Avv. Paolo Nesta


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LO STATO SOVRANO DOPO L’AFFERMAZIONE DEL MODELLO DEMOCRATICO di Fulco Lanchester- federalismi.it

 

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(Professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e

comparato– “Sapienza” Università di Roma)

Sommario: 1- Premessa; 2- Lo Stato nazionale tra globalizzazione e localismo; 3- Le sei

tendenze della democrazia rappresentativa; 4- Le quattro ipotesi; 5- Conclusioni.

1- Premessa

C’è un vento freddo che spira sugli ordinamenti democratici e che inquieta fortemente. La

crisi economica internazionale e i suoi riflessi sugli ordinamenti più deboli fanno rinascere gli

incubi degli anni Venti e Trenta del secolo scorso.

Per essere concisi, mentre la paura dell’imprevisto e dell’incontrollabile attanaglia oramai le

tradizionali società industriali avanzate e si riduce la copertura del cosiddetto Stato sociale,

stiamo scoprendo che gli stati sono sempre meno sovrani e democratici e sempre più incapaci

di rispondere singolarmente ed in gruppo alle sfide della modernità e dell’innovazione. Il

politico come distribuzione di valori collegata alla utilizzazione tendenziale dell’uso della

forza legittima, lungi dall’aver perso rilievo, viene considerato indispensabile, ma chi non è

fornito di società civili coese e di istituzioni che siano capaci di agire in modo efficace di

Relazione tenuta al convegno “Il Parlamento nell’evoluzione costituzionale nazionale ed europea”, Camera dei

deputati , 6 ottobre 2011.

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dover barattare in tutto o in parte valori, principi e organizzazione basilari del modello liberaldemocratico.

Per evitare un simile default è opportuno riflettere sul passato, sui paradigmi che abbiamo

utilizzato in precedenza, chiedendoci se gli stessi siano ancora utili ad interpretare il presente

e a preparate il futuro.

In questo intervento affronterò in maniera sintetica sia il tema del ruolo attuale dell’istituzione

politica statuale, sia quello delle istituzioni democratiche, per concludere che il politico

efficiente e la partecipazione regolata sono indispensabili per mantenere ed implementare i

principi ed i valori di ordinamenti che si definiscono di democrazia pluralista e sociale.

2- Lo Stato nazionale tra globalizzazione e localismo

Tutti sembrano da tempo d’accordo: lo Stato nazionale è in crisi ed ha perso i caratteri che lo

avevano reso tipico nel momento del suo splendore ottocentesco, frutto - d’altro canto - del

percorso operato nei due secoli precedenti (Jouvenel, 1971). I due conflitti mondiali, la

costruzione di mercati internazionali integrati in aree regionali forti, il crollo degli

ordinamenti di socialismo reale, l’emergere (o il (ri)emergere) di nuovi soggetti economici e

politici internazionali, la rivoluzione tecnologica, che ha reso volatili i mercati finanziari e

difficili i controlli, sono alcuni dei fenomeni che vengono posti alla base del mutamento.

L’indebolimento della tradizionale struttura statuale è verificabile sul campo sia sul lato

esterno, sia su quello interno della sovranità. Le duplici tensioni cui essa è sottoposta sono

state da tempo ribadite proprio da chi (Ferrajoli, 1995) tende a proporre un “costituzionalismo

di diritto internazionale” capace di inverare il “sistema di norme internazionali caratterizzabili

come ius cogens”. D’altro canto c’è anche chi ha messo in evidenza come “(l)a nozione di

sovranità si trov(i) a dover fare i conti con una realtà nella quale diverse proprietà tendono

ormai ad essere qualificate come ‘proprietà comune dell’umanità’“ (Rodotà). Beni culturali e

ambiente, ad es., non potrebbero essere più regolati da un “rapporto tra proprietà e sovranità

chiuso nella logica nazionale”, ponendo l’ipotesi di una fase contrattuale tra soggetti che

sostituisca il “rapporto oggettivo con la terra” in attesa “di un possibile governo mondiale”.

Anche trascurando la dimensione normativa connessa a simili posizioni, dalle stesse risaltano

le tensioni interne ed esterne agli ordinamenti statuali contemporanei, che in alcuni

ordinamenti “esemplari” come quelli belga e canadese, caratterizzati da un profilo plurietnico

e dall’inserimento in mercati integrati (UE e NAFTA), possono mettere addirittura in pericolo

la stessa esistenza delle singole unità statuali.

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Ma i casi liminari valgono fino ad un certo punto. Nell’ambito più generale due sono le

principali tesi che si contrappongono dagli anni ‘90. Da un lato chi pensa che Stato e

sovranità siano concetti che non corrispondono più alla realtà della situazione; dall’altro chi

considera che nonostante i cambiamenti si possano utilizzare questi strumenti in maniera

opportuna.

