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La 'par condicio' in Italia (a cura di F. Lanchester - R. Zaccaria)federalismi.it

 

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Introduzione

di Fulco Lanchester

Par condicio è uno splendido brocardo per dire qualcosa che l’ideologia liberaldemocratica ha

teorizzato alle sue origini, ovvero la necessità che vi sia nell’ambito delle competizioni

elettorali e referendarie una eguaglianza tendenziale delle opportunità tra i concorrenti

nell’orientamento dei cittadini aventi diritto al voto. Lo schema teorico, cui fa implicito

riferimento la legge n. 28 del 2000, è costituito da un’arena in cui i singoli aventi diritto al

voto chiedono informazioni per l’espressione dell’atto elettivo o deliberativo e le ottengono

da soggetti interessati a fornirle sul piano dell’eguaglianza tendenziale. L’atto di votazione

non può essere ristretto al mero momento costitutivo dell’espressione del voto, ma trova una

fase fondamentale nella preparazione dello stesso, caratterizzata dalla formazione della

volontà. La formazione della volontà non è soltanto quella del periodo strettamente elettorale,

della cosiddetta campagna elettorale, ma include anche la stessa comunicazione politica.

È per questo che nelle società di massa la qualità e il tipo di comunicazione costituiscono

elementi essenziali del procedimento democratico, caratterizzandone lo stesso contenuto. Il

problema italiano è comune a quello di altre democrazie, ma sicuramente è più grave per la

situazione del sistema dei mezzi di comunicazione di massa, che si è venuto formando tra

prima e seconda fase della vicenda repubblicana. Non è tutta responsabilità della seconda

fase; è colpa anche della prima, soprattutto per come si sono sciolti alcuni nodi tra gli anni

Sessanta e Settanta. Tutte le contraddizioni del settore delle comunicazioni di massa, derivanti

dal duopolio radiotelevisivo costituitosi dagli anni Ottanta, e dalla concentrazione della

stessa stampa quotidiana e periodica, sono esplose con la discesa in campo di Silvio

Berlusconi. Da quel momento, la peculiarità italiana del settore è divenuta altamente

problematica e quasi irresolubile, perché ogni riequilibrio ha assunto un significato di

normalizzazione – possiamo chiamarla, facendo riferimento “cum grano salis” alle vicende

tedesche post 1933, Gleichschaltung – nei confronti dell’avversario politico. Per discutere di

questo coacervo problematico, che ci ha fatto scadere nelle classifiche della Freedom House e

dell’Economist, abbiamo riunito docenti universitari, giornalisti, parlamentari, operatori del

settore radiotelevisivo e dei controlli, che esprimeranno il loro parere secondo regole molto

chiare: è stata preventivamente distribuita una scaletta di quesiti; ciascuno ha scelto tra

questi liberamente ed la possibilità di esprimere la propria opinione per otto minuti,

che nel testo pubblicato qui di seguito si sono condensati in un testo contenuto in un

massimo di 10.000 battute.

Ne è venuto fuori un panorama articolato ma efficace, che Roberto Zaccaria e chi

scrive ritengono utile socializzare. Si tratta di un materiale preparatorio, che è già

stato presentato al Convegno italo-tedesco di Villa Vigoni su “Campagne elettorali e

mezzi di comunicazione di massa nello stato costituzionale democratico” del 21 - 22

luglio scorso, come tappa di un percorso che tende a monitorare lo stato della normativa

sulla comunicazione politica, elettorale e referendaria. Un simile dibattito conferma

www.federalismi.it 2

l’importanza fondamentale, per gli ordinamenti democratici, delle votazioni pubblicistiche

non soltanto per quanto riguarda il meccanismo di trasformazione della volontà

elettiva o deliberativa( ed in particolare il sistema elettorale in senso stretto), ma

anche per quanto attiene all’ambito strategico relativo alla cosiddetta legislazione

di contorno.

Interventi

Fulco Lanchester

Introduzione……………………………………………………....... p.

Gianni Betto

La società italiana dal “minuto per minuto” a tutti i suoi ascolti

attuali………………………………………………………………. p.

Enzo Cheli

Punti critici della disciplina attuale in tema di “par condicio”…... p.

Achille Chiappetti

Par condicio, una disciplina da rielaborare………………………. p.

Giovanni Cuperlo

Par condicio: siamo gli artefici o le vittime?.................................... p.

Filippo Donati

Par condicio e nuovi media………………………………………... p.

Paolo Gentiloni Silveri

Legge necessaria per un’epoca al tramonto………………………. p.

Valeria Ferro

Il monitoraggio…………………………………………………….. p.

Ottavio Grandinetti

Par condicio e programmi informativi nella prassi dell’Autorità per le

garanzie nelle comunicazioni……………………………….. p.

Armando Melchionna

Alcune osservazioni relative alla campagna elettorale per le amministrative

2011………………………………………………... p.

Marco Mele

La par condicio inesistente………………………………………… p.

Paolo Messa

Par condicio: una toppa per un buco più grande………………….. p.

Mario Morcellini

Tra par e impar condicio. Regole e protagonisti dell’informazione alla prova

delle elezioni 2011……………………………………… p.

Alessandro Pace

La discutibile insindacabilità delle delibere della Commissione parlamentare

di indirizzo e di vigilanza sul servizio pubblico…….. p.

Francesco Pardi

Par condicio: rimedio necessario e non sufficiente……….……….. p.

Michele Prospero

Legge anacronistica ma necessaria in un contesto politico

ambiguo……………………………………………………………. p.

Roberto Rao

La par condicio “un’anomalia indispensabile”……………...……. p.

Piero Alberto Capotosti

La regola della par condicio è ancora valida................................... p.

Giuseppe Sangiorgi

La riforma della par condicio ed il ruolo ambiguo dei partiti.......... p.

Giovanni Valentini

La par condicio e il sostegno privilegiato: due “pannicelli caldi”... p.

Vincenzo Vita

Elogio della “par condicio”……………………………………….. p.

Roberto Zaccaria

Par condicio e AGCOM: un richiamo ad una maggiore fruibilità dei dati dei

monitoraggi e ad un controllo vero sul sostegno

privilegiato………………………………………….……………… p.

Appendice

1) L. 22 febbraio 2000, n. 28, Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di

informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la

comunicazione politica……………………… p.

2) Sent. Corte cost. 7 maggio 2002, n. 155………………………… p.

3) Delibera Agcom n. 22/06/CSP, Disposizioni applicative delle norme e dei

principi vigenti in materia di comunicazione politica e parità di accesso ai

mezzi di informazione nei periodi non

elettorali……………………………………………………….…… p.

4) Delibera Agcom n. 80/11/CSP, Disposizioni di attuazione della disciplina

in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di

informazione relative alle campagne per le elezioni provinciali e comunali

fissate per i giorni 15 e 16 maggio

2011……………………………………………………….………... p.

5) Criteri per la vigilanza sul rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei

telegiornali diffusi dalle reti televisive nazionali… p.

6) Elenco delibere Agcom in materia per la campagna elettorale per le elezioni

provinciali e comunali (15-16 maggio 2011)………. p.

7) La base di discussione del seminario……...……………………. p.

Notizie sugli Autori………………………………………. P

Interventi

Fulco Lanchester

Introduzione

Par condicio è uno splendido brocardo per dire qualcosa che l’ideologia liberaldemocratica ha

teorizzato alle sue origini, ovvero la necessità che vi sia nell’ambito delle competizioni

elettorali e referendarie una eguaglianza tendenziale delle opportunità tra i concorrenti

nell’orientamento dei cittadini aventi diritto al voto. Lo schema teorico, cui fa implicito

riferimento la legge n. 28 del 2000, è costituito da un’arena in cui i singoli aventi diritto al

voto chiedono informazioni per l’espressione dell’atto elettivo o deliberativo e le ottengono

da soggetti interessati a fornirle sul piano dell’eguaglianza tendenziale. L’atto di votazione

non può essere ristretto al mero momento costitutivo dell’espressione del voto, ma trova una

fase fondamentale nella preparazione dello stesso, caratterizzata dalla formazione della

volontà. La formazione della volontà non è soltanto quella del periodo strettamente elettorale,

della cosiddetta campagna elettorale, ma include anche la stessa comunicazione politica.

È per questo che nelle società di massa la qualità e il tipo di comunicazione costituiscono

elementi essenziali del procedimento democratico, caratterizzandone lo stesso contenuto. Il

problema italiano è comune a quello di altre democrazie, ma sicuramente è più grave per la

situazione del sistema dei mezzi di comunicazione di massa, che si è venuto formando tra

prima e seconda fase della vicenda repubblicana. Non è tutta responsabilità della seconda

fase; è colpa anche della prima, soprattutto per come si sono sciolti alcuni nodi tra gli anni

Sessanta e Settanta. Tutte le contraddizioni del settore delle comunicazioni di massa, derivanti

dal duopolio radiotelevisivo costituitosi dagli anni Ottanta, e dalla concentrazione della

stessa stampa quotidiana e periodica, sono esplose con la discesa in campo di Silvio

Berlusconi. Da quel momento, la peculiarità italiana del settore è divenuta altamente

problematica e quasi irresolubile, perché ogni riequilibrio ha assunto un significato di

normalizzazione – possiamo chiamarla, facendo riferimento “cum grano salis” alle vicende

tedesche post 1933, Gleichschaltung – nei confronti dell’avversario politico. Per discutere di

questo coacervo problematico, che ci ha fatto scadere nelle classifiche della Freedom House e

dell’Economist, abbiamo riunito docenti universitari, giornalisti, parlamentari, operatori del

settore radiotelevisivo e dei controlli, che esprimeranno il loro parere secondo regole molto

chiare: è stata preventivamente distribuita una scaletta di quesiti; ciascuno ha scelto tra

questi liberamente ed la possibilità di esprimere la propria opinione per otto minuti,

che nel testo pubblicato qui di seguito si sono condensati in un testo contenuto in un

massimo di 10.000 battute.

Ne è venuto fuori un panorama articolato ma efficace, che Roberto Zaccaria e chi

scrive ritengono utile socializzare. Si tratta di un materiale preparatorio, che è già

stato presentato al Convegno italo-tedesco di Villa Vigoni su “Campagne elettorali e

mezzi di comunicazione di massa nello stato costituzionale democratico” del 21 - 22

luglio scorso, come tappa di un percorso che tende a monitorare lo stato della normativa

sulla comunicazione politica, elettorale e referendaria. Un simile dibattito conferma

l’importanza fondamentale, per gli ordinamenti democratici, delle votazioni pubblicistiche

non soltanto per quanto riguarda il meccanismo di trasformazione della volontà

elettiva o deliberativa( ed in particolare il sistema elettorale in senso stretto), ma

anche per quanto attiene all’ambito strategico relativo alla cosiddetta legislazione

di contorno.

Gianni Betto

La società italiana dal “minuto per minuto” a tutti i suoi ascolti attuali

G

razie buon pomeriggio a tutti e grazie per questo invito. Quello che abbiamo preparato vuole

essere un minimo, negli otto minuti, di approfondimento rispetto a quelle che possono essere

le problematiche relative sia al monitoraggio della par condicio e del pluralismo

dell’informazione sia ai criteri utilizzati fino ad oggi per questo monitoraggio. In particolare il

paradigma utilizzato fino ad oggi è stato sempre e soltanto quello del tempo, quindi dal tempo

messo a disposizione dalle varie emittenti ai vari esponenti politici o soggetti politici in

generale. Quello che vorremmo fare e proporre oggi a voi è quello di ipotizzare e avere uno

spunto di riflessione ulteriori rispetto non più soltanto al tempo, ma in particolare rispetto a

quello che sono gli ascolti delle varie trasmissioni. Sappiamo tutti che ogni trasmissione o

telegiornale di qualunque tipo ha un certo bacino di ascolto, che oggi possiamo considerare

noto quasi a priori nella storicità della trasmissione, nel senso che sappiamo a distanza di

tempo quanto una trasmissione collocata all’interno del palinsesto televisive delle 24 ore che

tipo di ascolto ha. Allora il problema e la suggestione che vogliamo suggerirvi non è soltanto

il fatto di quanto tempo si parla in televisione, ma girandoci dalla parte del cittadino, quanto il

cittadino ha la possibilità di incappare in un determinato soggetto politico e poi in particolare

sul tempo quanto ha la possibilità di conoscere e approfondire sia tematiche sia le proposte dei

vari soggetti politici. Quindi il problema è un minuto a duecento mila spettatori piuttosto che

un minuto a 5 milioni di telespettatori. Il minuto è sempre lo stesso, ma chiaramente l’impatto

che può avere quel minuto è completamente diverso. Qui riportiamo qualche dato: in realtà

questo tipo di approccio è già stato utilizzato precedentemente proprio dall’autorità quando si

è trattato di decidere sugli spot Rai dove per la prima volta è stato utilizzato il metodo degli

ascolti, quindi è stato indicato alla Rai di posizionare gli spot in fasce di maggiore ascolto.

Questo è ciò che recita la legge oggi in materia di comunicazione politica e calcolate che in un

anno Rai1, Rai2,Rai3 (queste analisi per stare negli otto minuti le abbiamo fatte solamente

sulle reti del servizio pubblico) emettono 7600 edizioni di telegiornali per un totale di 2100

ore. In particolare il Tg1 ne emette 3600 (questi sono dati totali del 2010), circa dieci edizioni

al giorno che hanno un ascolto medio tra tutte le 3600 edizioni di circa 2milioni di

telespettatori. Ma come vediamo tra le varie edizioni ci sono differenze sensibili: sono andate

nel 2010 da 94mila telespettatori fino a edizioni con 7,8 milioni di telespettatori. In questo

caso la varianza, cioè la volatilità dell’ascolto all’interno della media degli ascolti di tutto

l’anno è molto elevata, di circa 3,2 milioni. Il Tg2: 2180 edizioni con un ascolto medio di 1,3

milioni; anche qui con oscillazioni che vanno da 86mila telespettatori fino a massimi di 4

milioni. Il Tg3: 1830 edizioni, ha una media di 1,4 milioni, però, con oscillazioni che vanno

da 144mila a 4 milioni. Immaginate appunto che oggi viene calcolato il minuto e quindi un

minuto in un’edizione da 144mila ascolti vale, in termini di pluralismo e pari condizioni, a un

minuto a 4milioni di telespettatori. Se prendiamo anche solo le edizioni principali delle varie

testate e per principali intendiamo i meridiani e i tg serali, quelli di pranzo e di cena, abbiamo

ovviamente anche qui notevoli differenze di ascolti. Il Tg1 mediamente, calcolandole insieme

le edizioni di pranzo e cena, fornisce una media di 5,2milioni di ascolti; Tg2 2,6milioni, Tg3

2milioni. Anche qui le differenze sono sostanziali perché per esempio nelle edizioni principali

del Tg1 l’ascolto oscilla da un minimo di 2,8milioni a un massimo di 7,8milioni. Ovviamente

quello di cena ha ascolti più alti rispetto a quello di pranzo e succede anche che nelle edizioni,

magari, a parti invertite del Tg2 e Tg3. Se calcoliamo come numero di edizioni quelle

principali, quindi pranzo e cena, costituiscono il 20% in termini di numero di edizioni,

ovviamente sono due sulle dieci presenti. Il 20% del numero di edizioni di tutte le edizioni del

Tg1, ma costituiscono come tempo totale il 40% di tutte le edizioni. Se andiamo ad analizzare

gli ascolti le sole edizioni principali costituiscono il 53% del totale degli ascolti, quindi le

edizioni principali del Tg1 fanno il 53% degli ascolti disponibili tra tutte le edizioni del Tg1.

Tg2 e Tg3: la percentuale degli ascolti è ancora più alta. Il totale è il 63% del Tg2, il Tg3 il

58%. Se poi passiamo alle trasmissioni vediamo che, sempre nel corso del 2010, Porta a Porta

in 139 puntate (abbiamo monitorato le principali trasmissioni di approfondimento, ma anche lì

si può discutere su cosa sia l’approfondimento e infatti è uno dei temi che ci propone il

Professor Zaccaria): 139 puntate erogano in termini di ascolto 207milioni di ascolti,

sommando l’ascolto medio di ogni puntata viene fuori questo numero. Ovviamente di metodi

di analisi ce ne possono essere parecchi per incrociare gli ascolti al tempo, però questo è uno,

ne abbiamo elaborati anche diversi forse più articolati, ma questo è uno. L’ascolto medio di

una puntata è di 1,5milioni; Ballarò in 33 puntate ha erogato ascolti di 135milioni; Anno Zero

in 32 puntate ne ha erogati 161milioni. Già vediamo una differenza: per esempio tra Anno

Zero e Ballarò, con una puntata in meno ha circa 30milioni di ascolti in più Anno Zero

rispetto a Ballarò. Singolarmente e nominalmente Anno Zero ha ascolti maggiori rispetto a

Ballarò. In conclusione come detto in precedenza l’ascolto in realtà sempre più non dipende

dall’ospite presente in studio che può fare oscillare l’ascolto, ma in realtà è un ascolto dato,

presente e già conosciuto e noto indipendentemente da chi c’è: dai grafici la linea arancione

presenta l’ascolto medio di tutte le puntate, poi andiamo sulla parte di analisi delle presenze

politiche e si vede che in termini di ascolti dei soggetti politici tra Anno Zero, Ballarò e Porta

a Porta, per tutte e tre le trasmissioni insieme da marzo ad oggi, il 60% degli ascolti sono fatti

da due forze politiche, il 70% degli ascolti sono erogati da tre forze politiche, il 78% fino a

cinque forze politiche che erogano rispetto ai telespettatori l’85% degli ascolti. Allora per

arrivare alla fine, come ad esempio sull’ultima campagna referendaria: quanti sono

effettivamente i cittadini che hanno potuto approfondire le tematiche per cui poi alla fine sono

stati chiamati a votare? Quindi la par condicio non a uso della politica ovvero come possibilità

per il cittadino di conoscere per deliberare. Grazie.

Enzo Cheli

Punti critici della disciplina attuale in tema di “par condicio”

Tra le domande fatte circolare da Roberto Zaccaria mi sembra utile soffermarsi in particolare

su quelle indicate nel punto 1 e nel punto 9, con riferimento all'efficacia della legge 28 del

2000 e del suo impianto sanzionatorio.

Sin da quando è stata promulgata, ho sempre pensato che la legge 28 fosse ben giustificata

nelle sue finalità, ma poco efficace ed inadeguata nell’impianto del suo modello di disciplina.

Quale Presidente dell'AGCOM ho avuto modo di sperimentare direttamente l'iniziale

applicazione della legge, in un periodo particolarmente difficile per l'Autorità, e non conservo

un ricordo esaltante di quella fase. Per l’applicazione della legge durante le campagne

elettorali a Napoli avevamo istituito un centro di ascolto presidiato dalla Guardia di finanza

con tre finanzieri presenti a turno nell’arco dell’intera giornata. Avevamo anche istituito una

serie di collegamenti con alcuni centri di monitoraggio, in particolare con l' Osservatorio

Pavia. La Commissione servizi e prodotti stava praticamente riunita in modo permanente. Ma

nonostante questo apparato, l'impressione che avevamo era quella di vuotare “il mare con un

cucchiaio”, perché si arrivava sempre con un certo ritardo a sanzionare i casi che sorgevano e

la sanzione si presentava alla fine sempre insufficiente rispetto al danno che era già stato

creato.

Oggi la situazione è certamente migliorata, ma restano vari punti su cui occorre riflettere.

Centrata sul sistema radiotelevisivo (anche se con alcuni riferimenti alla stampa) e finalizzata,

in primo luogo, a regolare gli spot (che avevano inciso fortemente nella campagna elettorale

regionale del 1999) la legge 28 ha cercato di costruire un quadro di regole sostanzialmente

surrogatorie rispetto all’assenza di una adeguata disciplina antitrust e di una seria disciplina

sul conflitto interessi nel settore dei media.

I limiti maggiori di questa legge, caratterizzata da un impianto molto compromissorio, sono, a

mio avviso, tre. Il primo è dato dall'eccessiva minuziosità della sua disciplina. La legge si

presenta troppo dettagliata e quindi poco adatta alla flessibilità e velocità del mezzo che

dovrebbe tenere sotto controllo. In secondo luogo, il suo quadro sanzionatorio manifesta una

scarsa efficacia, in quanto basato prevalentemente sulla tecnica del riequilibrio o su sanzioni

pecuniarie non particolarmente dissuasive, soprattutto per gli operatori più forti. In terzo

luogo, la legge si caratterizza per una incongrua distinzione dei soggetti investiti del potere di

controllo, dividendo tra la Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza sui servizi

radiotelevisivi e l’AGCOM le competenze in tema di emittenza pubblica e privata.

Se si dovesse oggi affrontare il tema di una riforma della legge 28 suggerirei, quindi, in primo

luogo, una linea di semplificazione del suo impianto, da orientare non tanto verso la disciplina

quanto verso la semplice abolizione degli spot elettorali, così come succede nella maggior

parte dei paesi europei. In secondo luogo, punterei sul rafforzamento del quadro sanzionatorio

e sull’ampliamento della discrezionalità dell'AGCOM nell'applicazione delle diverse sanzioni.

Infine, concentrerei nell'AGCOM tutte le competenze con un trasferimento alla stessa delle

competenze sul servizio pubblico oggi assegnate alla Commissione parlamentare.

Si aggiunga che la legge 28, nata già vecchia, si presenta oggi ancor più datata.

Dopo i recenti referendum ci si chiede, infatti, chi abbia portato ventisette milioni di elettori al

voto, considerata la crisi dell’istituto referendario in cui il quorum dei votanti negli ultimi

quindici anni non ha mai superato il 38% degli aventi diritto. Si aggiunga che, nonostante gli

interventi sollecitatori della Commissione parlamentare e dell’Agcom, la promozione

televisiva, per questi ultimi referendum, non è stata nel complesso, particolarmente incisiva.

E allora come si spiega un risultato di queste proporzioni? Credo che il risultato si possa

spiegare solo pensando al ruolo che hanno giocato nella partita i nuovi media, connessi ad

Internet e ai social networks. E si può spiegare anche con l’influenza che oggi il fattore

generazionale sta assumendo sulla comunicazione politica. Dopo le elezioni del 2006 sei

nuove generazioni si sono, infatti, affacciate sulla scena politica e sono tutte generazioni di

“nativi digitali”. Come è accaduto di recente negli Stati Uniti, in Francia e nelle democrazie

emergenti nella sfera africana e mediorientale l’uso di Internet sta, quindi, assumendo un

ruolo decisivo anche nel nostro paese dove si è raggiunta una soglia di utenze che superano

ormai i 25 milioni.

Se la comunicazione politica non trova, dunque, più nella televisione lo strumento dotato di

maggiore efficacia, nasce questa domanda: è possibile estendere la disciplina oggi operante in

tema di “par condicio” anche ad Internet ed al sistema dei nuovi media? Credo che la risposta

a questo interrogativo non possa che essere negativa per la natura stessa di questi mezzi e per

le particolari modalità della loro fruizione.

Di fronte alle difficoltà di estendere alla rete i controlli connessi al rispetto della “par

condicio” acquistano, dunque, nuova attualità e urgenza le discipline destinate a incidere sulle

condizioni pregiudiziali e, se vogliamo, “ambientali” della comunicazione elettronica

destinata alla stessa politica, quali sono le discipline in tema di conflitto di interesse e di

finanziamento delle campagne elettorali.

Achille Chiappetti

Par condicio, una disciplina da rielaborare

Quello della par condicio è un campo nel quale fino ad oggi non mi sono mai espresso in

maniera specifica, salvo qualche intervento sulla stampa quotidiana, e che ho, dunque, seguito

in maniera generica e non strettamente scientifica. Ed è per tale ragione che ho letto con

estrema attenzione i quesiti, essendo conscio di non essere interamente al corrente delle

molteplici vicende che si sono verificate in concreto riguardo alla sua applicazione. Ho

pertanto scelto di dare una risposta che li consideri nel loro complesso.

In tale ottica, la prima considerazione che ritengo di dover fare è che sono totalmente

d’accordo con quanto ha osservato Enzo Cheli nella parte finale del suo intervento; ossia, che

-pur trattandosi di una legge avente un ruolo necessario, anzi, essenziale, per il funzionamento

della democrazia nello snodo fondamentale della comunicazione e dell’informazione- essa

appare per non pochi versi non pienamente rispondente a tale ruolo. E voglio aggiungere che,

a ben vedere, la plausibilità di questo dubbio è confermata anche dalla lunga serie dei quesiti

posti da Lanchester. In effetti, non vi è uno di questi interrogativi che non evidenzi aspetti

obiettivamente perplessi della legge n.28 del 2000, dando in tal modo un senso complessivo

della sua probabile manchevolezza e della necessità di apportarvi dei correttivi, a mio avviso,

radicali.

Il punto di partenza dell’analisi della legge non può non connettersi alla circostanza che la

normativa italiana sulla par condicio è stata condizionata dall’approccio iniziale, dovuto

all’ideologico innesto nel nostro ordinamento “politico” del concetto di equal time rule,

venuto in essere nell’ordinamento dagli Stati Uniti d’America. In altre parole, si è voluto

trapiantare un istituto conformatosi nell’ambito un sistema politico totalmente diverso dal

nostro, sia dal punto di vista della tradizione, sia dal punto di vista del’assetto dei partiti che in

esso concorrono, sia, infine dai modus tipici di agire delle forze politiche e della

partecipazione democratica di quel grande Paese. E questo ha costituito un appressamento

evidentemente rudimentale, specie per le fondamentali differenze che intercorrono tra una

democrazia che da più di duecento anni si fonda su regole di confronto sostanzialmente

elementari, ma obiettivamente efficaci in quel sistema fondato su di una civiltà politica

totalmente diversa dalla nostra e talmente unica da consentire il funzionamento di un assetto

dualistico praticamente solitario nel mondo. Ed è questa peculiarità, che ha consentito che

nella Repubblica a stelle e strisce sia pacificamente accettata la convivenza di due regole che,

invece, non siamo riusciti ad assimilare contestualmente: la rule dell’equal time e quella della

fairness doctrine, ovvero la simultanea soddisfazione dell’esigenza di dare equivalent

opportunity a tutti i candidati da una parte, e quella del balanced point of view in ogni

dibattito, dall’altra.

Vero è che gli americani sono facilitati dal fatto che le loro regole della par condicio operano

in un sistema sostanzialmente bipartitico mentre in Italia, abbiamo a che fare con una forma di

governo estremamente articolata ed un assetto partitico nel quale non vi è chiarezza alcuna.

Ma ciò non giustificherebbe il fatto che, ancora dopo venti anni, stiamo ancora navigando a

vista riguardo al contemperamento tra quelle due regole o concetti che nel loro insieme

costituiscono la par condicio (in senso lato); un problema, cioè, che invece meriterebbe di

essere accuratamente risolto, senza il condizionamento di preconcetti politici, tanto più che è

proprio la farraginosità del nostro sistema partitico, nel quale convivono partiti di diversa

entità e presenza nelle istituzioni, che rende assolutamente necessaria tale risoluzione (e che,

di fatto, la impedisce). Eppure, cosi è: il confronto attorno alla riforma o, meglio, alla

revisione della legge n. 28 non riesce a progredire nonostante si tratti di una disciplina

assolutamente essenziale per il funzionamento della democrazia. Non si tratta certamente di

una critica aprioristica, ma vi è un dato che appare certo: è vero che abbiamo tratto dal

sistema americano un prodotto che risolve in maniera sbrigativa lo snodo tra le due anzidette

componenti della par condicio, apparendo persino rudimentale ma è altresì vero che la

legislazione italiana, che si è fermata ormai da diversi anni su di una legge che s’incentra

esclusivamente sulla regola della equal time (o della equivalent opportunity) si sta

dimostrando un meccanismo sinceramente grezzo e non adeguato alla complessità dell’assetto

partitico italiano che ancor oggi è fermo alle soglie di un asfittico bipolarismo.

Ritengo che sono, appunto, le numerose domande che Lanchester ci ha sottoposto ad

evidenziare che manca ancora una piena chiarezza su quale è l’oggetto da tutelare o da

regolare e, di converso, quali siano le deviazioni da sanzionare o da colpire; quali sono i

parametri sulla base dei quali operare, e quali sono le regole utili per far funzionare la par

condicio in un sistema quale è quello italiano in cui vi una enorme prolificità di partiti specie

piccoli e una ingiustificata tendenza alla loro sopravvivenza. I quesiti segnati, dai punti 3, 6,

7, 8 e 9 evidenziano proprio questa incapacità di crescita - diciamo così - della legge vigente.

Anch’io volevo (e devo riconoscere che anche qui Cheli mi ha anticipato con le sue parole)

richiamare l’attenzione sul fatto che, effettivamente, alla legge n. 28 è stato imposto un

compito estremamente difficile; quello, cioè, di risolvere il nodo complessivo della disciplina

della par condicio, comprensivo del balanced point of view, partendo da un atto che ha come

nerbo logico centrale quello della equal time. Operazione, questa di estrema difficoltà che si

presenta ogni qual volta si provvede a calare in un sistema politico specialissimo, quale è

quello italiano, dei modelli stranieri, specie se parzialmente recepiti. Operazione che ha avuto

come risultato finale una legge sempre più articolata e dettagliata e, perciò rigida e favorente

sviamenti applicativi e possibili abusi da parte di chi è chiamata ad applicarla.

Mi interessa, pertanto, richiamare l’attenzione su di un’esigenza che parte dal fatto che

l’attuale legge 28, come successivamente modificata ed integrata, non abbia progredito sulla

linea di un maturato raffinamento dei principi sulla base dei quali occorrerebbe operare e sul

fatto che è questa la ragione per la quale è stata invece posta in essere in poco tempo una ricca

giungla di regole di mero dettaglio, che alla fin fine impattano contro le regole di libertà, che

dovrebbero applicarsi per la manifestazione del pensiero, tanto più nel dibattito politico. Vero

è che tale modus procedendi è stato anche causato da contingenze politiche ma sarebbe

comunque opportuno procedere al più presto senza necessariamente attendere che avvenga

quel cambiamento “epocale” che starebbe per avvenire nella politica italiana in base alle

vicende di questi ultimi mesi – che, a dire di alcuni consentirebbe di affrontare la revisione

della par condicio in una situazione di minore difficoltà. Ma mi rendo altresì conto che

l’attualità dei nodi politici è molto condizionante: si è già tanto parlato, in questo pomeriggio,

del declino di Berlusconi. Ebbene, mi sia consentito di dire che, se il quadro dovesse

modificarsi come molti sperano, mi auguro che si possa finalmente compiere un’analisi più a

freddo del vero nucleo di inadeguatezza della legge, non fondandosi sulla passione politica,

dato che i problemi non si esauriscono nell’esigenza di bloccare un politico (e il suo partito)

che detiene dei mezzi televisivi, ma consistono principalmente nella difficoltà di ricostruire un

sistema normativo della par condicio che sia adeguato alla peculiarità delle situazioni ed

occasioni di conflitto tipiche del nostro complicato assetto politico-partitico. Ma tutto ciò, ad

avviso di un profano quale io sono, comporta a ben vedere una considerazione insuperabile:

occorre abbandonare la prassi, cui si è ricorsi per correggere il sistema, di dettagliare sempre

di più l’originale impianto della legge n. 28. Occorre, piuttosto, impiantare e rendere diffusa

una diversa cultura della par condicio, più razionale, più moderata e meno repressiva di

quanto non sia fino ad oggi avvenuto.

È ovvio che, se questo è il reale stato delle cose, appare fondamentale l’apporto del dibattito

dottrinale, al quale è demandato di analizzare in profondità, tralasciando, per un momento, la

legge (che è comunque vigente e che continuerà a funzionare più o meno adeguatamente nel

frattempo).

Occorre, infatti, tornare a verificare quali sono le reali necessità per un corretto dibattito

politico e per una corretta informazione politica nel nostro articolatissimo sistema politico e

calibrare su di esso un insieme elastico di garanzie per la par condicio che non alteri il

dibattito e il confronto. Tutto il sistema dei limiti e dei divieti che hanno ingabbiato (ma, in

realtà, deformato) l’informazione politica nel nostro Paese è stato costantemente prodotto

dalle particolarissime situazioni in cui ha versato nel corso dei decenni il nostro sistema

politico: dapprima con la perdurante centralità della Democrazia Cristiana degli anni ‘70-‘80

(cui ha fatto seguito il riparto politico dei tre canali della televisione di stato come

“strumento” di pluralismo esterno) e con la successiva vicenda berlusconiana (cui ha fatto

seguito l’appesantimento e la degradazione della legge sulla par condicio) Ma ora, ciò che può

e deve emergere dall’odierno confronto è appunto l’esigenza restituire ai cittadini un

confronto politico meno condizionato da uno incompleto o, meglio, squilibrato pluralismo al

quale si è ritenuto di fare fronte con un accumulo di interventi sanzionatori al limite della

censura che è progressivamente divenuto il sistema di tutela della par condicio.

Un contributo, quello della dottrina, che appare tanto più necessario, laddove si tenga presente

la difficoltà in cui versa la Corte costituzionale quando è chiamata ad esprimersi sui principi

cardinali del diritto d’informazione per giudicare della legge della par condicio, restando essa,

per sua tradizione, necessariamente ancorata, come hanno fatto con evidenza le sentenze n.

161 del 1995 e n, 155 del 2002, al principio della parità di trattamento di accesso di “tutti i

soggetti politici”, ossia alla sola rule dell’equal time sulla quale è basata principalmente, se

non esclusivamente, la nostra legislazione. La stessa sentenza n. 155 comprova come le giuste

esigenze di salvaguardare il nostro sistema della par condicio impongano l’inedita lettura di

svariati istituti, a partire dalle ragioni fondanti della previsione legislativa delle concessioni

radiotelevisive fino alla pretesa di dovere “prevenire in ogni modo qualsiasi influenza, anche

«in forma surrettizia», sulle libere e consapevoli scelte degli elettori”.

Forse è venuto il tempo di districarci da questioni astratte e argomentazioni che possono

giustificare tutto o il contrario di tutto. Faremmo bene a divenire (con molta prudenza) un po’

più pragmatici, meno bizantini ed un pochino più americani.

Tra l’altro non posso non condividere il fatto, che rilevava pure da ultimo Enzo Cheli, che in

realtà stiamo ancora rivangando un discorso che già un po’ appare del passato come avveniva

quando ancora di recente dibattevamo del monopolio televisivo e, poi, del duopolio, senza

avvederci che ci si accapigliava attorno a qualcosa che era già in parte superato dalle nuove

realtà tecniche. Anche qui abbiamo lo stesso scenario, stiamo ancora discutendo di campagne

elettorali, di par condicio, su un mezzo – non posso che essere d’accordo - che è in pratica

sempre meno utilizzato e sempre meno rilevante specie nei ranghi dei giovani che si affollano

di più ogni anno che passa. D’altronde, non posso non notare come, se una trasmissione fa

audience, non lo fa solo per forza propria, ma perché è rilanciata e moltiplicata dalla stampa o

da internet.

Il merito di questa tavola rotonda, tuttavia, non dovrebbe consistere nell’aver proposto idee

per regolamentare anche la formidabile e inafferrabile macchina della rete ma piuttosto quello

di tenere presente la sua rilevanza per ricalibrare in maniera più elastica la disciplina della par

condicio. È, dunque, condivisibile l’idea secondo la quale, per procedere al suo

ammodernamento, occorre ripensarla nell’ambito di un sistema di comunicazioni ormai molto

diverso da quello esistente nel 1990.

Giovanni Cuperlo

Par condicio: siamo gli artefici o le vittime?

Ringrazio molto il professor Fulco Lanchester e Roberto Zaccaria per questo invito. Siccome

è giusto rispettare il tempo previsto mi limito a due sole considerazioni. La prima è di

carattere generale. Credo che negli ultimi dieci anni più che artefici noi siamo stati le

“vittime” di questa par condicio. E dico questa perché ovviamente non mi riferisco al

principio in astratto ma alla concreta legge 28 del 2000 e alle necessità che l’avevano istruita.

