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  1. La colpa antinfortunistica: generica e specifica
  2. Le regole per l'accertamento della colpa
  3. Colpa per assunzione e principio dell'affidamento
  4. Contenuto delle regole di diligenza e colpa antinfortunistica
  5. L'accertamento della colpa specifica: in particolare, le regole elastiche
  6. Il nesso tra colpa ed evento: la causalità nella colpa
  7. Considerazioni conclusive

L'elemento psicologico richiesto nei reati in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro è, di regola, costituito dalla semplice "colpa" del reo. Ciò, in altri termini, significa che ai fini della addebitabilità soggettiva del fatto (inteso come azione od omissione) è sufficiente accertare che lo stesso sia stato commesso con "colpa", ovvero in una situazione caratterizzata da imprudenza, negligenza od imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline

La colpa antinfortunistica: generica e specifica

Quando si parla di colpa nel diritto penale, il parametro normativo di riferimento è costituito dall'art. 43 c.p., a termini del quale: «Il delitto: ... è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».

La colpa consta, dunque, di un requisito negativo e di un requisito positivo.

Il primo requisito è dato dall'involontaria realizzazione del fatto («il delitto è colposo ... quando l'evento ... non è voluto dall'agente»; questo requisito distingue la colpa dal dolo, che si configura quando l'evento è stato preveduto e voluto dall'agente. L'eventuale presenza della sola previsione dell'evento («anche se preveduto») compare dalla nozione legislativa di colpa per individuare l'ipotesi aggravata della colpa cosciente che dà vita, ai sensi dell'art. 61 n. 3 c.p., ad una circostanza aggravante dei reati colposi (1).

Il requisito positivo della colpa, che la individua e la caratterizza come peculiare forma di responsabilità, è dato dall'imprudenza, dalla negligenza, dall'imperizia (c.d. colpa generica), ovvero dall'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (c.d. colpa specifica); questo requisito, nelle sue varie forme, deve abbracciare e deve riferirsi a tutti gli elementi costitutivi del fatto antigiuridico («il delitto è colposo quando l'evento ... si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline»).

La presenza delle varie forme di colpa si fonda su un giudizio interamente normativo (2), cioè sul contrasto tra la condotta concreta dell'agente e il modello di condotta imposto dalla regola di diligenza, prudenza e perizia, il cui rispetto era necessario per evitare la realizzazione prevedibile di un fatto preveduto dalla legge come reato colposo (3).

La dottrina (4) chiarisce che:

a) il concetto di imprudenza denota il contrasto fra la condotta concreta e la norma che vietava in assoluto di agire o vietava di agire con determinate modalità;

b) il concetto di negligenza sta a denotare l'omesso compimento di un'azione doverosa;

c) infine, l'imperizia consiste in un'imprudenza e/o in una negligenza nello svolgimento di attività che esigono il possesso e l'impiego di particolari abilità e/o cognizioni.

Va in ogni caso sottolineata la finalità cautelare che accomuna le regole di diligenza, prudenza e perizia: la loro osservanza serve cioè ad evitare la realizzazione di eventi dannosi o pericolosi prevedibili.

Quanto alle forme della colpa specifica (inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline), va sottolineato che ciò che differenzia queste forme di colpa dalla colpa generica è solo la fonte delle regole la cui inosservanza determina la colpa: si tratta di norme giuridiche pubbliche o private (leggi, regolamenti, ordini, discipline). Ciò che, d'altra parte, accomuna tutte le regole di diligenza, prudenza e perizia, qualunque ne sia la fonte, è il loro scopo che, invariabilmente, è la prevenzione di eventi prevedibili.

È, peraltro, necessario accertare la colpa anche in relazione ad attività penalmente illecite (5). Le precauzioni doverose, finalizzate ad evitare eventi prevedibili del tipo di quello verificatosi in concreto, possono senz'altro essere contenute anche in leggi penali (ad es., proprio le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro). Si deve però distinguere tra la sanzione inflitta per la violazione della legge penale e il rilievo attribuibile a tale violazione ai fini del giudizio di colpa (6).

(1) Che così recita: «3) l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento».

(2) V., per tutti: Marinucci, La colpa per inosservanza di leggi, Milano, 1965; Id., Non c'e dolo senza colpa. Morte dell"»imputazione oggettiva dell'evento» e trasfigurazione nella colpevolezza?, in RDDPP, 1991, p.3 ss..

