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Legge di Stabilita' 2012-ACCESSO ALLA GIUSTIZIA PIÙ CARO, ANCHE CON LA MANOVRINA SULLE TARIFFE-Ipsoa.it

 

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Gianfrancesco Vecchio - Avvocato cassazionista in Roma

 

Nel concitato momento storico vissuto nel nostro paese la questione dell’accesso alla giustizia torna ad essere trattata dal legislatore anche nel c.d. maxiemendamento alla legge di stabilità appena approvato.

 

Più precisamente, è l’art. 28 (Modifiche in materia di spese di giustizia), a contenere l’ulteriore incremento in pochi mesi dei costi per poter accedere a quello che, pure, dovrebbe essere uno dei servizi fondamentali di un paese civile (si pensi al D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito di lì a poco con la L. 15 luglio 2011, n. 111).

 

Gli aumenti del contributo unificato non appaiono affatto simbolici: essi risultano infatti pari alla metà per la promozione di giudizi di appello e pari al doppio per i processi dinanzi alla Corte di cassazione.

 

Inoltre, si arriva anche ad introdurre “il pagamento di un autonomo contributo unificato determinato in base al valore della domanda proposta”, posto a carico di ciascuna delle parti che si costituisca dopo la prima, nei casi di:

 

1) modifica della domanda,

 

2) proposizione di domanda riconvenzionale,

 

3) formulazione della chiamata in causa.

 

E lo stesso è disposto anche per quanto riguarda gli interventori autonomi.

 

A parziale giustificazione di questo nuovo approccio “monetario” alla tematica può, forse, considerarsi l’espressa previsione di una destinazione specifica di queste somme al funzionamento degli uffici giudiziari – con esclusione delle spese di personale – attraverso una contabilizzazione separata garantita, almeno sulla carta, dal Ministero dell’Economia.

 

In assoluto, però, questa tendenza a rendere sempre più economicamente costoso il ricorso alla giustizia ordinaria, non può non leggersi che in parallelo con l’altrettanto forte spinta normativa a promuovere la mediazione civile e commerciale come obbligatorio strumento di risoluzione delle controversie

 

Questa lettura, a sua volta, determina delle perplessità sempre più nette circa il permanere del rispetto dell’indubbio rango costituzionale della garanzia del diritto di azione giudiziaria.

 

Diventa anzi innegabile che, l’ormai continuo reiterarsi di misure che aggravano le spese di giustizia, mette sempre più a rischio l’effettività del citato precetto.

 

Insomma, invece di migliorare il servizio giustizia, con provvedimenti magari più logici e comprensibili, ma che non si provano nemmeno ad attuare – come, ad es., l’eliminazione dell’appello al di sotto di un dato valore della causa – ci si dirige sempre più apertamente verso una giustizia censuaria per pochi ed una giustizia privatizzata per la maggioranza.

 

Situazione che non si può giudicare degna di una nazione che, come l’Italia, ha contribuito in maniera determinante a sviluppare nel mondo la cultura dei diritti civili.

 

Meno chiaro è il senso dell’intervento, contenuto nel co. 12 dell’art. 10 della Legge di stabilità, laddove si eliminano alcune parti del decreto sviluppo di agosto (D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con L. 14 settembre 2011, n. 148).

 

Quello che appare è che le tariffe non sono più criterio di riferimento per la determinazione dei compensi.

 

Il che, mantenendo ferma la generale previsione sulla derogabilità delle tariffe, sembra mirare a valorizzare il principio consensuale nella determinazione delle stesse.

 

Tuttavia, occorre segnalare che le tariffe restano richiamate dalle successive disposizioni della lett. d), co. 5, dell’art. 3 del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, nonché dalla bozza di modifica alla disciplina del contratto di prestazione d’opera professionale, nei casi di liquidazione giudiziale, quando il committente è un ente pubblico ovvero quando la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi.

 

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