Il punto è sempre lo stesso: la profonda anomalia che tante volte abbiamo discusso nel corso

di questa lunga stagione. Più precisamente il fatto che in altri paesi vi sarebbe stato un

intervento a monte e non a valle del conflitto d’interessi che ha modulato per quasi vent’anni,

non solo le competizioni elettorali ma il profilo stesso della nostra democrazia e le forme

innovative del linguaggio e della comunicazione politica. La mia è anche una nota autocritica

perché è come se la politica di fronte a un ostacolo nuovo, almeno nelle dimensioni, avesse

riconosciuto la propria impotenza, delegando la soluzione del problema a un altro ambito

disciplinare che è stato quello della comunicazione con le sue articolazioni nel campo del

diritto, della sociologia, dello stesso dibattito sul pluralismo dell’informazione. Ora, questa

delega aveva anche delle giustificazioni. Cito solo la più nota. E cioè che già nel 1994 il neo

premier Berlusconi era nella sostanza ineleggibile per la ragione che tutti conosciamo. Ma il

fatto che la decisione in materia fosse demandata a una giurisdizione domestica – la Giunta

per le elezioni della Camera dei Deputati, come noto, è composta secondo criteri che

riproducono la maggioranza parlamentare – fece sì che ciò che non era compatibile con le

regole divenisse all’improvviso compatibile con le cose. Di fronte a quel primo risultato

elettorale (anche se il mio partito di allora votò contro la delibera della Giunta) non abbiamo

ritenuto ragionevole sollevare la questione nei termini radicali che avrebbe meritato. E su

questo ovviamente è legittimo avere opinioni diverse. Personalmente ricordo le ragioni che

indussero a evitare nell’immediato uno scontro frontale sul punto che ho citato, e proprio per i

ricordi che ho mi sento di respingere una lunga serie di dietrologie proliferate negli anni

seguenti e tutte rivolte a motivare quel primo passaggio come la prova fattuale di una rinuncia

del centrosinistra, o parte di esso, a condurre la battaglia sul nodo di fondo del conflitto

d’interessi. Resta il fatto che fino da allora si sono create le premesse perché la valanga, come

avviene in natura, si alimentasse della sua stessa discesa costringendo soggetti diversi,

comprese istituzioni di garanzia e autorità indipendenti, a cercare con ogni mezzo di arginare

una discesa a valle resasi già a quel punto inevitabile. Ecco, io penso che la legge 28 del 2000

sia stata nel corso del tempo uno degli strumenti che noi abbiamo piantato nel terreno –

diciamo uno degli alberi – che aveva la funzione di rallentare l’inerzia della corsa. Poi, si può

discutere se lo abbia fatto bene o male ma comunque di questo si è trattato: di un albero

contrapposto a una valanga. E dunque di uno strumento che persino aldilà delle sue

imperfezioni e dei limiti della sua applicazione era in sé troppo poco per risolvere l'anomalia

di fondo e troppo se rapportato alle caratteristiche fisiologiche di una competizione elettorale

in una democrazia matura. A quel punto, la stessa distribuzione dei ruoli, quasi

inevitabilmente, si è adattata al contesto: per cui da una parte abbiamo conosciuto la

regressione di professionalità votate alla fedeltà nei confronti del nuovo potere. Dall’altra si è

perfezionata la denuncia, in tutto e per tutto giustificata, degli abusi che quel “potere

squilibrato” e privo di contrappesi andava accumulando. Ora, noi da diversi anni siamo come

prigionieri – vittime appunto – di questa dinamica. Ed è probabile che ne usciremo – perché

prima o poi ne usciremo – non tanto per via amministrativa o legislativa, ma come è giusto

che sia per via politica e aggiungo, attraverso quel sussulto culturale del paese che le vicende

più recenti fanno intuire come abbastanza prossimo. Detto ciò sul merito vorrei aggiungere

solo un paio di notazioni. Se il quadro di riferimento è quello accennato, allora tra le

conseguenze di questa lunga anomalia del nostro modello di competizione c’è anche la

paralisi di una evoluzione della comunicazione politica che altrove ha conosciuto uno

sviluppo magari contraddittorio ma comunque progressivo. In altre parole tra le tante

responsabilità della concezione berlusconiana della democrazia c’è stato anche un blocco

nella modernizzazione del linguaggio e di codici espressivi della politica che troppo a lungo

sono rimasti compressi dentro format e griglie di regole forzatamente irrigiditi. E’ stata come

una bolla, una sospensione del tempo che ha costretto anche noi a concepire la competizione

elettorale più come un campo di vincoli che come un’arena di potenzialità. E però dietro

questa necessità si sono mescolati approcci diversi, con elementi di conservatorismo anche

nella nostra metà del campo. Potrei citare il divieto degli spot. Giustamente proibiti per

l’ovvia ragione che non c’è logica nel pagare il tuo diretto competitore e non esiste nessuna

democrazia al mondo disposta a tollerare un abuso del genere. Ma in diversi, invece, hanno

giustificato quella decisione, in sé alquanto discutibile, con la non compatibilità tra una

comunicazione visiva e concentrata (come appunto nel caso di uno spot) e la complessità del

discorso politico. Non sto parlando di tempi remoti. Ad esempio di quando un editoriale di

Rinascita, il settimanale teorico del Pci, bollava l’introduzione della Tv a colori come

un’azione contraria agli interessi dei lavoratori e della democrazia. Parlo di motivazioni

argomentate più di recente, ma che – e così veniamo all’attualità – stridono in modo

clamoroso con l’impatto che la Rete e l’uso del marketing virale hanno avuto nel recente voto

amministrativo e referendario. Quindi intendo dire che noi siamo di fronte ai segni di una

agitazione profonda delle modalità, dei contenuti e degli strumenti che accompagnano la

formazione dell’opinione pubblica e la sedimentazione del consenso. Il che non deve farci

abbassare la guardia sui nodi tuttora non risolti, a partire dal contenimento di quel conflitto

d’interessi che ci portiamo in eredità dal secolo passato, ma neppure può impedirci di vedere

una trasformazione accelerata della politica, della comunicazione e della partecipazione che si

intrecciano in uno scenario già oggi mutato e, a quanto pare, destinato a mutare sempre di più

nel futuro. Naturalmente, conviene essere realisti, soprattutto perché le statistiche ci spiegano

che una percentuale elevata di persone, e non solo di quelle meno acculturate, tende tuttora a

formarsi un’opinione attraverso i Tg delle due ammiraglie o tramite i contenitori di più bassa

qualità delle reti generaliste, però è forte l’impressione di due mondi che si sovrappongono,

come avviene sempre nelle fasi di transizione. E allora, certo da una parte c’è il direttore in

carica del TG1 che nell’edizione delle 20.00, la sera del primo turno delle elezioni

amministrative programma un servizio che nell’audio denuncia la vittoria della sinistra

radicale e nel video monta non le immagini contestualizzate di Pisapia o Zedda, ma quelle

delle teche Rai di Pecoraro Scanio e Diliberto. Dunque da una parte c’è questa faziosità, ma

dall’altra, soprattutto se pensiamo a quest’ultimo referendum, c’è una dinamica sociale, nel

senso di nuove aggregazioni e movimenti che invadono spazi via via più ampi del vecchio

bacino comunicativo. E’ un po’ un braccio di ferro che sarà interessante seguire nel suo

andamento. Sapendo che almeno dal punto di vista della muscolatura e del vigore giovanile la

bilancia pende chiaramente da una parte. Infine, cosa fare in una fase di transizione tra

vecchio e nuovo che non sarà comunque brevissima per rendere più efficaci le garanzie di

equilibrio e di equità tra i diversi soggetti? Rispondo, due cose. La prima è prendere atto che

non tutto è normabile. Lo ha capito anche la destra che ha tentato di applicare le regole della

comunicazione elettorale ai programmi di informazione politica. Il punto è che una cosa era

la televisione delle tribune: con spazi definiti e condivisi dove si misurava la dialettica tra i

partiti. Un’altra televisione è quella che ha dilatato il discorso politico nei palinsesti con

ricadute che neppure a volerlo si possono ricondurre entro confini limitati. Ovviamente questa

evoluzione pone nuovi problemi, ad esempio, il notevole potere, e talvolta l’arbitrarietà, che

consente ai singoli conduttori di selezionare i protagonisti del conflitto politico, ma questa

casomai è materia di un convegno separato. Ciò che non si può fare è ricondurre l’intera

disciplina sulle campagne elettorali a meccanismi tipici di altre stagioni e di contesti diversi.

La seconda e ultima osservazione riguarda le sanzioni: su questo piano si è visto anche di

recente che qualcosa si può fare ma solo se l’autorità garante è chiamata ad agire con

tempestività e quindi “prima” che il danno conseguente all’eventuale abuso si risolva in un

esito del voto condizionato dall’abuso stesso. Credo che su questo punto sia giusto insistere in

futuro anche accentuando le sanzioni e senza timore di aggredire più duramente i soggetti

editoriali e proprietari che si dovessero rendere protagonisti di violazioni delle norme a

tutt’oggi in vigore. In sintesi, direi che ragionando di questi temi molto sta cambiando e molto

cambierà ma proprio questi mutamenti devono restituire, in primo luogo alla politica, un po’

più di coraggio, di autonomia e di autorevolezza, anche sul piano culturale. Il che vuol dire

avere piena coscienza dei nostri limiti pregressi ma, nel limite del possibile, rivolgere lo

sguardo in avanti. Tutto qui, ma non è poco.

Filippo Donati

Par condicio e nuovi media

1. Premessa – Limiti di tempo non mi permettono di seguire la traccia distribuita, che elenca

10 punti problematici di cui ciascuno è meritevole di attenta considerazione. Mi concentrerò

pertanto sul punto 1 della traccia, che pone l’interrogativo relativo alla perdurante

adeguatezza delle vigenti regole della comunicazione politica e all’eventuale opportunità di

un loro adeguamento.

Procederò ad alcune considerazioni al riguardo, scusandomi per la loro scarsa sistematicità.

Premetto che l’attuale quadro legislativo sconta tuttavia alcuni problemi difficilmente

risolvibili: non solo l’eccesiva minuziosità della regolazione e l’individuazione di distinti

poteri regolatori per la concessionaria pubblica e le emittenti private, ma anche l’incertezza

della distinzione tra informazione e comunicazione politica. Sotto quest’ultimo profilo ci

possono essere casi eclatanti, come il recente intervento del Presidente del Consiglio sui

notiziari del 21 maggio scorso, poco prima del voto di ballottaggio alle elezioni

amministrative del 29-30 maggio. In quel caso era obiettivamente difficilmente contestabile

che l’intervento del Presidente del Consiglio fosse un vero e proprio spot elettorale, volto ad

esprimere opinioni e valutazioni politiche al di fuori delle regole della par condicio al fine di

incidere sull’esito della competizione elettorale. Del tutto giustificata pertanto appare la

sanzione che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM ) ha comminato per

questa vicenda. In altri casi la distinzione può essere più difficile. E’ inevitabile, ad esempio,

che riguardo a determinati eventi (si pensi ad esempio alla recente vicenda della guerra in

Libia) sia indispensabile garantire spazio a esponenti del governo. In molti casi, del resto, non

è facile stabilire se si tratta di comunicazione politica oppure di informazioni che trovano la

loro giustificazione nell’attualità della cronaca e nell’interesse pubblico alla loro conoscenza.

Proprio per evitare problemi di questo tipo occorrerebbe introdurre una disciplina basata su

alcune norme di principio la cui applicazione è affidata ad un’autorità indipendente e

autorevole. In particolare ritengo preferibile una disciplina che prescinda dall’applicazione

meccanica di regole quantitative e che consenta invece all’organo di vigilanza un’indagine sul

merito volta a verificare eventuali violazioni dei principi in materia di par condicio. La

vicenda relativa alle comunicazioni del Presidente del Consiglio dello scorso 21 maggio, su

cui è si è avuta una decisione dell’AGCOM a mio avviso del tutto condivisibile, dimostra che

questa è una strada percorribile. Occorre però tenere in considerazione il fatto che, in più

occasioni l’AGCOM, è stata accusata di scarsa terzietà e indipendenza. Qui si apre il tema

relativo all’idoneità dell’AGCOM a verificare e sanzionare le regole in materia di par

condicio.

Lascio tuttavia da parte il problema relativo all’autonomia e all’indipendenza effettive

dell’AGCOM, che rischierebbe di portarci fuori tema, e passo svolgere alcune brevi

valutazioni su una questione ovvero preliminare: se è ancora necessaria una disciplina sulla

comunicazione politica così penetrante e pervasiva come quella attuale.

2. La televisiva perdurante necessità di una disciplina della comunicazione politica – Il punto

di riferimento obbligato per rispondere a questo interrogativo è ancora oggi la sentenza della

Corte costituzionale n. 155 del 2002.

La decisione della Corte si basa su due presupposti di fatto: (i) la “particolare forza

penetrativa” della televisione, che giustifica una disciplina specifica per questo mezzo

trasmissivo, e (ii) la mancata realizzazione del pluralismo informativo, per effetto della

limitazione delle emittenti. Partendo da questi presupposti la Corte ha ravvisato la necessità di

assicurare un “pluralismo sostanziale” mediante la garanzia di “parità di condizioni” a tutti i

soggetti politici. In quella prospettiva la Corte ritenne che la disciplina contenuta nella legge

n. 28 del 2000 realizzi un ragionevole bilanciamento tra il profilo attivo della libertà di

informazione e l’interesse generale ad una completa ed obiettiva informazione del cittadino

per il corretto svolgimento del confronto politico.

Dal 2002 a oggi, però, molte cose sono cambiate. L’avvento della televisione digitale ha

moltiplicato le risorse trasmissive. La televisione digitale satellitare e terrestre ha permesso di

superare quella limitatezza delle emittenti cui si riferiva la Corte nella decisione del 2002.

Altro fattore di novità è collegato alla diffusione di internet. Il Presidente dell’AGCOM ha

posto l’accento, nella sua recente relazione al Parlamento, sull’importanza centrale che i

social network hanno assunto nel mondo dell’informazione di oggi. Ha rilevato a tal riguardo

che proprio i social network hanno fatto da detonatore delle rivolte nei paesi del Nord Africa e

del Medio oriente. E’ inoltre risaputo che l’elezione di Barack Obama è stata favorita da un

attento e capillare uso dei social network.

Oggi siamo bombardati dalle informazioni. I partiti politici e i candidati hanno la possibilità di

diffondere le proprie idee e i propri programmi attraverso la rete, permettendo quindi ai

cittadini di realizzare il proprio diritto di essere informati nel modo più ampio e completo

sulle forze politiche in competizione e sui loro programmi.

Se ci dovessimo basare solo su queste considerazioni, probabilmente saremmo portati a

concludere che le nuove dimensioni del mondo dell’informazione impongono un

ripensamento di fondo sulla attuale disciplina italiana in materia di comunicazione politica.

Una conclusione del genere sarebbe però errata nel quadro attuale, per due concorrenti motivi.

Il primo motivo è che, come ha ricordato lo stesso presidente dell’AGCOM nella relazione

annuale, che ancora oggi è la TV “il veicolo di gran lunga prevalente per l’informazione”.

Il secondo motivo, non evidenziato nella sentenza 155/2002, attiene all’anomalia del caso

italiano, caratterizzato dal fatto che il leader di un partito e di una colazione oggi al governo

sia in grado di incidere su gran parte dell’informazione radiotelevisiva e a mezzo stampa. Tale

anomalia, ove non eliminata alla radice da una disciplina che imponga una netta ed effettiva

separazione tra soggetti politici e soggetti cui è direttamente o indirettamente riconducibile la

titolarità o la gestione dei mezzi di informazione, giustifica una disciplina volta a garantire la

par condicio sia nel periodo elettorale sia negli altri periodi dell’anno.

3. E internet? – Veniamo al quesito indicato al punto 1 della traccia. Il presidente

dell’AGCOM, nella sua recente relazione al Parlamento, ha evidenziato il problema relativo

alla possibile estensione della disciplina sulla par condicio anche alla comunicazione via

internet.

Qui si pone il grosso problema relativo alla garanzia della libertà della rete ed alla difficoltà di

interventi al riguardo. La rete è refrattaria per definizione a forme di censura sui contenuti.

Inoltre non è facile capire se le regole in materia di par condicio pensate per i media

tradizionali possano essere applicate al mondo di internet, e come si possa riuscire a garantire

l’osservanza di queste regole.

Il costante progresso della comunicazione diffusa attraverso la rete e la sua capacità di

influenzare settori sempre più ampi della popolazione pone il rischio che la par condicio, in

ipotesi garantita per le trasmissioni televisive, possa essere vanificata dall’informazione

politica trasmessa attraverso la rete.

Paolo Gentiloni Silveri

Legge necessaria per un'epoca al tramonto

La legge sulla par condicio è figlia di un'epoca che fortunatamente volge al tramonto:

un'epoca caratterizzata dal conflitto di interessi. Nell'autunno di questa stagione, la legge va

comunque difesa. Per quanto insufficiente e producente effetti distorsivi, si può con sicurezza

affermare che è meglio avere che non avere questa legge, almeno finché la situazione di fatto

non sia sostanzialmente mutata. Non si possono negare le inadeguatezze della disciplina sulla

par condicio: le tendenze negli anni sono state quelle di una eccessiva produzione di

regolamenti da parte dell'AGCOM e della CPIV e quella dell'AGCOM a farsi “dare coraggio”

dall'esterno, procedendo sola contro le emittenti e, di fatto, contro i soggetti politici.

L'AGCOM ha sempre cercato una pezza d'appoggio oggettiva, il cronometro ad esempio, per

poter procedere in modo chiaro ed incontrovertibile.

Così l'AGCOM ha operato una ossessiva “rincorsa al cronometro” ed un' ossessiva delega alle

denunce di parte senza le quali l'AGCOM ha stentato ad intervenire.

Altra inadeguatezza evidente dell'AGCOM è stato il silenzio sul conflitto di interessi. La

legge Frattini vieta il sostegno privilegiato da parte delle emittenti di un soggetto politico a

quello stesso soggetto politico. Nelle ultime campagne elettorali (cioè negli ultimi 4 anni) ci

sono stati da parte dell'AGCOM 10 provvedimenti contro il Tg4, 6 contro Studio Aperto, 6

contro il Tg5. Se 22 diffide non sono in re ipsa la dimostrazione di un sostegno privilegiato,

non si capisce cosa altro potrebbero essere.

Nel futuro il sistema delle comunicazioni sarà diverso da quello attuale. Non farà testo

l'emissione lineare, ma il flusso di informazione. Solo per dare un esempio, il comitato Tv e

minori fino a qualche tempo fa controllava sei canali, adesso centinaia: soprattutto internet

rappresenta una vera sfida.

In questo contesto occorrono regole chiare: in primo luogo regole che evitino “l' accanimento

cronometrico”, in secondo luogo norme semplici applicabili da un Garante autorevole e

credibile e capace di agire d'ufficio. Il Garante attuale in questi ultimi tempi, per alterne

vicende politiche, si è trovato in una situazione in cui ha 4 consiglieri di maggioranza, 4 di

opposizione e un presidente autonomo. Per questo ha preso decisioni interessanti.

Altro elemento importante è agire su alcuni principi: la semplificazione delle norme e

l'autorevolezza del Garante possono funzionare solo se esiste una legislazione antitrust

adeguata e “normale” contro le posizioni dominanti.

Valeria Ferro

Il monitoraggio

In Italia il monitoraggio televisivo ha avuto inizio agli albori degli anni ’80 e, come avveniva

e avviene a livello internazionale, al centro delle rilevazioni vi erano i soggetti (singolari e

collettivi). Nel processo di evoluzione della comunicazione è stato necessario aggiungere, in

una seconda fase, un collegamento tra i soggetti e i temi trattati. Infatti, privilegiare un

argomento nella narrazione della realtà/politica può favorire i soggetti che a quel tema

dedicano iniziative e programmi. Si è tuttavia verificato che alcuni argomenti possono essere

riconducibili ad un soggetto pur non essendone rilevabile la presenza, indipendentemente

dalla sua volontà. Valgano come esempi il caso Ruby o la casa di Montecarlo. Nel tempo, è

stato quindi necessario conformare gli strumenti di rilevazione al fine di ottenere analisi più

adeguate come, ad esempio, l’utilizzo di un ampio thesaurus di parole-chiave (metodologia

Isimm Ricerche). Nell’ambito della rilevazione quantitativa, ciascun istituto di ricerca

propone un diverso approccio metodologico ed essendo impossibile che i dati di monitoraggio

restituiscano le informazioni nella loro interezza, i risultati dipendono dai filtri che vengono

applicati. Non esiste una metodologia valida per ogni tipo di analisi e immutabile nel tempo: è

quindi necessario introdurre correttivi e adeguamenti. Ad esempio, nelle sue rilevazioni

l’Osservatorio di Pavia propone il “tempo totale”, che permette di valutare la centralità di un

soggetto nel dibattito politico (il “tempo di antenna” di Isimm-Agcom, rappresenta invece

l’attenzione che l’emittente ha prestato al soggetto1), il Centro d’ascolto radicale propone di

parametrare le presenze agli indici d’ascolto, a prescindere dall’appeal del soggetto.

La legge 28/2000 ha introdotto nella comunicazione alcune regole che hanno sollevato

numerose critiche, talvolta in netta contraddizione tra loro, in particolare da parte di operatori

dell’informazione: la legge impone “il bilancino”, oppure, non vi sono regole certe che

indichino quali siano i comportamenti cui attenersi. Per quanto riguarda l’imposizione di spazi

e tempi rigidi, questi si riferiscono alle trasmissioni di “comunicazione politica” (le

tradizionali tribune politico-elettorali) e non ai telegiornali, ai quali vengono imposte le

antiche prescrizioni di correttezza, completezza e imparzialità. Occorre precisare, inoltre, che

le valutazioni sul comportamento delle emittenti da parte dell’Agcom sono in genere

supportate sia dai dati quantitativi che da ulteriori elementi, quali la presenza del

contraddittorio, l’analisi dei temi trattati, etc.

Chi invoca regole certe fa spesso riferimento all’unica normativa in materia, realizzata nella

Francia mitterandiana e da allora ampiamente rivisitata. La nota regola francese dei tre terzi

(un terzo del tempo al Governo, un terzo alla maggioranza parlamentare, un terzo

all’opposizione parlamentare) ha successivamente richiesto significativi correttivi, a partire

dalla rilevazione delle presenze del Presidente della Repubblica, oggetto di una attenzione

mediatica non indifferente, inizialmente escluse da quote. Una delibera del CSA francese del

luglio 2009 stabilisce che gli interventi del Presidente della Repubblica debbano essere

rilevati “in ragione del loro contenuto e del loro contesto”, se inerenti ai temi del dibattito

politico nazionale. Anche in Italia, Isimm Ricerche per conto dell’Autorità per le Garanzie

nelle comunicazioni, rileva i tempi dei soggetti istituzionali sulla base del diverso ruolo

assunto (es: a Fini può essere attribuito il ruolo di leader di partito o di Presidente della

Camera, a Berlusconi quello di Presidente del Consiglio, esponente di partito o ancora di

imprenditore). In Francia inoltre deve essere assicurata all’opposizione parlamentare almeno

la metà del tempo di intervento attribuita al Governo, alla maggioranza parlamentare, al

Presidente della Repubblica (nei suoi interventi di politica nazionale, come sopra descritti) e

ai suoi collaboratori. Per quanto riguarda le formazioni politiche non presenti in parlamento, il

CSA raccomanda di dedicare un non meglio definito tempo equo.

Un ulteriore elemento significativo nell’analisi dei dati di monitoraggio è il periodo di tempo

che si ritiene utile per una valutazione del rispetto del pluralismo. E’ infatti probabile che le

analisi relative ad un periodo breve producano dati eccessivamente condizionati dagli

avvenimenti in agenda. In merito, l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni pubblica i

dati con cadenza mensile2 (ad eccezione dei periodi di campagna elettorale, durante i quali le

pubblicazioni hanno cadenza settimanale). In altri Paesi, le valutazioni vengono espresse su

periodi più lunghi (trimestri, semestri o un anno).

I dati di monitoraggio, in conclusione, vanno letti attentamente, seguendo le avvertenze e le

indicazioni degli analisti, in modo da non incorrere in valutazioni non corrette. Ad esempio:

leggere le sole percentuali di presenza, tralasciando i valori assoluti, può essere fuorviante se

la base-dati è esigua.

1 Il “tempo totale” è costituito dalla somma del tempo di cui il soggetto fruisce

direttamente con la propria voce (intervista o intervento), di quello della mediazione

giornalistica (il giornalista parla del soggetto) e del tempo che il competitore politico gli

dedica. Il “tempo di antenna” è costituito dal tempo di cui il soggetto fruisce direttamente con

la propria voce (intervista o intervento) e di quello della mediazione giornalistica (il

giornalista parla del soggetto).

2 Benché nella delibera del 15 novembre del 2010 N. 243/10/CSP l’Agcom precisi che

“l’Autorità effettua d’ufficio la valutazione del rispetto del pluralismo politico e

istituzionale di ciascun telegiornale sottoposto a monitoraggio nell’arco di ciascun

trimestre.”

Ottavio Grandinetti

Par condicio e programmi informativi nella prassi dell’Autorità per le garanzie nelle

comunicazioni

Il principale oggetto di questo mio breve intervento è relativo alla informazione, ovvero ai

programmi informativi ed ai telegiornali.

Tuttavia, prima di entrare nel dettaglio di questo tema, vorrei riprendere alcune sollecitazioni

emerse nel corso del dibattito sin qui svolto.

Mi riferisco in particolare al fatto che la par condicio è solo uno dei tre principi cardine

individuati, dalla Corte costituzionale, a presidio del pluralismo informativo. Al riguardo, è

quasi superfluo ricordare, dinanzi ad una platea così competente, come gli altri due principi

siano il pluralismo interno, inteso come indipendenza ed obiettività della Rai, e il pluralismo

esterno, ovvero la presenza di una molteplicità e diversità di voci e quindi anche di posizioni

di controllo proprietario delle emittenti nazionali. Rispetto a questi due primi pilastri, la par

condicio tutela il c.d. pluralismo politico (o sostanziale) e rappresenta, quindi, il terzo pilastro.

È però evidente che, se pluralismo interno e pluralismo esterno non sono pienamente

realizzati, sulla par condicio finisce con lo scaricarsi il peso di riequilibrare il sistema nel suo

complesso: effetto che, però, la disciplina sulla par condicio non è in grado, da sola, di

realizzare.

È noto che il pluralismo esterno non è stato mai realizzato in Italia (v., tra le altre, C. cost. n.

420/1994 e n. 466/2002), tanto che potrebbe persino dirsi che in realtà ci si trova in una

situazione di illegittimità costituzionale (oltre che comunitaria: v. Corte di giustizia 31

gennaio 2008, C-380/05, “Centro Europa 7”) che dura da almeno venti anni. Né potrebbe

obiettarsi che il passaggio alle trasmissioni digitali terrestri abbia ormai risolto il problema,

ricollegando tale asserzione al fatto che vi è effettivamente una maggiore quantità di canali

televisivi nazionali. Infatti, l’attuale disciplina del pluralismo esterno, che continua ad essere

parametrata sul numero delle reti (quindi, in un’ottica assolutamente retrospettiva, ovvero

quella della televisione analogica), è ormai superata ed inidonea a misurare il grado di

pluralismo esterno nel nuovo ambiente digitale, in cui contano piuttosto i dati relativi

all’audience.

Ed allora, se si vanno a guardare i dati dell’audience (che è appunto il vero aspetto rilevante),

si può facilmente verificare come, pur in presenza di numerose canali nazionali, i duopolisti

del settore raccolgano pressoché tutta l’audience anche nel nuovo scenario digitale. Pertanto,

volendo riproporre la questione del pluralismo esterno, non si può ragionare in maniera

retrospettiva né si può liquidare l'argomento sostenendo che non esiste più un problema, per il

mero fatto che vi è una pluralità di reti.

Vi è poi un'altra sollecitazione emersa dal dibattito: internet. Occorre evitare di estendere

meccanicamente le attuali regole della par condicio ad un mezzo particolare come internet,

rispetto al quale è tutto da dimostrare che una disciplina di questo tipo possa servire. Bisogna

infatti considerare che internet ha probabilmente dei meccanismi di accesso molto più “attivi”

da parte degli utenti, tali da far sorgere un legittimo dubbio in merito alle regole da applicare

(eventualmente) a tale mezzo.

Vengo ora al tema più dell’informazione. Per chi ha seguito l’applicazione, in questo ambito,

della legge sulla par condicio da parte dell’Autorità, è possibile riscontrare, sia con la vecchia

che con l’attuale composizione dell’Autorità, una grandissima confusione nelle stesse delibere

dell’Agcom. Solo per fare un esempio si può constatare come la stessa Autorità in varie sue

delibere affermi candidamente che «le disposizioni previste nella legge e quelle di rinvio alla

legge stessa contenute nei regolamenti della Commissione parlamentare per l'indirizzo e la

vigilanza e quelle della stessa Autorità per la garanzia nelle comunicazioni non sono

univoche» (tra le altre, v. le delibere 85/09/CSP e 73/08/CSP). La stessa Autorità detta quindi

una disciplina regolamentare di cui riconosce la sostanziale contraddittorietà, sia intrinseca

che in rapporto alla normativa primaria del settore.

Per altro, è la stessa Autorità a chiarire gli aspetti in relazione ai quali viene a crearsi questa

contraddizione. Viene innanzitutto in considerazione una disposizione quale quella contenuta

nell'articolo 1, comma 5 della legge 515 del 1993, ove si prevede che la presenza dei politici

tanto nei programmi di informazione quanto in quelli di approfondimento dovrebbe

rappresentare un’eccezione. Ovverosia la regola è che la presenza dei politici nei TG e negli

altri programmi di informazione è ammessa soltanto se è giustificata da oggettive esigenze

informative. Al contrario, però, molte delle delibere adottate dall'Autorità per disciplinare le

più recenti competizioni elettorali prevedono invece che i telegiornali devono assicurare la

presenza di esponenti politici, al fine di esporre le loro opinioni (v. ad es. delibere 33/08/CSP

e 42/08/CSP). È evidente l’incompatibilità tra disposizioni di legge e regolamentari.

Se le stesse delibere dell’Autorità – sovvertendo il rapporto “regola-eccezione” fissato dalla

legge – impongono la presenza dei politici nei telegiornali, diviene poi difficile andare a

reprimere una lunga intervista concessa al leader politico di turno.

Passando ad esaminare la questione del rapporto tra la rilevazione dei tempi concessi alle

varie forze politiche e l’applicazione di altri criteri per la rilevazione di eventuali violazione

della par condicio, mi trovo abbastanza in linea con quanto detto sinora. In altre parole i tempi

dovrebbero essere solo uno dei criteri da prendere in considerazione. È chiaro tuttavia che, in

un contesto in cui i membri dell’Agcom sono nominati dagli stessi soggetti sui quali

dovrebbero vigilare (cioè, dai partiti), è comprensibile che l’Autorità tenda a cercare un

criterio di valutazione obiettivo e, per così dire, matematico.

Avendo esaminato le delibere adottate nel tempo dall’Autorità, devo dire che si riscontrano

notevoli diversità di criteri per valutare eventuali squilibri di presenze tra i vari soggetti

politici (e istituzionali). Talvolta, l’Autorità procede – secondo me, correttamente – a

verificare caso per caso se gli squilibri rilevati possano ritenersi giustificati da obiettive

esigenze informative (v., ad es., la delibera 115/09/CSP). Altre volte l’Autorità, una volta

riscontrato lo squilibrio “matematico” dei tempi, procede invece direttamente alla emanazione

della sanzione, senza fare alcuna verifica e senza dare motivazioni di carattere pratico e

operativo. Anche questa divergenza è criticabile, oltre che difficilmente giustificabile.

Esiste poi la necessità di applicare anche altri criteri diversi da quello meramente matematico.

Occorre infatti valutare le modalità con cui vengono realizzate certe interviste o ricostruite

determinate notizie, proprio dal punto di vista della tecnica comunicativa. È evidente che

l’applicazione di questi criteri dà all'Autorità un margine di discrezionalità molto ampio,

poiché ciò può implicare, in definitiva, il sindacato delle “modalità” di svolgimento

dell’attività informativa. Tuttavia l'Autorità, sia in passato che più di recente, ha individuato

una serie di criteri. Uno di questi, del tutto condivisibile, è quello che si basa sulla differenza

tra “conduzione forte” e “conduzione debole” della trasmissione giornalistica.

L’altro criterio a mio parere condivisibilmente applicato nelle ultime delibere (cioè proprio

quelle relative alla nota vicenda dell’intervista cd. a reti unificate del Presidente Berlusconi), è

quello basato sulle caratteristiche complessive del messaggio (delibere 132/11/CSP e ss.).

L’applicazione di questo criterio rappresenta un primo passo in avanti, che andrebbe

incentivato e “completato” anche attraverso la creazione di un panel, formato da un gruppo di

autorevoli esperti, a loro volta indipendenti anche rispetto all’Autorità, in grado di fare una

valutazione e di formulare all’Autorità un parere sulla tecnica comunicativa utilizzata nella

singola fattispecie concreta dall’emittente.

Armando Melchionna

Alcune osservazioni relative alla campagna elettorale per le amministrative 2011

La campagna elettorale del maggio 2011 ha evidenziato una serie di criticità relativamente

alla valutazione del pluralismo, soprattutto, se non esclusivamente, nel genere dei notiziari.

L’Agcom ha sanzionato ripetutamente i telegiornali con motivazioni che sono apparse

“regole” innovative rispetto alla prassi consolidata di circa 10 anni di normativa sul

pluralismo.

Il punto più delicato e innovativo è che la valutazione del rispetto del pluralismo si sia basata

su monitoraggi puntuali, su periodi variabili e con criteri di valutazione e di giudizio noti ex

post agli operatori del settore e quindi alle redazioni dei telegiornali.

Come noto alcuni principi sono consolidati nella normativa e tra questi meritano di essere

ricordati:

i telegiornali sono caratterizzati dalla correlazione ai temi dell’attualità e della cronaca;

• il diritto alla completa ed obbiettiva informazione del cittadino appare dunque tutelato

in via prioritaria soprattutto in riferimento a valori costituzionali primari, che non sono

tanto quelli…della pari visibilità dei partiti, quanto piuttosto quello connessi al

corretto svolgimento del confronto politico su cui in permanenza si fonda il sistema

democratico;

• in base a tali criteri la Corte Costituzionale con la sentenza 155 del 2002 ha osservato

come le regole più stringenti che valgono per la comunicazione politica non si

attaglino “alla diffusione di notizie nei programmi di informazione” e quindi l’art. 2

della legge n. 28 del 2000 NON COMPORTA LA TRASPOSIZIONE DEI CRITERI

DETTATI PER LA COMUNICAZIONE POLITICA NEI PROGRAMMI DI

INFORMAZIONE….;

• la rappresentazione delle diverse posizioni politiche nei programmi appartenenti

all’area dell’informazione NON è regolata, a differenza della comunicazione politica,

dal criterio della ripartizione matematicamente paritaria degli spazi attribuiti, ma deve

conformarsi al criterio della parità di trattamento, il quale va inteso propriamente,

secondo il consolidato orientamento dell’Autorità, nel senso che “ …situazioni

analoghe debbano essere trattate in maniera analoga”’, al fine di assicurare in tali

programmi l’equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche ed il corretto

svolgimento del confronto politico su cui si fonda il sistema democratico.

In sintesi le normative fanno riferimento costantemente allo stretto legame tra attualità e

contingenza delle notizie, alla libertà editoriale nelle scelte e alla conseguente responsabilità

deontologica, alla differenza tra la comunicazione politica e quella dei telegiornali, alla

conseguente inadeguatezza di criteri di ripartizione matematica paritaria. Al contrario, nella

prassi, tali criteri vengono smentiti da generici enunciati come “l’obbligo della parità di

trattamento tra le diverse forze politiche” che “situazioni analoghe debbano essere trattate in

maniera analoghe”. In questo modo non si definisce a quali criteri oggettivi il telegiornale

debba attenersi ma si lascia alla discrezionalita’ dell’Agcom di decidere ex post se la

ripartizione dei tempi sia o meno conforme a qualcosa che appare totalmente indefinito ex

ante.

Inoltre i periodi su cui si valuta il rispetto del pluralismo sono variabili e disomogenei.

L’esigenza primaria quindi è che si faccia chiarezza sulle modalità di valutazione del

pluralismo all’inizio della campagna elettorale, fornendo anticipatamente nel dettaglio, tanto

alla emittenza pubblica che a quella privata dagli Organi di indirizzo ad esse a tal fine

rispettivamente preposti, i criteri con i quali le testate saranno giudicate ed eventualmente

sanzionate.

Un possibile modello potrebbero essere le linee individuate in Francia dal Conseil Superieur

de l’Audiovisuel, nelle delibere del 21.7.2009 e del 4.1.2011.

Marco Mele

La par condicio inesistente

Relativamente alle tecniche e modalità di monitoraggio, vorrei sottolineare che alcuni profili

di differenza tra l’Osservatorio di Pavia e l’Isimm. Tra questi ricordo il fatto che

l’Osservatorio di Pavia non da, al contrario dell’Isimm, informazioni relativamente alla

differenza tra Governo e Presidente del Consiglio. Mentre l’Osservatorio di Pavia fornisce il

tempo per ogni telegiornale dei dieci soggetti politici più presenti. Questa tecnica potrebbe

risultare utile anche all’Agcom, per valutare la presenza dei differenti soggetti politici. Non si

può che concordare con quanto sosteneva Ottavio Grandinetti, laddove egli riscontrava come

fosse il sistema televisivo italiano nel suo complesso ad essere anomalo e nessuna legge sulla

par condicio, per quanto aggiornata e rivista, potrà mai da sola riequilibrare l’intero sistema.

La par condicio, nei fatti, non esiste nei Tg nazionali.

Occorre, infatti, valutare anche lo stato del pluralismo al di fuori del periodo elettorale. Che

cosa accade, dunque, quando le elezioni sono terminate? I dati Isimm dal 29 maggio al 5

giugno, per esempio, ci restituiscono questi dati relativi al Tg1 e ai soli partiti politici: Popolo

della libertà (51,83%), Partito Democratico (10,57%). Si guardi poi l’altra colonna che

raccoglie i dati relativi ai partiti politici e alle istituzioni: Popolo della libertà (37,66%),

Partito democratico (7,7%), Governo 16,03%. Tornando alla colonna con i soli soggetti

politici, si vedano i dati del Tg2: Popolo della libertà (36,51%), Partito Democratico

(12,08%). In questo caso il Governo si attesta su un dato molto più basso, ovvero 2,12%. I

dati che ho appena fornito si riferivano al tempo di parola di due telegiornali Rai; come noto,

il tempo di parola rappresenta il dato più significativo perché relativo all’intervento in prima

persona del soggetto politico o istituzionale.

Si vedano ora i dati relativi al tempo di parola dei telegiornali Mediaset, non molto differenti

da quelli Rai. Tg4: Popolo della Libertà 42,63%. Tg 5: 40, 66%; Studio Aperto Popolo della

libertà 15,56% ma il Governo ha il 47,6%. Secondo Pavia, a giugno Governo e maggioranza,

sul Tg4 hanno avuto il 92,5% del tempo di parola nelle edizioni principali. Su Studio Aperto

l’83,3%.