Ad esempio già negli anni ‘90 v’era chi (Kenichi Ohmae) sosteneva che gli Stati nazionali

erano in crisi, non riuscendo a controllare gli scambi e le valute né ad attivare sviluppo e

occupazione. Essi sarebbero soggetti ad una duplice ed opposta tensione derivante dal sempre

maggiore peso di aree di integrazione economica a livello più elevato (ad es. UE e NAFTA) e

dalla presenza centrifuga di unità statuali tese allo sviluppo, che nel corso dell’ultimo

ventennio si sono consolidate nel BRICS e nella sintomatica trasformazione del G8 in G20.

L’altra posizione è quella sostenuta da coloro che sostengono che (Hirst –Thompson, 1997)

“(m)entre le funzioni di gestione dello Stato si sono modificate e, da vari punti di vista

(specialmente quello della gestione macroeconomica nazionale), si sono considerevolmente

indebolite, lo Stato continua a essere una istituzione di cardinale importanza, particolarmente

in termini di creazione delle condizioni necessarie per un’efficiente governo internazionale”.

Essi, in sostanza, sostengono:

- che l’economia internazionale non si è ancora veramente globalizzata;

- che gli Stati, seppur indeboliti, rivestono ancora una funzione centrale come strumenti di

legittimazione “dei meccanismi di gestione sovranazionali e subnazionali”;

- che gli Stati, pur limitati dai mercati e dai nuovi mezzi di comunicazione, mantengono il

controllo territoriale della popolazione.

Simili tesi, in sostanza, si collegano con il mantenimento della sovranità ,ma anche con la sua

relativizzazione. Per un simile indirizzo ”(g)li Stati nazionali non andrebbero più visti come

poteri ‘che governano’ e che, grazie all’autorità di cui sono investiti, possono imporre risultati

che riguardano ogni aspetto della politica nell’ambito di un dato territorio, ma piuttosto come

luoghi dai quali possono essere proposte, legittimate e controllate eventuali forme di

gestione”. Ne viene fuori una struttura dei rapporti di potere ed istituzionali, in cui lo Stato

nazionale non perde alcune delle sue caratteristiche essenziali, ma - nel mutamento di

funzioni – mantiene un ruolo di snodo sia come “fonte primaria di norme vincolanti - la

legge- nell’ambito di un dato territorio”, sia come snodo di rapporti internazionali e

subnazionali. Si tratta in sostanza di una tesi che può essere ben rappresentata dalla metafora

della rete che si sostituisce alla piramide.

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3- Le sei tendenze della democrazia rappresentativa

Se questo è oramai il contesto stabilizzato, è necessario affrontare ora il secondo corno del

problema, ovvero il tema della forma di regime democratica, cercando di privilegiare i

caratteri comuni alle democrazie pluraliste (di antica e più recente formazione). All’interno

delle stesse esistono, a mio avviso, perlomeno sei tendenze che debbono essere poste in primo

piano e che evidenzio qui di seguito.

In primo luogo viene confermata la perdita anche formale di centralità delle tradizionali

istituzioni rappresentative collegiali con la conseguente affermazione della personalizzazione

della contesa nelle società di massa per la conquista di posizioni monocratiche.

In secondo luogo si evidenzia una crisi di rappresentatività del personale politico

parlamentare a causa della complessità delle società civili e politiche, della trasformazione

delle tradizionali fratture e della apparizione di nuove domande .

In terzo luogo, se i parlamenti sono stati superati –sulla base del processo di

democratizzazione- dai partiti, anche questi hanno oramai da tempo perso capacità di

articolare e ridurre la domanda politica in favore di individui e gruppi. Si verifica così una

riqualificazione delle funzioni della rappresentanza parlamentare. Negli ordinamenti

caratterizzati dalla applicazione della teoria funzionale della rappresentanza (con la

formazione di esecutivi stabili sulla base di partiti e/o di leader) spesso vi è, addirittura, la

certificazione che il personale politico parlamentare della maggioranza si è trasformato in

lobbista nei confronti del proprio esecutivo. D’altro canto la teoria del libero mandato su cui

poggia l’ideologia della rappresentanza politica come rapporto fiduciario tra rappresentante e

rappresentato è sostanzialmente vanificata da normative elettorali che attribuiscono anche

formalmente la responsabilità di nomina dei parlamentari agli organi che presentano le liste

(in Italia ai segretari nazionali dei partiti o al Capo della coalizione per la Camera dei

deputati).

In quarta istanza gli esecutivi assumono un ruolo privilegiato di rappresentanza delle

domande provenienti dalla società civile e di collazione degli interessi. Sono gli esecutivi,

dunque, che rappresentano direttamente il corpo elettorale e divengono il punto di riferimento

degli interessi che devono essere rappresentati, esercitando la funzione principale

nell’allocazione autoritativa delle risorse sul piano nazionale.

