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BANCHE POPOLARI: L'ETERNO DILEMMA FRA REGOLE DELLA COOPERAZIONE E REGOLE DEL MERCATO-Nel merito.it

 

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di Concetta Brescia Morra

 

banche popolariLa battaglia per il controllo della Banca Popolare di Milano ha posto al centro del dibattito, ancora un volta, una domanda: le regole speciali che disciplinano il governo delle società cooperative sono compatibili con quelle dei mercati mobiliari? Esigenze di trasparenza e di tutela dei piccoli risparmiatori militano in favore di regole omogenee fra i soggetti quotati in Borsa, siano esse s.p.a. o società cooperative.

 

Le banche popolari rappresentano una realtà economica importante nel nostro Paese. Secondo i dati presentati di recente dalla Banca d’Italia1, alla fine del 2010 alle Popolari faceva capo il 20,7 per cento dell’attivo delle banche italiane. Si tratta di 37 intermediari, di cui 7 quotati in Borsa. Significativo è il sostegno all’economia, con un aumento dei prestiti anche in anni difficili per tutto il sistema bancario. Le Popolari sono società cooperative fondate sui principi di democraticità della gestione e dello scopo mutualistico. Sul piano del governo societario, ogni azionista ha un solo voto, a prescindere dalla quota di capitale posseduta (voto capitario); esistono limiti al possesso azionario e alle deleghe di voto; l’accesso alla compagine sociale è soggetto a clausole di gradimento. Ai fini della realizzazione dello scopo mutualistico l’attività delle banca è rivolta prevalentemente ai soci e al territorio di riferimento.

Nel dibattito il modello cooperativo per l’esercizio delle attività bancarie non è posto in discussione. Esso presenta alcuni vantaggi sottolineati da lungo tempo dalla letteratura economica. Le cooperative bancarie, operando sulla base di relazioni strette e di lungo periodo con i soci-clienti e con imprese localizzate nella stessa area territoriale della banca, beneficiano di minori asimmetrie informative. I punti di forza del modello cooperativo si attenuano con il crescere delle dimensioni dell’intermediario. Il vantaggio della riduzione delle asimmetrie informative è difficile da verificare nelle banche quotate. Nel caso di banche popolari quotate, inoltre, alcuni istituti tipici della forma cooperativa mal si conciliano con le regole del mercato. Gli stringenti limiti al possesso azionario e il voto capitario rendono difficili gli aumenti di capitale. Se i nuovi soci non possono contare adeguatamente, difficilmente saranno disposti a investire. Le clausole di gradimento all’ingresso di nuovi soci e i vincoli alle deleghe in assemblea ostacolano la rappresentanza degli interessi delle minoranze, specie nell’ottica di limitare situazioni di autoreferenzialità dei managers che spesso si riscontrano nelle cooperative di grandi dimensioni. Il controllo dei soci, infatti, appare efficace solo in società con base sociale omogenea e caratterizzate da interessi comuni. Il voto capitario rende di fatto impossibile realizzare un’Offerta pubblica di acquisto (OPA) tesa al cambio del controllo. Le uniche OPA lanciate nei confronti di Popolari - per lo più di carattere “amichevole” nell’ambito di operazioni di concentrazione volte alla soluzione di situazioni di difficoltà di intermediari - sono state  condizionate alla trasformazione della Popolare in s.p.a.

Questi problemi sono alla base di numerose proposte di riforma delle norme sulle cooperative, specie delle regole che si applicano alle società che si rivolgono al mercato. Tutte le iniziative sono, peraltro, sempre naufragate, come dimostra l’esistenza di ben 6 progetti di legge solo nell’attuale legislatura. Anche in occasione del recepimento della direttiva “Shareholder’s Rights” (dir. 2007/36 del luglio 2007), che mira a favorire la partecipazione degli azionisti alla vita delle società, hanno prevalso le resistenze al cambiamento. Il legislatore italiano ha scelto di non applicare le nuove norme alle cooperative, come consentito dalla stessa direttiva, che rimetteva in maniera compromissoria l’opzione agli Stati membri.

Approfittare dell’inerzia del Parlamento per evitare la riforma potrebbe essere una scelta miope da parte delle banche popolari. Se si vuole stare sul mercato – come è il caso delle Popolari quotate -  è inevitabile essere aperti allo stesso. In mercati finanziari internazionali l’omogeneità delle regole rappresenta un valore economico per gli investitori. Così si spiega la diffusione del modello della società per azioni da parte delle società di grandi dimensioni che raccolgono risparmio nel mercato dei capitali. Le stesse Popolari potrebbero favorire una riforma legislativa che stabilisca un equilibrio fra le regole della cooperazione e quelle del mercato. La  riforma, senza mortificare lo spirito mutualistico, dovrebbe omogeneizzare alcune regole delle banche cooperative quotate con quelle in vigore per le s.p.a. quotate. A tal fine, dovrebbero essere elevati i limiti al possesso azionario, alleggeriti i vincoli al trasferimento delle azioni, favorito l’innalzamento negli statuti del numero massimo delle deleghe per l’esercizio del voto in assemblea, consentita la trasformazione in società per azioni, oggi possibile solo per ragioni di vigilanza. Per favorire ricambi del controllo potrebbe essere utile una regola che imponga agli amministratori di una Popolare, nei cui confronti sia stata lanciata un’OPA condizionata alla trasformazione in S.p.A., di portare in assemblea la delibera sulla trasformazione, prima dell’avvio dell’OPA. Si tratterebbe di un meccanismo che, come la passivity rule, impone una consultazione degli azionisti da parte degli amministratori sulla convenienza dell’offerta.

 

1. Audizione del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia Anna Maria Tarantola davanti alla Commissione VI Finanze e Tesoro del Senato della Repubblica, La riforma delle banche popolari  (disegni di legge nn. 437, 709, 799, 926, 940 e 1084), 22 giugno 2011.

 

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