Il dato sorprendente, per tornare alla questione che anticipavo poc’anzi, è che prendendo i dati

relativi a qualsiasi mese dell’anno non interessato da campagna elettorale i dati sono più o

meno analoghi. Le variazioni sono minime e diventano più rilevanti solo durante le ultime

settimane di campagna elettorale, quando, peraltro, i Tg sono normalmente costretti

dall’Agcom a un parziale riequilibrio. In generale, pertanto, si riscontra una permanenza e

costanza assoluta di questi dati, a prescindere se ci si trovi o meno in periodo elettorale.

Diviene pertanto evidente che la legge sulla par condicio non può risolvere i problemi, tanto

più che in alcuni casi è una legge quasi inapplicabile. Questo sia perché l’Agcom solo negli

ultimi tempi ha adottato sanzioni un po’ più dure e questo in relazione al tipo di connotazione

politica in particolare all’interno della Commissione Servizi e Prodotti dell’Agcom. Mi pare

poco rilevante, al contrario, ragionare sulla modalità di diffusione e comparazione dei dati, e

quindi non vorrei entrare nel merito della diatriba tra il trimestre, il semestre o, addirittura,

l’anno.

Al contrario molto rilevante è il criterio dell’audience: le edizioni principali devono essere

considerate prioritarie nell’analisi dei dati. Anche in questo caso, tuttavia, le edizioni

principali andrebbero riparametrate sulla base degli ascolti, perché non tutti i Tg sono uguali e

non tutti vengono seguiti allo stesso modo. Tanto per fare un esempio, il Tg la7 diretto da

Enrico Mentana sta incrementando di molto gli ascolti e quindi i dati andrebbero riparametrati

in una maniera tale da tener conto di questi aspetti. Infatti il criterio di bilanciare il dato

quantitativo dei minuti con l’indice di ascolto rimane valido. La carenza di pluralismo del

Tg1 e del Tg5 delle 20, insomma, “pesa” a mio avviso molto di più nella formazione delle

opinioni.

Non cambia il giudizio complessivo sul pluralismo informativo. Il nostro sistema è talmente

sbilanciato, che Rai e Mediaset nella televisione free detengono l’86% delle risorse, secondo

l’ultima relazione annuale dell’Agcom (quanti italiani lo sanno o ne sono stati informati?).

Confrontando questo dato con quanto rilevato dalla relazione Agcom recentemente presentata

dal presidente Calabrò, e confermato dall’ultimo rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione,

ovvero che il 90 per cento dei cittadini dichiara di informarsi prioritariamente dalla

Televisione, si comprenderà la rilevanza del persistente assetto duopolistico del sistema a

danno del pluralismo informativo.

Nella parte finale del mio intervento vorrei dedicare qualche riflessione su Internet. Questo

strumento non è antagonista rispetto alla televisione ma, al contrario, il Web e la Tv

divengono sempre più complementari e integrati. La televisione resta al centro del consumo

ma cambiano le modalità di fruizione del suo prodotto. Si pensi per esempio al numero

crescente di giovani che guardano frammenti di televisione su altri terminali quali appunto

internet e discutono ciò che stanno vedendo o che hanno appena visto con gli amici sulla rete.

La televisione rimane al centro del processo di elaborazione dell’opinione pubblico e risulta

persino rafforzata dall’avvento del Web 2.0, grazie anche all’evoluzione degli apparecchi

riceventi. Il digitale terrestre – che, per inciso, non si vede in molte parti d’Italia, o, meglio

diversi canali non si vedono,.tanto che l’Antitrust ha recentemente aperto un’istruttoria in tal

senso nei riguardi della Rai – è uno strumento che non sta ampliando il pluralismo né la

platea dei soggetti che fanno informazione. Questo argomento meriterebbe di essere trattato

più ampiamente in un altro intervento. Le emittenti locali stanno sperimentando sulla loro

pelle cosa significa un modello di transizione basato sulla continuità dell’assetto analogico e

costruito attorno agli interessi dei soggetti incumbent. Con la nuova tv non c’è più par

condicio o più pluralismo, anzi….

Paolo Messa

Par condicio: una toppa per un buco più grande

Sono il fondatore della rivista Formiche e per cinque anni, dal 2001 al 2006, mi sono

occupato della comunicazione politica dell'Udc. Lo preciso per completezza di informazioni e

per segnalare che con le disposizioni di questa legge mi sono in qualche modo confrontato

“attivamente”.

Mi scuso in anticipo se userò un linguaggio diretto e senza fronzoli: sono convinto che

dibattiti come questi abbiano senso se rappresentano un'occasione pubblica di brainstorming.

Il tema che si affronta oggi è relativo alla legge sulla par condicio, una legge che ormai ha

superato la soglia degli undici anni e che ha come oggetto quello della parità di accesso delle

forze politiche ai mezzi di informazione in genere e in particolare nelle campagne elettorali e

referendarie. Il tema par condicio è declinato anche dal punto di vista regolatorio in due

aspetti.

Uno attiene alla modalità “pubblicitaria” della campagna elettorale. Per esempio, lo ha citato

prima di me Cuperlo, è vietata la diffusione di spot nelle televisioni nazionali (incluse quelle

satellitari), disposizione che francamente mi sembra corretta. Allo stesso modo esiste la

possibilità, ed è regolamentata in maniera dettagliata, di fare spot su radio e televisioni locali e

nei cinema. Non vi sono divieti espressi circa la possibilità di trasmettere messaggi

pubblicitari su internet. Vi è poi il capitolo della pubblicità esterna (cartellonista, fissa e

mobile): anch’esso è regolamentato con tempistiche e modalità assai precise anche se talvolta

contraddittorie fra loro.

Il secondo aspetto, non pubblicitario in senso stretto, riguarda l’informazione tout court. Ci

riferiamo in questo caso a telegiornali, talk-show e contenitori di infotainment. È evidente che

qui si concentra l’attenzione maggiore dei politici e degli addetti ai lavori. Non ripeto le

analisi che sono state già svolte, condividendole in gran parte. Se posso fare una battuta,

parafrasando l’ormai celebre canzoncina: “meno male che la par condicio c’è”! Tra il

scegliere di avere o non avere questa legge, non c’è dubbio: molto meglio tenersela stretta.

Detto questo, dobbiamo avere la consapevolezza che si tratta di una toppa piccola ad un buco

molto più grande: quel buco, o quel baco, si chiama conflitto di interessi e qui noi dobbiamo

avere la consapevolezza che urge un intervento, magari di natura costituzionale – mi permetto

di dirlo dinanzi ad autorevolissimi costituzionalisti – che davvero abbia un'efficacia non

discrezionale. Quello che noi abbiamo vissuto con Berlusconi, con l’imprenditore premier

Berlusconi, non può essere più ripetuto. Va in tutti i modi evitato che quella che è stata

un'eccezione a mio avviso non positiva, possa essere anche solo potenzialmente riproducibile.

Si tratta di una conditio sine qua non che però non deve distrarci dal tema, assai delicato, della

regolazione della comunicazione politica.

Su questo, vorrei proporre un paio di provocazioni. La prima: occorre sapere che non è vero

che ad una presenza televisiva molto assidua corrisponde un consenso politico proporzionato.

Se così fosse, avremmo avuto, mi sarà perdonata per l’iperbole, presidente del Consiglio

Clemente Mastella e vicepresidente Fausto Bertinotti. Cito volutamente i nomi di due

esponenti politici di cui ho considerazione, non certo per denigrarli ma per ricordare a noi

stessi che entrambi erano presentissimi sul piccolo schermo ma nonostante questo né il partito

di Mastella né quello di Bertinotti hanno superato la soglia dello sbarramento elettorale.

Insomma, intendo dire che i telespettatori e i cittadini riescono a discernere il dato

quantitativo da quello qualitativo, la pressione dal contenuto.

Lo stesso Berlusconi che occupa lo spazio televisivo in modo quasi totalitario ha perso due

elezioni su cinque. In particolare, ogni volta che ha governato, e quindi esercitato il suo

asfissiante controllo sulla Rai, poi è stato bocciato nelle urne. Anche ora che è a Palazzo Chigi

e la stretta sui media arriva al punto di ricordare esperienze storiche tragiche che speravamo di

avere del tutto cancellato, le amministrative e il referendum hanno dimostrato che gli italiani

non hanno l’anello al naso.

Questo non vuol dire mettere in discussione la bontà della legge, pur con tutti i suoi limiti.

Dobbiamo però avere consapevolezza anche che il palinsesto mediatico degli italiani è

cambiato (di questo probabilmente potrà parlare con maggiore rigore scientifico il professor

Morcellini). Gli italiani formano la propria opinione non solo attraverso l'informazione

televisiva e gli spazi che sono oggetto di attenzione cronometrica da parte di osservatori,

autorità, e commissioni di vigilanza, ma da un bouquet di fonti molto più ampio. Anche su

questo non vorrei essere frainteso: come è giusto vietare gli spot sulle televisioni nazionali

altrettanto sarebbe fallace l’idea di poter regolamentare la comunicazione politica su internet.

Seconda considerazione, apparentemente provocatoria. Non possiamo nascondere a noi stessi

alcuni problemi irrisolti della legge sulla par condicio. A questo dibattito è presente Roberto

Rao, deputato dell’Udc che nelle sedi politiche competenti ha posto un tema nient’affatto

banale: il faccia a faccia su Sky tra Pisapia e Moratti e tra De Magistris e Lettieri

corrispondono ad una logica di par condicio o, non essendo stati presenti i candidati “terzi”,

sono state trasmissioni in cui comunque la condizione era relativamente impari? Questo è un

nodo che va sciolto. La par condicio non può essere l’ennesima camicia di forza di un

bipolarismo inteso come precetto.

Avviandomi verso la conclusione, chiedo a me stesso e ai qualificati interlocutori di questo

seminario se per la comunicazione politica dobbiamo riferirci solo agli spazi tradizionali di

informazione o se non dobbiamo considerare invece il fatto che nella formazione

dell’opinione pubblica, incidono anche, se non di più, altre trasmissioni, altri format.

Influenza di più una dichiarazione “di troppo” al Tg1 di un esponente della maggioranza

oppure il tronista di Maria De Filippi che invece plasma un modello culturale che in qualche

modo si trasforma in voto? E, in questo caso, come si realizza il monitoraggio? Per calcolare

l'audience di un trasmissione o di un intervento di Santoro o di Travaglio, utilizziamo il dato

auditel o guardiamo anche il contatore di youtube che ripropone il messaggio? Come spesso

accade, le domande superano le risposte. Tuttavia, volendo provare a tirare le somme,

ribadirei l'importanza di preservare la par condicio evitando di irrigidire troppo il sistema con

la pretesa di regolamentare tutto con il rischio, invece, di limitare spazi di libertà. E in ogni

caso, non dimentichiamo che abbiamo l’imperativo categorico di intervenire in modo

definitivo e coordinato su conflitto di interessi, antitrust (nel senso della proprietà e della

concentrazione dei mezzi di informazione ma anche dei mezzi di diffusione elettronica) e

finanziamento pubblico dei partiti e dei movimenti politici. Quest’ultimo è un aspetto non

trascurabile che rientra a pieno titolo nel ragionamento sulla condizione di parità e

sull’accesso ai mezzi di comunicazione. Vi ringrazio.

Mario Morcellini

Tra par e impar condicio. Regole e protagonisti dell’informazione alla prova delle elezioni

2011

Premessa

La struttura delle domande intorno all’adeguatezza e aggiornamento della “par condicio” è

tecnicamente elaborata. Per risposte adeguate, occorrerebbe una riflessione difficile da

riassumere in un intervento di pochi minuti. Dal punto di vista degli obiettivi generali,

concordo con l’intervento di Roberto Zaccaria, mentre per quanto attiene alla “cultura della

par condicio” – intesa quale complesso regolatorio capace di garantire uno standard di parità

di trattamento ai diversi soggetti politici, faccio riferimento agli interventi di Cheli e

Chiappetti, con cui pienamente consento.

Media studies e par condicio

Dal punto di vista degli studiosi di comunicazione, il modo in cui la par condicio stressa

alcune regole di funzionamento della produzione delle notizie e del trattamento dei soggetti da

parte dell’informazione non può essere sottovalutato. In altri sistemi sociali e culturali, la par

condicio è un tratto sostanzialmente scontato del comportamento degli addetti

all’informazione e dei mediamen. Solo noi siamo costretti ad una situazione in cui le norme

non mancano, ma anzi “diluviano” (eppure, come le grida manzoniane, mancano

costantemente di essere osservate).

In un contesto poco maturo e scarsamente socializzato in termini di garanzie informative ad

un dibattito politico paritario, si può serenamente ammettere che la par condicio è il male

minore.

Potere e discrezionalità dei mediamen

Assunto questo principio generale, occorre dire che tutti i sistemi regolatori e soprattutto

autoregolatori finiscono per avere, nel tempo, una discreta funzione di socializzazione cultura

degli addetti. Come è efficacemente successo soprattutto per la Carta di Treviso, il

funzionamento di tali norme finisce per esercitare una moral suasion degli operatori,

correggendo le situazioni descritte come “sostegno privilegiato”. Ma occorre precisare che un

ulteriore elemento di ambiguità della situazione italiana è l’incredibile potere che hanno

accumulato nel tempo i conduttori televisivi di programmi di attualità, che esercitano un

impatto documentabile sulla di costruzione dei soggetti, sul loro oblio, e sul clima d’opinione.

È naturale che i current affairs siano decisivi sul dibattito pubblico e sull’agenda dello spazio

pubblico, ma per il resto il potere dei conduttori rappresenta un caso evidente di impar

condicio.

Ruolo e responsabilità di Università e Centri di ricerca

Un ulteriore elemento di complicazione del caso italiano è la scarsa indipendenza culturale dei

centri di ricerca che documentano le performances dell’informazione. Al di là della sapienza o

correttezza dei ricercatori, la struttura delle domande e delle interrogazioni è quasi sempre

ispirata o cogestita da chi finanzia e sostiene economicamente la ricerca; in questi casi, è

quasi impossibile che i risultati siano convincenti, ma soprattutto che appaiano tali.

Per chiarezza, è bene anche precisare che, a sua volta, l’Università raramente riesce a superare

quella sorta di pregiudizio intellettuale che le impedisce di condividere onori ed oneri della

ricerca, risultati di visibilità e di risorse e cogestione degli step operativi, dalla definizione

degli obiettivi alla scelta delle metodologie d’indagine fino alle strategie di lettura dei dati,

con soggetti privati.

Quattro nodi tecnici e di ricerca posti dagli ultimi appuntamenti elettorali

1. Se cambiano i consumi culturali di adulti e giovani, e non solo nella direzione della Rete,

cambia anche la teoria dell’influenza?

Ogni risultato elettorale impone qualche novità, anche se, a ben vedere, gli elementi di

continuità, agli occhi di una comunità scientifica autorevole e non improvvisata, dovrebbero

essere quelli più forti e densi di conseguenze.

Sono esattamente quelli che definiamo trend. Essi, per definizione, o sono di lungo periodo o

non sono. E in questo secondo caso, significa che i ricercatori (quorum ego) non hanno saputo

coglierli. I periodi elettorali, in quanto momenti intensi della vita democratica (come se

fossero i suoi riti di iniziazione), anche per questo finiscono per oscurare i trend, che finiscono

sempre per essere drogati dai dettagli del nuovismo. Al contrario, una tendenza profonda di

cambiamento deriva, soprattutto a chi studia storicamente e sistematicamente i cambiamenti

culturali degli italiani, dalla correlazione ravvisabile tra i modelli di adesione ai consumi

mediali e tecnologici, soprattutto nella direzione della multimedialità e della Rete, ma senza

trascurare l’incidenza di quei comportamenti più colti che in passato definivamo d’élite.

Assumo anche l’ipotesi, che sarà ripresa in un passaggio successivo, che tale dimensione di

cambiamento è particolarmente evidente sui referendum, in generale, e sulle specifiche

interrogazioni di questo appuntamento, in particolare.

2. Ci sono nuovi elementi, o almeno indizi consistenti, per aggiornare la riflessione

sull’impatto politico dei media?

Una “legge” comincia a delinearsi con una certa autorevolezza e forza probatoria: l’impatto

politico dei media è essenzialmente culturale. Ciò significa che una riflessione capace di

descrivere non genericamente il concetto di clima d’opinione, anche raccordandolo a nuove

parole che emergono nell’arena pubblica, sarebbe in grado di aggiornare e approfondire la

descrizione del processo di influenza dei media sulle persone. Ma anche di aprire squarci sui

meccanismi di propagazione delle notizie in un contesto che sembra premiare nuove parole e

nuovi universi valoriali. Si tratta di un brusco cambiamento rispetto al ciclo storico che, a

partire da queste elezioni, si avvia a lasciare il centro della scena degli italiani. Inutile però

aggiungere che tutte le frasi finora assunte trovano una conferma all’incrocio di quanto

ipotizzato a proposito dei consumi culturali, oltre che delle argomentazioni che seguiranno.

3. Ci sono elementi di specificità e di differenza tra elezioni politiche/amministrative e

referendum che debbono portare a specifiche tematizzazioni?

Per la prima volta in modo così chiaro nel nostro paese, emerge una fisiologia di costruzione

diversa dei temi e dei climi d’opinione tra appuntamenti elettorali e ballottaggi da un lato, e

scadenze referendarie dall’altro. È importante segnalare questa differenza soprattutto perché

una qualche coerenza di risultati rischia di sopravvalutare le analogie facendo fatalmente

smarrire la specificità. Senza trascurare le analogie, occorre assumere un punto di chiarezza:

le tematiche del referendum, le parole chiave attorno a cui si sono imperniate, e il modo con

cui si è giocata la partita della discussione pubblica indicano con estrema chiarezza che il

referendum schiera culturalmente il paese, esibendo per di più una qualche indifferenza

rispetto alla configurazione politica dei risultati. Basti pensare a quanto i media generalisti

abbiano negli ultimi giorni schierato in campo il promemoria che negli ultimi sedici anni i

referendum erano risultati inefficaci per il raggiungimento del quorum. Nonostante l’astuzia

di usare quest’argomento soltanto nell’ultima settimana, e dunque in coincidenza con il

maggior momento di incertezza nell’assunzione di decisioni e comportamenti (votare o no,

andare al mare o esercitare cittadinanza, etc), è chiaro retrospettivamente che il generalismo

comunicativo è stato assolutamente inadeguato a dare copertura simbolica ai pubblici e agli

elettori. Si può dire con grande tranquillità che il mainstream televisivo non è stato

mainstream. Si può dire anche qualcosa di più: quando i media non fanno il loro mestiere,

provocano alterazioni di mercato, funzionando quasi da turbativa contro sé stessi (valli poi a

recuperare i pubblici perduti in appuntamenti percepiti come decisivi e “sensibili”). Solo nel

nostro paese può succedere che i media finiscano per essere pericolosamente autoimmuni:

lottano contro sé stessi, e costruiscono le condizioni di prestigio e di autonomia culturale dei

mezzi decretati come nuovi. Con buona pace della dottrina del servizio pubblico: con quale

faccia potremo utilizzare bellamente questa formula a partire da domani?

4. Quale è stato, nel complesso, il ruolo della Rete, al di là della retorica giornalistica che

certamente l’ha sopravvalutato in questi giorni? Ma questa domanda ha senso soltanto se noi

la contestualizziamo in una più generale: come ha funzionato, anche comparativamente, il

sistema dei media “tradizionali” (Tv, radio, stampa)?

Chi studia scientificamente la dinamica media-tecnologie sa che non è una competizione

binaria. I cambiamenti e le infedeltà transitano attraverso un’esplorazione culturale

sorprendente e ricca dei consumi più colti e intriganti (teatro, cinema, musica classica, lettura,

fruizione culturale outdoor, spettacolo dal vivo).

Solo così si capisce che il latifondo televisivo e generalista rischia di sfaldarsi come l’Impero

Austroungarico. Succede quando un sistema mediale non ce la fa ad essere il conduttore del

clima culturale di contesto e a costruire la visibilità e centralità dei soggetti pubblicamente

rilevanti, ma soprattutto quando è in affanno, nella capacità di alimentare le parole chiave,

perdendo chiaramente empatia con gli aloni comunicativi del momento. Significa che il

generalismo è davvero alle corde. A questo si aggiunge la strutturale debolezza culturale dei

politici in Tv, che finisce per farli apparire in bianco e nero. Pressappoco la stessa magra

figura che fa la Tv contro la Rete e i social network. Ma è in questione da tempo, e non ho

mancato di segnalarlo nel dibattito pubblico, la capacità della Tv di essere oggettivamente

contro la comunicazione politica. Aumentando più l’opacità dei temi che la trasparenza degli

schieramenti e dei progetti, acutizzando lo scontro e i toni gridati, esasperando uno spettacolo

politico ormai consunto nelle culture del pubblico e nei loro nuovi sistemi di attesa. Certo, è

successo tutto bruscamente, ma il giacimento di frustrazione nei confronti della vecchia e

immobile Tv era abbastanza chiaro ai ricercatori. Questo significa che dobbiamo procedere

velocemente ad un aggiornamento della teoria dell’impatto dei media. Non tutti i media

sembrano più adatti a tutti i temi e a tutte le stagioni. La televisione si è presentata in abito

grigio, mentre gli addensamenti di opinione marcavano una forte destrutturazione, e forse una

spinta, più che all’antipolitica come in passato, all’anti-istituzione. Certo, questo non significa

che la Rete o i social network siano il nuovo mainstream della politica. Gli elementi che ci

ricordano quanto reversibili siano i climi, instabili le forme di generalizzazione, e comunque

rischiosa la perdita di mediazione, stanno lì a ricordarci che nessuna facile euforia è garantita.

Solo lo studio. Solo un approfondimento delle analisi e dei profili, solo il coraggio di guardare

in faccia alle generazioni e forse anche un adeguato ricorso all’analisi sociologica delle

aspettative di cambiamento rispetto a un tempo che una parte consistente del paese desidera,

più o meno chiaramente, licenziare come passato.

Alessandro Pace

La discutibile insindacabilità delle delibere della Commissione parlamentare di indirizzo e

di vigilanza sul servizio pubblico

1. Mi limiterò ad esprimere le mie perplessità, confermate dalle recenti vicende referendarie,

sull’attuale possibilità di sindacare la legittimità delle delibere della Commissione

parlamentare d’indirizzo e di vigilanza dei servizi radiotelevisivi (di seguito: Commissione

parlamentare d’indirizzo), relative all’accesso, soltanto in sede di conflitto di attribuzioni tra

poteri dello Stato.

E’ noto che a tale soluzione si è giunti “quasi” per esclusione, dopo che era stata negata agli

stessi esponenti del medesimo movimento politico - il Partito Radicale - la tutela delle loro

ragioni sia in sede di giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo sia in sede di

giurisdizione ordinaria, essendosi di volta in volta sostenuto: a) che, a fronte delle delibere

della Commissione parlamentare d’indirizzo relative alla disciplina dell’accesso, non sarebbe

configurabile una situazione di interesse legittimo, trattandosi di un’autorità soggettivamente

non amministrativa (Tar Lazio, sez. I, 11 aprile 1979, n. 377); b) che, sempre con riferimento

all’accesso, entrerebbero in gioco interessi superindividuali connessi all’obiettività

dell’informazione che precludono l’esistenza di «istanze individualistiche» (Cass. sez. un., 25

novembre 1983, n. 7072, in Giur. cost., 1984, parte I, pp. 175 ss., spec. 196 s. con nota critica

di M. Manetti); c) che non è comunque prospettabile una situazione di diritto soggettivo in

capo all’accedente, non esistendo costituzionalmente un “diritto al mezzo”, sia esso privato o

pubblico (Corte cost. sentenze nn. 59 del 1960, 105 del 1972, 225 del 1974, 202 del 1976, 94

del 1977).

Di qui, “quasi” per esclusione, la competenza della Corte costituzionale a giudicare delle

delibere della Commissione parlamentare d’indirizzo comunque regolative dell’accesso, ma

non già sotto il profilo dei vizi di legittimità (anche costituzionale) che le inficino, bensì - a

partire da Corte cost., ord. n. 171 del 1997 - sotto il profilo della menomazione delle

attribuzioni costituzionali del soggetto ricorrente. Il che in tanto si è reso possibile, in quanto

nel frattempo la Corte costituzionale aveva riconosciuto, con le famose sentenze nn. 68 e 69

del 1978, a taluni esponenti dello stesso Partito Radicale la legittimazione a ricorrere in Corte

costituzionale, in quanto promotori referendari.

2. Pur dovendo sottolinearsi, ancora una volta, che una cosa è il giudizio di legittimità

dell’atto e altra cosa è il giudizio su un conflitto tra poteri - nel quale si discute della

spettanza delle rispettive attribuzioni costituzionali e, se del caso, si procede all’annullamento

dell’atto che abbia “menomato” le attribuzioni del ricorrente -, deve comunque aggiungersi

che analoga legittimazione come potere dello Stato non è configurabile, in forza dell’art. 2

comma 5 della l. 22 febbraio 2000 n. 28, in capo agli altri «soggetti politici» menzionati

dall’art. 2 comma 1 della delibera della Commissione parlamentare d’indirizzo del 21 giugno

2000.

Alludo ai partiti politici - genericamente identificati come «forze politiche» che costituiscano

gruppo in un ramo del Parlamento nazionale o abbiano degli eletti con un proprio simbolo nel

Parlamento nazionale o europeo - e i gruppi parlamentari. Infatti, la Corte costituzionale, con

l’ord. n. 49 del 2006, ha negato che i partiti politici possano qualificarsi come poteri dello

Stato (il che va ovviamente ripetuto per i gruppi parlamentari che ne costituiscono

l’espressione a livello parlamentare). Per la Corte, infatti, i partiti costituirebbero soltanto «il

modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente

riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza

politica, necessaria per concorrere nell'ambito del procedimento elettorale».

E’ bensì vero che i partiti presenti nella Commissione parlamentare d’indirizzo non rischiano

certo di vedersi esclusi dalle trasmissioni (così M. Manetti, cit., p. 191), è però altrettanto vero

che essi possono comunque essere pregiudicati, quanto ai tempi e agli spazi di trasmissione,

qualora non facciano parte della maggioranza parlamentare, come è appunto avvenuto nella

campagna referendaria del 2011 (v. i ricorsi per conflitto promossi da esponenti di IDV, poi

rinunciati, come da ordd. nn. 196, 197 e 198 del 2011).

Ma se così è, mentre deve rilevarsi l’incostituzionalità sia della identificazione dei «soggetti

politici» rimessa ad una semplice delibera della Commissione parlamentare, sia delle norme,

assolutamente vaghe, previste in proposito dalla l. n. 28 del 2000, deve comunque concludersi

nel senso dell’insufficienza del rimedio del conflitto tra poteri come succedaneo del sindacato

di legittimità delle delibere della Commissione parlamentare. La via del conflitto davanti alla

Corte costituzionale è infatti difficilmente percorribile in un contesto nel quale - in

considerazione dei ristretti spazi temporali di decisione giurisdizionale nelle campagne

elettorali e referendarie - l’utilità del ricorso è soprattutto data dalla tempestività della tutela

conseguibile.

E ciò per due ragioni: in primo luogo perché la fase dell’ammissibilità del ricorso ne ritarda la

trattazione (ad esempio, la discussione sull’ammissibilità dei citati due ricorsi per conflitto di

attribuzione presentati dai promotori dei referendum sul nucleare e sul legittimo impedimento,

depositati il 10 maggio 2011, venne fissata dal Presidente f.f. della Corte costituzionale per la

camera di consiglio del successivo 7 giugno, e cioè appena cinque giorni della data indetta per

i referendum: un’udienza pertanto assolutamente inutile per una qualsivoglia decisione d’un

certo rilievo.

In secondo luogo, il rimedio in questione è difficilmente utilizzabile essendo discutibile, se

non l’esistenza dei poteri cautelari della Corte costituzionale in sede di conflitto, la

consistenza dei provvedimenti d’urgenza adottabili dalla Consulta contro la Commissione

parlamentare. Provvedimenti che, se del caso, dovrebbero poter imporre, a favore del

ricorrente, misure “compensative” tanto delle manchevolezze quanto dei ritardi nell’adozione

delle delibere contenenti la regolamentazione della comunicazione politica, dei messaggi

autogestiti e dell’informazione della concessionaria pubblica relativamente a quella data

campagna elettorale politica, amministrativa o referendaria. Facendo riferimento, ancora una

volta, ai referendum del 2011, il ritardo nell’adozione della delibera contenente la

regolamentazione della comunicazione politica e dei messaggi autogestiti è stato tale per cui

il periodo utile è stato consapevolmente ridotto, mercé un deliberato «ostruzionismo della

maggioranza», a poco più di due settimane (v. i resoconti delle riunioni della Comm. parl.

d’ind. nei giorni 13, 19 e 20 aprile 2011, nel Boll. Giunte e Comm., XVI leg, nn. 467, 470 e

471).

In altre parole, perché il rimedio possa essere fruttuoso, sarebbero necessari poteri analoghi a

quelli, assai duttili, attribuiti al giudice amministrativo dal nuovo codice del processo

amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

3. La conclusione di questo mio intervento è quindi nel senso che, a questo punto, solo un

legislatore responsabile potrebbe porre rimedio ad una così eclatante mancanza di tutela

giurisdizionale in uno dei momenti più importanti della vita di una comunità politica; e

potrebbe farlo - a mio sommesso avviso - attribuendo al Tribunale amministrativo regionale

per il Lazio, con sede in Roma, la giurisdizione esclusiva - trattandosi di questioni attinenti a

diritti soggettivi - su tutte le delibere della Commissione parlamentare d’indirizzo. Altrimenti,

anche in futuro si assisterà a decisioni incomprensibili per il comune cittadino come quelle

che conclusero, dal punto giudiziario, la vicenda del talk-shows durante la campagna

elettorale delle elezioni regionali del 28 e 29 marzo 2010. In tale occasione, il Tar del Lazio,

sezione III-ter, mentre sospese l’efficacia della delibera dell’AgCom 24/10/CSP del 19

febbraio 2010, che aveva ritenuto di estendere alle «trasmissioni di informazione» delle

televisioni private le «regole proprie della comunicazione politica» quali erano state disposte

per la RAI dalla Commissione parlamentare d’indirizzo nel regolamento adottato il 9 febbraio

2010 (ord. 12 marzo 2010 n. 1180), ritenne invece inammissibili, in altra decisione, le stesse

censure prospettate da un’associazione di consumatori contro la stessa delibera della

Commissione parlamentare d’indirizzo fatta propria dall’AgCom (ord. 12 marzo 2010 n.

1176).

Si obietterà dai sostenitori dell’insindacabilità delle delibere in questione: a) che non vi è

spazio per una tutela di istanze individualistiche, venendo in gioco interessi superindividuali

connessi all’obiettività dell’informazione, argomento già sostenuto dalle Sezioni unite nella

sentenza citata all’inizio; b) che attribuire al Tar Lazio il sindacato su un atto promanante da

un organo parlamentare pregiudica la sovranità del Parlamento; c) che, comunque, a tutto

concedere, la giurisdizione non potrebbe non spettare alla Corte costituzionale.

Procedendo in ordine inverso si potrebbe replicare, quanto al rilievo sub c), che così

argomentando si dimentica che le competenze della Corte costituzionale hanno fondamento

nella Costituzione e in leggi costituzionali, dalle quali non è affatto desumibile una

competenza della Consulta a giudicare della legittimità di delibere parlamentari se non nel

contesto di un conflitto di attribuzioni.

In critica al rilievo sub b), potrebbe rilevarsi: b1) che, a parte ogni discorso sulla

improponibilità del concetto di sovranità nei tempi in cui viviamo, la sovranità

«parlamentare» costituisce a fortiori un concetto ormai privo di sostanza in un ordinamento,

come il nostro, caratterizzato da una pluralità di poteri dello Stato giuridicamente equiparati

tra loro in sede di conflitto, tra i quali, per quel che qui interessa, anche il c.d. potere

referendario; b2) che perciò non a caso la Corte di cassazione, nella citata fondamentale

sentenza del 1983, evitò di fondare sulla «sovranità parlamentare» l’insindacabilità delle

delibere della Commissione parlamentare; b3) che è radicalmente contestabile che esistano

attività di organi costituzionali «libere nel fine», perché ciò è radicalmente escluso dall’art. 1

comma 2 Cost., secondo il quale - non mi stanco mai di ricordarlo - la sovranità popolare, e a

fortiori, quella degli organi da questa investiti, si «esercita nelle forme e nei limiti della

Costituzione»; b4) che è vero che, nel nostro ordinamento costituzionale, vi sono atti

insindacabili, ma ciò consegue non dal fatto di essere «liberi nel fine», ma di essere «atti di

governo». Il che è tanto più vero nel caso di specie, dato il tenore, per un verso, dell’art. 2

comma 1 della l. n. 28 del 2000 e, per altro verso, degli artt. 4 e 6 della l. 14 aprile 1975, n.

103, dai quali sono desumibili i fini che la Commissione parlamentare d’indirizzo deve

perseguire (così M. Manetti, cit., p. 198).

Quanto infine al rilievo sub a), deve evidenziarsi l’attuale improponibilità dell’argomento

centrale su cui la Corte di cassazione, nella sent. n. 7072 del 1983, fondò la tesi

dell’insindacabilità delle delibere relative all’accesso e, a monte, di quelle che lo disciplinano.

Vale a dire: la valorizzazione del «momento sociale dell’interesse della comunità a

un’informazione completa» che pertanto assorbiva - rendendola irrilevante - ogni istanza

individuale.

Argomento che certamente presupponeva l’esistenza di un monopolio radiotelevisivo statale

delle trasmissioni via etere a livello nazionale - formalmente allora vigente - ed implicava un

concetto forte di «pluralismo interno» come formula di sintesi implicante peculiari obblighi

modali sia per la concessionaria del servizio pubblico sia per i suoi programmisti e giornalisti,

come da me ripetutamente sostenuto. Un concetto, teoricamente tuttora valido anche in un

sistema misto pubblico/privato, che però non trova più riscontri nella prassi, in quanto il

pluralismo interno sembrerebbe piuttosto realizzabile con la compresenza di voci discordanti

anche smodatamente partigiane.

Con il che, l’«istanza individualistica» nel servizio pubblico, ritenuta non meritevole di tutela

nel 1983, avrebbe oggigiorno, dalla sua, valide ragioni sia storiche che giuridiche per il pieno

riconoscimento legislativo della sindacabilità delle delibere della Commissione parlamentare

d’indirizzo.

Francesco Pardi

Par condicio: rimedio necessario e non sufficiente

La legge sulla par condicio è rimedio insufficiente ma necessario ai danni provocati

dall’anomalia italiana: la presenza al vertice del potere politico da parte del massimo

possessore di mezzi di comunicazione privati. Si pensa spesso solo alla televisione ma il

soggetto predomina anche nella stampa, dai rotocalchi più popolari alle case editrici più

prestigiose.

Alcuni degli interventi hanno già menzionato il conflitto d’interessi. Ritengo necessario

aggiungere una nota di precisazione. Perché il suo carattere è duplice.

Il primo è quello già messo in evidenza, ed è unico al mondo: solo a noi è toccata questa

disgrazia, inammissibile in qualsiasi altro paese democratico. Che la legge vi si opponga non

ha importanza prevalente: anche dove essa manca, un elementare principio di diritto

consuetudinario o un senso comune diffuso lo hanno impedito e lo impediscono negli altri

paesi.

Il secondo dipende dalla vastità e incisività degli interessi privati del soggetto: non c’è quasi

materia in cui possa legiferare senza danneggiarli o favorirli.

Il doppio carattere di quel conflitto d’interessi ha di fronte a sé nel primo caso l’inadempienza

e nel secondo la carenza legislativa. Nei confronti del primo, la famosa legge del ’57, che pur

impediva l’eleggibilità dei titolari di concessioni d’interesse pubblico, non è stata applicata.

Verso il secondo carattere manca un’efficace legge che impedisca ai titolari di cariche

d’interesse pubblico la facoltà di favorire i propri interessi privati o di esserne favoriti. La

legge Frattini non può essere considerata una legge contro il conflitto d’interessi perché è in

sostanza un espediente per favorirlo.

Ritengo che non ci si possa accontentare della eventuale evanescenza politica del soggetto in

questione. L’Italia ha tollerato colpevolmente un’anomalia mostruosa e deve fare ammenda di

fronte a sé stessa e all’Europa. Perciò resta necessaria una legge che stabilisca

l’incandidabilità assoluta dei possessori di mezzi di comunicazione: ho presentato un disegno

di legge in questo senso. E una vera legge erga omnes sul conflitto d’interessi è dovere

essenziale della prossima legislatura.

Torno alla par condicio. Che sia una legge insufficiente è dimostrato: la par condicio non

esiste. Il presidente del consiglio travalica abitualmente tutti i limiti soprattutto in campagna

elettorale. E le rare e prudenti sanzioni comminate non lo intimoriscono affatto. Al contrario,

la maggioranza spesso riesce a imporre un uso distorto della legge per impedire la

manifestazione di opinioni opposte. Basta far mancare uno dei soggetti del contraddittorio per

tappare la bocca agli altri. La parzialità dell’informazione è ormai normalità fisiologica e il

direttore Minzolini ne è solo l’esempio più grottesco, ma non l’unico.

In questa distorta situazione, gli organismi preposti al controllo sono del tutto insufficienti e le

loro competenze rivelano un’evidente asimmetria.

La Commissione parlamentare di indirizzo e vigilanza dei sistemi radiotelevisivi nega il suo

stesso titolo e si occupa solo della Rai. Il motivo sarebbe che solo la Rai è tenuta a garantire

un servizio pubblico. Ma anche le reti private, grandi e piccole, quando fanno informazione

svolgono un servizio pubblico. La Commissione poi risente necessariamente della volontà

della maggioranza: il suo ostinato ostruzionismo ha impedito ad esempio per più di un mese la

redazione della delibera sul regolamento per la campagna referendaria, confinata così negli

ultimi quindici giorni utili. Ciò rende ancora più straordinario il successo del Sì.