In quinto luogo altri soggetti non legittimati dal consenso elettorale esprimono una funzione

di rappresentanza e di contrappeso. Ad organi tecnici, dotati di rappresentanza istituzionale,

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viene attribuita una funzione di espressione di esigenze peculiari della società civile e di

controllo, precedentemente attribuite a organi costituzionali prodotti della volontà popolare.

In sesto luogo il relativo svuotamento di competenze delle istituzioni statuali centrali causato

da processi di devoluzione verso l’alto e verso il basso moltiplica i fenomeni prima citati,

rafforzando il ruolo degli esecutivi, che hanno la possibilità di partecipare a decisioni da cui

sono sostanzialmente esclusi gli organi legislativi, nonostante le recenti previsioni di

compartecipazione .

Da questo quadro derivano evidenti pericoli per gli ordinamenti che si definiscono

democratici. Essi si concentrano sostanzialmente in quattro punti principali :

a) nella diminuzione dell’incidenza del piano nazionale senza che vi sia una

individuazione sicura di una alternativa dove i singoli cittadini come demos possano

esprimere in maniera costante ed attiva la propria volontà elettiva e deliberativa;

b) nel crescente peso crematistico in politica, per cui l’attività nel settore

dell’allocazione autoritativa delle risorse corrisponde sempre più ai rapporti di potere di fatto,

con la conseguente delegittimazione dei fondamenti ideali del sistema;

c) nella mancanza di partecipazione, con la riduzione delle formazioni partitiche a

mere macchine di potere ed elettorali e nella attribuzione di strumenti della domanda e del

controllo popolare ad organi tecnici privi di legittimazione diretta;

d) nell’influenza dei mezzi di comunicazione di massa di tipo individualistico, con la

conseguenza che il processo di decisione del demos viene fortemente influenzato dagli stessi e

distorto da un’eventuale concentrazione in mano di operatori singoli o collettivi.

4- Le quattro ipotesi

Di fronte ad una simile situazione e all’illusione che l’applicazione della teoria funzionale

della democrazia possa essere adottata in tutti i contesti e senza gli opportuni contrappesi,

sono state presentate quattro differenti ipotesi come soluzioni alternative e/o concorrenti alla

rappresentanza in campo politico basata sul metodo elettivo: la democrazia deliberativa, la

democrazia elettronica, la democrazia di villaggio, la rappresentanza istituzionale.

Tutte queste strade presentano parzialità ed insufficienze. Inizio da quella più esterna ai

principi della volontà popolare. Da parecchio tempo la sfiducia nella rappresentanza partitica

e –ancor più quella fondata sull’investitura del singolo- hanno fatto propendere alcuni per il

recupero di forme di rappresentanza istituzionale, considerate neutrali rispetto agli interessi

particolari. Burocrazia, magistratura e autorità amministrative indipendenti costituirebbero un

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contropotere (un elemento antagonistico direbbe il Romagnosi, teorico della competenza)

necessario per riequilibrare le forme della personalizzazione del potere. E tuttavia

l’utilizzazione di simili forme di rappresentanza pone evidenti problemi di compatibilità con i

principi della forma di Stato e di regime degli ordinamenti di democrazia pluralista. Il rischio

dello Stato amministrativo e dell’irresponsabilità si sposa con il pericolo della riscoperta di

forme di dipendenza dei tecnici dall’autorità politica ancor più forte che nel passato. La

democrazia deliberativa (un mélange tra Rawls e Habermas) costituisce un mero palliativo

perché costituisce al massimo una forma di scrutinio approfondito delle decisioni da prendere,

mentre la cosiddetta democrazia elettronica appare in realtà il tentativo di reintroduzione di un

nuovo regime oligarchico con - da un lato - il miraggio della democrazia di villaggio ed un

rifugio nel campus universitario. D’altro canto la sensazione che la regolarità del

procedimento di votazione sia messa continuamente in gioco viene confermata da recenti e

noti episodi a livello comparato.

I quattro aspetti or ora considerati confermano l’importanza fondamentale che negli

ordinamenti democratici ha il tema delle votazioni e della loro correttezza e la necessità di

mantenere alti standard in questo campo, anche per evitare i sempre presenti ed attuali pericoli

del plebiscitarismo e del populismo sottolineati da Aron sulla base della riflessione classica .

