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I patti prematrimoniali nell’ordinamento italiano- Avv. Massimiliano Gallone-Overlex.it    

 

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 “I patti prematrimoniali” consistono in accordi stipulati tra i futuri sposi in ordine alla gestione del matrimonio ed alla sua eventuale fine o morte di uno dei due coniugi.

 

Si tratta di obbligazioni che i futuri coniugi assumono in una scrittura per disciplinare la loro vita coniugale e l’eventuale fallimento della stessa.

 

I patti prematrimoniali (prenuptial agreement o semplicemente prenup) sono un emblema di modernità, che suppliscono alle generiche garanzie reciproche di fedeltà ed assistenza che i futuri sposi assumono contraendo matrimonio.

 

La loro applicazione, il più delle volte, evita il processo o quantomeno ne riduce i tempi, a tutto vantaggio dei cittadini e dello Stato.

 

I patti prematrimoniali sono contemplati negli ordinamenti giuridici di grandi Paesi quali Usa, Francia, Inghilterra, Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia, Giappone e Germania, sebbene con sostanziali differenze di applicazione tra uno Stato e l’altro.

 

Storico è rimasto l’accordo tra Aristotele Onassis e Jacqueline Kennedy, ritenuti i “pionieri delle nozze personalizzate”. L’avvocato André Meyer, incaricato di redigere i loro patti prematrimoniali, ebbe bisogno di un intero anno, dal 1967 al 1968 per comporre le 22 pagine e le 170 clausole in cui vennero stabiliti l’appannaggio annuale, la liquidazione in caso di rottura, il testamento, le modalità del regime di non convivenza e persino la frequenza degli incontri sessuali.

 

Negli USA i patti prematrimoniali sono entrati a far parte della vita di tutti i giorni, tanto che tutte le coppie con una posizione sociale o economica di prestigio tendono a cautelarsi dai rischi del futuro, ricorrendo al prenup.

 

Il motivo è semplice: nei Paesi dove vige la Common law, non esistono le nostre “gabbie legali”, il ruolo della legge è assai minore che da noi, visto che sono i giudici a fare legge con le sentenze. Non esiste, pertanto il mito dell’intangibilità del diritto e dei diritti-doveri dei coniugi: in tutti i contratti, e quindi, anche nel matrimonio, vige il principio che chi sottoscrive un accordo, è pienamente consapevole di ciò che fa (questa è la ragione per cui gli anglosassoni non capiscono il principio della doppia firma che vige in Italia nei contratti c.d. per adesione).

 

Nel nostro ordinamento giuridico, invece, i patti prematrimoniali sono nulli giacché non si consente la disposizione di diritti che sorgono successivamente, con la eventuale richiesta di separazione e/o divorzio.

 

Ci si riferisce, per esempio, al diritto al mantenimento, indisponibile. Renderlo disponibile potrebbe comportare che il coniuge più debole economicamente potrebbe rinunciare ai suoi legittimi diritti solo per contrarre il matrimonio.

 

Spesso si legge sui giornali di “patti prematrimoniali” sottoscritti da personaggi famosi, tali da garantire in caso di futuro divorzio assegni di mantenimento milionari.

 

In Italia simili pattuizioni sono considerate nulle dalla legge.

 

La Corte di Cassazione, più volte sollecitata sul tema, continua a ribadire che l’esistenza di un accordo preventivo in vista di una futura rottura potrebbe condizionare scelte dell’individuo (come quella di divorziare) che, per loro natura, devono restare assolutamente libere, anche da considerazioni di carattere patrimoniale. Insomma, se si deve essere liberi di scegliere se sposarsi o meno, si deve allo stesso modo essere liberi di divorziare, senza timori (o speranze!) legati a pattuizioni preventive.

 

Nel 1984 la Corte di Cassazione si è pronunciata per la prima (e unica) volta positivamente riguardo ai patti prematrimoniali: il caso era però relativo a due cittadini americani, sebbene abitanti in Italia: in questa situazione specifica, riguardo alla quale i giudici hanno dovuto applicare il diritto americano, la Suprema Corte ha ritenuto valido il patto in questione, valutandolo non contrario all’ordine pubblico internazionale. Si tratta, dunque, di un caso particolare e isolato.

 

Nel nostro Paese, dunque, i patti prematrimoniali non sono ammessi. In Italia, cioè, non e' possibile confezionarsi matrimoni su misura.

 

Contrariamente a quanto avviene in altri paesi fra cui, principalmente, gli Stati Uniti d'America, la Francia, l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo, la Grecia, l’Inghilterra, la Germania e il Giappone, in Italia gli accordi prematrimoniali e preventivi al divorzio devono fare i conti con una legislazione ed una giurisprudenza estremamente rigide.