L’Autorità di garanzia per le comunicazioni dovrebbe occuparsi delle reti private.

Condizionata dalla sua composizione, che la sottopone all’influenza del governo, lo fa con

abituale prudenza, talvolta ai limiti della distrazione. Ma contribuisce alla stesura del contratto

di servizio della Rai e commina sanzioni per infrazioni compiute da autori Rai. Dunque,

mentre la Commissione parlamentare non può spingersi sul terreno dell’Autorità di garanzia,

questa può fare il contrario.

Il predominio della maggioranza parlamentare è poi tradizionalmente istituito nel Consiglio di

amministrazione Rai. E’ ragionevole pensare che, una volta finito il regime di spoil system

imposto dall’anomalia italiana, si torni alla lottizzazione classica, ripartizione ponderata tra

partiti di maggioranza e minoranza.

Per evitare la ripetizione di un sistema tanto logoro quanto ingiusto, penso che la via maestra

sia stabilire che i membri di nomina parlamentare in Consiglio di amministrazione siano in

rigorosa minoranza. Si discuta sui criteri di scelta degli altri membri ma si tenga fermo questo

principio.

E anche l’Autorità di garanzia, per essere davvero tale, deve essere sottratta alla volontà

parlamentare e governativa. Se è impossibile eliminare l’asimmetria tra Commissione e

Autorità è essenziale che quest’ultima sia composta in modo da garantire l’indipendenza

dall’esecutivo. La Commissione parlamentare deve restare l’unico soggetto in cui si

rispecchino i rapporti di forza fissati dalle elezioni.

Considero una via del tutto sbagliata la proposta di privatizzare la Rai, che pure non manca di

sostenitori nell’attuale opposizione. E’ insostenibile la rinuncia al servizio pubblico. Quanto

alla vendita, non si vedono all’orizzonte acquirenti. Secondo: è più facile immaginare una

vendita rete per rete. Terzo: questa soluzione implica l’alienazione complementare di parte

delle reti Mediaset. Perché in ogni caso, privatizzazione o no, si deve garantire la parità di

condizioni nella concorrenza. Per essere espliciti: poiché è inimmaginabile che un solo

proprietario privato abbia tre reti mentre gli altri ne hanno una sola è necessario comunque

che i soggetti concorrenti abbiano un numero pari di reti in loro possesso, siano queste una,

due o tre. Assicurato questo risultato ci si può chiedere quale sia la soluzione migliore per la

salvaguardia e il rafforzamento della Rai come servizio pubblico.

La conclusione positiva dell’avventura referendaria mostra una minore capacità delle reti

generaliste, oggi in mano all’anomalia italiana, di influire sull’opinione pubblica. Ne

potrebbero derivare conclusioni assai interessate, tutte da rifiutare. La prima: dato che la Tv

classica non conta più come prima, inutile preoccuparsi del conflitto d’interessi. Le seconda:

dato che ormai la Rete è strumento sempre più efficace per l’organizzazione autonoma di

iniziative della cittadinanza attiva, è giunto il momento di regolamentare l’espressione delle

libertà in rete. Scuse capziose non mancano, come i filmati pedopornografici. Ma non è sotto

il tallone di un monopolio anomalo che si può discutere la regolazione dell’unico strumento

indipendente offerto alla più vasta varietà di opinioni. Allora diciamolo chiaro: giù le mani

dalla Rete.

Michele Prospero

Legge anacronistica ma necessaria in un contesto politico ambiguo

In un bilancio equilibrato della sua capacità di garantire una copertura mediatica non

apertamente distorcente alla contesa delle forze politiche in vista del voto, la legge sulla par

condicio appare per certi versi anacronistica, ma continua ad essere necessaria. Anacronistica

quella normativa è perché, con il voto di Milano e con la prova referendaria sui beni comuni,

sembra essersi aperto un ciclo politico discontinuo che, a dispetto della palese

differenziazione delle possibilità di accesso ai media riscontrabile tra i soggetti politici e a

contrasto anche della cappa di piombo caduta sull’informazione pubblica, si è realizzata

quella condizione, che auspicava anche Cuperlo, di una soluzione politica all’anomalia

italiana nel cuore del potere berlusconiano. Però malgrado la controtendenza rappresentata dal

voto di Milano la legge sulla par condicio è necessaria perché sulla delicata questione del

pluralismo delle fonti di informazione non bisogna mai giudicare a partire da una situazione

favorevole di sfaldamento del sistema politico. E’ evidente che nella consultazione

referendaria, così come nelle precedenti tornate amministrative che hanno visto un crollo della

destra in tutto il nord, i media reclutati in maniera militare in una battaglia campale non sono

stati decisivi per la conservazione del consenso. Le invasioni prolungate dei media da parte

del presidente del consiglio e della sua maggioranza non hanno assicurato la vittoria

elettorale. Ma questa sfasatura tra occupaione sistematica dei media e responso delle urne si è

registrata perché il voto si svolgeva in momenti del tutto eccezionali. Quando infatti un

sistema politico è in una crisi organica è evidente che non basta neppure il monopolio dei

mezzi di comunicazione per arginare il declino. Nelle fasi di destrutturazione di un sistema

c’è una oggettiva rivincita del “principio di realtà”, ossia di reviviscenza di quella condizione

che Max Weber indicava con il suo famoso esempio “Tutti sanno quando le scarpe fanno loro

male”. Quindi, dinanzi ad un governo associato ormai al fallimento economico, sociale e

politico, l’impatto dei media è stato sicuramente marginale nell’accaparramento di un

consenso maggioritario.

C’e da chiedersi se le condizioni storiche che richiesero il varo della legge sul par condicio

siano ancora operanti e se quindi un intervento coercitivo sui media per costringerli ad

assicurare una copertura pluralistica della comunicazione continui ad essere ancora

indispensabile. Si tratta di una legge che, dopo la terribile giungla mediatica che nel 1994

condusse ad ogni forma di sopruso e di arroganza proprietaria, è stata concepita per mettere

un parziale freno alla libertà selvaggia dei mezzi di comunicazione. L’impossibilità di una

regolamentazione maior sul conflitto di interessi esploso nel 1994, e anche la difficoltà ad

approdare ad una efficace legislazione antitrust, ha costretto i governi dell’Ulivo a disporre

misure minor con clausole quantitative e vincoli escogitati per scongiurare la decadenza degli

indici di pluralismo e mantenere almeno la parvenza di una parità tra i contendenti. Con ciò il

sistema politico ha concentrato delle aspettative crescenti su una legge minor, quella della par

condicio, che ha finito per avere addosso un sovraccarico di aspettative in un contesto

politico-istituzionale anomalo in cui la disposizione di media e denaro era profondamente

asimmetrica.

Il sovraccarico di aspettative storicamente addensato sulla par condicio ha accentuato il

profilo iper-descrittivo delle regole, stimolando una minuziosa classificazione temporale. Con

una griglia persino rigida, ed anche assumendo un volto iper-repressivo, le norme trovano una

capacità coattiva spesso solo apparente. Nell’impianto sanzionatorio prevale il momento della

inefficacia, perché l’intervento coercitivo, essendo per forza di cose solo ex post, non può mai

ricostruire la condizione di partenza che è stata alterata da invasioni illecite. La sanzione per

la sua natura temporalmente susseguente all’illecito è inefficace come riparazione di un

abnorme impiego dei media. Essendo poi di natura prevalentemente economica la sanzione

sprigiona una debole efficacia quale deterrente. Il politico alla testa di un partito azienda ha i

soldi e può tranquillamente pagare le multe. Nel campo della comunicazione politica la pena

comminata in denaro è del tutto inefficace quale antidoto a comportamenti sleali. Così come

risulta una pistola scarica anche la sanzione di chi evoca un intervento dissuasivo - non si sa

bene in quale forma e da parte di quali organi - che lambisce il problema della ineleggibilità.

Da questo punto di vista, la par condicio si configura come una legge che accentua il profilo

sanzionatorio per debolezza, perché è nata in un contesto dove altri sono i problemi di natura

economica, politica, che alterano alla base ogni pluralismo tra i partiti quali soggetti della

sfera pubblica mediatica. La cultura che ha ispirato la legge sulla par condicio può anche

essere discutibile nel suo impianto, ma sua necessità contingente pare accertata. Alla base

della legge sulla par condicio vi è il principio, di dubbia attendibilità analitica, secondo cui

esisterebbe una gerarchia qualitativa dei mezzi tra i comunicazione. La normativa nasce

all’insegna della credenza riposta in una maggiore efficacia della televisione rispetto ai nuovi

media. Per quanto dubbio sia questo sistema di graduazione gerarchica dell’impatto dei

media, è evidente che in Italia più di ogni altro veicolo di informazione ancora conti in

maniera preponderante la televisione. E’ piuttosto scontato postulare che nelle fasi politiche

normali, la quantità di presenza nella televisione esercita una considerevole influenza nella

determinazione degli orientamenti di voto.

Malgrado la retorica sul “2.0”, sui nuovi media che avrebbero ribaltato i modi di formazione

del consenso e quindi spianato la strada al raggiungimento del quorum nel referendum, è

evidente che la televisione continua ad essere il veicolo principale di costruzione di senso e di

distributore dell’informazione politica. I nuovi media hanno giocato un ruolo inedito però

anche le vecchie trasmissioni, come quella di Santoro, ha registrato un record di ascolti.

Quindi, non c’è stata un’operazione di sorpasso dei nuovi media rispetto ai vecchi mezzi di

comunicazione.

La velleità – molti interventi hanno già fatto riferimento a questo proposito in un senso critico

– di introdurre dei parametri normativi restrittivi sui nuovi media, si scontra con la felice

condizione “hobbesiana” dei nuovi media. Rispetto a invocazioni di misure disciplinari è

preferibile una condizione della rete che sfugge ad ogni pretesa di regolamentazione in

un’ottica restrittiva. La proliferazione dei nuovi media, l’attivismo di soggetti informati che

navigano non attenua la crucialità della questione dei vecchi media come base di potere

economico e politico.

La par condicio, con il desiderio di risolvere per via giuridica, amministrativa, il tema della

libertà di informazione, il nodo del pluralismo, nasconde sicuramente il problema vero, che

anche Chiappetti ha sollevato quando ha parlato della cultura del servizio pubblico che è un

bene assente. Anche Morcellini ha ricondotto il suo intervento alla grande rilevanza della

figura del conduttore in un’ottica di servizio pubblico attento a stimolare attenzione critica e

non conformismo.

Il conduttore, soprattutto nelle sue espressioni più carismatiche, cerca un nesso immediato con

il pubblico e manca di operare con i mezzi espressivi tipici di una cultura del pubblico. Non vi

è conduttore che eserciti una spiccata funzione pubblica attenta a esaltare la capacità di

giudizio, la oggettività di un nucleo di informazione. C’è, per quanto riguarda la figura del

conduttore, una sorta di multiculturalismo. Ognuno si crea una zona di protezione riservata, e

il sistema prevede così una integrazione per parzialità che si sommano caoticamente. Questo

assemblaggio di eterogenei a spiccata parzialità però è necessario in una condizione di

emergenza e di anomalia, ma è anche la spia di una mancanza profonda di spirito pubblico e

di carenza di operatori dell’informazione televisiva capaci di sintonizzarsi con lo spirito più

autentico del servizio pubblico.

Sono state indicate nel corso di questo incontro seminariale anche le opportunità di riforma di

una legge che ha più di dieci anni e necessita di una qualche manutenzione. Si tratta di una

legge che è nata all’insegna di una sorta di ibridismo culturale, mescolando modello inglese

(divieto di spot), modello americano, modello tedesco (pari opportunità di accesso). C’è però

da chiedersi che tipo di riforme siano auspicabili in una fase politica dinamica ma anche

incerta nelle prospettive. Cheli auspicava una riforma impregnata al bisogno di ipersemplificazione,

al fine di rendere più snelli i passaggi. Betto invitava a mettere insieme il

vecchio cronometro, che Gentiloni un po’ criticava, con elementi di qualità, con un

riferimento più puntuale anche all’audience, cioè al numero effettivo di soggetti che assistono

ad una trasmissione. Non soltanto il minutaggio, ma riferimenti coerenti ad altri criteri di

valutazione sono indispensabili per un miglioramento del quadro legislativo disponibile.

Per concludere, occorre insistere su un aspetto che Messa ha giustamente ha rimarcato: il

consenso non è un atto immediato che si realizza nel mese iper-sorvegliato dalla par condicio.

Il consenso è un processo lungo e conta nel diffondere credenze e immaginari più il tronista

che altri sistemi di informazione. Il consenso più profondo e impermeabile si produce più nei

reality, nelle trasmissione della cosiddetta vita in diretta etc., che nella presenza nei dibattiti

politico-culturali.

Roberto Rao

La par condicio "un'anomalia indispensabile"

La par condicio, per quanto obsoleta e anacronistica, resta ancora l’unico baluardo contro il

grave conflitto di interessi che c’è in Italia. Un conflitto di interessi grande come una casa e

che esiste per colpa di tutti noi, della destra, della sinistra e del centro che abbiamo tollerato

una situazione intollerabile e oggi ci troviamo a dover difendere una legge superata, la cui

unica valenza è fermare il candidato e l’uomo più famoso d’Italia, Silvio Berlusconi. Allora,

però, bisogna chiedersi che senso abbia l’applicazione della par condicio – e se non sia

addirittura controproducente – se a violarla per primo e più clamorosamente è proprio

Berlusconi, anche nell’intervista a reti sostanzialmente unificate rilasciata tra il primo e il

secondo turno delle amministrative, con domande precostituite o comunque con risposte

preconfezionate.

In questo quadro, sottrarsi al confronto su un tema come questo – come purtroppo fanno

spesso molti esponenti politici – significa non voler riconoscere che c’è bisogno di un

atteggiamento paritario nell’informazione e che le norme sulla par condicio sono

probabilmente le più violate d’Italia.

Da tempo, e nella campagna elettorale per le amministrative e per i referendum in modo

particolare, si è diffusa la convinzione che si possano infrangere le regole tranquillamente,

palesemente ed impunemente. Grazie all’iniziativa di Roberto Zaccaria e del suo centro di

ascolto siamo riusciti a frenare questa deriva presentando ricorsi all’Agcom con un ritmo

quasi quotidiano.

L’azione dell’Autorità – i cui componenti in un Paese anglosassone diversamente che da noi

vivrebbero sotto una teca di vetro – è poi indebolita da un serie di circostanze che ne riducono

drasticamente l’efficacia. In primo luogo, di tutti i provvedimenti che essa ha assunto in

materia di par condicio durante l’ultima campagna elettorale neanche uno è scaturito da

un’iniziativa d’ufficio, ma sono stati tutti frutto di sollecitazioni di parte. Una circostanza che

la dice lunga su quello che dovrebbe essere il massimo organo di garanzia sulle

comunicazioni e che invece si è dovuto soltanto adeguare a delle sollecitazioni politiche, che

in realtà non avrebbero dovuto neanche esistere. La politica in questi casi dovrebbe limitarsi a

sorvegliare, intervenendo in casi rarissimi ed eccezionali. Un’Autorità che interviene

d’ufficio, infatti, oltre a non contare su un ruolo di supplenza della politica che in molti casi

potrebbe anche venire a mancare, è un’Autorità che si impone e gode di un maggiore prestigio

nei confronti dei soggetti controllati. Criticare un intervento operato su istanza di una forza

politica, infatti, è ovviamente molto più facile che ribellarsi a un provvedimento adottato

d’ufficio.

Le sanzioni, poi, sono quasi sempre inadeguate. Per quelle pecuniarie le ragioni sono evidenti:

quando a essere condannata è la Rai, infatti, a pagare sono gli stessi cittadini, sia che le risorse

siano sottratte a quelle recuperate dal canone sia che si tratti comunque di denaro dell’azienda.

E le cose non vanno meglio per Mediaset: a Berlusconi, infatti, potrebbe convenire una

sanzione per quanto salata che costosi spot, anche perché è stato ampiamente dimostrato che

di fronte ai telegiornali lo spettatore abbassa le difese immunitarie ed è maggiormente

influenzabile. Qualche violazione della par condicio, nonostante le multe, potrebbe quindi

essere ben più efficace ed economica della migliore campagna pubblicitaria.

Le cose non vanno meglio quando l’Agcom ordina un riequilibrio. Da un lato, infatti, la

tempestività di azione dell’Autorità può ben essere definita drammatica. Nel corso di

un’audizione in Commissione di Vigilanza Rai, il Presidente Calabrò ha allargato le braccia,

chiarendo che il tempo minimo di intervento è di 48 ore. Ancorché questa tempistica fosse

sempre rispettata, molto spesso sarebbe comunque troppo tardi. Infatti, per fare solo un

esempio, se un’intervista a reti unificate come quella di Berlusconi cui facevo riferimento

prima fosse andata in onda l’ultimo venerdì della campagna elettorale, o anche il giovedì

precedente, non ci sarebbe stata la possibilità di realizzare nessun riequilibrio. Tuttavia, a

destare non poche perplessità è lo stesso rimedio del riequilibrio, che quasi sempre si traduce

in una doppia, tripla o quadrupla faziosità, cioè in un pericoloso cumulo di errori. E quindi in

un ripetuto danno per i telespettatori, costretti a subire il ripetersi di eccessi un giorno dopo

l’altro, senza neanche la possibilità di metterli a confronto con una messa in onda

consequenziale.

Se quelle della par condicio sono le norme più violate d’Italia, il canone Rai è la tassa più

evasa. E questo la dice lunga sul concetto di occupazione della televisione pubblica e sul fatto

che si voglia svuotarne il peso quando non si riesce a controllarne l’orientamento. L’evasione

ha ormai raggiunto livelli intollerabili, prossimi al 30 per cento, e impedisce all’azienda di

investire in programmi innovativi e di qualità, costringendola oltretutto a inseguire l’audience

più di quanto non dovrebbe fare. E il Governo che fa? Invece di riformare una legislazione

che risale al 1938 per facilitare la lotta all’evasione, aumenta l’importo del canone, andando a

colpire quelli che ancora lo pagano. Si tratta, in buona sostanza, di un’applicazione riveduta e

corretta del concetto dei tagli lineari. Mentre da tempo giace in Parlamento una mia proposta

di legge che ha già ricevuto un sostegno trasversale e che consentirebbe di risolvere il

problema alla base agganciando il canone alla bolletta energetica. I pochi che non possiedono

un televisore dovrebbero limitarsi a una semplice dichiarazione che li libererebbe da ogni

obbligo.

Anche l’azione della Commissione di Vigilanza è fortemente limitata dall’atteggiamento della

maggioranza che ne condiziona (e spesso ne impedisce) l’attività, paralizzandola per lunghi

periodi. Come è avvenuto, ad esempio, per il regolamento sui referendum che è stato

approvato in ritardo, bloccando per circa un mese l’inizio della campagna referendaria. Tutti i

poteri della Commissione sono, in buona sostanza, nella mani della maggioranza, che tra le

altre cose ha presentato un atto di indirizzo sul pluralismo, che se venisse approvato

consacrerebbe ed incentiverebbe la politicizzazione dei giornalisti e dei conduttori della Rai e

l’accumulo di faziosità.

Al di là della necessaria e improcrastinabile risoluzione del conflitto di interessi, basterebbe

che in Rai, così come nelle televisioni private, ci fossero dei direttori, dei giornalisti e dei

conduttori seri che rispettano delle regole serie scritte non per colpire qualcuno, ma

nell’interesse generale. Del resto, già oggi ci sono professionisti che riescono a fornire

prodotti di qualità che registrano ottimi dati d’ascolto senza violare norme e regolamenti.

Non si può parlare di par condicio e di televisione, ormai, senza parlare di internet e di nuova

tv. Fino a qualche tempo fa, infatti, tutti noi avevamo un solo strumento per scegliere, il

telecomando, che ci forniva una pluralità di offerte. Col passare degli anni, e col debutto del

digitale terrestre e della piattaforma satellitare, la stessa offerta televisiva è aumentata in

modo esponenziale, passando da poche decine a centinaia di canali, generalisti e non. Da

qualche tempo, poi, il ruolo di internet, che ha moltiplicato le possibilità di scelta a

disposizione degli utenti, è molto cresciuto, tanto che il Presidente Calabrò ha aperto la sua

relazione annuale parlando dei social network e del loro ruolo importantissimo, trainante, se

non determinante nelle più recenti battaglie politiche. Come, ad esempio, quella per i

referendum.

La presenza dilagante di internet, e la varietà immensa di scelta che garantisce, pone due sfide

fondamentali. La televisione, se vuole sopravvivere all’ondata del web, deve sapersi innovare

e produrre sempre più contenuti di qualità. La cattiva televisione era sopportata in assenza di

scelta: con un’offerta sempre più variegata è destinata immancabilmente a soccombere,

mentre l’esperienza insegna che la buona televisione, innovativa e di qualità, continua a essere

vista. Allo stesso tempo, senza pensare ovviamente ad alcun tipo di censura, la normativa

della par condicio non può agire sulla televisione fingendo di ignorare l’esistenza di internet e

il ruolo fondamentale che svolge, ormai, nella formazione della coscienza politica tanto in

Italia, quanto all’estero (basti pensare, ad esempio, alle recenti rivolte in nord Africa e al

tentativo di tutti i Governi di bloccare la rete).

In questo senso, sono da respingere e condannare tutti i segnali di intolleranza nei confronti

del web, come quello del Ministro Brunetta che si è recentemente lamentato di quello che a

suo dire era un uso distorto della rete, o quello del parlamentare del Pdl che ha affermato che

chi usa i social network non ha nulla da fare. Si tratta di piccoli segnali di intolleranza spesso

prodromici di una censura operata con la scusa della regolamentazione.

Concludendo, un auspicio. Le regole, per essere rispettate, devono essere certe ed

inequivocabili, così come gli strumenti che servono a valutare eventuali violazioni. Ebbene,

non tutti sanno che la Rai e l’Agcom – la controllata e la controllante – si servono di due

diversi istituti per valutare la presenza dei politici in televisione: Viale Mazzini si rivolge

all’Osservatorio di Pavia, l’Autorità all’Isimm. I parametri utilizzati per alcuni aspetti

fondamentali non sono coincidenti e anzi fanno registrare profonde differenze ad esempio

sulla classificazione degli interventi dei membri del Governo, compreso Berlusconi. Un

conto, infatti, è considerarli sempre come figure istituzionali, ben altra cosa è distinguere le

ragioni che li portano ad essere oggetto dell’attenzione dei telegiornali. Così, quando l’Agcom

richiama ad esempio il Tg1, il direttore Minzolini può tranquillamente affermare in buona

fede che i dati in suo possesso non fanno registrare alcuna violazione della par condicio. Se

non si comincerà ad intervenire mutando le basi di partenza sarà molto difficile ottenere il

rispetto delle regole.

Piero Alberto Capotosti

La regola della par condicio è ancora valida

Concordo con quello che è stato detto prima di me: la legge sulla par condicio sarà un po’

vecchiotta, però i suoi principi ispiratori valgono ancora, in quanto i modelli di regolazione

degli spazi radiotelevisivi in materia di comunicazione politica dei principali Paesi continuano

ad ispirarsi, pur con le inevitabili differenziazioni, alla regola della parità di chances.

La normativa della par condicio non è affatto superata; forse sarebbe opportuno introdurre

alcune innovazioni e modifiche, ma i principi contenuti sono fondamentalmente validi anche

oggi, seppure in una situazione notevolmente diversa da quella del 2000. Periodo in cui non

c'erano, o non erano così sviluppati i cosiddetti “nuovi mezzi di massa” che naturalmente

sfuggono ad una disciplina legislativa tendenzialmente limitativa.

In realtà però, ancora oggi, molte persone ancora restano affascinate dal mito del telegiornale,

generalmente il Tg1, ciò vale ancora in larghi strati della popolazione. Non possiamo

pretendere che tutti abbiano lo stesso grado di acculturazione e conoscenza dei mezzi di

comunicazione di massa, di seconda, terza o quarta generazione. Il mito del telegiornale, che

“è quello che dice la verità”, resiste ancora per molti, ed è proprio per questo che valgono

ancora quei principi accolti nella legge n. 28 e che sono diretti a garantire ai cittadini una

completa ed obiettiva informazione. Proprio questa garanzia, del resto, è considerata una “precondizione”

di un autentico sistema democratico.

E’ fondamentale quindi, che nel momento della competizione elettorale, vengano garantite

parità di chances, prerequisito essenziale per una corretta informazione e conseguente

formazione politica dell'opinione pubblica. Per fare ciò non possiamo fare a meno di una

legge sulla par condicio nell'attuale situazione, anche a prescindere dal conflitto d'interessi

macroscopico che sussiste in materia di pluralismo informativo, essendocene comunque altri,

meno microscopici, che pullulano nel mondo dell’informazione e forse anche nell’ambito

degli stessi membri delle Autorità di vigilanza.

Ecco perché serve una legge i cui principi fondamentali siano quelli che hanno ispirato la

legge 28 e che debbono continuare ad esistere.

Certo, oggi esistono, con riferimento ai programmi di approfondimento politico-elettorale,

delle trasmissioni, il cui format è assai diverso da quel periodo. Allora, in tema di

comunicazione politica, si trattava essenzialmente di una sola tipologia di programmi, quella

delle tribune politiche precisamente regolata, mentre sfuggivano a regolamentazioni le

trasmissioni di diffusioni di notizie. Il problema consisteva dunque nella distinzione tra questi

due tipi di programmi, ai fini dell’applicabilità delle predette regole. Secondo il legislatore del

2000, riprendendo la sentenza della Corte costituzionale n. 155 del 2002, il carattere distintivo

era costituito dalla presenza di una struttura descrittivo-narrativa: quando c'è una struttura

descrittivo-narrativa che prevale nella trasmissione di notizie vengono meno tutta una serie di

regole condizioni, poiché non si è in una tribuna politica. Oggi tutto questo è cambiato,

soprattutto per quanto concerne le cosiddette trasmissioni di approfondimento politico.

Ma, oltre a questa difficoltà, va detto che una nuova regolamentazione arriva in ritardo perché

sia nell'Autorità bicamerale di vigilanza sia nell'Agcom risentiamo gli effetti di quello che

Giuliano Amato definì il governo “spartitorio”. E così, ad esempio, la maggioranza blocca,

cioè non mette all'ordine del giorno il regolamento, e la disciplina regolamentare per il

referendum arriva all'ultimo giorno utile e nessuno sa nulla del referendum. E non basta fare

appello agli strumenti alternativi di informazione, come surrogati di tale stato di cose, poiché

questi strumenti alternativi rimangono naturalmente fuori dalla possibilità di essere regolati e

quindi fuori dalla possibilità che sia assicurata la regola fondamentale della par condicio.

Quello che si può regolamentare deve esserlo fatto secondo lo strumento e la regola della par

condicio, che va peraltro adeguata a seconda delle nuove esigenze indotte anche dalle nuove

forme della comunicazione politica radiotelevisiva, perché l'incidenza del mezzo

radiotelevisivo sulla formazione della pubblica opinione è ancora notevolissimo.

È inutile sostenere che ciò non è vero e che ci sono strumenti alternativi in grado di potere

bilanciare la forza del mezzo radiotelevisivo: tra questi non c’è certo la stampa, che ha un

impatto minore, meno pervasivo, meno incisivo. Un diverso, notevolissimo impatto, anche se

tendenzialmente limitato a certe fasce generazionali e sociali, lo hanno invece le nuove

tecnologie di social network, le quali, però non appaiono facilmente assoggettabili a regole

limitative.

Occorrerebbe invece estendere l’applicazione della par condicio, nel senso di prevedere e di

ampliare il suo ambito, quanto meno alle nuove forme di trasmissione della comunicazione

politica, le quali oggi non sappiamo come inserire nella legislazione vigente. In altri termini, è

necessario estendere i criteri fondo della legge n. 28/2000 ai nuovi format oggi esistenti,

anche per ridurre il protagonismo veramente eccessivo dei conduttori di questi programmi.

Un altro tema da affrontare riguarda le sanzioni. Queste devono essere inflitte

necessariamente in un momento successivo alla trasmissione “incriminata”, perché una

sanzione preventiva non è possibile, dato che sarebbe configurabile come una inammissibile

forma di censura. Rimane tuttavia il rischio che la sanzione, avendo un contenuto pecuniario e

non personale venga, per così dire, aggirata, nel senso che la sanzione stessa finisca con

l’incidere sull’azienda e venga pagata dall'azienda o, nel caso della Rai, sostanzialmente da

tutti noi.

Un’alternativa a questo meccanismo sanzionatorio potrebbe essere costituito da un tipo d

sanzione che incida direttamente sul giornalista autore del servizio incriminato. Si potrebbe

cioè ipotizzare, come avviene nel mondo della stampa, che la sanzione delle Autorità di

vigilanza vincolali automaticamente l’Ordine giornalistico ad infliggere al giornalista

medesimo la misura della sospensione per un determinato periodo di tempo. Questo ipotizzato

meccanismo sanzionatorio avrebbe sui giornalisti un effetto di deterrenza assai maggiore

dell’attuale, il quale, in definitiva, è pressoché inesistente, poiché la sanzione non li colpisce

direttamente.

Tutto questo, in fondo, incide sul “governo” del sistema radiotelevisivo pubblico e privato. A

proposito di questo profilo, c’è da ricordare una decisione della Corte costituzionale risalente

al 1974, che, tra i suoi “comandamenti”, stabiliva che la Rai dovesse essere assolutamente

indipendente dal Potere Esecutivo. Quella sentenza naturalmente, nonostante il decorso del

tempo, è rimasta in vigore, ma la Rai via via è diventata un qualcosa che rientra sempre più

nell'ambito del circuito di governo. Occorrerebbe quindi riscoprire l’attualità di quella

sentenza, per riaprire un discorso in quella direzione. E tutto ciò potrebbe costituire un’utile

innovazione al testo della legge n. 28 del 2000.

Sempre nell’ambito del governo del sistema radiotelevisivo, un altro aspetto da sottolineare

riguarda la duplicazione delle Autorità di vigilanza, quella che ha ad oggetto l’attività della

Rai e quella che si deve occupare delle emittenti private. Forse sarebbe opportuno unificarle,

ma comunque per entrambe sussiste un problema di composizione. E’ evidente che la prima è

una commissione parlamentare che non può che avere alla base i criteri di composizione e di

funzionamento propri degli organi del parlamento. Invece potrebbe benissimo essere

modificata la struttura dell’Agcom, che risulta formata sulla base di un rapporto paritario di

quattro elementi eletti dalla maggioranza parlamentare e quattro dalla minoranza, oltre al

presidente.

Una volta unificate, queste due commissioni di vigilanza dovrebbero essere sottratte all’area

delle dirette scelte politico-parlamentari, e quindi all’influenza della maggioranza di governo

e ricondotte nell’ambito della rappresentanza della società civile, al fine di assicurare una loro

effettiva indipendenza ed imparzialità, sfuggendo alle varie forme di pressione politica. Mi

rendo conto che ritratta di un problema di difficile soluzione, ma che deve necessariamente

essere affrontato, possibilmente nell’ambito delle modifiche da apportare alla legge 28.

In conclusione la legge sulla par condicio deve essere aggiornata ed integrata in alcuni suoi

aspetti, ma, a mio avviso restano tuttora validi i principi ispiratori che debbono essere

sostanzialmente mantenuti.

Giuseppe Sangiorgi

La riforma della par condicio ed il ruolo ambiguo dei partiti

Ero venuto qui per ascoltare, non per intervenire. Nel prendere la parola, “trascino” quindi nel

dibattito questa mia collocazione iniziale di spettatore. E come spettatore, come cittadino ho

davanti ai miei occhi una fotografia deprimente della attuale democrazia televisiva nel nostro

Paese. Occorre ricordare che quando si parla di democrazia televisiva, e in particolare di

democrazia televisiva elettorale – perché di questo tratta sopratutto la legge sulla “par

condicio” 28/2000 oggetto del nostro incontro - c’è una data importante che in qualche modo

segna l’inizio di questa storia. Mi riferisco al 26 settembre del 1960, il giorno del primo

confronto televisivo in diretta tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America, John

Kennedy e Richard Nixon.

Da allora questi appuntamenti sono diventati un rito in tutti i Paesi democratici. In Italia,

mezzo secolo dopo, ancora no. Nel 2008 c’è stata la nostra ultima campagna elettorale per il

rinnovo del Parlamento e non si è riusciti in questa occasione ad avere un confronto televisivo

diretto tra i due candidati alla premiership, Walter Veltroni e Silvio Berlusconi. Il sistema

televisivo italiano non è stato in grado di mostrarsi arbitro dello scontro elettorale, piegato

invece ai calcoli di parte dei contendenti. Non ha avuto la forza di essere un potere terzo

rispetto a quello politico; di servire l’interesse dei cittadini-spettatori invece di quello dei

politici.

La circostanza è amaramente emblematica anche in rapporto a quanto nello stesso periodo

avveniva negli Stati Uniti, in Spagna e in Inghilterra, gli altri tre Paesi coinvolti in elezioni

politiche generali tra il 2008 e il 2009. In Inghilterra si è votato nella primavera 2009. A

dicembre del 2008 la BBC aveva già stabilito il calendario e rese note le date dei confronti

televisivi diretti di novanta minuti ciascuno che sei mesi dopo avrebbero coinvolto i leader

dei partiti laburista, conservatore e liberale. In Spagna si è svolto regolarmente il confronto tra

Josè Luis Zapatero e Josè Maria Aznar. Negli Stati Uniti si sono svolti prima i confronti

televisivi tra gli aspiranti candidati repubblicani e repubblicani, poi quelli finali tra Barack

Obama e John Mac Cain.

Tutto questo è motivo di straordinaria preoccupazione per il futuro politico davanti a noi. Alle

prossime elezioni la legge sulla par condicio televisiva, e come essa sarà concretamente

attuata dai regolamenti della Commissione parlamentare di vigilanza per la Rai e dall’Autorità

per le garanzie nelle comunicazioni per le tv private nazionali, assumerà un’importanza pari a

quella della stessa legge elettorale. Fra l’altro i regolamenti attuativi della legge 28 sono decisi

da due soggetti diversi ma sono fatti osservare da uno solo dei due soggetti, l’Autorità delle

comunicazioni, che è come un vigile che regola il traffico avendo in mano due diversi codici

della strada.

In veste di commissario dell’Agcom, sono stato relatore di quasi tutte le delibere di par

condicio nel periodo che va dal 2000 al 2005. Ricordo bene come emerse subito, fin dal primo

regolamento attuativo della legge 28 per le elezioni regionali della primavera 2000, la vera

caratteristica di questa legge : tutto si giocava sul potere dissuasivo e sul potere di riequilibrio

della legge stessa e del regolamento attuativo.

Nell’applicare la legge 28 non sono tanto importanti le sanzioni economiche che l’Autorità

può infliggere se un’emittente televisiva reitera un comportamento scorretto. Quando la posta

in gioco è il governo di un Paese, e dunque si tratta di una posta in gioco enorme, può valere

ben la spesa pagare una multa anche di qualche centinaia di migliaia di euro. È il potere

dissuasivo quello realmente efficace: impedire che la scorrettezza venga compiuta. E se viene

compiuta, procedere con estrema immediatezza nell’arco di 24-48 ore al riequilibrio

dell’informazione televisiva a favore dei soggetti che sono stati svantaggiati da una certa

politica editoriale.

Dal TG uno a Porta a Porta, dal TG4 a tante altre trasmissioni di Michele Santoro e altri

ancora, dopo una serie rigorosa di riequilibri informativi imposti da Agcom, nei primi anni di

applicazione della legge 28 si era formato un “clima” intorno alla par condicio, per cui

bisognava rispettarla. Il partito radicale in particolare si fece subito paladino di questa

battaglia di correttezza democratica. Ricordo le telefonate che facevano all’Autorità direttori

di tg, di reti televisive e dei maggiori giornali per chiedere se certe trasmissioni o la diffusione

di certe notizie e immagini fossero compatibili con quanto previsto dalla par condicio. E si

adeguavano alle nostre indicazioni.

Negli ultimi tempi, fino alle elezioni comunali di marzo 2011, abbiamo assistito spesso

esattamente all’opposto: alla deliberata scelta da parte di conduttori televisivi di non applicare

le regole della par condicio sostituendole con una propria, personale valutazione sui politici

da invitare e quelli da escludere. Così è avvenuto anche per l’uso dei sondaggi. Con una

spregiudicatezza sempre maggiore, la tecnica dei sondaggi viene impiegata non per registrare

gli orientamenti dei cittadini ma per indurre i loro comportamenti.

La Corte Costituzionale è intervenuta ripetutamente sull’articolo 21 e sui diversi aspetti

dell’informazione televisiva, dando vita negli anni a un corpo di giurisprudenza consolidata

della quale si dovrebbe fare tesoro, eliminando in tal modo gran parte dei rischi legati a un

uso strumentale dei mass media. Penso per tutte alla sentenza 155 del 7 maggio 2002, della

quale fu relatore Piero Capotosti, una sentenza che ha il pregio di rappresentare una sorta di

compendio delle pluridecennali decisioni della Corte su questi problemi.

Non vi è dubbio che non si possa intervenire sul merito delle trasmissioni televisive ma la

sentenza di Capotosti ha teorizzato come, senza toccare la libertà di espressione, debba essere

il rispetto di alcune condizioni modali a garantire una corretta qualità informativa:

trasmissioni imperniate sul contraddittorio e comportamento dei conduttori che salvaguardi e

non alteri lo spirito di equilibrio dato dal confronto delle posizioni. Basterebbe già questo a

realizzare un universo di partecipazione televisiva molto più rispettoso del pluralismo.

