatte solo per prendere voti. Con questa paralisi decisionale, il default, con tutte le conseguenze disastrose per le famiglie e le imprese italiane, sarebbe stato inevitabile. È da questo stallo che nasce il governo dei tecnici, cioè un esecutivo che non ha il problema di prendere decisioni impopolari per paura di perdere le elezioni. Il presidente Monti aveva chiesto esplicitamente ai partiti di entrare nel governo. Ma i partiti hanno preferito non metterci la faccia, sempre per calcoli elettorali. In altre parole, il governo Monti riempie un vuoto lasciato colpevolmente dalla politica. E il successo del nuovo governo dipenderà, non dimentichiamolo, dalla volontà dei partiti di votare in Parlamento i provvedimenti impopolari che il governo varerà.

 

IL RUOLO DELLA BCE

 

C’è un’obiezione che viene mossa a questo ragionamento e riguarda il ruolo della Bce. Sarebbe molto più facile per l’Italia rifinanziare il debito se la Bce si impegnasse ad acquistare una quantità illimitata di titoli di Stato italiano, come alcuni commentatori auspicano. Questo toglierebbe pressione al governo nel piazzare il suo debito e consentirebbe di evitare una forte stretta sui bilanci delle famiglie italiane. Sappiamo bene che la Germania si batterà in ogni modo per impedire che la Bce faccia interventi di acquisto di titoli di Stato così massicci sia per la paura che ciò possa causare inflazione che per evitare che si riduca la pressione sui Paesi come l’Italia a rimettere a posto i loro conti. Ma anche se un ruolo più attivo per la Bce fosse desiderabile, l’Italia sarà più credibile nell’invocarlo se darà l’impressione di avere fatto i compiti a casa propria, mettendo a posto i conti, senza voler invece scaricare sulla Banca centrale o su altri Paesi i costi della crisi.

Qualcuno diceva che la politica è l’arte di far coesistere il desiderabile con il realizzabile. La democrazia serve a stabilire cosa è desiderabile, non cosa è realizzabile. Non si vota sul vincolo di bilancio. È questo il vero messaggio che un governo tecnico lancia ai mercati.

Tutto bene, allora? Non proprio. La nomina di Corrado Passera, ex-amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, a ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture solleva fondate perplessità. Non per la indiscutibile competenza di Passera, ma per il fatto che ogni azione che verrà presa per mitigare la crisi delle banche italiane lascerà il dubbio che sia la lobby bancaria a condizionare l’azione del governo. Si poteva e si doveva evitare di suscitare questi sospetti nell’opinione pubblica.

 

 

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