 

Siamo quindi ben lontani dai costumi e dalle legislazioni d'oltreoceano, ove il 90% dei divorzi è regolato da patti ed accordi prematrimoniali.

 

I patti prematrimoniali che, secondo le cronache sarebbero stati stipulati, dal Principe William e da Kate Middleton non troverebbero, quindi, mai cittadinanza nel nostro Paese, sarebbero cioè, considerati illegittimi, atteso che essi appaiono del tutto sbilanciati a favore del marito e prevedono l’affidamento dei figli a quest’ultimo indipendentemente dalle cause del divorzio.

 

Simili patti prematrimoniali appaiono del tutto contrari alla tutela dei diritti soggettivi dei minori e alle convenzioni internazionali che sanciscono il principio della bigenitorialità in caso di separazione o divorzio dei genitori.

 

E’ stato, tuttavia, di recente presentato in Italia un disegno di legge volto ad introdurre nell’ordinamento italiano i patti prematrimoniali, soprattutto per ridurre i tempi della giustizia. Tale nuova previsione mirerebbe non solo ad accorciare i tempi ma anche ad abbattere drasticamente il livello di conflittualità all’interno della coppia, aspetto negativo che ricade pesantemente sulla serenità dei figli minori e che incide in maniera determinante nell’intasamento dei tribunali e delle sedi giudiziarie.

 

L’istituzione dei patti prematrimoniali nell’ordinamento italiano rappresenterebbe una vera rivoluzione del diritto di famiglia.

 

In ogni caso i patti prematrimoniali non dovrebbero prevedere accordi palesemente lesivi dei diritti del coniuge più debole ed in particolare della prole, sebbene rispettando la libertà dei coniugi di regolamentare i punti cardine del loro matrimonio.

 

Laddove fossero un domani accolti nel nostro sistema, dovrebbero prevedere il divieto di cause vessatorie nei confronti del coniuge economicamente più debole ed il divieto circa gli accordi che riguardano, per esempio, l’affidamento dei figli. Non e' ammissibile, infatti, che questi ultimi possano essere trattati alla mercé di beni patrimoniali o denaro.

 

In Italia possono tuttavia, considerarsi pienamente efficaci tutti gli altri accordi prematrimoniali, in caso di matrimonio concordatario, stipulati sia mediante atto notarile sia per scrittura privata stilata tra i coniugi, che vertano su diritti, non considerati indisponibili, o se stipulati al momento della separazione e del divorzio, perché la legge non considera liberamente disponibili i diritti e i doveri che derivano dal matrimonio e vuole evitare i patti leonini, nell’ambito dei quali la parte più forte può prevalere, alla luce del principio di autonomia negoziale delle parti.

 

 La legge italiana, infatti, e la interpretazione della Corte di Cassazione, sono rigorose nello stabilire la nullità di tutti i patti preventivi del tipo: “Se ci separeremo ti darò un assegno mensile di...”; “Se divorzieremo ti liquiderò in un’ unica soluzione versandoti l’importo di ...”.

 

Queste pattuizioni, si ribadisce, sono valide solo se stipulate al momento della separazione e del divorzio.

 

Ecco perché hanno maggiore spazio e libertà i patti tra conviventi, i quali possono stabilire che le spese del vivere insieme vanno ripartite con certe modalità. E possono stabilire anche che, in caso di rottura, sia versata una somma per indennizzare il partner più debole. Non deve stupire insomma che, da noi, i conviventi abbiamo una maggiore autonomia decisionale rispetto a coloro che hanno contratto il matrimonio, che ha le sue regole.

 

Al riguardo si evidenzia il dibattito che si è svolto in seguito alla notizia che il Parlamento federale australiano ha approvato nel dicembre 2000, una legge che attribuisce validità ai patti prematrimoniali.

 

Sulla stampa italiana il problema è stato banalizzato in concetti come «accordi sugli affetti», «accordi su chi lava i piatti» e altro, per concludere che da noi simili patti sono nulli.

 

E' vero che in Italia non è consentito decidere preventivamente l’assetto della separazione e del divorzio perché il nostro diritto familiare è legato alle condizioni di fatto del momento in cui tali situazioni si verificano e perché un diritto per essere regolato deve essere disponibile (finché non ci sono le condizioni del divorzio non si può decidere come saranno le sue regole).

 

Ma non è altrettanto vero che un accordo su come dividere in famiglia i compiti di cura e di educazione, così come dividere i compiti organizzativi e i contributi economici, non sia valido.