La Rai dovrebbe essere in questo senso la casa delle regole: il servizio pubblico dovrebbe fare

sua senza riserve la giurisprudenza della Corte Costituzionale. La qualità dell’informazione

televisiva consiste nel pluralismo. Se c’è contraddittorio, se ci sono opinioni a confronto, se ci

sono più voci e più sensibilità culturali e sociali a discutere un dato argomento, quella è

un’informazione qualitativamente corretta.

Per un paradosso, ma a suo tempo lo riconobbe anche il presidente di Mediaset Felice

Confalonieri, l’unico modo per abolire la legge 28 sarebbe quello di applicarla sempre, tutto

l’anno, e non solo durante le campagne elettorali. Il principio della par condicio è

assolutamente da salvaguardare; esso non è limitativo della libertà di informazione, semmai

ne è rafforzativo.

La legge 28 risale al 2000. Sono passati undici anni, è cambiato da allora il meccanismo

elettorale, sulla scena della comunicazione sono apparsi internet e i nuovi media, la situazione

attuale dunque è molto diversa da quella del 2000. Però un serio tentativo di attualizzare la

legge sulla par condicio, anche rivedendo certi suoi aspetti troppo prescrittivi, finora non è

stato compiuto.

Nel corso della XVI legislatura sono state depositate in Parlamento sei proposte di modifica

della legge 28. Sono state assegnate alle competenti commissioni ma tutte risultano “in

giacenza”, senza che sia mai iniziato l’iter che porta alla loro approvazione. Sono le

cosiddette proposte “testimonianza”: la loro funzione di propaganda si esaurisce nell’essere

state presentate. In ogni legislatura se ne contano circa mille cinquecento sugli argomenti più

diversi.

In Parlamento abbiamo assistito anche a un altro avvenimento sconcertante. Nel novembre del

2010 è iniziato un dibattito sul pluralismo della Rai, che si sarebbe dovuto concludere con la

votazione su una mozione di censura proposta dall’opposizione riguardo l’informazione

diffusa dal servizio pubblico. Il dibattito è iniziato in aula, poi è stato rinviato una prima volta,

una seconda, e infine non se ne è fatto più nulla.

Su questa questione tutte le forze politiche devono un chiarimento delle proprie posizioni.

Rispetto all’informazione televisiva c’è un conflitto di interessi che riguarda anche loro. La

netta sensazione è che dietro la facciata delle polemiche, ai partiti la situazione in qualche

modo stia bene come sta. Ogni partito ha i suoi collegamenti con alcune trasmissioni

d’informazione e alcuni conduttori, e il gruppo dirigente compare in quelle trasmissioni con

sistematicità.

E’ quanto basta. Apparire in tv è un elemento costitutivo dell’odierna antropologia del potere,

e la credibilità è a sua volta una variante della visibilità. Una volta si diventava visibili perché

si era credibili. Oggi si diventa credibili perché si è visibili. La credibilità risiede dunque nella

visibilità. L’escalation della presenza in televisione ha finito col determinare un legame

perverso tra credibilità e comunicazione.

I partiti sono profondamente coinvolti in questa storia ed è ora che su di essi si apra una

questione generale che muove dal rapporto tra politica e informazione ma porta molto più

lontano: porta al centro della nostra democrazia e all’articolo 49 della Costituzione. La

politica e i partiti sono il cuore del sistema democratico. Ma se questo cuore è malato esso

provoca una sofferenza del sistema democratico. Nel Paese si è creata da troppo tempo una

Città proibita le cui mura vanno abbattute per rigenerare lo sfondo sul quale prendono vita i

comportamenti dei soggetti istituzionali e civili.

La domanda è se gli attuali partiti, per come sono organizzati al loro interno, per il modo in

cui selezionano la classe dirigente, per come elaborano le proposte, per la legge elettorale che

sponsorizzano, per la quantità di finanziamenti pubblici e di privilegi scandalosi dei quali

godono, siano un pezzo della democrazia italiana o, al contrario, siano oggi un lato oscuro

della democrazia italiana.

Io credo che il punto nevralgico della nostra crisi sia questo, ed è da qui che è necessario

partire per dare vita nel Paese a una nuova e più trasparente stagione democratica della

politica, non solo dell’informazione.

Giovanni Valentini

La par condicio e il sostegno privilegiato: due “pannicelli caldi”

Quando si parla di “par condicio”, spesso si tende a trascurare o a rimuovere un punto

fondamentale da cui invece occorre necessariamente partire. E cioè, la doppia anomalia

italiana in campo televisivo: da una parte, una concentrazione pubblica e privata che fa capo a

Rai e a Mediaset, un duopolio che detiene ancora oltre il 73% di share medio giornaliero e

rastrella quasi il 60% delle risorse complessive del comparto; dall’altra, il più macroscopico

conflitto d’interessi al mondo che consegna di fatto al presidente del Consiglio, Silvio

Berlusconi, in quanto capo del governo e proprietario di tre reti generaliste su sei, il controllo

diretto o indiretto di una gran parte del settore.

Fino a quando non si risolverà alla radice questo vizio di sistema, la “par condicio” è destinata

perciò a rimanere un “pannicello caldo”, un rimedio sintomatico, con l’efficacia di un’aspirina

contro una metastasi. Ciò non significa, naturalmente, che nel frattempo non possa essere utile

per contenere e alleviare le distorsioni prodotte da una tale anomalia, soprattutto in termini di

pluralismo dell’informazione e di pluralismo politico: questa rappresenta, anzi, la condizione

necessaria (ma non sufficiente) per assicurare un minimo di regolarità alla competizione

elettorale.

Se alle forze politiche e ai loro rispettivi leader o esponenti non è consentito confrontarsi alla

pari nella “piazza televisiva”, dove tuttora si forma il consenso e quindi l’orientamento di voto

per la grande maggioranza degli italiani, lo stesso responso delle urne rischia di risultare

falsato. L’esito delle elezioni, allora, è condizionato dall’inquinamento della tv, dalla sua

formidabile capacità di imbonimento e persuasione occulta, magari all’insaputa degli stessi

cittadini che subiscono questa influenza come spettatori più meno passivi. Si tratta, insomma,

di una regola basilare per garantire la vita democratica: tanto più che la televisione generalista

funziona in regime di concessione, sfruttando un bene pubblico come l’etere e in particolare

una risorsa limitata come le frequenze tv.

Sebbene il meccanismo della “par condicio” possa apparire talvolta macchinoso,

ragionieristico o burocratico, in una situazione di duopolio televisivo e di fronte al conflitto

d’interessi incarnato da Berlusconi s’impone comunque la necessità di disciplinare

rigorosamente i tempi e i modi delle presenze politiche in tv, nella maniera più equilibrata

possibile. È un antidoto, un contrappeso, a cui non si può e non si deve rinunciare, almeno

fino a quando resisterà la doppia anomalia della televisione in Italia. E in ogni caso, anche al

di là di questo orizzonte, corrisponde a un principio-cardine del pluralismo che va sempre

rispettato e tutelato.

Quanto all’applicazione concreta della “par condicio”, è senz’altro opportuno distinguere tra i

telegiornali e le trasmissioni di approfondimento. Nei primi, naturalmente, le informazioni

devono essere presentate con imparzialità e obiettività, attribuendo un’equivalente visibilità

alla maggioranza e all’opposizione, in modo da comprendere nei tempi della maggioranza

anche quelli assegnati ai rappresentanti del governo, e ancor più quando questi sono candidati

alle elezioni, a parte gli interventi svolti nel legittimo esercizio delle loro funzioni

istituzionali. Nei talk-show, invece, occorre riconoscere al conduttore una maggiore elasticità

e libertà professionale, in rapporto al tema e agli ospiti prescelti: a condizione di garantire

comunque un equilibrio complessivo della singola trasmissione e un equilibrio più generale

nella programmazione di questo genere televisivo nel palinsesto di ciascuna rete.

Una regolamentazione ancor più rigorosa della “par condicio” dev’essere adottata poi nei

periodi pre-elettorali, distinguendo i programmi propriamente politici da quelli

d’informazione, di approfondimento e intrattenimento. Questo non può avvenire a scapito dei

talk-show, o addirittura attraverso la loro sospensione - per così dire - “cautelativa”, come ha

preteso in passato la direzione generale della Rai nei confronti delle trasmissioni considerate

“scomode” per il governo. È evidente, tuttavia, che - soprattutto in campagna elettorale –

bisogna evitare la sovraesposizione mediatica degli esponenti di una parte politica a danno

degli altri, evitando di ospitarli anche in programmi sportivi o di varietà.

Si tratta, piuttosto, di prevedere spazi “ad hoc” sul modello delle “Tribune elettorali” a più

voci, dei “duelli televisivi” o dei “Faccia a faccia” fra i candidati, in modo da assicurare la più

ampia rappresentanza dell’intero schieramento politico che si sottopone al giudizio degli

elettori, con riguardo anche a quelle componenti che non sono presenti in Parlamento. E al di

fuori di questi programmi, assicurare comunque il pluralismo complessivo in un arco

temporale ragionevole, rispettando il criterio del contraddittorio contestuale fra le parti.

Gli organi di sorveglianza, a cominciare dalla Commissione parlamentare di Vigilanza e

dall’Autorità per le Comunicazioni, devono essere in grado perciò di controllare ed

eventualmente intervenire in modo tempestivo, per ripristinare la “par condicio” o comminare

sanzioni adeguate. La prima, in virtù della propria estrazione politica, è chiamata a sorvegliare

in particolare sul servizio pubblico radiotelevisivo, a cui competono maggiori responsabilità

sul piano dell’equilibrio e dell’imparzialità. La seconda, in forza della legge istitutiva, ha il

compito di vigilare sull’intero settore in modo da reprimere abusi o violazioni. In questa

ottica, si potrebbe ipotizzare un meccanismo di “sanzioni incrociate”, sul modello del

concorso di colpa, a carico cioè sia dell’emittente che commette l’infrazione sia del soggetto

politico che ne può trarre un beneficio elettorale.

Ma, a differenza della Commissione di Vigilanza, l’Authority è un organismo di garanzia che

– per quanto espresso dal Parlamento – dovrebbe essere assolutamente libero nella sua

funzione istituzionale. Sappiamo, invece, che in realtà non sempre è così. Molto spesso, nei

comportamenti dei singoli commissari, il senso di appartenenza e la logica maggioranzaopposizione

finiscono per prevalere sulla neutralità di giudizio. Sarebbe bene, perciò, che il

meccanismo di nomina corrispondesse a requisiti più oggettivi di competenza, indipendenza e

autonomia. O quantomeno, che le forze politiche assumessero l’impegno pubblico e formale

di scegliere i membri dell’Agcom – come quelli di altri analoghi collegi - al di fuori della

propria cerchia, escludendo parlamentari o ex parlamentari, amministratori o ex

amministratori locali, dirigenti o ex dirigenti di partito.

Alla stessa Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, com’è noto, spetta infine l’obbligo

di accertare e punire – a norma della legge Frattini sul conflitto d’interessi (n.215 – articolo 7,

comma 1) i casi di “sostegno privilegiato”. Vale a dire qualsiasi forma di vantaggio, diretto o

indiretto, messo in atto da imprese televisive che fanno capo a esponenti di governo, al

coniuge o a parenti entro il secondo grado, a favore dei medesimi. Ed è, evidentemente, un

altro aspetto distorsivo di quell’anomalia italiana di cui si parlava all’inizio.

L’Autorità può intervenire d’ufficio o su denuncia, come pure ha fatto durante la campagna

per le elezioni amministrative della primavera 2011, comminando sanzioni pecuniarie a carico

delle reti Mediaset che avevano trasmesso i cosiddetti “videomessaggi” del presidente del

Consiglio, leader del Partito della Libertà e capolista al Comune di Milano. Ma è chiaro che in

una situazione del genere le multe non bastano: sia perché la loro entità è inferiore - anche in

termini puramente economici - al beneficio prodotto dall’infrazione; sia perché arrivano

purtroppo quando il danno, ai terzi e agli elettori, è stato già arrecato. Di fronte a

comportamenti recidivi, occorre adottare perciò misure più drastiche: quali la sospensione

temporanea della concessione televisiva o addirittura la revoca.

Qui torniamo, però, al punto fondamentale da cui siamo partiti. Non esiste Paese al mondo,

almeno in quello civile e democratico, in cui il capo di un governo (e della maggioranza

parlamentare che lo sostiene) controlli direttamente tre reti televisive. E per la verità, neppure

una sola.

Il fatto è che lo “status” di concessionario pubblico, si tratti di televisioni, di ferrovie o di ogni

altro bene pubblico, è incompatibile con qualsiasi funzione di governo o carica elettiva. Da

qui discende l’ineleggibilità di questo soggetto, in quanto controparte di se stesso, a

prescindere dall’uso che può fare in concreto del titolo a termine rilasciato a lui o alla sua

azienda dallo Stato.

Se non si scioglie o si taglia preliminarmente un nodo di tali proporzioni, la “par condicio” e

il “sostegno privilegiato” resteranno strumenti senz’altro utili per limitare i danni, ma

purtroppo insufficienti per risolvere la questione. Due “pannicelli caldi”, appunto.

Vincenzo Vita

Elogio alla "par condicio"

La legge sulla "par condicio" - l. 22 febbraio 2000, n. 28 - è ancora utile, valida, necessaria.

L’eterno dibattito sul superamento di quelle norme è viziato dallo stesso conflitto di interessi

e dalle medesime concentrazioni mediatiche contro cui nacque il dispositivo. Ai primi di

agosto del 1999. Quando il governo - Presidente del consiglio D’Alema - sollecitò un qualche

cosa del genere.

Insieme al fine giurista Nicola D’Angelo (ora brillantissimo commissario dell’Autorità per le

garanzie nelle comunicazioni), scrivemmo in due giorni la bozza di un testo che a breve

sarebbe diventata la proposta dell'esecutivo. A settembre iniziò un faticosissimo iter

parlamentare, con un ostruzionismo duro e persino sguaiato delle destre che tenne la scena per

un semestre. Conclusione positiva, con un articolato di quattordici articoli assai più semplice e

lineare di quanto abbia voluto dire una malevola cattiva letteratura. Spesso è venuto il dubbio

che diversi tra i critici non avessero mai letto seriamente la l.28. O che si fossero, al più,

fermati agli svariati regolamenti attuativi della Commissione parlamentare di vigilanza sui

servizi radiotelevisivi o dell’Agcom. Lì si rintracciano tentazioni burocratiche o persino

dirigistiche, che nel testo non si colgono. Ma facciamo un flashback.

La "par condicio" – definizione coniata dall’ex Presidente Scalfaro - fu un progetto difensivo

con evidenti limiti "strutturali". Non aveva l’ambizione di una riforma del sistema, essendo

piuttosto un farmaco teso a lenire gli effetti della malattia in corso. E la malattia era grave da

un pezzo. Dopo un dibattito mostruosamente lungo e complicato, era stata approvata nel 1997

la legge n.249, che liberalizzava sì le telecomunicazioni, istituiva utilmente l’Authority, ma

introduceva una griglia antitrust debole e persino grottesca (la rete "eccedente" sarebbe stata

diffusa via satellite solo dopo il raggiungimento di un "congruo" numero di parabole…). La

riforma della Rai e la delimitazione della pubblicità erano ben contenuti in un disegno di

legge – n. 1138 - fermo presso l’ottava commissione del Senato a causa della battaglia

contraria delle destre e delle divisioni colpevoli del centrosinistra, incerto sul futuro pubblico

o privato della Rai. Per non dire del conflitto di interessi, approvato alla Camera e

rapidamente entrato in un cono d’ombra a causa della sempiterna incapacità dei gruppi

dirigenti di comprendere il peso e gli effetti dei media. Vecchia orribile deficienza che

accompagnerà molti dei protagonisti fino alle porte dell’inferno. Eppoi, eppoi: non ci furono

né movimenti, né "girotondi", né campagne di opinione. Anzi. Il tema dell’informazione era

complessivamente snobbato e persino la "sinistra-sinistra", pur di difendere la Rai, non si

mobilitò granché per frenare il potere mediatico berlusconiano. E il clima politico generale

privilegiava altro. Bicamerali a parte. Del resto, il referendum sulle tv del 1995 non era stato

preso sul serio da leadership un po’ compromissorie, un po’ inconsapevoli. Come sarebbe

cambiata la vicenda italiana se si fosse colto l’attimo… Tant’è. Le "Disposizioni per la parità

di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la

comunicazione politica" nacquero proprio in quella temperie. Ovviamente, sarebbe stato

meglio indossare l’abito di marca di una rigorosa legislazione moderna, capace di frenare le

concentrazioni e di aprirsi all’incipiente universo della rete. Il surrogato è un’altra cosa, ma

meglio del nulla. Ecco, così pare corretto interpretare la genesi della l. 28, per evitare letture e

riletture strumentali. Non solo. Il quadro europeo, con l’eccezione all’epoca della Finlandia e

del Lussemburgo, era univoco nella regolamentazione della propaganda elettorale. Non c’era

alcun eccesso nell’iniziativa del governo italiano. Se mai la struttura normativa era "media",

certo meno rigida di quella della Gran Bretagna, dove un antico decreto reale del 1927 e il

"Television act" del 1954 introducevano criteri di equa ripartizione tra i vari partiti, resi ancor

più particolareggiati dalla "Carta" della Bbc. Ricorda Ernesto Bettinelli, nel suo prezioso

volume "Par condicio" (1995), che l’allora premier John Major fu "oscurato" dal giudice per

aver superato i limiti di tempo in occasione di un turno elettorale amministrativo in Scozia.

Mutatis mutandis, non dissimile lo scenario degli Stati Uniti sotto la sorveglianza severa della

Federal Communications Commission (Fcc).

I nodi essenziali, tuttora validissimi, erano - e sono - il divieto assoluto di trasmettere spot di

propaganda politica a pagamento, la suddivisione tra comunicazione politica e informazione,

il diniego di trasmettere, nei quindici giorni che precedono il voto, i sondaggi elettorali,

l’introduzione dei messaggi politici autogestiti a costi calmierati e con parità di condizioni tra

i competitori. Naturalmente, il tempo è "un grande scultore" e la velocità dell’era digitale ha

fatto ingiallire diversi spunti. In particolare, la differenza tra comunicazione politica e

informazione è più difficile da decifrare oggi, di fronte all’irruzione dei e tra i generi, o

all’emergere di format multimediali. Così, la parte delle news rischia di essere incatenata in

una logica di conteggio dei secondi attribuiti a questo o a quello, mentre lo spirito della legge

era piuttosto il contrario. E’ avvenuto che la "maturità" della televisione generalista ha messo

in cantina le tradizionali tribune elettorali, spostando il baricentro verso i contenitori di

informazione: i cosiddetti talk show. Surreale fu nel 2009, in vista delle elezioni regionali, la

decisione della commissione di vigilanza che, con un voto di maggioranza, pretese di

estendere ai contenitori come "Annozero" o "Ballaro’’ le regole della comunicazione politica.

Come surreale e grave è l’atto di indirizzo sul pluralismo a firma Butti in discussione, ora,

nella commissione medesima. Per non dire dei regolamenti che si sono succeduti, figli più del

timore degli apparati di assumersi delle responsabilità che di una serena applicazione della

normativa. Il punto maggiormente "chiacchierato" - quello della parità assoluta di tempo

concesso alle forze in competizione - è stato a sua volta (volutamente) equivocato, mentre

riguarda solo il periodo caldo della fase che intercorre tra la presentazione delle liste e il voto,

e solo la comunicazione politica. Berlusconi ha costantemente attaccato la legge,

maramaldeggiando su tale argomento, naturalmente manipolandone i contenuti effettivi.

Purtroppo, non è stato l'unico. Un certo alone autoritario impresso alla "par condicio" è

dovuto a qualche interpretazione causidica delle autorità competenti, l’Autorità nazionale e i

Comitati regionali per le comunicazioni. Tra l’altro, nel 2003 la legge fu novellata, allargando

le griglie per l’emittenza locale. Discutibilmente, perché il cittadino -utente è sempre lo

stesso. Il vero aspetto debole del testo riguarda i meccanismi sanzionatori. Nel dibattito

parlamentare che portò alla l. 28 si rintracciano qua e là spunti in materia. Non si decise di

arrivare sic et simpliciter alla sospensione della concessione (così si chiamava ancora), per

evitare il rischio di scadere in atteggiamenti censori. Tuttavia, la multa non basta. Può essere

considerata come una prevedibile spesa del budget di una campagna elettorale, fatta ormai

soprattutto nei media. Inoltre, la relativa lentezza del procedimento rende l’altra sanzione - il

"riequilibrio" - spesso intempestiva. Comunque tardiva. Che fare? E’ argomento da

approfondire seriamente, al di fuori di banalità polemiche. Nel 2001, alla vigilia del voto

politico, sulle reti Mediaset (allora Fininvest) vi fu una illegittima dichiarazione di voto dei

volti noti, a cominciare dal compianto Mike Bongiorno. La multa di un miliardo e duecento

milioni di vecchie lire non fu mai pagata, grazie ai ricorsi al Tar. Ad esempio, una misura

utile potrebbe essere la scritta permanente in video della sanzione, insieme al "riequilibrio",

ma immediato. In che sede si avrà l’opportunità di dibattere di tutto questo? In quale

parlamento? In presenza del governo naturaliter ostile a qualsivoglia regola, con l’esibito

conflitto di interessi? Non ora, dunque, ma il voto è ormai vicino e nel programma del

centrosinistra non deve mancare il tema della comunicazione politica. Senza toccare la rete,

che non c’entra con simile disciplina. A scanso di equivoci, vista la voglia censoria che

alberga nelle culture della destra.

La legge del 2000 va storicizzata. In fondo altro non fu che un aggiornamento di una legge

precedente, la n. 515 del 1993 e dei decreti dell’allora ministro Gambino (governo Dini) a

cavallo tra il 1994 e il 1995. Non ci furono all’epoca grida di dolore. Se vi furono invece

attorno alla l. 28 è perché, nel frattempo, la televisione era diventata direttamente la politica,

sotto l’egida del fenomeno berlusconiano, che andava ben al di là del "Berlusconi politico".

Insomma, nel bene e nel male quella piccola legge toccava un nervo scoperto delle postdemocrazie

dell’età informazionale: provava a regolare ciò che gli "spiriti animali" del tempo

non permettono che venga illuminato dall’eguaglianza dei soggetti di fronte alla legge a allo

Stato di diritto. Quindi, come ha stabilito anche la Corte Costituzionale, siamo in presenza di

una necessità. Regolare la comunicazione della politica, significa regolare gli eccessi sia

dell’uno sia dell’altro campo. Oggi, poi, come prima, più di prima, visto che la comunicazione

è la politica e la politica è la comunicazione. Chi salva la società civile dall’occupazione

brutale dell’immaginario? Come si forma l’opinione pubblica? Non è un banco di prova anche

per i "creativi", cui si chiede di reinventare le tribune politiche utilizzando le potenzialità dei

canali digitali, in grado di reggere alla bidirezionalità tra emittente e ricevente? Infine, un

limite della legge fu non aver catalogato tra i soggetti il mondo associativo politico e non

partitico. E’ il momento di aprire il cervello giuridico ad un nuovo senso comune. La legge n.

28 si supera andando avanti, non bloccandone gli aspetti innovativi. Chimere? No. E’ il

realismo di una storia in Movimento, che ha dato - ad esempio - risultati imprevisti nelle

recenti consultazioni referendarie. C’è voglia di politica, di altra politica. E come si

rappresenta e si racconta il cambiamento? Riformatori di tutto il mondo, unitevi. Accademici

di buona volontà date una mano alla parte sensibile del ceto politico. Società civile, continua a

battere i tuoi colpi che, come si vede, pesano e come.

Roberto Zaccaria

Par condicio e AGCOM: un richiamo ad una maggiore fruibilità dei dati dei monitoraggi e

ad un controllo vero sul sostegno privilegiato

Trovo che sia particolarmente utile ed interessante discutere della legge sulla par condicio

all'indomani delle tornate elettorali e referendaria. Quello della parità di accesso al mezzo

radiotelevisivo in campagna elettorale è, in effetti, un tema che si apprezza nella sua interezza

solo se ne tratta “a caldo”, perché unicamente in questo modo se ne capisce l'effettiva

importanza e portata e si dà “colore ai sentimenti” attraverso una valutazione consapevole

della qualità e quantità dell'informazione diffusa dai mezzi di comunicazione di massa.

Per questo voglio dedicare questo incontro a Jader Jacobelli, che potremmo definire un

antesignano della par condicio il quale, all'indomani delle consultazioni elettorali organizzava

dei seminari in quel di Saint Vincent per una sorta di analisi ex post sulle campagne elettorali:

a questi seminari seguiva poi una pubblicazione. In questa occasione vogliamo seguire questo

suo lungimirante metodo.

Ed è proprio perché ritengo che la tempestività sia importante quando si discute di parità di

accesso al mezzo televisivo e che sia essenziale quando si deve intervenire per correggerne le

violazioni, che valuto positivamente il fatto che in queste ultime campagne elettorali

l'AGCOM abbia lavorato più intensamente del solito e sia intervenuta per correggere,

ammonire, indirizzare gli operatori dell'informazione per un uso inappropriato della

comunicazione elettorale.

Anche se l'AGCOM ha agito più velocemente che nel passato, tuttavia ancora alcune

perplessità rimangono su due questioni relative alle sue competenze ed attività: in primo

luogo quella legata alla disponibilità dei dati dei monitoraggi dei tempi attribuiti ai politici sia

in campagna elettorale che nei periodi non elettorali; in secondo luogo il tema dell'

applicazione dell’art. 7 della legge n. 215 del 2004 la c.d. Legge Frattini sul conflitto di

interessi, relativamente al “sostegno privilegiato”.

Sul primo fronte, quello della disponibilità dei dati, occorre chiedersi se, così come impostato

dall'AGCOM, il monitoraggio del pluralismo politico nei telegiornali sia soddisfacente. I dati

che vengono pubblicati sul sito dell'Autorità sono quelli delle rilevazioni dell'ISIMM (per la

Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza sui servizi radiotelevisivi, i dati

invece sono quelli dell'Osservatorio di Pavia), ma peccano, appunto, di poca tempestività.

Non è utile avere dati troppo risalenti, perché, alla distanza, non è possibile apprezzare la

“qualità” di semplici dati numerici e capire se una certa notizia avesse o meno effettivamente

bisogno di un certo spazio. Inoltre tali dati non sono rielaborabili: sono infatti presentati in

formato .pdf: può sembrare una banalità ed un dettaglio, ma è evidente che un formato del

genere non permette al cittadino, attrezzato con i più comuni programmi per computer, di

poter estrarre e riaggregare i dati, se non a costo di faticose riscritture. Posto che questi dati

sono pagati con soldi pubblici e che quindi devono essere fruibili e riutilizzabili liberamente

da tutti, posto che la distribuzione in altri formati è estremamente agevole per chi produce i

dati stessi, l'AGCOM si deve adoprare, nella migliore attuazione delle sue competenze,

affinché i risultati dei monitoraggi possano essere pubblicati in formati rielaborabili ed

effettivamente trasparenti.

A mio avviso, infine, l'AGCOM dovrebbe valutare l'opportunità di monitorare non tempo di

parola e di notizia dei partiti e dei soggetti istituzionali, quanto i tempi tributati ai leader dei

partiti. Molto spesso accade, ed è spessissimo accaduto anche in queste ultime elezioni, che i

tempi dei telegiornali siano distribuiti tra soggetti non equivalenti dal punto di vista

politico/comunicativo: questo capita spesso nel TG4 di Fede, che tende a compensare, ad

esempio, un' intervista fiume a Berlusconi con una della stessa lunghezza ad un politico non

particolarmente conosciuto dell'Opposizione.

I miei collaboratori ed io ci siamo imbattuti in questo ed in altri “trucchi” dell'informazione

(alcuni dei quali, come le interviste-fotocopia mandate in onda come una sorta di messaggio a

reti unificate sono stati sanzionati dall'AGCOM) monitorando per tutta la campagna elettorale

e referendaria i telegiornali delle reti televisive nazionali negli orari di maggior ascolto

(giorno e prime time). Con i miei collaboratori, infatti, e con un gruppo di volontari studiosi

della comunicazione abbiamo costituito un piccolo “osservatorio sul pluralismo”, sia per

verificare l'utilità di un controllo “in tempo reale” dell'informazione dei telegiornali, sia per

sperimentare un monitoraggio basato su “tempo di parola” e “tempo di notizia” attribuito ai

leader di partito e non ai partiti.

I risultati dei monitoraggi sono stati poi oggetto di ricorsi-esposti che abbiamo inviato

all'AGCOM, che hanno in qualche modo “costretto” la stessa Autorità ad un lavoro più

serrato, tempestivo ed efficace, conclusosi con le sanzioni per alcuni TG ricordate negli

interventi di questo seminario.

Il tema delle sanzioni ai telegiornali conduce, poi, a considerare il secondo versante della mia

riflessione, quello dell'applicazione della normativa sul conflitto di interessi. La l. n. 215 del

2004 attribuisce competenza all'Autorità per le comunicazioni a sanzionare quelle imprese

che operano nel settore dei mezzi di comunicazione di massa e fanno capo direttamente o

indirettamente al titolare di cariche di governo qualora concretino un “sostegno privilegiato” a

favore del lo stesso titolare di cariche di governo violando, tra le varie ipotesi, la legge n. 28

del 2000 sulla par condicio.

La norma ha una ratio facilmente intuibile ed è parimenti facile ipotizzare quali possano

essere le fattispecie concrete che la integrino. Come è stato accennato anche da Gentiloni, le

ripetute sanzioni al Tg 4 e al Tg5 sono in re ipsa una fattispecie di sostegno privilegiato:

difficile pensare diversamente dal punto di vista del diritto, ma è parimenti difficile pensare

che l'AGCOM possa trovare il coraggio “politico” per sanzionare le emittenti sulla base della

legge Frattini, che continuerà ad essere una norma inattuata ed inattuabile.

Il Presidente Calabrò ha difeso con forza in Parlamento l'indipendenza dell'Autorità. Di fatto

l'AGCOM però non tratta mai di conflitto di interessi e sostegno privilegiato nelle sue

relazioni annuali e dall’inizio della legislatura non risultano pervenute alla Camera dei

Deputati le relazioni semestrali in materia di conflitto di interessi che l’Agcom deve

presentare, con cadenza semestrale come previsto dall’art.8 della legge n.215 del 2004.

Occorre sollecitare l' Agcom ad adempiere. Occorre chiedere con forza che le istituzioni

svolgano il loro lavoro rispettando la legge, soprattutto se sono istituzioni “indipendenti” e

non politicamente responsabili in modo diretto rispetto agli elettori.

Non sono d'accordo, infine, con chi in questo seminario ha sottolineato come la legge n. 28

del 2000 sia ormai obsoleta e da riformare, anche solo attraverso interventi mirati a

migliorarla. La par condicio è sicuramente perfettibile come lo è qualsiasi legge, ma

sottolineo, come hanno fatto Cuperlo, Gentiloni, Grandinetti, Mele, Valentini, Vita la

necessità di difenderla per come è in quanto nell'attuale situazione politica qualsiasi apertura

per una sua riforma significherebbe mettere a repentaglio un principio chiaro e sacrosanto,

quello delle pari opportunità in campagna elettorale. Tale principio è stato difeso più volte

dalla stessa Corte costituzionale, ma è evidente che è messo nei fatti in discussione da quando

in politica è entrato il proprietario delle maggiori emittenti televisive nazionali commerciali.

Basta ricordarsi degli ostacoli frapposti ai vari governi all'approvazione di norme sulla par

condicio e della necessità di un “governo ad hoc”, quello Dini, per la definitiva

promulgazione della legge, per scoraggiare qualsiasi tentativo, seppur anche migliorativo, di

riforma della l.n. 28 del 2000.

Forse la legge è troppo dettagliata, come qualcuno (Cheli, Donati) ha rilevato: sta di fatto che

gran parte delle sua efficacia è dipesa, nel tempo, da come è stata attuata dai regolamenti di

Commissione parlamentare ed Autorità e da come si è tentato di aggirarla attraverso le più

diverse tecniche comunicative.

Appendice

In conclusione del lavoro presentato, si forniscono al lettore alcuni preziosi strumenti in tema

di par condicio particolarmente utili per chi volesse approfondire le tematica trattata.

In particolare la base su cui si fonda la par condicio è rappresentata dalla legge del 22 febbraio

2000 n. 28. In tale legge vengono dettate le regole per la parità di accesso ai mezzi di

informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica

(Appendice 1).

La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della citata

legge, ha sancito con la sentenza del 7 maggio 2002, n. 155 che la legge sulla par condicio è

preordinata a disciplinare unicamente l'organizzazione delle emittenti, non già a limitare la

loro libertà di espressione (la quale, peraltro, non può essere esercitata per influenzare

surrettiziamente l'elettore), ritenendo pertanto non fondata la questione di legittimità

costituzionale. Inoltre la Corte puntualizza che il c.d. pluralismo "esterno", non trova

attuazione solo per il fatto che vi sia un concorso fra un polo pubblico e un polo privato,

poiché in tal modo non viene garantito il principio in base al quale deve essere garantito

l’accesso al sistema radiotelevisivo del "massimo numero possibile di voci diverse"

(Appendice 2).

Chiamate ad applicare la legge sulla par condicio sono, per la RAI, la Commissione

parlamentare di vigilanza e, per le televisioni e le radio private, l'Autorità per le garanzie nelle

comunicazioni.

In particolare l’Agcom inoltre ha il compito vigilare l’operato delle emittenti pubbliche e

private mediante l’adozione di regolamenti sia per i periodi elettorali (Appendice 3) che non

(Appendice 4).

Per comprendere gli attuali parametri valutativi dell’Agcom sono stati riportati criteri che

l’Autorità adotta per la vigilanza sul rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei

telegiornali diffusi dalle reti televisive nazionali. Si tratta di dati meramente quantitativi

riguardanti i soggetti politici ed istituzionali suddivisi in base al tempo di antenna, tempo di

parola e tempo di notizia (Appendice 5).

A titolo meramente esemplificativo sono state inoltre riportate le principali delibere

dell’Autorità (il cui testo integrale è disponibile sul sito internet www.agcom.it) mediante le

quali sono state irrogate, nel corso della scorsa tornata elettorale, sanzioni amministrative per

un totale di 1.000.000,00 euro (Appendice 5).

Infine si è ritenuto utile riportare la base di discussione del seminario, ossia 10 domande sulle

quali i partecipanti al seminario hanno espresso le proprie considerazioni sul tema della par

condicio (Appendice 7).

1) L. 22 febbraio 2000, n. 28 – Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di

informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione

politica

2) Sent. Corte cost. 7 maggio 2002, n. 155

3) Delibera Agcom n. 22/06/CSP, Disposizioni applicative delle norme e dei

principi vigenti in materia di comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi

di informazione nei periodi non elettorali

4) Delibera Agcom n. 80/11/CSP, Disposizioni di attuazione della disciplina in

materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione

relative alle campagne per le elezioni provinciali e comunali fissate per i giorni 15

e 16 maggio 2011

5) Criteri per la vigilanza sul rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei

telegiornali diffusi dalle reti televisive nazionali

6) Elenco delibere Agcom in materia per la campagna elettorale per le elezioni

provinciali e comunali (15-16 maggio 2011)

7) La base di discussione del seminario

1) L. 22 febbraio 2000, n. 28 – Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione

durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica

Scheda

La legge 28/2000 disciplina l’accesso dei soggetti politici ai mezzi di informazione

e alla comunicazione politica sia nei periodi elettorali che nei periodi non elettorali

(art. 2, comma 1, :“Le emittenti radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti

politici con imparzialità ed equità l’accesso all’informazione e alla comunicazione

politica”).

Chiamate ad applicare la normativa sono, per la RAI, la Commissione parlamentare

di vigilanza e, per le televisioni e le radio private, l'Autorità per le garanzie nelle

comunicazioni, che si avvale dei Comitati regionali per le Comunicazioni / Comitati

regionali per i servizi radiotelevisivi, per quanto riguarda l’emittenza radiotelevisiva

locale.

In periodo non elettorale Commissione e Agcom, previa consultazione, emanano

due distinti regolamenti In occasione di ogni singola consultazione elettorale, i due

organismi provvedono ad emanare specifici regolamenti.

La legge 28/2000 distingue tre differenti tipologie di programmazione

radiotelevisiva: 1. La comunicazione politica; 2. I messaggi autogestiti; 3.

L’informazione:

In particolare l’articolo 5 individua i principi generali dell’informazione

radiotelevisiva che devono essere assicurati dalle emittenti private e dalla

concessionaria pubblica. Ossia: a. la parità di trattamento; b. l'obiettività; c. la

completezza ; d. l'imparzialità

Inoltre, durante il periodo elettorale è assolutamente vietato fornire, anche

indirettamente, indicazioni di voto

Testo di legge

Articolo 1

Finalità e ambito di applicazione.

1. La presente legge promuove e disciplina, al fine di garantire la parità di trattamento e

l'imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici, l'accesso ai mezzi di informazione per la

comunicazione politica.

2. La presente legge promuove e disciplina altresì, allo stesso fine, l'accesso ai mezzi di

informazione durante le campagne per l'elezione al Parlamento europeo, per le elezioni

politiche, regionali e amministrative e per ogni referendum.

Articolo 2

Comunicazione politica radiotelevisiva.

1. Le emittenti radiotelevisive devono assicurare a tutti i soggetti politici con imparzialità ed

equità l'accesso all'informazione e alla comunicazione politica.

2. S'intende per comunicazione politica radiotelevisiva ai fini della presente legge la

diffusione sui mezzi radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche.