A questo si aggiungono i temi della democrazia multilivello e quello della democrazia

infrapartitica. Il primo argomento costituisce il primo corno della crisi della rappresentanza in

campo politico. In effetti, lo spostamento del centro di gravità della politicità dal piano

nazionale a quello sovranazionale dell’integrazione fino a quello locale comporta la

riqualificazione degli strumenti della democrazia. La democrazia parlamentare degli

ordinamenti nazionali, sfidata dalle spinte plebiscitarie e populiste, vede ridotto il ruolo dei

parlamenti, verso il basso, dalla devoluzione subnazionale e, verso l’alto, da quella

dell’integrazione .

La soluzione prospettata della democrazia multilivello sul piano europeo ricorda la

costruzione althusiana e costituisce il tentativo di emarginare Hobbes, ma evidenzia anche la

grande difficoltà di gestire il politico attraverso le molteplici rappresentanze dei collegi ed i

pericoli della personalizzazione.

Il problema della rapidità di decisione e della sua legittimazione attraverso la garanzia

procedimentale si ripresenta nuovamente. I filosofi del ‘700 direbbero la molla dell’esecutivo

deve essere limitata e legittimata dai contropoteri che, sia a livello verticale che orizzontale,

trovano nel demos e nell’opinione pubblica il punto di riferimento normativo principale.

Anche in questa dimensione si pone, dunque, il tema irrisolto e sottovalutato della continua

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verifica correttezza formale del procedimento di scelta e quello della selezione dei candidati a

tutti i livelli anche attraverso gli strumenti della democrazia infrapartitica, campo cui si

rivolge di nuovo la fatica di Sisifo della democrazia.

5- Conclusioni

A questo punto ritengo di poter pervenire ad alcune provvisorie osservazioni conclusive.

5.1- L’indebolimento della sovranità statuale nella sua supposta assolutezza esterna ed

interna, derivante dai paradigmi ottocenteschi che identificavano lo Stato con la politica e con

il diritto, è dovuta da un lato ai fenomeni di internazionalizzazione dell’economia e allo

sviluppo tecnologico, dall’altro all’esigenza etica di un controllo attraverso il diritto dei

comportamenti degli Stati nel rispetto dei diritti umani. La conseguenza di una simile

situazione è che la sovranità degli ordinamenti statuali appare sotto tiro sia sotto il profilo

oggettivo che sotto quello della legittimità, ma persiste nell’ambito di interdipendenze sempre

più complesse.

5.2- La costruzione di aree regionali integrate (per lo più concentrate nell’ambito degli Stati

industrializzati) non risolve il problema classico dell’anarchia internazionale che per alcuni

(penso a Huntington) assume aspetti di contrapposizione tra culture, mentre organizzazioni

internazionali come l’ONU evidenziano tutte le difficoltà che si parano innanzi a progetti

kantiani di costituzione di un governo mondiale attraverso il diritto.

5.3- Il fenomeno di integrazione regionale nell’area europea ha assunto, invece, una

profondità ed una estensione che ricorda il processo di costruzione di assetti statuali federali,

ma risulta insufficiente per quanto attiene efficacia, controlli e legittimazione. In un simile

contesto le stesse interpretazioni sulle istituzioni comunitarie risultano oramai obsolete. Le

analisi basate sulla natura di organizzazione internazionale dell’Unione europea non reggono

più, mentre risulta sempre più evidente come esista un pericoloso deficit di efficacia e

democraticità dell’Unione europea, cui corrispondono a livello nazionale istituzioni incapaci

di decidere e controllare.

Se è vero ciò che si è osservato in precedenza, ne discende, per l’ambito europeo, la necessità

di un vero e proprio salto di qualità istituzionale. In primo luogo si pone l’esigenza di istituire

organi costituzionali chiaramente responsabili nei confronti della rappresentanza parlamentare

al fine di porre rimedio al deficit di legittimità; in secondo luogo si deve operare una seria

riarticolazione istituzionale interna alle singole unità nazionali al fine di adeguarle alla nuova

situazione.

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In questa prospettiva è un urgente un rilancio della prospettiva europea con l’assunzione di

responsabilità da parte di coloro che ne formano attualmente l’asse. Le recenti e convergenti

dichiarazioni di Wolfgang Schäuble e di Alain Jauppé sulla necessità di rafforzare le

istituzioni europee confermano la consapevolezza degli stakeholders sui difetti che

attanagliano il processo decisionale dell’Unione e che ne mettono in pericolo la costruzione.

Le parole del ministro delle finanze tedesco mettono in evidenza anche le remore interne di

tipo costituzionale e politico che finora hanno impedito di fare il necessario salto di qualità.

Gli incubi evocati in precedenza di una implosione regionale da anni Trenta sulla base del

fallimento del pilastro principale dell’Unione rappresentato dall’economia forse convincerà i

soggetti responsabili della necessità di fare uno sforzo ulteriore. Altrimenti una crisi fatale

percorrerà la costruzione europea dalla corona meridionale ed orientale fino al suo centro.

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