 

Naturalmente non deve trattarsi di patti «coercibili», bensì solo di manifestazioni di volontà che valgono a individuare le responsabilità in base a un progetto matrimoniale espresso in epoca non sospetta.

 

Diversamente, poi, potrebbe essere nel caso in cui con l'accordo, il coniuge obbligato al mantenimento prometta il pagamento di importi superiori al dovuto, ovvero quando il patto è volto a regolare altri aspetti di natura patrimoniale che nulla hanno a che vedere con gli obblighi inderogabili stabiliti dalla legge.

 

In un recentissimo caso, la Cassazione è intervenuta a decidere su un patto con cui il marito si era impegnato a corrispondere alla moglie “ora per allora” un importo mensile. Nella fattispecie la Corte ha salvato l'accordo stipulato tra i coniugi poiché nella formulazione del testo non si è potuto rinvenire alcun riferimento, implicito o esplicito, all’assegno di divorzio, confermando così l’orientamento consolidato nel senso descritto.

 

Tra le altre fattispecie ammesse nell’ordinamento italiano, si registra l’accordo pre-separazione avente ad oggetto l’obbligo di trasferire la proprietà di un bene immobile in capo al coniuge più debole, con integrale tacitazione di ogni sua pretesa riguardo agli obblighi di mantenimento.

 

Altrettanto valido è l'obbligo di trasferire un immobile al fine di provvedere al mantenimento della prole.

 

Sempre ammissibili ed efficaci sono poi le convenzioni stipulate sia prima che dopo l'omologazione degli accordi di separazione, anche se non riportate nel verbale in cui è stato trasfuso l’accordo dei coniugi, se più vantaggiose per il beneficiario delle prestazioni.

 

Ugualmente accettati sono quei patti o accordi aventi ad oggetto diritti non dipendenti dalla qualità di coniuge e non riguardanti il regime di separazione, detti “patti aggiunti”, aventi lo scopo di definire tutti gli altri rapporti economici esistenti fra coniugi. Tali patti hanno e mantengono un’autonoma validità che non viene meno neppure con il successivo scioglimento del matrimonio.

 

Concludendo, si può affermare che solamente il diritto agli alimenti incorporato nell’assegno di divorzio è irrinunciabile, ma non il diritto al mantenimento che può essere oggetto di valida transazione da parte dei coniugi.

 

In caso di matrimonio contratto esclusivamente in sede civile, poi, i patti non assumeranno valore, non potendo essere il matrimonio oggetto di nullità. Ma potranno comunque essere presi in considerazione in sede di divorzio, in vista della determinazione dell’assegno a favore del coniuge più debole.

 

Ampio, invece, il valore probatorio degli accordi prematrimoniali in sede ecclesiastica. Qui, infatti, le intese assumeranno anche il valore di prova documentale, capaci di configurare una riserva mentale idonea, insieme agli altri elementi processuali, a condurre ad una pronuncia di nullità.

 

Tra gli importantissimi ed irrinunciabili principi del nostro ordinamento giuridico va principalmente citato l'art. 24 della Costituzione, che impedisce il formarsi di valide intese preventive di divorzio.

 

Si intuisce che pattuire l'entità del futuro ed eventuale assegno di divorzio, prima o durante il matrimonio, ma anche in sede di separazione, oppure stabilire chi dei due coniugi dovrà godere della casa coniugale, equivale a limitare l'esercizio di diritti a cui è attribuito il carattere di indisponibilità, da parte del coniuge che ne ha interesse, in particolare sul diritto di difesa, nell’ipotesi di un instaurando giudizio di separazione o di divorzio.

 

I patti preventivi, quindi, incidendo sui comportamenti difensivi nel relativo procedimento legale di divorzio, sono da ritenersi assolutamente nulli.

 

Ne consegue, in altre parole, che il diritto all'assegno di divorzio, per esempio, così come altri diritti parimenti indisponibili, non possono essere in alcun modo negoziati a priori, ma solo ed esclusivamente nell'ambito della relativa procedura avanti il tribunale competente, che deve esercitare il controllo sulle decisioni prese congiuntamente delle parti.

 

E' quindi inutile che i coniugi si adoperino per stabilire un eventuale importo da versarsi in caso di divorzio, ovvero individuino già nelle condizioni di separazione il soggetto assegnatario della casa coniugale per il periodo successivo alla sentenza di divorzio, in quanto il tribunale potrà in ogni momento accertare e dichiarare la nullità dell’accordo sin dal giorno della sua stipulazione, applicando, in via esclusiva, quanto la legge stabilisce.

Avv. Massimiliano Gallone

Avvocato

 

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