Alla comunicazione politica si applicano le disposizioni dei commi successivi. Esse non si

applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione.

3. E’ assicurata parità di condizioni nell'esposizione di opinioni e posizioni politiche nelle

tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in contraddittorio di

programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione nella quale

assuma carattere rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni politiche.

4. L'offerta di programmi di comunicazione politica radiotelevisiva è obbligatoria per le

concessionarie radiofoniche nazionali e per le concessionarie televisive nazionali con obbligo

di informazione che trasmettono in chiaro. La partecipazione ai programmi medesimi è in

ogni caso gratuita.

5. La Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi

radiotelevisivi, di seguito denominata "Commissione", e l'Autorità per le garanzie nelle

comunicazioni, di seguito denominata "Autorità", previa consultazione tra loro e ciascuna

nell'ambito della propria competenza, stabiliscono le regole per l'applicazione della disciplina

prevista dal presente articolo.

Articolo 3

Messaggi politici autogestiti.

1. Le emittenti radiofoniche e televisive che offrono spazi di comunicazione politica gratuita

ai sensi dell'art. 2, comma 3, possono trasmettere messaggi politici autogestiti, gratuiti di

seguito denominati "messaggi".

2. La trasmissione di messaggi è facoltativa per le emittenti private e obbligatoria per la

concessionaria pubblica, che provvede a mettere a disposizione dei richiedenti le strutture

tecniche necessarie per la realizzazione dei predetti messaggi.

3. I messaggi recano la motivata esposizione di un programma o di un'opinione politica e

hanno una durata compresa tra uno e tre minuti per le emittenti televisive e da trenta a novanta

secondi per le emittenti radiofoniche, a scelta del richiedente. I messaggi non possono

interrompere altri programmi, hanno un'autonoma collocazione nella programmazione e sono

trasmessi in appositi contenitori, di cui ogni emittente comunica alla Commissione o

all'Autorità, con almeno quindici giorni di anticipo, la collocazione nel palinsesto. I messaggi

non sono computati nel calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario previsti dalla legge.

4. Per ciascuna emittente radiofonica e televisiva nazionale gli spazi per i messaggi non

possono superare il 25 per cento della effettiva durata totale dei programmi di comunicazione

politica trasmessi ai sensi dell'art. 2, comma 3, dalla medesima emittente o sulla medesima

rete nell'ambito della stessa settimana e nelle stesse fasce orarie. Possono essere previsti fino a

un massimo di due contenitori per ogni giornata di programmazione.

5. (Abrogato).

6. Gli spazi per i messaggi sono offerti in condizioni di parità di trattamento ai soggetti

politici rappresentati negli organi la cui elezione è richiamata all'art. 1, comma 2.

L'assegnazione degli spazi in ciascun contenitore è effettuata mediante sorteggio. Gli spazi

spettanti a un soggetto politico e non utilizzati non possono essere offerti ad altro soggetto

politico. Ciascun messaggio può essere trasmesso una sola volta in ciascun contenitore.

Nessuno può diffondere più di un messaggio nel medesimo contenitore. Ogni messaggio reca

l'indicazione del soggetto committente.

7. Le emittenti nazionali possono trasmettere esclusivamente messaggi politici autogestiti

gratuiti.

8. L'Autorità e la Commissione, ciascuna nell'ambito delle rispettive competenze, fissano i

criteri di rotazione per l'utilizzo, nel corso di ogni periodo mensile, degli spazi per i messaggi

autogestiti di cui ai commi precedenti e adottano le eventuali ulteriori disposizioni necessarie

per l'applicazione della disciplina prevista dal presente articolo.

Articolo 4

Comunicazione politica radiotelevisiva e messaggi radiotelevisivi autogestiti in campagna

elettorale.

1. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali la comunicazione politica radio-televisiva

si svolge nelle seguenti forme: tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazione in

contraddittorio di candidati e di programmi politici, interviste e ogni altra forma che consenta

il confronto tra le posizioni politiche e i candidati in competizione.

2. La Commissione e l'Autorità, previa consultazione tra loro, e ciascuna nell'ambito della

propria competenza, regolano il riparto degli spazi tra i soggetti politici secondo i seguenti

criteri:

a) per il tempo intercorrente tra la data di convocazione dei comizi elettorali e la data di

presentazione delle candidature, gli spazi sono ripartiti tra i soggetti politici presenti nelle

assemblee da rinnovare, nonchè tra quelli in esse non rappresentati purchè presenti nel

Parlamento europeo o in uno dei due rami del Parlamento;

b) per il tempo intercorrente tra la data di presentazione delle candidature e la data di chiusura

della campagna elettorale, gli spazi sono ripartiti secondo il principio della pari opportunità

tra le coalizioni e tra le liste in competizione che abbiano presentato candidature in collegi o

circoscrizioni che interessino almeno un quarto degli elettori chiamati alla consultazione, fatta

salva l'eventuale presenza di soggetti politici rappresentativi di minoranze linguistiche

riconosciute, tenendo conto del sistema elettorale da applicare e dell'ambito territoriale di

riferimento;

c) per il tempo intercorrente tra la prima e la seconda votazione nel caso di ballottaggio, gli

spazi sono ripartiti in modo uguale tra i due candidati ammessi;

d) per il referendum , gli spazi sono ripartiti in misura uguale fra i favorevoli e i contrari al

quesito referendario.

3. Dalla data di presentazione delle candidature per le elezioni di cui all'art. 1, comma 2, le

emittenti radiofoniche e televisive nazionali possono trasmettere messaggi autogestiti per la

presentazione non in contraddittorio di liste e programmi, secondo le modalità stabilite dalla

Commissione e dall'Autorità, sulla base dei seguenti criteri:

a) gli spazi per i messaggi sono ripartiti tra i diversi soggetti politici, a parità di condizioni,

anche con riferimento alle fasce orarie di trasmissione;

b) i messaggi sono organizzati in modo autogestito, sono trasmessi gratuitamente e devono

avere una durata sufficiente alla motivata esposizione di un programma o di un'opinione

politica, e comunque compresa, a scelta del richiedente, tra uno e tre minuti per le emittenti

televisive e tra trenta e novanta secondi per le emittenti radiofoniche;

c) i messaggi non possono interrompere altri programmi, né essere interrotti, hanno

un'autonoma collocazione nella programmazione e sono trasmessi in appositi contenitori,

prevedendo fino a un massimo di quattro contenitori per ogni giornata di programmazione;

d) i messaggi non sono computati nel calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario previsti

dalla legge;

e) ciascun messaggio può essere trasmesso una sola volta in ciascun contenitore;

f) nessun soggetto politico può diffondere più di due messaggi in ciascuna giornata di

programmazione;

g) ogni messaggio reca l'indicazione "messaggio autogestito" e l'indicazione del soggetto

committente.

4. La trasmissione dei messaggi autogestiti di cui al comma 3 è obbligatoria per la

concessionaria pubblica, che provvede a mettere a disposizione dei richiedenti le strutture

tecniche necessarie per la realizzazione dei predetti messaggi.

5. Alle emittenti radiofoniche e televisive locali che accettano di trasmettere messaggi

autogestiti a titolo gratuito, nei termini e con le modalità di cui al comma 3, è riconosciuto un

rimborso da parte dello Stato nella misura definita entro il 31 gennaio di ogni anno con

decreto del Ministro delle comunicazioni di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e

della programmazione economica. Alle emittenti radiofoniche è riservato almeno un terzo

della somma complessiva annualmente stanziata. In sede di prima attuazione il rimborso per

ciascun messaggio autogestito è determinato per le emittenti radiofoniche in lire 12.000 e per

le emittenti televisive in lire 40.000, indipendentemente dalla durata del messaggio. La

somma annualmente stanziata è ripartita tra le regioni e le province autonome di Trento e di

Bolzano in proporzione al numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali di ciascuna regione

e provincia autonoma. Il rimborso è erogato, entro i novanta giorni successivi alla conclusione

delle operazioni elettorali, per gli spazi effettivamente utilizzati e congiuntamente attestati

dalla emittente e dal soggetto politico, nei limiti delle risorse disponibili, dalla regione che si

avvale, per l'attività istruttoria e la gestione degli spazi offerti dalle emittenti, del comitato

regionale per le comunicazioni o, ove tale organo non sia ancora costituito, del comitato

regionale per i servizi radiotelevisivi. Nella Regione Trentino-Alto Adige il rimborso è

erogato dalle province autonome, che si avvalgono, per l'attività istruttoria, dei comitati

provinciali per i servizi radiotelevisivi sino alla istituzione dei nuovi organi previsti dal

comma 13 dell'art. 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249.

6. (Abrogato).

7. (Abrogato).

8. Le emittenti radiofoniche e televisive nazionali comunicano all'Autorità, entro il quinto

giorno successivo alla data di cui al comma 1, la collocazione nel palinsesto dei contenitori.

Fino al completamento delle operazioni elettorali, ogni successiva modificazione deve essere

comunicata alla medesima Autorità con almeno cinque giorni di anticipo.

9. A partire dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura della

campagna elettorale, la trasmissione sui mezzi radiotelevisivi di messaggi di propaganda,

pubblicità o comunicazione politica, comunque denominati, è ammessa esclusivamente

secondo la disciplina del presente articolo.

10. Per le consultazioni referendarie la disciplina relativa alla diffusione della comunicazione

politica e dei messaggi autogestiti di cui ai commi precedenti si applica dalla data di indizione

dei referendum.

11. La Commissione e l'Autorità, previa consultazione tra loro, e ciascuna nell'ambito della

propria competenza, stabiliscono l'ambito territoriale di diffusione di cui ai commi precedenti

anche tenuto conto della rilevanza della consultazione sul territorio nazionale.

Articolo 5

Programmi d'informazione nei mezzi radiotelevisivi.

1. La Commissione e l'Autorità, previa consultazione tra loro e ciascuna nell'ambito della

propria competenza, definiscono, non oltre il quinto giorno successivo all'indizione dei comizi

elettorali, i criteri specifici ai quali, fino alla chiusura delle operazioni di voto, debbono

conformarsi la concessionaria pubblica e le emittenti radiotelevisive private nei programmi di

informazione, al fine di garantire la parità di trattamento, l'obiettività, la completezza e

l'imparzialità dell'informazione.

2. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto

in qualunque trasmissione radiotelevisiva è vietato fornire, anche in forma indiretta,

indicazioni di voto o manifestare le proprie preferenze di voto.

3. I registi ed i conduttori sono altresì tenuti ad un comportamento corretto ed imparziale nella

gestione del programma, così da non esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle

libere scelte degli elettori.

4. (Abrogato).

Articolo 6

Imprese radiofoniche di partiti politici.

1. Le disposizioni degli articoli da 1 a 5 non si applicano alle imprese di radiodiffusione

sonora di cui all'art. 11, comma 2, della legge 25 febbraio 1987, n. 67 e successive

modificazioni. Per tali imprese è comunque vietata la cessione, a titolo sia oneroso sia

gratuito, di spazi per messaggi autogestiti.

Articolo 7

Messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici.

1. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno prima

della data delle elezioni, gli editori di quotidiani e periodici, qualora intendano diffondere a

qualsiasi titolo messaggi politici elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle

testate edite, per consentire ai candidati e alle forze politiche l'accesso ai relativi spazi in

condizioni di parità fra loro. La comunicazione deve essere effettuata secondo le modalità e

con i contenuti stabiliti dall'Autorità.

2. Sono ammesse soltanto le seguenti forme di messaggio politico elettorale:

a) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze, discorsi;

b) pubblicazioni destinate alla presentazione dei programmi delle liste, dei gruppi di candidati

e dei candidati;

c) pubblicazioni di confronto tra più candidati.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano agli organi ufficiali di stampa dei

partiti e dei movimenti politici e alle stampe elettorali di liste, gruppi di candidati e candidati.

Non si applicano, altresì, agli altri quotidiani e periodici al di fuori del periodo di cui al

comma 1.

Articolo 8

Sondaggi politici ed elettorali.

1. Nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni è vietato rendere pubblici o,

comunque, diffondere i risultati di sondaggi demoscopici sull'esito delle elezioni e sugli

orientamenti politici e di voto degli elettori, anche se tali sondaggi sono stati effettuati in un

periodo precedente a quello del divieto.

2. L'Autorità determina i criteri obbligatori in conformità dei quali devono essere realizzati i

sondaggi di cui al comma 1.

3. I risultati dei sondaggi realizzati al di fuori del periodo di cui al comma 1 possono essere

diffusi soltanto se accompagnati dalle seguenti indicazioni, delle quali è responsabile il

soggetto che ha realizzato il sondaggio, e se contestualmente resi disponibili, nella loro

integralità e con le medesime indicazioni, su apposito sito informatico, istituito e tenuto a cura

del Dipartimento per l'informazione e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei

Ministri:

a ) soggetto che ha realizzato il sondaggio;

b) committente e acquirente;

c) criteri seguiti per la formazione del campione;

d) metodo di raccolta delle informazioni e di elaborazione dei dati;

e) numero delle persone interpellate e universo di riferimento;

f) domande rivolte;

g) percentuale delle persone che hanno risposto a ciascuna domanda;

h) data in cui è stato realizzato il sondaggio.

Articolo 9

Disciplina della comunicazione istituzionale e obblighi di informazione.

1. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto

è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad

eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace

assolvimento delle proprie funzioni.

2. Le emittenti radiotelevisive pubbliche e private, su indicazione delle istituzioni competenti,

informano i cittadini delle modalità di voto e degli orari di apertura e di chiusura dei seggi

elettorali.

Articolo 10

Provvedimenti e sanzioni.

1. Le violazioni delle disposizioni di cui alla presente legge, nonchè di quelle emanate dalla

Commissione e dall'Autorità sono perseguite d'ufficio da quest'ultima secondo le disposizioni

del presente articolo. Ciascun soggetto politico interessato può, comunque, denunciare tali

violazioni entro dieci giorni dal fatto. La denuncia è comunicata, anche a mezzo telefax:

a) all'Autorità;

b) all'emittente privata o all'editore presso cui è avvenuta la violazione;

c) al competente comitato regionale per le comunicazioni ovvero, ove il predetto organo non

sia ancora costituito, al comitato regionale per i servizi radiotelevisivi;

d) al gruppo della Guardia di finanza nella cui competenza territoriale rientra il domicilio

dell'emittente o dell'editore. Il predetto gruppo della Guardia di finanza provvede al ritiro

delle registrazioni interessate dalla comunicazione dell'Autorità o dalla denuncia entro le

successive dodici ore.

2. L'Autorità, avvalendosi anche del competente comitato regionale per le comunicazioni

ovvero, ove il predetto organo non sia ancora costituito, del comitato regionale per i servizi

radiotelevisivi, nonchè del competente ispettorato territoriale del Ministero delle

comunicazioni e della Guardia di finanza, procede ad una istruttoria sommaria e, contestati i

fatti, anche a mezzo telefax, sentiti gli interessati ed acquisite eventuali controdeduzioni, da

trasmettere entro ventiquattro ore dalla contestazione, provvede senza indugio, e comunque

entro le quarantotto ore successive all'accertamento della violazione o alla denuncia, in deroga

ai termini e alle modalità procedimentali previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689.

3. In caso di violazione degli articoli 2, 4, commi 1 e 2, e 6, l'Autorità ordina alle emittenti

radiotelevisive la trasmissione di programmi di comunicazione politica con prevalente

partecipazione dei soggetti politici che siano stati direttamente danneggiati dalle violazioni.

4. In caso di violazione degli articoli 3 e 4, commi 3 e 4, l'Autorità ordina all'emittente

interessata, oltre all'immediata sospensione delle trasmissioni programmate in violazione della

presente legge:

a) la messa a disposizione di spazi, a titolo gratuito , per la trasmissione di messaggi politici

autogestiti in favore dei soggetti danneggiati o illegittimamente esclusi, in modo da

ripristinare l'equilibrio tra le forze politiche;

b) se del caso, il ripristino dell'equilibrio tra gli spazi destinati ai messaggi e quelli destinati

alla comunicazione politica gratuita.

5. In caso di violazione dell'art. 5, l'Autorità ordina all'emittente interessata la trasmissione di

servizi di informazione elettorale con prevalente partecipazione dei soggetti politici che siano

stati direttamente danneggiati dalla violazione.

6. In caso di violazione dell'art. 7, l'Autorità ordina all'editore interessato la messa a

disposizione di spazi di pubblicità elettorale compensativa in favore dei soggetti politici che

ne siano stati illegittimamente esclusi.

7. In caso di violazione dell'art. 8, l'Autorità ordina all'emittente o all'editore interessato di

dichiarare tale circostanza sul mezzo di comunicazione che ha diffuso il sondaggio con il

medesimo rilievo, per fascia oraria, collocazione e caratteristiche editoriali, con cui i sondaggi

stessi sono stati pubblicizzati.

8. Oltre a quanto previsto nei commi 3, 4, 5, 6 e 7, l'Autorità ordina:

a) la trasmissione o la pubblicazione, anche ripetuta a seconda della gravità, di messaggi

recanti l'indicazione della violazione commessa;

b) ove necessario, la trasmissione o la pubblicazione, anche ripetuta a seconda della gravità, di

rettifiche, alle quali è dato un risalto non inferiore per fascia oraria, collocazione e

caratteristiche editoriali, della comunicazione da rettificare.

9. L'Autorità può, inoltre, adottare anche ulteriori provvedimenti d'urgenza al fine di

ripristinare l'equilibrio nell'accesso alla comunicazione politica.

10. I provvedimenti dell'Autorità di cui al presente articolo possono essere impugnati dinanzi

al Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio entro trenta giorni dalla

comunicazione dei provvedimenti stessi. In caso di inerzia dell'Autorità, entro lo stesso

termine i soggetti interessati possono chiedere al TAR del Lazio, anche in sede cautelare, la

condanna dell'Autorità stessa a provvedere entro tre giorni dalla pronunzia. In caso di

richiesta cautelare, i soggetti interessati possono trasmettere o depositare memorie entro

cinque giorni dalla notifica. Il TAR del Lazio, indipendentemente dalla suddivisione del

tribunale in sezioni, si pronunzia sulla domanda di sospensione nella prima camera di

consiglio dopo la scadenza del termine di cui al precedente periodo, e comunque non oltre il

settimo giorno da questo. Le stesse regole si applicano per l'appello dinanzi al Consiglio di

Stato.

Articolo 11

Obblighi di comunicazione.

1. Entro trenta giorni dalla consultazione elettorale per l'elezione della Camera dei deputati e

del Senato della Repubblica ed anche nel caso di elezioni suppletive, i titolari di emittenti

radiotelevisive, nazionali e locali, e gli editori di quotidiani e periodici comunicano ai

Presidenti delle Camere nonchè al Collegio regionale di garanzia elettorale di cui all'art. 13

della legge 10 dicembre 1993, n. 515, i servizi di comunicazione politica ed i messaggi

politici effettuati ai sensi dei precedenti articoli, i nominativi di coloro che vi hanno

partecipato, gli spazi concessi a titolo gratuito o a tariffa ridotta, gli introiti realizzati ed i

nominativi dei soggetti che hanno provveduto ai relativi pagamenti.

2. In caso di inosservanza degli obblighi stabiliti dal comma 1, si applica la sanzione

amministrativa pecuniaria da lire dieci milioni a lire cento milioni.

Articolo 11 Bis

(Ambito di applicazione)

1. Le disposizioni del presente Capo si applicano alle emittenti radiofoniche e televisive

locali.

2. Le disposizioni del presente Capo non si applicano alla programmazione regionale o

comunque locale della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e dei soggetti

privati titolari di concessione o di autorizzazione o comunque aventi altro titolo di

legittimazione per trasmettere in ambito nazionale.

Articolo 11 Ter

(Definizioni)

1. Ai fini del presente Capo si intende:

a) per "emittente radiofonica e televisiva locale", ogni soggetto destinatario di autorizzazione

o concessione o comunque di altro titolo di legittimazione all'esercizio della radiodiffusione

sonora o televisiva in ambito locale;

b) per "programma di informazione", il telegiornale, il giornale radio e comunque il notiziario

o altro programma di contenuto informativo, a rilevante presentazione giornalistica,

caratterizzato dalla correlazione ai temi dell'attualità e della cronaca;

c) per "programma di comunicazione politica", ogni programma in cui assuma carattere

rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni politiche manifestate attraverso tipologie di

programmazione che comunque consentano un confronto dialettico tra più opinioni, anche se

conseguito nel corso di più trasmissioni.

Articolo 11 Quater

(Tutela del pluralismo).

1. Le emittenti radiofoniche e televisive locali devono garantire il pluralismo, attraverso la

parità di trattamento, l'obiettività, l'imparzialità e l'equità nella trasmissione sia di programmi

di informazione, nel rispetto della libertà di informazione, sia di programmi di comunicazione

politica.

2. Al fine di garantire la parità di trattamento e l'imparzialità a tutti i soggetti politici, entro

centoventi giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Capo le

organizzazioni che rappresentino almeno il cinque per cento del numero totale delle emittenti

radiofoniche o televisive locali o dell'ascolto globale televisivo o radiofonico di queste

presentano al Ministro delle comunicazioni uno schema di codice di autoregolamentazione sul

quale devono essere acquisiti i pareri della Federazione nazionale della stampa italiana,

dell'Ordine nazionale dei giornalisti, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,

le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e delle competenti Commissioni

della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Decorso tale termine senza che le

organizzazioni abbiano provveduto a presentare uno schema di codice di

autoregolamentazione, il Ministro delle comunicazioni propone comunque uno schema di

codice sul quale devono essere acquisiti i pareri della Federazione nazionale della stampa

italiana, dell'Ordine nazionale dei giornalisti, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo

Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e delle competenti

Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

3. Il codice di autoregolamentazione di cui al presente articolo deve comunque contenere

disposizioni che, dalla data di convocazione dei comizi elettorali, consentano la

comunicazione politica secondo una effettiva parità di condizioni tra i soggetti competitori,

anche con riferimento alle fasce orarie e al tempo di trasmissione. Alle emittenti radiofoniche

e televisive locali che accettano di trasmettere messaggi politici autogestiti a titolo gratuito

continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 4, commi 3 e 5. Il codice di

autoregolamentazione disciplina le condizioni economiche di accesso ai messaggi politici

autogestiti a pagamento, stabilendo criteri di determinazione dei prezzi da parte di ogni

emittente che tengano conto della normativa in materia di spese elettorali ammesse per

ciascun candidato e secondo un principio di comprovata parità di costo tra gli stessi candidati.

4. La Federazione nazionale della stampa italiana, l'Ordine nazionale dei giornalisti, la

Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento

e di Bolzano e le Commissioni parlamentari esprimono il loro parere entro trenta giorni dalla

ricezione dello schema di cui al comma 2. Lo schema, con i relativi pareri, è immediatamente

trasmesso all'Autorità, che delibera entro il termine di quindici giorni dalla sua ricezione

tenuto conto dei pareri espressi.

5. Entro i successivi trenta giorni le organizzazioni di cui al comma 2 sottoscrivono il codice

di autoregolamentazione, che è emanato con decreto del Ministro delle comunicazioni, come

deliberato dall'Autorità. Decorso tale termine senza che le organizzazioni di cui al comma 2

abbiano provveduto a sottoscrivere il codice di autoregolamentazione, il Ministro delle

comunicazioni emana comunque con proprio decreto il codice di autoregolamentazione. Il

codice di autoregolamentazione acquista efficacia nei confronti di tutte le emittenti

radiofoniche e televisive locali il giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta

Ufficiale del decreto del Ministro delle comunicazioni.

Articolo 11 Quinquies

(Vigilanza e poteri dell'Autorita)

1. L'Autorità vigila sul rispetto dei principi contenuti nel presente Capo e di quanto disposto

nel codice di autoregolamentazione di cui all'articolo 11-quater, nonché delle disposizioni

regolamentari e attuative emanate dall'Autorità medesima.

2. In caso di accertamento, d'ufficio o su denuncia da parte di soggetti politici interessati

ovvero del Consiglio nazionale degli utenti istituito presso l'Autorità, di comportamenti in

violazione del presente Capo o del codice di autoregolamentazione di cui all'articolo 11-

quater e delle disposizioni regolamentari e attuative di cui al comma 1, l'Autorità adotta nei

confronti dell'emittente ogni provvedimento, anche in via d'urgenza, idoneo ad eliminare gli

effetti di tali comportamenti e può ordinare, se del caso, la programmazione di trasmissioni a

carattere compensativo. Qualora non sia possibile ordinare trasmissioni a carattere

compensativo, l'Autorità può disporre la sospensione delle trasmissioni dell'emittente per un

periodo massimo di trenta giorni.

3. L'Autorità verifica il rispetto dei propri provvedimenti adottati in applicazione delle

disposizioni del presente Capo e, in caso di inottemperanza, irroga nei confronti dell'emittente

la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 20.000 euro.

4. I provvedimenti dell'Autorità di cui al presente articolo possono essere impugnati dinanzi

agli organi di giustizia amministrativa in sede di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell' articolo

23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 . La competenza di primo grado è attribuita in via

esclusiva ed inderogabile al tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma.

Articolo 11 Sexies

(Norme regolamentari e attuative dell'Autorita)

1. L'Autorità adegua le proprie disposizioni regolamentari e attuative alle disposizioni del

presente Capo.

Articolo 11 Septies

(Efficacia delle disposizioni di cui al Capo I per le emittenti locali)

1. A decorrere dal giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del

decreto del Ministro delle comunicazioni di cui al comma 5 dell'articolo 11-quater, cessano di

applicarsi alle emittenti radiofoniche e televisive locali le disposizioni di cui al Capo I della

presente legge, ad eccezione degli articoli 4, commi 3 e 5, e8 .

Articolo 12

Copertura finanziaria.

1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, valutati in lire 20 miliardi a

decorrere dall'anno 2000, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento

iscritto, ai fini del bilancio triennale 2000-2002, nell'ambito dell'unità previsionale di base di

parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio

e della programmazione economica per l'anno 2000, parzialmente utilizzando per gli anni

2000 e 2002 l'accantonamento relativo al medesimo Ministero e per l'anno 2001

l'accantonamento relativo al Ministero delle finanze.

2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad

apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Articolo 13

Abrogazione di norme.

1. (Abrogato).

Articolo 14

Entrata in vigore.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella

Gazzetta Ufficiale .

2) Sent. Corte cost. 7 maggio 2002, n. 155

Scheda

La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale

della legge che disciplina la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le

campagne elettorali (n. 28/00) ed in particolare sugli articoli da 1 a 7 in riferimento

agli articoli 3, 21 e 42 della Costituzione.

La Corte con la sentenza 155/02 ha sancito che la citata legge è preordinata a

disciplinare unicamente l'organizzazione delle emittenti, non già a limitare la loro

libertà di espressione (la quale, peraltro, non può essere esercitata per influenzare

surrettiziamente l'elettore), ritenendo pertanto non fondata la questione di legittimità

costituzionale.

Nella sentenza la Corte sottolinea che l'art. 1 della legge 6 agosto 1990, n. 223

(Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), dopo aver ribadito che "la

diffusione di programmi radiofonici e televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo

tecnico, ha carattere di preminente interesse generale", espressamente dispone che il

pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità della informazione, l'apertura

alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose "rappresentano i

principi fondamentali del sistema radiotelevisivo, che si realizza con il concorso di

soggetti pubblici e privati". La Corte continua affermando che sono tenuti al rispetto

di tali principi anche gli imprenditori privati operanti nel settore (e quindi tutte le

emittenti radiotelevisive private) in quanto "soggetti in grado di concorrere insieme

al servizio pubblico nella realizzazione dei valori costituzionali posti a presidio

dell'informazione radiotelevisiva

Ne discende pertanto che, a detta del giudice Costituzionale, è del tutto legittima la

limitazione prevista dalla legge 28/00 (sia come comunicazione politica che come

informazione) che limita l’autonomia organizzativa imprenditoriale proprio per

garantire il pluralismo degli orientamenti dell’elettorato la cui eventuale mancanza

influisce sulla formazione democratica del libero convincimento di ciascuna persona.

Inoltre la Corte puntualizza che il c.d. pluralismo "esterno", non trova attuazione solo

per il fatto che vi sia un concorso fra un polo pubblico e un polo privato, poiché in tal

modo non viene garantito il principio in base al quale deve essere garantito l’accesso

al sistema radiotelevisivo del "massimo numero possibile di voci diverse".

La Corte si spinge ancora più in là affermando che il pluralismo esterno può anche

risultare insufficiente (specialmente in una paese che soffre la scarsa presenza delle

emittenti) a garantire la possibilità di espressione delle opinioni politiche attraverso il

mezzo televisivo mediante quindi il principio del cd “pluralismo interno”.

Testo della sentenza

(….)

Considerato in diritto

1. Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale

del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe, riguardano gli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 7 della legge

22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante

le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), in riferimento agli artt.

3, 21 e 42 della Costituzione.

Il giudice a quo dubita in particolare della legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 5 della

predetta legge nelle parti in cui, imponendo alle emittenti radiotelevisive di assicurare la

"parità" tra le varie forze politiche nei programmi di "comunicazione politica" durante le

campagne elettorali e nei periodi non elettorali, impedirebbero alle emittenti stesse, in

violazione degli artt. 3 e 21 della Costituzione, di qualificarsi attraverso l'affermazione di

propri orientamenti, "espropriando" così il loro diritto a manifestare una propria identità

politica.

Inoltre l'art. 7 della stessa legge si porrebbe in contrasto, secondo il giudice a quo, con l'art. 3

della Costituzione, sotto il profilo che stabilendo limitazioni alla propaganda elettorale, le

quali invece non sono previste per la stampa periodica, introdurrebbe un'irragionevole

discriminazione in danno delle imprese radiotelevisive.

Infine, il Tar censura l'art. 4, commi 3 lettera b) e 5, della medesima legge nella parte in cui,

prevedendo che durante la campagna elettorale i messaggi politici autogestiti debbono essere

trasmessi gratuitamente dalle emittenti nazionali, mentre alle emittenti locali é riconosciuto un

rimborso da parte dello Stato, violerebbe l'art. 42 della Costituzione.

2. Le questioni prospettate non sono fondate.

Il nucleo argomentativo dell'ordinanza di rimessione é che la disciplina della comunicazione

politica radiotelevisiva, delineata dagli artt. 2 e 4 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, implica

la "piena funzionalizzazione" del mezzo radiotelevisivo, dal momento che all'emittente privata

é negata, in ragione della necessaria parità tra le varie forze politiche, la possibilità di

manifestare una propria identità politica, in contrasto con il riconoscimento della libertà dei

mezzi di diffusione garantita dall'art. 21 della Costituzione.

Tale ordine argomentativo non appare però condivisibile. In proposito va innanzi tutto

rilevato che l'art. 1 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo

pubblico e privato), ispirandosi peraltro alla precedente legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove

norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), dopo aver ribadito che "la diffusione

di programmi radiofonici e televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico, ha carattere di

preminente interesse generale", espressamente dispone che il pluralismo, l'obiettività, la

completezza e l'imparzialità della informazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze

politiche, sociali, culturali e religiose "rappresentano i principi fondamentali del sistema

radiotelevisivo, che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati". Principi alla cui

osservanza sono dunque tenuti, alla luce delle pronunce di questa Corte, anche gli

imprenditori privati, che operano nel settore, proprio in quanto "soggetti in grado di

concorrere insieme al servizio pubblico nella realizzazione dei valori costituzionali posti a

presidio dell'informazione radiotelevisiva (v. artt. 1 e 2 della legge n. 223 del 1990)"

(sentenza n. 112 del 1993).

Fin dalle prime decisioni di questa Corte emerge che é giustificato l'intervento del legislatore

diretto a regolare, durante la campagna elettorale, la concomitante e più intensa

partecipazione di partiti e cittadini alla propaganda politica (cfr. sentenza n. 48 del 1964). E

nella successiva giurisprudenza costituzionale si é ripetutamente affermato che, fermo

restando che i mezzi di informazione di massa sono tenuti alla parità di trattamento nei

confronti dei soggetti politici (sentenza n. 161 del 1995), i principi fondanti del nostro Stato

"esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di

svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale"

(sentenza n. 112 del 1993). Proprio da qui deriva "l'imperativo costituzionale" che "il diritto

all'informazione", garantito dall'art. 21 della Costituzione, venga qualificato e caratterizzato,

tra l'altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie -così da porre il

cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e

orientamenti culturali e politici differenti- sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti,

sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione

erogata (sentenza n. 112 del 1993).

Il diritto alla completa ed obiettiva informazione del cittadino appare dunque, alla luce delle

ricordate pronunce, tutelato in via prioritaria soprattutto in riferimento a valori costituzionali

primari, che non sono tanto quelli -come sostiene la difesa delle parti private- alla "pari

visibilità dei partiti", quanto piuttosto quelli connessi al corretto svolgimento del confronto

politico su cui in permanenza si fonda, indipendentemente dai periodi di competizione

elettorale, il sistema democratico. E' in questa prospettiva di necessaria democraticità del

processo continuo di informazione e formazione dell'opinione pubblica, che occorre dunque

valutare la congruità del bilanciamento tra principi ed interessi diversi attuato dalla disciplina

censurata mediante la previsione di modalità e forme della "comunicazione politica".

Attraverso di esse infatti, proprio al fine specifico di consentire -in ogni tempo e non solo nei

periodi elettorali- la più ampia informazione del cittadino per formare la sua consapevolezza

politica, si esplica la libertà di espressione delle singole emittenti private.

Ed é in questa stessa prospettiva che deve essere valutato se il c.d. pluralismo "esterno"

dell'emittenza privata sia sufficiente a garantire, in ogni caso, la completezza e l'obiettività

della comunicazione politica, o se invece debbano concorrere ulteriori misure sostanzialmente

ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche e dei rispettivi candidati,

tenendo presente che nei principali Paesi europei la disciplina della comunicazione politica, in

questi ultimi anni, si é orientata, pur nell'inevitabile diversità dei criteri ispiratori, su modelli

di regolazione degli spazi radiotelevisivi caratterizzati in generale dalla regola della parità di

chances.

2.1. In questo quadro, il primo dubbio di costituzionalità che l'ordinanza di rimessione solleva

riguarda l'obbligo imposto dall'art. 2, comma 2, della legge censurata alle singole emittenti di

predisporre appositi programmi di "opinioni e valutazioni politiche", da organizzare in forma

particolare, e nei quali deve essere appunto assicurata la parità di accesso tra i diversi soggetti

partecipanti.

A questo proposito va tenuto presente che l'attuale sistema radiotelevisivo misto pubblicoprivato

é governato dal cosiddetto "principio della concessione" (sentenza n. 112 del 1993),

dal quale derivano, tra l'altro, obblighi incidenti sull'esercizio dell'attività radiotelevisiva,

come quelli, ad esempio, che impongono alle emittenti private in ambito locale di dedicare un

certo numero di ore settimanali all'informazione su problematiche sociali (art. 5 della legge 27

agosto 1993, n. 323), oppure quelli che impongono alle emittenti private nazionali di

trasmettere quotidianamente i telegiornali e di mandare in onda programmi per non meno di

dodici ore giornaliere (art. 20 della legge n. 223 del 1990). Si tratta di obblighi di facere, che

gravano sugli imprenditori privati del settore, in quanto la concessione, per ciò che riguarda

gli aspetti relativi ai controlli sull'attività erogata e sull'organizzazione dell'impresa,

"costituisce uno strumento di ordinazione nei confronti di facoltà e di doveri connessi alla

garanzia costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di iniziativa

economica privata, nonchè ai correlativi limiti posti a tutela di beni d'interesse generale"

(sentenza n. 112 del 1993).

In questa ottica, quindi, l'effettuazione di quelli che il giudice a quo definisce «programmi

politici "paritari"» si concretizza essenzialmente in un'attività che deve rispettare precisi limiti

"modali", cioé inerenti alle modalità di svolgimento di queste trasmissioni; limiti i quali

attengono specificamente ai profili organizzativo-imprenditoriali dell'iniziativa economica,

anzichè a quelli contenutistici dell'attività di manifestazione del pensiero. Ed invero, le norme

censurate prevedono l'obbligo di predisporre nel quadro della programmazione -in attuazione

del dovere di assicurare, in condizioni di parità, a tutti i soggetti politici l'"accesso"

all'informazione ed alla comunicazione politica- specifiche e assai limitate nel tempo

tipologie di trasmissioni ("tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazione in

contraddittorio di candidati e di programmi politici, confronti, interviste e ogni altra forma

nella quale assuma carattere rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni politiche"), nel

cui ambito deve essere rigorosamente osservato il criterio della partecipazione in

contraddittorio e del confronto dialettico tra i soggetti intervenienti, secondo il canone della

pari opportunità. Ma é un obbligo che incide su modalità organizzative, che non toccano la

libertà di espressione, se non sotto il profilo del dovere di osservanza di un comportamento

neutrale ed imparziale.

Si tratta peraltro di doveri che discendono dal prospettato regime di concessione, ordinato

appunto alla regolazione di facoltà e doveri a tutela di un interesse costituzionale generale –

quale é appunto quello della informazione e formazione consapevole della volontà del

cittadino-utente – in favore del quale il legislatore ha risolto non irragionevolmente il

bilanciamento con la contrapposta libertà di opinione delle singole emittenti private.

2.2. In ogni caso non é esatto ritenere che in questo modo si pervenga -come sostiene

l'ordinanza di rimessione- ad «espropriare in toto di ogni manifestazione "politica" le

emittenti private». Ed infatti l'art. 2, comma 2, della legge censurata, stabilendo

espressamente che le disposizioni che regolano la comunicazione politica radiotelevisiva "non

si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione", preclude che in questi

programmi, che certamente costituiscono un momento ordinario, anche se tra i più

caratterizzanti dell'attività radiotelevisiva, all'emittente possano essere imposti limiti, che

derivino da motivi connessi alla comunicazione politica. L'espressione "diffusione di notizie"

va pertanto intesa, del resto secondo un dato di comune esperienza, nella sua portata più

ampia, comprensiva quindi della possibilità di trasmettere notizie in un contesto narrativoargomentativo

ovviamente risalente alla esclusiva responsabilità della testata.

Tanto é sufficiente, quindi, ad escludere ogni paventata forma di "funzionalizzazione" del

mezzo radiotelevisivo o di "espropriazione" della identità politica delle singole emittenti

private ed a consentire invece ad ognuna di esse di fare emergere, anche attraverso le proprie

analisi e considerazioni di ordine politico, l'immagine propria di un'impresa di tendenza. Vero

é, a questo proposito, che durante le campagne elettorali sono previsti, negli artt. 4 e 5, criteri

limitativi sia in ordine alla comunicazione politica radiotelevisiva, sia in ordine ai programmi

di informazione: si tratta peraltro di prescrizioni, che nella loro rigorosa previsione appaiono

tutte ispirate dal ragionevole intento di prevenire in ogni modo qualsiasi influenza, anche "in

forma surrettizia", sulle libere e consapevoli scelte degli elettori, in momenti particolarmente

delicati della vita democratica del Paese.

In considerazione di tutto ciò, non é condivisibile l'affermazione del giudice a quo, secondo

cui "l'esigenza di tutela del processo di formazione della consapevolezza politica dell'elettore"

sarebbe soddisfatta più agevolmente, anzichè da una rigida disciplina di settore, dal "libero

concorso di differenti voci informative". Questa tesi evidentemente evoca il c.d. pluralismo

"esterno", che certamente costituisce uno degli "imperativi" elaborati dalla giurisprudenza

costituzionale in materia; in proposito, peraltro, va ricordato che esso non può dirsi realizzato

per il solo fatto che vi sia concorso fra un polo pubblico e un polo privato, il quale detenga

una posizione dominante nel settore dell’emittenza privata (sentenza n. 826 del 1988), giacchè

in questo modo non si verifica l’accesso al sistema radiotelevisivo del "massimo numero

possibile di voci diverse" (sentenza n. 112 del 1993). Ma in ogni caso il pluralismo esterno

può risultare insufficiente – in una situazione in cui perdura la sostanziale limitazione delle

emittenti – a garantire la possibilità di espressione delle opinioni politiche attraverso il mezzo

televisivo. Proprio a questo fine le norme censurate, imponendo un ragionevole bilanciamento

dei contrapposti interessi, richiedono, nel caso di trasmissioni di comunicazione politica,

modalità che assicurino il pluralismo sostanziale mediante la garanzia della parità di chances

offerta ai soggetti intervenienti.

3. Un'ulteriore censura riguarda l'art. 7 della stessa legge, sotto il profilo della disparità di

trattamento in danno del settore radiotelevisivo, poichè per la stampa periodica non sono

previste limitazioni così incisive in ordine alla propaganda elettorale.

La prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione però non sussiste, in quanto emittenza

radiotelevisiva e stampa periodica hanno regimi giuridici nettamente diversi -così da impedire

l'individuazione di un tertium comparationis adeguato- in relazione alle loro differenti

caratteristiche: "nel settore della stampa non c'é alcuna barriera all'accesso, mentre nel settore

televisivo la non illimitatezza delle frequenze, insieme alla considerazione della particolare

forza penetrativa di tale specifico strumento di comunicazione impone il ricorso al regime

concessorio" (sentenza n. 420 del 1994). In ogni caso la disomogeneità dei mezzi in

comparazione é tale da escludere qualsiasi disparità di trattamento, poichè é noto e costante,

nella giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento della peculiare diffusività e pervasività

del messaggio televisivo (sentenze n. 225 del 1974, n. 148 del 1981, n. 826 del 1988), così da

giustificare l'adozione, soltanto nei confronti della emittenza radiotelevisiva, di una rigorosa

disciplina capace di impedire qualsiasi improprio condizionamento nella formazione della

volontà degli elettori.

4. L'ultima censura, infine, riguarda il diverso regime cui sono soggetti i "messaggi politici

autogestiti", la cui trasmissione durante le campagne elettorali, mentre per le emittenti locali

prevede un rimborso da parte dello Stato (cfr. art. 4, comma 5, della legge n. 28 del 2000),

deve invece essere gratuita per le emittenti nazionali (cfr. art. 4, comma 3, lettera b della

medesima legge), in violazione, secondo l'ordinanza di rimessione, dell'art. 42 della

Costituzione, sotto il profilo che "gli atti ablatori della proprietà privata postulino la

corresponsione di un indennizzo, il quale non potrebbe non interessare anche l'ipotesi

dell'esproprio di spazi radiotelevisivi privati".

Al riguardo va osservato che é del tutto inesatto, in questo caso, il riferimento all'"esproprio"

di spazi radiotelevisivi privati, giacchè per le emittenti nazionali, esclusa la concessionaria del

pubblico servizio, la trasmissione dei predetti messaggi non rappresenta certo un obbligo, ma

solo una scelta evidentemente dipendente da complessive valutazioni di carattere

imprenditoriale intorno all'offerta dei programmi. D'altra parte, stante la rilevante differenza

di ordine fattuale e giuridico tra emittenti ad ambito nazionale ed emittenti ad ambito locale

ed in considerazione della limitatezza delle risorse finanziarie disponibili per queste ultime,

appare del tutto giustificata la previsione di un rimborso da parte dello Stato delle loro spese

per la trasmissione di messaggi autogestiti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 7 della

legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione

durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), sollevate, in

riferimento agli artt. 3, 21 e 42 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del

Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 aprile

2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2002.

3) Delibera Agcom n. 22/06/CSP, Disposizioni applicative delle norme e dei principi vigenti

in materia di comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi di informazione nei periodi

non elettorali

Scheda

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha il compito di emanare le

disposizioni applicative delle norme e dei principi vigenti in materia di

comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi di informazione nei periodi

non elettorali.

In particolare l’Agcom con la delibera 22/06/CONS ha stabilito:

1. Trasmissioni di informazione e approfondimento

Tutte le trasmissioni di informazione, compresi i telegiornali, le rubriche e le

trasmissioni di approfondimento devono rispettare i principi di completezza e

correttezza dell’informazione, obiettività, equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei

punti di vista e parità di trattamento. Nei programmi di informazione e di

approfondimento l’equilibrio delle presenze deve essere assicurato durante il ciclo

della trasmissione, dando, ove possibile, preventiva notizia degli interventi

programmati.

2. Trasmissioni di intrattenimento

In tali trasmissioni va evitata la presenza di esponenti politici, salvo che la

medesima sia dovuta alla trattazione di argomenti per i quali è richiesta una loro

particolare competenza e responsabilità, ferma restando la libertà di espressione, la

comunicazione e la satira non devono assumere forme lesive della dignità della

persona.

Testo della delibera

L’AUTORITA’

NELLA riunione della Commissione per i servizi e i prodotti del 1° febbraio 2006;

VISTO l’articolo 1, comma 6, lettera b), nn. 1 e 9, della legge 31 luglio 1997, n. 249, recante

“Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle

telecomunicazioni e radiotelevisivo”;

VISTA la legge 22 febbraio 2000, n. 28, recante "Disposizioni per la parità di accesso ai

mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie per la comunicazione

politica", come modificata dalla legge 6 novembre 2003, n. 313, ed, in particolare, l’art. 2,

comma 1.

VISTA la delibera n.200/00/CSP recante disposizioni di attuazione della disciplina in materia

di comunicazione politica e di parità di acceso ai mezzi di informazione nei periodi non

elettorali.

VISTA la legge 6 novembre 2003, n. 313, recante "Disposizioni per l’attuazione del principio

del pluralismo nella programmazione delle emittenti radiofoniche e televisive locali”;

VISTO il decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, recante “Testo unico della

radiotelevisione”;

CONSIDERATO che , ai sensi degli articoli 3 e 7 del citato Testo unico, costituiscono

principi fondamentali del sistema radiotelevisivo il pluralismo, l’obiettività, la completezza, la

lealtà e l’imparzialità dell’informazione , nonché l’apertura alle diverse opinioni e tendenze

politiche e che, l’attività di informazione radiotelevisiva, da qualunque emittente o fornitore

di contenuti esercitata, costituisce un servizio di interesse generale , che deve garantire la

libera formazione delle opinioni e l’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di

informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e

imparzialità;

CONSIDERATO che l’Autorità è chiamata dall’articolo 10, comma 1, del citato Testo unico

ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali della persona nel settore delle comunicazioni

anche radiotelevisive;

RILEVATO, altresì, che il citato art. 7, comma 3, del Testo unico prevede che l’Autorità

debba rendere effettiva l’osservanza dei principi ivi stabiliti, nei programmi di informazione

e di propaganda delle emittenti radiotelevisive e dei fornitori di contenuti in ambito nazionale;

VISTO l’Atto di indirizzo sulle garanzie del pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo

approvato dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi

radiotelevisivi nella seduta dell’11 marzo 2003, secondo il quale, in particolare:

“ 1. Tutte le trasmissioni di informazione - dai telegiornali ai programmi di approfondimento

- devono rispettate rigorosamente, con la completezza dell’informazione, la pluralità dei

punti di vista e la necessità del contraddittorio; ai direttori, ai conduttori, a tutti i giornalisti

che operano nell’azienda concessionaria del servizio pubblico, si chiede di orientare la loro

attività al rispetto dell’imparzialità, avendo come unico criterio quello di fornire ai cittadini

utenti il massimo, di informazioni, verificate e fondate, con il massimo della chiarezza….

2. La presenza di esponenti politici nei programmi di intrattenimento, quando è frequenze e

abituale, alimenta la sensazione che il carattere pubblico del servizio consista nella simbiosi

con la politica, Va quindi – normalmente evitata, e deve – comunque – trovare motivazione

nella particolare competenza e responsabilità degli invitati su argomenti trattati nel

programma stesso, configurando una finestra informativa nell’ambito del programma di

intrattenimento alla quale si applica dunque la raccomandazione precedente….”;

CONSIDERATO che i principi di pluralismo, obiettività, completezza, lealtà e imparzialità

devono informare le trasmissioni di informazione , da qualsiasi emittente o fornitore di

contenuti trasmesse;

RITENUTO di fare propria la citata raccomandazione della Commissione parlamentare per

l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi dell’11 marzo 2003 e di

estenderla alle emittenti radiotelevisive nazionali private;

CONSIDERATO che, fatte salve le norme legislative e regolamentari applicabili in periodo

elettorale, l’informazione e l’approfondimento politico, in qualsiasi trasmissione collocati,

devono conformarsi ai criteri di imparzialità, equità, completezza, correttezza, pluralità dei

punti di vista ed equilibrio delle presenze, che deve essere garantito durante il ciclo del

programma; che, soprattutto in periodo pre-elettorale , occorre garantire che, in caso di

alterazione delle presenze, il riequilibrio avvenga con sufficiente immediatezza in un arco

temporale ristretto, comunque prima dell’avvio della campagna elettorale;

CONSIDERATO che nelle trasmissioni di intrattenimento va evitata la presenza di

esponenti politici, salvo che la medesima sia dovuta alla trattazione di argomenti per i quali è

richiesta una loro particolare competenza e responsabilità; che, in tal caso, si configura una

finestra informativa nell’ambito del programma di intrattenimento, nella quale devono essere

assicurati la parità di trattamento, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità

dell’informazione.

CONSIDERATE l’opportunità e l’urgenza di adottare disposizioni applicative dei principi di

legge in materia di informazione radiotelevisiva diffusa dalle emittenti radiofoniche e

televisive nazionali private a integrazione e modificazione di quelle adottate con la citata

delibera n.200/00/CSP;

UDITA la relazione del Commissario Michele Lauria , relatore ai sensi dell’articolo 32 del

regolamento concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità;

DELIBERA

Articolo 1

(Finalità e ambito di applicazione)

1 Le disposizioni di cui al presente provvedimento, in attuazione dell’art. 7, comma 3, del

decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, stabiliscono i criteri ai quali le trasmissioni di

informazione, gli spazi di informazione e approfondimento e le altre trasmissioni nei casi di

cui all’articolo 3, diffusi dalle emittenti radiofoniche e televisive nazionali private, devono

attenersi nel periodo non elettorale per assicurare il rispetto dei principi di pluralismo,

obiettività, completezza, lealtà e imparzialità dell’informazione previsti dalla legge .

Articolo 2

(Trasmissioni di informazione e approfondimento)

1. Tutte le trasmissioni di informazione, compresi i telegiornali , le rubriche e le trasmissioni

di approfondimento devono rispettare i principi di completezza e correttezza

dell’informazione, obiettività, equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista e parità

di trattamento.

2. Nei programmi di informazione e di approfondimento l’equilibrio delle presenze deve

essere assicurato durante il ciclo della trasmissione, dando, ove possibile, preventiva notizia

degli interventi programmati.

3. Nel periodo pre-elettorale l’equilibrio delle presenze deve essere osservato con particolare

cura in modo da assicurare , con imparzialità ed equità , l’accesso a tutti i soggetti politici

nonché la parità di trattamento nell’esposizione delle proprie opinioni e posizioni politiche,

realizzando l’equilibrio tra i diversi schieramenti. In caso di alterazione di quest’ultimo , il

riequilibrio deve avvenire in una trasmissione omogenea, ove possibile della stessa serie e

nella stessa fascia oraria, immediatamente successiva e, comunque, prima della

convocazione dei comizi elettorali.

4. Ai fini del presente provvedimento i soggetti politici sono individuati come segue:

a) le forze politiche che costituiscono un autonomo gruppo in almeno un ramo del Parlamento

nazionale;

b) le forze politiche che , pur non costituendo un autonomo gruppo in uno dei due rami del

Parlamento nazionale, siano rappresentate nel Parlamento europeo.

5. Ai fini del presente provvedimento il periodo pre-elettorale va dal trentesimo giorno

precedente la data prevista per la convocazione dei comizi elettorali fino a quest’ultima.

6. Nelle trasmissioni di cui al presente articolo i registi ed i conduttori sono tenuti ad un

comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma - anche in rapporto alle

modalità di partecipazione e selezione del pubblico – così da non influire sulla libera

formazione delle opinioni da parte degli ascoltatori. Nel periodo pre-elettorale non sono

consentiti interventi video o audio in diretta, non preannunciati all’inizio della trasmissione.

Resta salva per l’emittente la libertà di commento e di critica che, in chiara distinzione tra

informazione e opinione, salvaguardi comunque il rispetto della persona.

7. I criteri di cui al presente articolo devono essere rispettati all’interno di ciascuna rete o

testata giornalistica.

Articolo 3

(Altre trasmissioni)

1. Negli spazi di informazione e approfondimento politico, in qualsiasi trasmissione collocati,

si applicano le disposizioni del precedente articolo 2 .

2. Nelle trasmissioni di intrattenimento va evitata la presenza di esponenti politici, salvo che

la medesima sia dovuta alla trattazione di argomenti per i quali è richiesta una loro particolare

competenza e responsabilità. In tal caso si configura uno spazio informativo nell’ambito del

programma , per il quale valgono le disposizioni del precedente articolo 2.

3. Nelle trasmissioni di intrattenimento, ferma restando la libertà di espressione, la

comunicazione e la satira non devono assumere forme lesive della dignità della persona.

Articolo 4

(Adeguamento)

1. Le emittenti radiotelevisive nazionali sono tenute al rispetto delle disposizioni dettate dal

presente provvedimento, attraverso l’immediato adeguamento della propria programmazione

ai principi dal medesimo stabiliti e attraverso i conseguenti comportamenti .

2. L’Autorità verifica l’osservanza di quanto disposto dal presente provvedimento anche

attraverso il monitoraggio dei programmi

3. Ove l’Autorità accerti l’inosservanza di quanto prescritto dal presente provvedimento

irroga ai soggetti responsabili, se necessario previa diffida, le sanzioni amministrative

previste dall’art. 1, commi 31 e 32 della legge 31 luglio 1997, n. 249, e adotta le misure

ripristinatorie di cui all’articolo 10, commi 3 ed 8, della legge 22 febbraio 2000, n. 28.

Il presente provvedimento entra in vigore nei confronti di ciascuna emittente radiofonica e

televisiva nazionale privata dalla data della notifica.

Il presente provvedimento è trasmesso alla Commissione parlamentare per l’indirizzo

generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della

Repubblica Italiana.

Napoli, 1° febbraio 2006

IL COMMISSARIO RELATORE

Michele Lauria

IL PRESIDENTE

Corrado Calabrò

Per attestazione di conformità a quanto

deliberato

IL SEGRETARIO GENERALE

Roberto Viola

4) Delibera Agcom n. 80/11/CSP, Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di

comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne

per le elezioni provinciali e comunali fissate per i giorni 15 e 16 maggio 2011

Scheda

La legge sulla par condicio, prevede che in occasione di ogni singola consultazione

elettorale, la Commissione e l’Agcom provvedono ad emanare specifici regolamenti.

L’Agcom nel corso del 2011 ha adottato la delibera n. 80/11/CSP in base alla sono

state adottate, in attuazione della legge 22 febbraio 2000, n. 28, come modificata dalla

legge 6 novembre 2003, n. 313, in materia di disciplina dell’accesso ai mezzi di

informazione, finalizzate a dare concreta attuazione ai principi del pluralismo,

dell’imparzialità, dell’indipendenza, dell’obiettività e della completezza del sistema

radiotelevisivo, nonché ai diritti riconosciuti ai soggetti politici dagli articoli 4 e 5

della legge 22 febbraio 2000, n. 28, le disposizioni da seguire per le elezioni

amministrative 2011.

In particolare sono state dettate le disposizioni sul riparto degli spazi di

comunicazione politica; sulle modalità di trasmissione dei messaggi politici

autogestiti a titolo gratuito; sui programmi di informazione trasmessi sulle emittenti

nazionali; sui programmi di comunicazione politica; sui sondaggi politici ed elettorali

Testo della delibera

L’AUTORITA’

NELLA riunione della Commissione per i servizi e i prodotti del 29 marzo 2011;

VISTO l’articolo 1, comma 6, lettera b), n. 9, della legge 31 luglio 1997, n. 249, recante

“Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle

telecomunicazioni e radiotelevisivo”;

VISTA la legge 10 dicembre 1993, n. 515, recante "Disciplina delle campagne elettorali per

l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica", e successive

modificazioni;

VISTA la legge 22 febbraio 2000, n. 28, recante "Disposizioni per la parità di accesso ai

mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione

politica", come modificata dalla legge 6 novembre 2003, n. 313;

VISTA la legge 6 novembre 2003, n. 313, recante "Disposizioni per l’attuazione del principio

del pluralismo nella programmazione delle emittenti radiofoniche e televisive locali”;

VISTO il decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004, che emana il Codice di

autoregolamentazione ai sensi della legge 6 novembre 2003, n. 313;

VISTA la legge 20 luglio 2004, n. 215, recante “Norme in materia di risoluzione dei conflitti

di interessi”, come modificata dalla legge 5 novembre 2004, n. 261;

VISTO il decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, come modificato dal decreto legislativo

15 marzo 2010, n. 44, recante “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”, ed,

in particolare, l’articolo 7;

VISTA la delibera n. 256/10/CSP del 9 dicembre 2010, recante il “Regolamento in materia di

pubblicazione e diffusione dei sondaggi sui mezzi di comunicazione di massa”;

VISTA la legislazione nazionale e regionale che disciplina le consultazioni provinciali e

comunali programmate nel 2011, e , in particolare, la legge 25 marzo 1993, n. 81, relativa

all’elezione diretta del Sindaco, del Presidente della provincia e dei consigli comunali e

provinciali, e lo statuto e le leggi della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia 9 marzo

1995, n. 14, 21 aprile 1999, n. 10, 10 maggio 1999, n.13 e 15 marzo 2001, n. 9, relative alle

consultazioni amministrative;

VISTI la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, recante lo Statuto speciale della Regione

Autonoma Valle d’Aosta, e successive modificazioni, e la legge della Regione Autonoma

Valle d’Aosta 9 febbraio 1995, n. 4, recante “Elezione diretta del Sindaco, del Vice sindaco e

del consiglio comunale”, e successive modificazioni;

TENUTO CONTO che per domenica 15 e lunedì 16 maggio 2011 è previsto lo svolgimento

delle elezioni per il rinnovo di numerose amministrazioni provinciali e comunali che

interessano oltre un quarto del corpo elettorale, il cui elenco è reso disponibile sul sito web

dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: www.agcom.it;

EFFETTUATE le consultazioni con la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la

vigilanza dei servizi radiotelevisivi, previste dalla legge 22 febbraio 2000, n. 28;

UDITA la relazione dei Commissari Michele Lauria e Antonio Martusciello , relatori ai sensi

dell’articolo 29 del regolamento concernente l’organizzazione ed il funzionamento

dell’Autorità;

DELIBERA

TITOLO I

DISPOSIZIONI GENERALI

Articolo 1

(Finalità e ambito di applicazione)

1. Le disposizioni di cui al presente provvedimento, in attuazione della legge 22 febbraio

2000, n. 28, come modificata dalla legge 6 novembre 2003, n. 313, in materia di disciplina

dell’accesso ai mezzi di informazione, finalizzate a dare concreta attuazione ai principi del

pluralismo, dell’imparzialità, dell’indipendenza, dell’obiettività e della completezza del

sistema radiotelevisivo, nonché ai diritti riconosciuti ai soggetti politici dagli articoli 4 e 5

della legge 22 febbraio 2000, n. 28, si riferiscono alle consultazioni per le elezioni dei

Presidenti delle Province e dei consigli Provinciali e per le elezioni dei Sindaci e dei consigli

comunali fissate per i giorni 15 e 16 maggio 2011 e si applicano nei confronti delle emittenti

che esercitano l’attività di radiodiffusione televisiva e sonora privata e della stampa

quotidiana e periodica. L’elenco delle province e dei comuni interessati dalle consultazioni

elettorali è reso disponibile sul sito web dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni:

www.agcom.it.

2. In caso di coincidenza territoriale e temporale, anche parziale, della campagna elettorale di

cui alla presente delibera con altre consultazioni elettorali referendarie, saranno applicate le

disposizioni di attuazione della legge 22 febbraio 2000, n. 28 relative a ciascun tipo di

consultazione.

3. Le disposizioni di cui al presente provvedimento non si applicano ai programmi e alle

trasmissioni destinati ad essere trasmessi esclusivamente in ambiti territoriali nei quali non è

prevista alcuna consultazione elettorale di cui al precedente comma 1.

TITOLO II

RADIODIFFUSIONE SONORA E TELEVISIVA

CAPO I

DISCIPLINA DELLE TRASMISSIONI

DELLE EMITTENTI NAZIONALI

Articolo 2

(Riparto degli spazi di comunicazione politica)

1. Ai fini del presente Capo I, in applicazione della legge 22 febbraio 2000, n. 28, nel periodo

intercorrente tra la data di convocazione dei comizi elettorali e la data di chiusura delle

campagne elettorali, gli spazi che ciascuna emittente televisiva o radiofonica nazionale privata

dedica alla comunicazione politica riferita alle consultazioni elettorali nelle forme previste

dall'articolo 4, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n. 28, sono garantiti:

I) nel periodo intercorrente tra la data di convocazione dei comizi elettorali e la data di

presentazione delle candidature:

a) nei confronti delle forze politiche che costituiscono Gruppo in almeno un ramo del

Parlamento nazionale; per i Gruppi parlamentari composti da forze politiche distinte, o

rappresentate da sigle diverse, il Presidente del Gruppo individua, secondo criteri che

contemperino le esigenze di rappresentatività con quelle di pariteticità, le forze politiche che

di volta in volta rappresenteranno il Gruppo;

b) nei confronti del Gruppo Misto della Camera dei deputati e del Gruppo Misto del Senato

della Repubblica, intesi come unico soggetto, i cui Presidenti individuano, d’intesa fra loro,

secondo criteri che contemperino le esigenze di rappresentatività con quelle di pariteticità, le

forze politiche diverse da quelle di cui alle lettere c) e d), che di volta in volta

rappresenteranno i due Gruppi;

c) nei confronti delle forze politiche, diverse da quelle di cui alla lettera a) e b), che hanno

eletto con proprio simbolo almeno due rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo.

d) nei confronti delle forze politiche diverse da quelle di cui alle lettere a), b) e c), che hanno

eletto con proprio simbolo almeno un rappresentante nel Parlamento nazionale e che sono

oggettivamente riferibili ad una delle minoranze linguistiche indicate nell’articolo 2 della

legge 15 dicembre 1999, n. 482.

Negli spazi di comunicazione politica di cui al presente comma, il tempo disponibile è

ripartito tra i soggetti aventi diritto per il cinquanta per cento in proporzione alla consistenza

dei soggetti di cui all’articolo 2, lett. a) e per il restante cinquanta per cento

in modo paritario tra tutti i soggetti di cui all’articolo 2.

II) Nel periodo intercorrente tra la data di presentazione delle candidature e quella di chiusura

delle campagne elettorali, con criterio paritario, nei confronti dei soggetti politici che

presentano liste di candidati per i Consigli provinciali e per i Consigli comunali dei comuni

capoluogo di provincia presenti in tanti ambiti territoriali da interessare almeno un quarto

degli elettori, su base nazionale, chiamati alle consultazioni.

2. In rapporto al numero dei partecipanti e agli spazi disponibili, il principio delle pari

opportunità tra gli aventi diritto può essere realizzato, oltre che nell’ambito della medesima

trasmissione, anche nell’ambito di un ciclo di più trasmissioni, purchè ciascuna di queste

abbia analoghe opportunità di ascolto. E’ altresì possibile realizzare trasmissioni anche

mediante la partecipazione di giornalisti che rivolgono domande ai partecipanti. In ogni caso

la ripartizione degli spazi nelle trasmissioni di comunicazione politica nei confronti dei

soggetti politici aventi diritto deve essere effettuata su base settimanale, garantendo

l’applicazione dei principi di equità e di parità di trattamento, e procedendo comunque entro

la settimana successiva alle compensazioni che dovessero eccezionalmente rendersi

necessarie. Ove possibile, tali trasmissioni sono diffuse con modalità che ne consentano la

fruizione anche ai non udenti.

3. L’eventuale assenza di un soggetto politico non pregiudica l’intervento nelle trasmissioni

degli altri soggetti, anche nella medesima trasmissione, ma non determina un aumento del

tempo ad essi spettante. Nelle trasmissioni interessate è fatta menzione della rinuncia.

4. Le trasmissioni di comunicazione politica sono collocate in contenitori con cicli a cadenza

quindicinale dalle emittenti televisive nazionali all’interno della fascia oraria compresa tra le

ore 7:00 e le ore 24:00 e dalle emittenti radiofoniche nazionali all’interno della fascia oraria

compresa tra le ore 7:00 e le ore 1:00 del giorno successivo.

5. I calendari delle trasmissioni di cui al presente articolo sono tempestivamente comunicati,

anche a mezzo telefax, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Le eventuali

variazioni dei predetti calendari sono tempestivamente comunicati all’Autorità.

6. La responsabilità delle trasmissioni di cui al presente articolo deve essere ricondotta a

quella di specifiche testate giornalistiche registrate ai sensi dell’articolo 32- quinquies, comma

1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177.

7. Le trasmissioni di cui al presente articolo sono sospese dalla mezzanotte dell’ultimo giorno

precedente le votazioni.

Articolo 3

(Modalità di trasmissione dei messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)

1. Nel periodo intercorrente tra la data di presentazione delle candidature e quella di chiusura

di ciascuna campagna elettorale, le emittenti radiofoniche e televisive nazionali private

possono trasmettere messaggi politici autogestiti a titolo gratuito per la presentazione non in

contraddittorio di liste e programmi.

2. Per la trasmissione dei messaggi politici autogestiti a titolo gratuito le emittenti di cui

all’articolo 3, comma 1, osservano le seguenti modalità, stabilite sulla base dei criteri fissati

dall'articolo 4, comma 3, della legge 22 febbraio 2000, n. 28:

a) il numero complessivo dei messaggi è ripartito secondo quanto previsto dal all’articolo 2,

comma 1, numero II; i messaggi sono trasmessi a parità di condizioni tra i soggetti politici,

anche con riferimento alle fasce orarie;

b) i messaggi sono organizzati in modo autogestito e devono avere una durata sufficiente alla

motivata esposizione di un programma o di una opinione politica, comunque compresa, a

scelta del richiedente, fra uno e tre minuti per le emittenti televisive e fra trenta e novanta

secondi per le emittenti radiofoniche;

c) i messaggi non possono interrompere altri programmi, né essere interrotti, hanno una

autonoma collocazione nella programmazione e sono trasmessi in appositi contenitori, fino a

un massimo di quattro contenitori per ogni giornata di programmazione. I contenitori,

ciascuno comprensivo di almeno tre messaggi, sono collocati uno per ciascuna delle seguenti

fasce orarie, progressivamente a partire dalla prima: prima fascia 18:00 – 19:59; seconda

fascia 14:00 – 15:59; terza fascia 22:00 – 23:59; quarta fascia 9:00 – 10:59;

d) i messaggi non sono computati nel calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario previsti

dalla legge;

e) ciascun messaggio può essere trasmesso una sola volta in ciascun contenitore;

f) nessun soggetto politico può diffondere più di due messaggi in ciascuna giornata di

programmazione sulla stessa emittente;

g) ogni messaggio reca la dicitura "messaggio autogestito" con l'indicazione del soggetto

politico committente.

Articolo 4

(Comunicazioni delle emittenti nazionali e dei soggetti politici)

1. Entro il quinto giorno successivo alla data di convocazione dei comizi elettorali, le

emittenti che intendono trasmettere messaggi politici autogestiti a titolo gratuito:

a) rendono pubblico il loro intendimento mediante un comunicato da trasmettere almeno una

volta nella fascia di maggiore ascolto. Nel comunicato l'emittente nazionale informa i soggetti

politici che presso la sua sede, di cui viene indicato l’indirizzo, il numero telefonico e la

persona da contattare, è depositato un documento, che può essere reso disponibile anche nel

sito web dell’emittente, concernente la trasmissione dei messaggi, il numero massimo dei

contenitori predisposti, la collocazione nel palinsesto, gli standard tecnici richiesti e il termine

di consegna per la trasmissione del materiale autoprodotto. A tale fine, le emittenti possono

anche utilizzare il modello MAG/1/EPC, reso disponibile nel sito web dell’Autorità per le

garanzie nelle comunicazioni: www.agcom.it;

b) inviano, anche a mezzo telefax, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il

documento di cui alla lettera a), nonché possibilmente con almeno cinque giorni di anticipo,

ogni variazione successiva del documento stesso con riguardo al numero dei contenitori e alla

loro collocazione nel palinsesto. A quest’ultimo fine, le emittenti possono anche utilizzare il

modello MAG/2/EPC, reso disponibile nel predetto sito web dell’Autorità per le garanzie

nelle comunicazioni.

2. Fino al giorno precedente la data di presentazione delle candidature i soggetti politici

interessati a trasmettere messaggi autogestiti comunicano alle emittenti e alla stessa Autorità

per le garanzie nelle comunicazioni, anche a mezzo telefax, le proprie richieste, indicando il

responsabile elettorale e i relativi recapiti, la durata dei messaggi, nonché dichiarando di

presentare candidature in collegi o circoscrizioni che interessino almeno il quarto degli

elettori chiamati alle consultazioni. A tale fine, può anche essere utilizzato il modello

MAG/3/EPC, reso disponibile nel predetto sito web dell’Autorità per le garanzie nelle

comunicazioni.

Articolo 5

(Sorteggio e collocazione dei messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)

1. La collocazione dei messaggi all'interno dei singoli contenitori previsti per il primo giorno

avviene con sorteggio unico nella sede dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alla

presenza di un funzionario della stessa.

2. La collocazione nei contenitori dei giorni successivi viene determinata secondo un criterio

di rotazione a scalare di un posto all'interno di ciascun contenitore, in modo da rispettare il

criterio di parità di presenze all'interno delle singole fasce.

Articolo 6

(Programmi di informazione trasmessi sulle emittenti nazionali)

1. Sono programmi di informazione i telegiornali, i giornali radio, i notiziari e ogni altro

programma di contenuto informativo, a rilevante presentazione giornalistica, caratterizzato

dalla correlazione ai temi dell’attualità e della cronaca.

2. Nel periodo di vigenza della presente delibera, tenuto conto del servizio di interesse

generale dell’attività di informazione radiotelevisiva, i notiziari diffusi dalle emittenti

televisive e radiofoniche nazionali e tutti gli altri programmi a contenuto informativo,

riconducibili alla responsabilità di una specifica testata registrata ai sensi di legge, si

conformano con particolare rigore ai principi di tutela del pluralismo, dell’imparzialità,

dell’indipendenza, della obiettività e dell’apertura alle diverse forze politiche.

3. I direttori responsabili dei programmi di cui al presente articolo, nonché i loro conduttori e

registi devono assicurare in maniera particolarmente rigorosa condizioni oggettive di parità di

trattamento , fondate sui dati del monitoraggio del pluralismo, al fine di consentire

l’esposizione di opinioni e posizioni politiche, e devono assicurare ogni cautela atta ad evitare

che si determinino situazioni di vantaggio per determinate forze politiche o determinati

competitori elettorali. A tal fine i direttori responsabili dei notiziari sono tenuti

settimanalmente ad acquisire i dati del monitoraggio del pluralismo relativi alla testata diretta

e a correggere eventuali disparità di trattamento verificatesi nella settimana precedente. Essi,

inoltre, curano gli utenti non siano oggettivamente nella condizione di poter attribuire, in base

alla conduzione del programma, specifici orientamenti politici ai conduttori o alla testata e

che nei notiziari propriamente detti, non si determini un uso ingiustificato di riprese con

presenza diretta di membri del Governo, o di esponenti politici.

4. I telegiornali devono rispettare, con la completezza dell’informazione, la pluralità dei punti

di vista. I direttori, i conduttori, i giornalisti devono orientare la loro attività al rispetto

dell’imparzialità, avendo come unico criterio quello di fornire ai cittadini il massimo di

informazioni, verificate e fondate, con il massimo della chiarezza.

5. Il rispetto delle condizioni di cui al presente articolo e il ripristino di eventuali squilibri

accertati, è assicurato anche d’ufficio dall’Autorità che persegue le relative violazioni secondo

quanto previsto dalle norme vigenti.

6. In tutte le trasmissioni radiotelevisive diverse da quelle di comunicazione politica, dai

messaggi politici autogestiti e dai programmi di informazione ricondotti sotto la responsabilità

di specifiche testate giornalistiche registrate ai sensi di legge, non è ammessa, ad alcun titolo,

la presenza di candidati o di esponenti politici e non possono essere trattati temi di evidente

rilevanza politica ed elettorale né che riguardino vicende o fatti personali di personaggi

politici.

7. In qualunque trasmissione radiotelevisiva, diversa da quelle di comunicazione politica e dai

messaggi politici autogestiti, è vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni di voto o

manifestare le proprie preferenze di voto.

Articolo 7

(Illustrazione delle modalità di voto)

1. Nei trenta giorni precedenti il voto le emittenti radiotelevisive nazionali private illustrano le

principali caratteristiche delle elezioni provinciali e comunali di cui al presente

provvedimento, con particolare riferimento al sistema elettorale e alle modalità di espressione

del voto, ivi comprese le speciali modalità di voto previste per gli elettori diversamente abili e

per quelli intrasportabili.

CAPO II

DISCIPLINA DELLE TRASMISSIONI

DELLE EMITTENTI LOCALI

Articolo 8

(Programmi di comunicazione politica)

1. I programmi di comunicazione politica, come definiti all'articolo 2, comma 1, lettera c), del

codice di autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile

2004, che le emittenti televisive e radiofoniche locali intendono trasmettere tra l’entrata in

vigore della presente delibera e la chiusura delle campagne elettorali devono consentire una

effettiva parità di condizioni tra i soggetti politici competitori, anche con riferimento alle

fasce orarie e al tempo di trasmissione.

2. La parità di condizioni di cui al comma 1 deve essere garantita nei due distinti periodi in

cui si articola la campagna elettorale tra i seguenti soggetti politici: I) nel periodo

intercorrente tra la data di convocazione dei comizi elettorali e la data di presentazione delle

candidature:

a) nei confronti delle forze politiche che costituiscono un autonomo gruppo nei Consigli

provinciali o nei Consigli comunali da rinnovare;

b) nei confronti delle forze politiche diverse da quelle della lettera a), presenti in uno dei due

rami del Parlamento nazionale o che hanno eletto, con proprio simbolo, almeno due

rappresentanti italiani al Parlamento europeo.

II) Nel periodo intercorrente tra la data di presentazione delle candidature e quella di chiusura

della campagna elettorale:

a) nei confronti delle liste o delle coalizioni di liste collegate alla carica di Presidente della

Provincia o di Sindaco nei comuni da rinnovare;

b) nei confronti delle forze politiche che presentano liste di candidati per l’elezione dei

Consigli provinciali e per i Consigli comunali in comuni capoluogo di provincia.

3. L’eventuale assenza di un soggetto politico non pregiudica l’intervento nelle trasmissioni

degli altri soggetti, ma non determina un aumento del tempo ad essi spettante. In tali casi, nel

corso della trasmissione è fatta esplicita menzione delle predette assenze.

4. Le trasmissioni di comunicazione politica sono collocate in contenitori con cicli a cadenza

quindicinale dalle emittenti televisive locali all’interno della fascia oraria compresa tra le ore

7:00 e le ore 24:00 e dalle emittenti radiofoniche locali all’interno della fascia oraria

compresa tra le ore 7:00 e le ore 1:00 del giorno successivo, in modo a garantire

l’applicazione dei princìpi di equità e di parità di trattamento tra i soggetti politici anche

attraverso analoghe opportunità di ascolto. I calendari delle predette trasmissioni sono

comunicati almeno sette giorni prima, anche a mezzo telefax, al competente Comitato

regionale per le comunicazioni o, ove non costituito, al Comitato regionale per i servizi

radiotelevisivi, che ne informa l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Le eventuali

variazioni dei predetti calendari sono tempestivamente comunicate al predetto organo, che ne

informa l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ove possibile, tali trasmissioni sono

diffuse con modalità che ne consentano la fruizione anche ai non udenti.

5. E’ possibile realizzare trasmissioni di comunicazione politica anche mediante la

partecipazione di giornalisti che rivolgono domande ai partecipanti, assicurando, comunque,

imparzialità e pari opportunità nel confronto tra i soggetti politici.

6. Le trasmissioni di cui al presente articolo sono sospese dalla mezzanotte del secondo giorno

precedente le votazioni.

Articolo 9

(Messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)

1. Nel periodo intercorrente tra la data di presentazione delle candidature e quella di chiusura

delle campagne elettorali, le emittenti radiofoniche e televisive locali possono trasmettere

messaggi politici autogestiti a titolo gratuito per la presentazione non in contraddittorio di liste

e programmi.

2. Per la trasmissione dei messaggi politici di cui al comma 1 le emittenti radiofoniche e

televisive locali osservano le seguenti modalità, stabilite sulla base dei criteri fissati

dall'articolo 4, comma 3, della legge 22 febbraio 2000, n. 28:

a) il numero complessivo dei messaggi è ripartito secondo quanto previsto all’articolo 8,

comma 2, numero II; i messaggi sono trasmessi a parità di condizioni tra i soggetti politici,

anche con riferimento alle fasce orarie;

b) i messaggi sono organizzati in modo autogestito e devono avere una durata sufficiente alla

motivata esposizione di un programma o di una opinione politica, comunque compresa, a

scelta del richiedente, fra uno e tre minuti per le emittenti televisive e fra trenta e novanta

secondi per le emittenti radiofoniche;

c) i messaggi non possono interrompere altri programmi, né essere interrotti, hanno una

autonoma collocazione nella programmazione e sono trasmessi in appositi contenitori, fino a

un massimo di quattro contenitori per ogni giornata di programmazione. I contenitori,

ciascuno comprensivo di almeno tre messaggi, sono collocati uno per ciascuna delle seguenti

fasce orarie, progressivamente a partire dalla prima: prima fascia 18:00 – 19:59; seconda

fascia 12:00 – 14:59; terza fascia 21:00 – 23:59; quarta fascia 7:00 – 8:59;

d) i messaggi non sono computati nel calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario previsti

dalla legge;

e) nessun soggetto politico può diffondere più di due messaggi in ciascuna giornata di

programmazione sulla stessa emittente;

f) ogni messaggio per tutta la sua durata reca la dicitura "messaggio elettorale gratuito" con

l'indicazione del soggetto politico committente.

Articolo 10

(Comunicazioni delle emittenti locali e dei soggetti politici

relative ai messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)

1. Entro il quinto giorno successivo alla data di convocazione dei comizi elettorali, le

emittenti radiofoniche e televisive locali che trasmettono messaggi politici autogestiti a titolo

gratuito:

a) rendono pubblico il loro intendimento mediante un comunicato da trasmettere almeno una

volta nella fascia di maggiore ascolto. Nel comunicato l'emittente locale informa i soggetti

politici che presso la sua sede, di cui viene indicato l’indirizzo, il numero telefonico e la

persona da contattare, è depositato un documento, che può essere reso disponibile anche sul

sito web dell’emittente, concernente la trasmissione dei messaggi, il numero massimo dei

contenitori predisposti, la collocazione nel palinsesto, gli standard tecnici richiesti e il termine

di consegna per la trasmissione del materiale autoprodotto. A tale fine, le emittenti possono

anche utilizzare i modelli MAG/1/EPC resi disponibili nel sito web dell’Autorità per le

garanzie nelle comunicazioni: www.agcom.it;

b) inviano, anche a mezzo telefax, al competente Comitato regionale per le comunicazioni o,

ove non costituito, al Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi, che ne informa

l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il documento di cui alla lettera a), nonché,

possibilmente con almeno cinque giorni di anticipo, ogni variazione apportata

successivamente al documento stesso con riguardo al numero dei contenitori e alla loro

collocazione nel palinsesto. A quest’ultimo fine, le emittenti possono anche utilizzare i

modelli MAG/2/EPC resi disponibili nel predetto sito web dell’Autorità per le garanzie nelle

comunicazioni.

2. Fino al giorno di presentazione delle candidature, i soggetti politici interessati a trasmettere

i suddetti messaggi autogestiti comunicano, anche a mezzo telefax, alle emittenti e ai

competenti Comitati regionali per le comunicazioni o, ove non costituiti, ai Comitati regionali

per i servizi radiotelevisivi, che ne informano l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,

le proprie richieste, indicando il responsabile elettorale e i relativi recapiti, la durata dei

messaggi, nonché dichiarando di presentare candidature in collegi o circoscrizioni che

interessino almeno un quarto degli elettori chiamati alle consultazioni. A tale fine, possono

anche essere utilizzati i modelli MAG/3/EPC resi disponibili nel predetto sito web

dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Articolo 11

(Numero complessivo dei messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)

1. L'Autorità, ove non diversamente regolamentato, approva la proposta del competente

Comitato regionale per le comunicazioni o, ove non costituito, del Comitato regionale per i

servizi radiotelevisivi, ai fini della fissazione del numero complessivo dei messaggi

autogestiti gratuiti da ripartire tra i soggetti politici richiedenti, in relazione alle risorse

disponibili previste dal decreto del Ministro delle comunicazioni adottato di concerto con il

Ministro dell’economia e delle finanze e concernente la ripartizione tra le regioni e le

province autonome di Trento e Bolzano della somma stanziata per l’anno 2011.

Articolo 12

(Sorteggi e collocazione dei messaggi politici autogestiti a titolo gratuito)

1. La collocazione dei messaggi all'interno dei singoli contenitori previsti per il primo giorno

avviene con sorteggio unico nella sede del Comitato regionale per le comunicazioni o, ove

non costituito, del Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi, nella cui area di

competenza ha sede o domicilio eletto l’emittente che trasmetterà i messaggi, alla presenza di

un funzionario dello stesso.

2. La collocazione nei contenitori dei giorni successivi viene determinata, sempre alla

presenza di un funzionario del Comitato di cui al comma 1, secondo un criterio di rotazione a

scalare di un posto all'interno di ciascun contenitore, in modo da rispettare il criterio di parità

di presenze all'interno delle singole fasce.

Articolo 13

(Messaggi politici autogestiti a pagamento)

1. Nel periodo intercorrente tra la data di convocazione dei comizi elettorali e quella di

chiusura di ciascuna campagna elettorale, le emittenti radiofoniche e televisive locali possono

trasmettere messaggi politici autogestiti a pagamento, come definiti all'articolo 2, comma 1,

lettera d), del codice di autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro

delle comunicazioni 8 aprile 2004.

2. Per l’accesso agli spazi relativi ai messaggi politici di cui al comma 1 le emittenti

radiofoniche e televisive locali devono assicurare condizioni economiche uniformi a tutti i

soggetti politici.

3. Le emittenti radiofoniche e televisive locali che intendono diffondere i messaggi politici di

cui al comma 1 sono tenute a dare notizia dell’offerta dei relativi spazi mediante un avviso da

trasmettere, almeno una volta al giorno, nella fascia oraria di maggiore ascolto, per tre giorni

consecutivi.

4. Nell’avviso di cui al comma 3 le emittenti radiofoniche e televisive locali informano i

soggetti politici che presso la propria sede, della quale viene indicato l’indirizzo, il numero

telefonico e di fax, è depositato un documento, consultabile su richiesta da chiunque ne abbia

interesse, concernente:

a) le condizioni temporali di prenotazione degli spazi con l’indicazione del termine ultimo

entro il quale gli spazi medesimi possono essere prenotati;

b) le modalità di prenotazione degli spazi;

c) le tariffe per l’accesso a tali spazi quali autonomamente determinate da ogni singola

emittente radiofonica e televisiva locale;

d) ogni eventuale ulteriore circostanza od elemento tecnico rilevante per la fruizione degli

spazi.

5. Ciascuna emittente radiofonica e televisiva locale deve tenere conto delle prenotazioni

degli spazi da parte dei soggetti politici in base alla loro progressione temporale.

6. Ai soggetti politici richiedenti gli spazi per i messaggi di cui al comma 1 devono essere

riconosciute le condizioni di miglior favore praticate ad uno di essi per gli spazi acquistati.

7. Ciascuna emittente radiofonica e televisiva locale è tenuta a praticare, per i messaggi di cui

al comma 1, una tariffa massima non superiore al 70% del listino di pubblicità tabellare. I

soggetti politici interessati possono richiedere di verificare in modo documentale i listini

tabellari in relazione ai quali sono state determinate le condizioni praticate per l’accesso agli

spazi per i messaggi di cui al comma 1.

8. Nel caso di diffusione di spazi per i messaggi di cui al comma 1 differenziati per diverse

aree territoriali dovranno essere indicate anche le tariffe praticate per ogni area territoriale.

9. La prima messa in onda dell’avviso di cui ai commi 3 e 4 costituisce condizione essenziale

per la diffusione dei messaggi politici autogestiti a pagamento in periodo elettorale.

10. Per le emittenti radiofoniche locali i messaggi di cui al comma 1 devono essere preceduti

e seguiti da un annuncio in audio del seguente contenuto: "Messaggio elettorale a

pagamento", con l’indicazione del soggetto politico committente.

11. Per le emittenti televisive locali i messaggi di cui al comma 1 devono recare in

sovrimpressione per tutta la loro durata la seguente dicitura: "Messaggio elettorale a

pagamento", con l’indicazione del soggetto politico committente.

12. Le emittenti radiofoniche e televisive locali non possono stipulare contratti per la cessione

di spazi relativi ai messaggi politici autogestiti a pagamento in periodo elettorale in favore di

singoli candidati per importi superiori al 75% di quelli previsti dalla normativa in materia di

spese elettorali ammesse per ciascun candidato.

Articolo 14

(Trasmissioni in contemporanea)

1. Le emittenti radiofoniche e televisive locali che effettuano trasmissioni in contemporanea

con una copertura complessiva coincidente con quella legislativamente prevista per

un’emittente nazionale sono disciplinate dal codice di autoregolamentazione di cui al decreto

del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004 e al presente Capo II esclusivamente per le ore

di trasmissione non in contemporanea.

Articolo 15

(Programmi di informazione trasmessi sulle emittenti locali)

1. Nei programmi di informazione, come definiti all'articolo 2, comma 1, lettera b), del codice

di autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004, le

emittenti radiofoniche e televisive locali devono garantire il pluralismo, attraverso la parità di

trattamento, l’obiettività, la correttezza, la completezza, la lealtà, l’imparzialità, l’equità e la

pluralità dei punti di vista; a tal fine, quando vengono trattate questioni relative alle

consultazioni elettorali, deve essere assicurato l’equilibrio tra i soggetti politici secondo

quanto previsto dal citato codice di autoregolamentazione.

2. Resta comunque salva per l’emittente la libertà di commento e di critica, che, in chiara

distinzione tra informazione e opinione, salvaguardi comunque il rispetto delle persone. Le

emittenti locali a carattere comunitario di cui all’articolo 16, comma 5, della

legge 6 agosto 1990 n. 223 e all’articolo 1, comma 1, lettera f), della deliberazione 1°

dicembre 1998, n. 78 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, come definite

all’articolo 2, comma 1, lettera q), n. 3, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, possono

esprimere i principi di cui sono portatrici, tra quelli indicati da dette norme.

3. In qualunque trasmissione radiotelevisiva diversa da quelle di comunicazione politica e dai

messaggi politici autogestiti, è vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni o

preferenze di voto.

CAPO III

DISPOSIZIONI PARTICOLARI

Articolo 16

(Circuiti di emittenti radiotelevisive locali)

1. Ai fini del presente provvedimento, le trasmissioni in contemporanea da parte di emittenti

locali che operano in circuiti nazionali comunque denominati sono considerate come

trasmissioni in ambito nazionale; il consorzio costituito per la gestione del circuito o, in

difetto, le singole emittenti che fanno parte del circuito, sono tenuti al rispetto delle

disposizioni previste per le emittenti nazionali dal Capo I del presente titolo, che si applicano

altresì alle emittenti autorizzate alla ripetizione dei programmi esteri ai sensi dell'articolo 38

della legge 14 aprile 1975, n. 103.

2. Ai fini del presente provvedimento, il circuito nazionale si determina con riferimento

all’articolo 2, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177.

3. Rimangono ferme per ogni emittente del circuito, per il tempo di trasmissione autonoma, le

disposizioni previste per le emittenti locali dal Capo II del presente titolo.

4. Ogni emittente risponde direttamente delle violazioni realizzatesi nell’ambito delle

trasmissioni in contemporanea.

Articolo 17

(Imprese radiofoniche di partiti politici)

1. In conformità a quanto disposto dall’articolo 6 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, le

disposizioni di cui ai Capi I e II del presente titolo non si applicano alle imprese di

radiodiffusione sonora che risultino essere organo ufficiale di un partito politico rappresentato

in almeno un ramo del Parlamento ai sensi dell’articolo 11, comma 2, della legge 25 febbraio

1987, n. 67. Per tali imprese è comunque vietata la cessione, a titolo sia oneroso sia gratuito,

di spazi per messaggi autogestiti.

2. I partiti sono tenuti a fornire con tempestività all’Autorità per le garanzie nelle

comunicazioni ogni indicazione necessaria a qualificare l’impresa di radiodiffusione come

organo ufficiale del partito.

Articolo 18

(Conservazione delle registrazioni)

1. Le emittenti radiotelevisive sono tenute a conservare le registrazioni della totalità dei

programmi trasmessi nel periodo della campagna elettorale e per i tre mesi successivi alla

conclusione della stessa e, comunque, a conservare, sino alla conclusione dell’eventuale

procedimento, le registrazioni dei programmi in ordine ai quali sia stata notificata

contestazione di violazione di disposizioni della legge 10 dicembre 1993, n. 515, della legge

22 febbraio 2000, n. 28, del codice di autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro

delle comunicazioni 8 aprile 2004, della legge 20 luglio 2004, n. 215, nonché di quelle

emanate dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi

radiotelevisivi o del presente provvedimento.

TITOLO III

STAMPA QUOTIDIANA E PERIODICA

Articolo 19

(Comunicato preventivo per la diffusione di messaggi politici elettorali

su quotidiani e periodici)

1. Entro il quinto giorno successivo alla data di convocazione dei comizi elettorali, gli editori

di quotidiani e periodici che intendano diffondere a qualsiasi titolo fino a tutto il penultimo

giorno prima delle elezioni nelle forme ammesse dall'articolo 7, comma 2, della legge 22

febbraio 2000, n. 28, messaggi politici elettorali sono tenuti a dare notizia dell’offerta dei

relativi spazi attraverso un apposito comunicato pubblicato sulla stessa testata interessata alla

diffusione di messaggi politici elettorali. Per la stampa periodica si tiene conto della data di

effettiva distribuzione al pubblico. Ove in ragione della periodicità della testata non sia stato

possibile pubblicare sulla stessa nel termine

predetto il comunicato preventivo, la diffusione dei messaggi non potrà avere inizio che dal

numero successivo a quello recante la pubblicazione del comunicato sulla testata, salvo che il

comunicato sia stato pubblicato, nel termine prescritto e nei modi di cui al comma 2, su altra

testata, quotidiana o periodica, di analoga diffusione.

2. Il comunicato preventivo deve essere pubblicato con adeguato rilievo, sia per collocazione,

sia per modalità grafiche, e deve precisare le condizioni generali dell’accesso, nonché

l’indirizzo ed il numero di telefono della redazione della testata presso cui è depositato un

documento analitico, consultabile su richiesta, concernente:

a) le condizioni temporali di prenotazione degli spazi con puntuale indicazione del termine

ultimo, rapportato ad ogni singolo giorno di pubblicazione entro il quale gli spazi medesimi

possono essere prenotati;

b) le tariffe per l’accesso a tali spazi, quali autonomamente determinate per ogni singola

testata, nonché le eventuali condizioni di gratuità;

c) ogni eventuale ulteriore circostanza od elemento tecnico rilevante per la fruizione degli

spazi medesimi, in particolare la definizione del criterio di accettazione delle prenotazioni in

base alla loro progressione temporale.

3. Devono essere riconosciute ai soggetti politici richiedenti gli spazi per messaggi politici

elettorali le condizioni di migliore favore praticate ad uno di essi per il modulo acquistato.

4. Ogni editore è tenuto a fare verificare in modo documentale, su richiesta dei soggetti

politici interessati, le condizioni praticate per l'accesso agli spazi in questione, nonché i listini

in relazione ai quali ha determinato le tariffe per gli spazi medesimi.

5. Nel caso di edizioni locali o comunque di pagine locali di testate a diffusione nazionale, tali

intendendosi ai fini del presente provvedimento le testate con diffusione pluriregionale,

dovranno indicarsi distintamente le tariffe praticate per le pagine locali e le pagine nazionali,

nonché, ove diverse, le altre modalità di cui al comma 2.

6. La pubblicazione del comunicato preventivo di cui al comma 1 costituisce condizione per

la diffusione dei messaggi politici elettorali durante la consultazione elettorale. In caso di

mancato rispetto del termine stabilito nel comma 1 e salvo quanto previsto nello stesso

comma per le testate periodiche, la diffusione dei messaggi può avere inizio dal secondo

giorno successivo alla data di pubblicazione del comunicato preventivo.

Articolo 20

(Pubblicazione di messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici)

1. I messaggi politici elettorali di cui all'articolo 7 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, devono

essere riconoscibili, anche mediante specifica impaginazione in spazi chiaramente evidenziati,

secondo modalità uniformi per ciascuna testata, e devono recare la dicitura "messaggio

elettorale" con l’indicazione del soggetto politico committente.

2. Sono vietate forme di messaggio politico elettorale diverse da quelle elencate al comma 2

dell’articolo 7 della legge 22 febbraio 2000, n. 28.

Articolo 21

(Organi ufficiali di stampa dei partiti)

1. Le disposizioni sulla diffusione, a qualsiasi titolo, di messaggi politici elettorali su

quotidiani e periodici e sull'accesso in condizioni di parità ai relativi spazi non si applicano

agli organi ufficiali di stampa dei partiti e movimenti politici e alle stampe elettorali di

coalizioni, liste, gruppi di candidati e candidati.

2. Si considera organo ufficiale di partito o movimento politico il giornale quotidiano o

periodico che risulta registrato come tale ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948,

n. 47, ovvero che rechi indicazione in tale senso nella testata, ovvero che risulti indicato come

tale nello statuto o altro atto ufficiale del partito o del movimento politico.

3. I partiti, i movimenti politici, le coalizioni e le liste sono tenuti a fornire con tempestività

all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ogni indicazione necessaria a qualificare gli

organi ufficiali di stampa dei partiti e dei movimenti politici, nonché le stampe elettorali di

coalizioni, liste, gruppi di candidati e candidati.

TITOLO IV

SONDAGGI POLITICI ED ELETTORALI

Articolo 22

(Sondaggi politici ed elettorali )

1. Nel periodo disciplinato dalla presente delibera, fermo restando quanto previsto dagli

articoli 8 e 10 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, ai sondaggi politici ed elettorali si

applicano gli articoli da 6 a 12 del Regolamento in materia di pubblicazione e diffusione di

sondaggi sui mezzi di comunicazione di massa di cui alla delibera n. 256/10/CSP del 9

dicembre 2010.

TITOLO V

VIGILANZA E SANZIONI

Articolo 23

(Compiti dei Comitati regionali per le comunicazioni)

1. I Comitati regionali per le comunicazioni o, ove questi non siano stati ancora costituiti, i

Comitati regionali per i servizi radiotelevisivi, assolvono, nell'ambito territoriale di rispettiva

competenza, oltre a quelli previsti agli articoli 11, 12 e 13, i seguenti compiti:

a) di vigilanza sulla corretta e uniforme applicazione della legislazione vigente, del codice di

autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004 e del

presente provvedimento da parte delle emittenti locali, nonché delle disposizioni dettate per la

concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo dalla Commissione parlamentare

per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per quanto concerne le

trasmissioni a carattere regionale;

b) di accertamento delle eventuali violazioni, ivi comprese quelle relative all’articolo 9 della

legge n. 28 del 2000 in materia di comunicazione istituzionale e obblighi di informazione,

trasmettendo i relativi atti e gli eventuali supporti e formulando le conseguenti proposte

all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’adozione dei provvedimenti di sua

competenza.

Articolo 24

(Procedimenti sanzionatori)

1. Le violazioni delle disposizioni della legge 22 febbraio 2000, n. 28 e del codice di

autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004,

nonché di quelle emanate dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la

vigilanza dei servizi radiotelevisivi o dettate con il presente atto, sono perseguite d'ufficio

dall'Autorità, al fine dell'adozione dei provvedimenti previsti dall’articolo 10 e 11-quinquies

della medesima legge. Ciascun soggetto politico interessato può comunque denunciare tali

violazioni entro il termine perentorio di dieci giorni dal fatto.

2. Il Consiglio nazionale degli utenti presso l’Autorità può denunciare comportamenti in

violazione delle disposizioni di cui al Capo II della 22 febbraio 2000, n. 28, del codice di

autoregolamentazione di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni 8 aprile 2004 e delle

disposizioni del presente atto.

3. La denuncia delle violazioni deve essere inviata, anche a mezzo telefax, all’Autorità,

all’emittente privata o all’editore presso cui è avvenuta la violazione, al competente Comitato

regionale per le comunicazioni ovvero, ove il predetto organo non sia ancora costituito, al

Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi, al gruppo della Guardia di Finanza nella cui

competenza territoriale rientra il domicilio dell'emittente o dell'editore. Il predetto Gruppo

della Guardia di Finanza provvede al ritiro delle registrazioni interessate dalla comunicazione

dell'Autorità o dalla denuncia entro le successive dodici ore.

4. La denuncia indirizzata all'Autorità è procedibile solo se sottoscritta in maniera leggibile e

va accompagnata dalla documentazione comprovante l'avvenuto invio della denuncia

medesima anche agli altri destinatari indicati dal precedente comma.

5. La denuncia contiene, a pena di inammissibilità, l'indicazione dell'emittente e della

trasmissione, ovvero dell’editore e del giornale o periodico, cui sono riferibili le presunte

violazioni segnalate, completa, rispettivamente, di data e orario della trasmissione, ovvero di

data ed edizione, nonché di una motivata argomentazione.

6. Qualora la denuncia non contenga gli elementi previsti dai precedenti commi 4 e 5,

l’Autorità, nell’esercizio dei suoi poteri d’ufficio avvia l’istruttoria, dando, comunque,

precedenza nella trattazione a quelle immediatamente procedibili.

7. L’Autorità provvede direttamente alle istruttorie sommarie di cui al comma 1 riguardanti

emittenti radiotelevisive nazionali ed editori di giornali e periodici, mediante le proprie

strutture, che si avvalgono, a tale fine, del Nucleo Speciale della Guardia di Finanza istituito

presso l'Autorità stessa. Adotta i propri provvedimenti entro le quarantotto ore successive

all’accertamento della violazione o alla denuncia, fatta salva l’ipotesi dell’adeguamento

spontaneo agli obblighi di legge da parte delle emittenti televisive e degli editori, con

contestuale informativa all’Autorità.

8. I procedimenti riguardanti le emittenti radiofoniche e televisive locali sono istruiti

sommariamente dai competenti Comitati regionali per le comunicazioni, ovvero, ove questi

non si siano ancora costituiti, dai Comitati regionali per i servizi radiotelevisivi, che

formulano le relative proposte all'Autorità secondo quanto previsto al comma 10.

9. Il Gruppo della Guardia di Finanza competente per territorio, ricevuta la denuncia della

violazione, da parte di emittenti radiotelevisive locali, delle disposizioni di cui al comma 1,

provvede entro le dodici ore successive all’acquisizione delle registrazioni e alla trasmissione

delle stesse agli uffici del competente Comitato di cui al comma 8, dandone immediato

avviso, anche a mezzo telefax, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

10. Il Comitato di cui al comma 8 procede ad una istruttoria sommaria, se del caso contesta i

fatti, anche a mezzo telefax, sente gli interessati ed acquisisce le eventuali controdeduzioni

nelle ventiquattro ore successive alla contestazione. Qualora, allo scadere dello stesso

termine, non si sia pervenuti ad un adeguamento, anche in via compositiva, agli obblighi di

legge lo stesso Comitato trasmette atti e supporti acquisiti, ivi incluso uno specifico verbale di

accertamento, redatto, ove necessario, in cooperazione con il competente Gruppo della

Guardia di Finanza, all'Autorità, che provvede, in deroga ai termini e alle modalità

procedimentali previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, entro le quarantotto ore

successive all’accertamento della violazione o alla denuncia, decorrenti dal deposito degli

stessi atti e supporti presso gli uffici del Servizio Comunicazione politica e Risoluzione di

conflitti di interesse dell’Autorità medesima.

11. In ogni caso, il Comitato di cui al comma 8 segnala tempestivamente all’Autorità le

attività svolte e la sussistenza di episodi rilevanti o ripetuti di mancata attuazione della vigente

normativa.

12. Gli Ispettorati Territoriali del Ministero delle comunicazioni collaborano, a richiesta, con i

Comitati regionali per le comunicazioni, o, ove non costituiti, con i Comitati regionali per i

servizi radiotelevisivi.

13. Le emittenti radiotelevisive private e gli editori di stampa sono tenuti al rispetto delle

disposizioni dettate dal presente provvedimento, adeguando la propria attività di

programmazione e pubblicazione, nonché i conseguenti comportamenti.

14. L’Autorità verifica il rispetto dei propri provvedimenti ai fini previsti dall'articolo 1,

commi 31 e 32, della legge 31 luglio 1997, n. 249 e a norma dell’articolo 11-quinquies,

comma 3, della legge 22 febbraio 2000, n. 28, come introdotto dalla legge 6 novembre 2003,

n. 313. Accerta, altresì, l’attuazione delle disposizioni emanate dalla Commissione

parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi anche per le

finalità di cui all’articolo 1, comma 6, lettera c), n. 10, della legge 31 luglio 1997, n. 249.

15. Nell’ipotesi in cui il provvedimento dell’Autorità contenga una misura ripristinatoria della

parità di accesso ai mezzi di informazione, come individuata dall’articolo 10 della legge 22

febbraio 2000, n. 28, le emittenti radiotelevisive o gli editori di stampa sono tenuti ad

adempiere nel termine di 48 ore dalla notifica del provvedimento medesimo e, comunque,

nella prima trasmissione o pubblicazione utile.

16. Le sanzioni amministrative pecuniarie stabilite dall'articolo 15 della legge 10 dicembre

1993, n. 515 per le violazioni delle disposizioni della legge medesima, non abrogate

dall'articolo 13 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, ovvero delle relative disposizioni dettate

dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi

radiotelevisivi o delle relative disposizioni di attuazione dettate con il presente

provvedimento, non sono evitabili con il pagamento in misura ridotta previsto dall'articolo 16

della legge 24 ottobre 1981, n. 689. Esse si applicano anche a carico dei soggetti a favore dei

quali sono state commesse le violazioni, qualora ne venga accertata la responsabilità.

17. L’Autorità, nell’ipotesi di accertamento delle violazioni delle disposizioni recate dalla

legge 22 febbraio 2000, n. 28 e dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, relative allo svolgimento

delle campagne elettorali disciplinate dal presente provvedimento, da parte di imprese che

agiscono nei settori del sistema integrato delle comunicazioni di cui all'articolo 2, comma 1,

lettera 1) del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 e che fanno capo al titolare di cariche

di governo e ai soggetti di cui all'articolo 7, comma 1, della legge 20 luglio 2004, n. 215,

ovvero sottoposte al controllo dei medesimi, procede all’esercizio della competenza

attribuitale dalla legge 20 luglio 2004, n. 215 in materia di risoluzione dei conflitti di

interesse.

TITOLO VI

DISPOSIZIONI FINALI

Articolo 25

(Turno elettorale di ballottaggio)

1. In caso di secondo turno elettorale per i candidati ammessi al ballottaggio, nel periodo

intercorrente tra la prima e la seconda votazione, gli spazi di comunicazione politica e quelli

relativi ai messaggi politici autogestiti a titolo gratuito sono ripartiti in modo eguale tra gli

stessi candidati. Per quanto non diversamente disposto si applicano, in caso di eventuali turni

di ballottaggio, le disposizioni dettate dal presente provvedimento.

Il presente provvedimento ha efficacia dalla data di convocazione dei comizi elettorali e trova

applicazione per tutte le competizioni elettorali comunali e provinciali il cui svolgimento è

previsto nel corso dell’anno 2011.

La presente delibera è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed è resa

disponibile nel sito web della stessa Autorità: www.agcom.it.

Roma, 29 marzo 2011

IL PRESIDENTE

Corrado Calabrò

IL COMMISSARIO RELATORE

Michele Lauria

IL COMMISSARIO RELATORE

Antonio Martusciello

Per attestazione di conformità a quanto

deliberato

IL SEGRETARIO GENERALE

Roberto Viola

5) Criteri per la vigilanza sul rispetto del pluralismo politico e istituzionale nei telegiornali

diffusi dalle reti televisive nazionali

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni effettua la vigilanza sul rispetto del

pluralismo politico e istituzionale nei telegiornali diffusi sulle reti televisive nazionali

attraverso il monitoraggio delle edizioni andate in onda nell’intero arco di ciascuna

giornata di programmazione. I dati dei telegiornali monitorati sono resi pubblici sul sito

internet dell’Autorità unitamente alla metodologia di rilevazione utilizzata.

Nel corso dei periodi non interessati da campagne elettorali o referendarie l’Autorità

effettua d’ufficio la valutazione del rispetto del pluralismo politico e istituzionale di

ciascun telegiornale sottoposto a monitoraggio nell’arco di ciascun trimestre.

Nel corso nelle campagne elettorali o referendarie, la valutazione del rispetto del

pluralismo politico e istituzionale dei telegiornali avviene secondo i criteri specifici che

la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi

radiotelevisivi e l’Autorità, previa consultazione tra loro e ciascuna nell’ambito della

propria competenza.

Per quanto riguarda la rilevazione vera e propria dei dati l’Autorità affidata a centri

esterni specializzati, individuati attraverso gare d’appalto europee.

Dette società inviano con cadenza mensile, in generale, delle tabelle contenenti tutti i dati

ossia i tempi in cui i soggetti politici, raggruppati per partito e i soggetti istituzionale

sono presenti nei telegiornali.

I parametri sui quali si fonda la rilevazione sono costituiti dal tempo di notizia, dal tempo

di parola e dal tempo di antenna, così come definiti nella metodologia di rilevazione

pubblicata nel sito internet dell’Autorità:

- Tempo di notizia: indica il tempo dedicato dal giornalista all’illustrazione di un

argomento/evento in relazione ad un soggetto politico/istituzionale, intendendo

per soggetto politico/istituzionale il singolo esponente o il

partito/raggruppamento/istituzione.

- Tempo di parola: indica il tempo in cui il soggetto politico/istituzionale parla

direttamente in voce. Per “soggetto” si intende in questo caso ogni singolo

esponente politico/istituzionale. La somma dei tempi di parola dei singoli soggetti

va a costituire il tempo di parola complessivo di ciascun partito/raggruppamento e

delle istituzioni; nei casi in cui l’istituzione è rappresentata da una singola

persona, e cioè Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Presidente

del Senato, Presidente della Camera, il tempo di parola dell’istituzione

corrisponde a quello della singola persona.

- Tempo di antenna: indica il tempo complessivamente dedicato al soggetto

politico/istituzionale ed è dato dalla somma del “tempo di notizia” e del “tempo

di parola” del soggetto.

Nella valutazione del rispetto del pluralismo politico e istituzionale riveste peso

prevalente il tempo di parola attribuito a ciascun soggetto politico o istituzionale.

Le citate tabelle, suddivise per mese, sono disponibili sul sito internet www.agcom.it

6) Elenco delibere Agcom in materia per la campagna elettorale per le elezioni provinciali e

comunali (15-16 maggio 2011)

In occasione delle recenti elezioni amministrative l’Autorità per le Garanzie nelle

Comunicazioni ha adottato una serie di ordinanze di ingiunzione per una somma pari a

1000.000. di euro.

Destinati delle diverse ordinanze sono state le emittenti per la radiodiffusione televisiva in

ambito nazione della concessionaria del servizio pubblico Rai (in particolare Rai 1, Rai2,

Rai3) nonché le emittenti per la radiodiffusione televisiva in ambito nazione private del

gruppo Mediaset (Studio Aperto, TG4 e TG5).

Nella tabella seguente sono riporate le principali pronunce dell’Autorità consultabili per intero

sul sito internet www.agcom.it .

Delibera n. Oggetto

133/11/CSP

del 23 maggio

2011

Sanzione alla società Rai-Radiotelevisione Italiana SpA per la

violazione dei principi in materia di par condicio e delle

disposizioni di attuazione relative alla campagna elettorale per le

elezioni provinciali e comunali dei giorni 15 e 16 maggio 2011 con

turni di ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio (TG 2)

132/11/CSP

del 23 maggio

2011

Sanzione alla società Rai-Radiotelevisione Italiana SpA per la

violazione dei principi in materia di par condicio e delle

disposizioni di attuazione relative alla campagna elettorale per le

elezioni provinciali e comunali dei giorni 15 e 16 maggio 2011 con

turni di ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio (TG1)

134/11/CSP

del 23 maggio

2011

Sanzione alla società R.T.I. –Reti Televisive Italiane SpA per la

violazione dei principi in materia di par condicio e delle

disposizioni di attuazione relative alla campagna elettorale per le

elezioni provinciali e comunali dei giorni 15 e 16 maggio 2011 con

turni di ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio (TG4)

135/11/CSP

del 23 maggio

2011

Sanzione alla società R.T.I. –Reti Televisive Italiane SpA per la

violazione dei principi in materia di par condicio e delle

disposizioni di attuazione relative alla campagna elettorale per le

elezioni provinciali e comunali dei giorni 15 e 16 maggio 2011 con

turni di ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio (TG5)

136/11/CSP

del 23 maggio

2011

Sanzione alla società R.T.I. –Reti Televisive Italiane SpA per la

violazione dei principi in materia di par condicio e delle

disposizioni di attuazione relative alla campagna elettorale per le

elezioni provinciali e comunali dei giorni 15 e 16 maggio 2011 con

turni di ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio (Studio Aperto)

137/11/CSP

del 26 maggio

2011

Richiamo alla società Rai-Radiotelevisione Italiana SpA al

riequilibrio dell’informazione durante la campagna elettorale per le

elezioni provinciali e comunali dei giorni 15 e 16 maggio 2011 con

turni di ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio (TG3)

Invito alla società Rti – Reti Televisive Italiane SpA al rispetto del

138/11/CSP

del 26 maggio

2011

rigoroso equilibrio dell’informazione durante la campagna

elettorale per le elezioni provinciali e comunali dei giorni 15 e 16

maggio 2011 con turni di ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio

(Studio Aperto)

143/11/CSP

del 30 maggio

2011

Archiviazione del procedimento nei confronti della società Rai-

Radiotelevisione Italiana Spa per il presunto squilibrio informativo

durante la campagna elettorale per le elezioni provinciali e

comunali dei giorni 15 e 16 maggio 2011 con turni di ballottaggio

dei giorni 29 e 30 maggio (TG3)

144/11/CSP

del 30 maggio

2011

Provvedimento nei confronti della Società RAI Radiotelevisione

Italiana S.p.A. per la violazione dell'articolo 5, comma 2 della

legge 22 febbraio 2000, n.28 durante la campagna elettorale per le

elezioni provinciali e comunali dei giorni 15 e 16 maggio 2011 con

turni di ballottaggio dei giorni 29 e 30 maggio (Anno Zero)

7) La base di discussione del seminario

1) Le regole contenute nella legge e nelle disposizioni di attuazione sono sufficienti o

richiedono aggiornamenti? Distinguere tra periodo elettorale e altri periodi dell’anno.

2) Le norme di attuazione di natura regolamentare devono necessariamente essere

riprodotte o attualizzate in ogni competizione elettorale o referendaria?

3) La distinzione tra comunicazione politica e informazione richiede degli

approfondimenti? I programmi di approfondimento politico devono essere

ulteriormente distinti?

4) Le regole relative ai TG e all’informazione in genere devono essere accentuate o

precisate?

5) Il monitoraggio sul pluralismo politico nei TG è soddisfacente? Criteri, attualità e

significatività dei dati. E’ possibile avere dati pubblici più tempestivi e comunque

rielaborabili dagli utenti?

6) E’ opportuno distinguere in maniera più significativa la presenza (parola, notizia e

antenna) dei leader politici e degli altri soggetti politici.

7) L’intervento d’ufficio o su istanza dei cittadini. La frequenza del monitoraggio e

dell’intervento in campagna elettorale.

8) La struttura organizzativa del servizio audiovisivo è adeguata rispetto alle quantità e

alla rilevanza dei compiti previsti per legge?

9) Le sanzioni previste dalla legge e le procedure da seguire rendono difficile garantire

l’effettività delle regole? Il sistema delle impugnazioni è appropriato?

10) Le regole sul sostegno privilegiato: perché sono così difficilmente applicabili? In che

misura dovrebbero essere corrette per essere più incisive?

 

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