(3) In giurisprudenza, ad es., si afferma che nel delitto colposo, o contro l'intenzione, l'elemento psicologico non è condizionato dalla soggettiva opinione della persona cui è contestato l'evento dannoso, né ha decisiva rilevanza la prevedibilità dell'evento, elemento costitutivo della colpa penale essendo soltanto la condotta contraria alla normale prudenza, diligenza o perizia ovvero alle leggi regolamenti ordini o discipline (Cass. pen., sez. 5, n. 1743 del 28 febbraio 1983, T., in Ced Cass. 157650).

(4) V., tra le più autorevoli voci dottrinali: M. Gallo, Colpa penale (diritto vigente), EdD, VII, 1960, p. 624; Altavilla, Colpa penale, NsD, III, 1959, p. 544; Giunta, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, 1993; Id., I tormentati rapporti fra colpa e regola cautelare, in DPP, 1999, p. 1295; Id., La normatività della colpa penale - Lineamenti di una teorica, in RDDPP, 1999, 86.

(5) V. ad es., in tema di disciplina delle circostanze aggravanti, laddove si prescrive che le circostanze aggravanti sono valutate a carico dell'agente «soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa» (art. 59, co. 2, c.p.).

(6) Si profilerà, ad esempio, un concorso tra il reato contravvenzionale in materia di infortuni sul lavoro e il delitto di omicidio colposo, qualora la morte sia riconducibile alla misura preventiva violata.

Le regole per l'accertamento della colpa

Perché si via condotta colposa è necessario che vi sia un oggettivo contrasto tra la condotta concretamente tenuta dall'agente e quella prescritta dall'ordinamento. L'individuazione della condotta prescritta dall'ordinamento è differente a seconda che il rimprovero abbia ad oggetto la colpa generica o quella specifica. Ed infatti, nel caso della colpa generica, il giudice deve individuare la regola di diligenza che andava rispettata nel caso concreto; nel caso della colpa specifica, il giudice è chiamato a constatare il mancato rispetto di una regola cautelare descritta da una norma giuridica.

In entrambe le ipotesi di colpa, la valutazione della violazione della diligenza prescritta non esaurisce il processo di accertamento della colpa, dovendo il giudice accertare anche:

a) l'effettiva realizzazione dello specifico rischio che la regola di diligenza violata tendeva a neutralizzare;

b) la prevenibilità dell'evento dannoso attraverso il rispetto della diligenza prescritta;

c) l'esigibilità della condotta prescritta.

Quanto all'accertamento della colpa generica, lo stesso consiste nel confronto della condotta tenuta dall'agente concreto con quella che, nella stessa circostanza concreta, avrebbe tenuto l'homo eiusdem condicionis et professionis. Il processo di individualizzazione dell'agente modello della medesima condizione e professione consente di precisare l'esatto ambito della responsabilità personale. Tale processo deve essere contraddistinto da un elevato grado di individualizzazione del ruolo che il singolo soggetto ricopre e dei correlativi doveri che pertanto assume. In relazione ad uno stesso evento è quindi compito del giudice valutare con attenzione i diversi doveri, contenuto delle diverse figure campione.

Anche in giurisprudenza si afferma dover essere metro della colpa «il modello dell'homo eiusdem condicionis et professionis», ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che comporta l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore concreto si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta» (7).

Presupposto logico perché il comportamento del soggetto possa qualificarsi imprudente o negligente è la rappresentabilità del fatto (o, come più comunemente si afferma in giurisprudenza, la prevedibilità dell'evento); in altri termini, la possibilità di riconoscere il pericolo che a una data condotta possa conseguire la realizzazione di un fatto. Tale «rappresentabilità» va appurata sulla base delle conoscenze e delle regole di esperienza il cui rispetto era esigibile al momento della condotta (8).

La giurisprudenza tende, però, ad ampliare il requisito della prevedibilità. In tal senso, in materia antinfortunistica, si registrano pronunce che affermano, ad esempio, che il mutamento di conoscenze, capaci di descrivere meglio il nesso causale tra la condotta e l'evento (nonché «eventualmente» ipotizzare più efficaci cautele), non vale però ad escludere la rappresentabilità del fatto qualora non siano poste in essere nemmeno le prescrizioni minime all'epoca sicuramente possibili (9). Orbene, in consimili ipotesi si dovrà, all'evidenza, valutare con estrema attenzione il nesso tra colpa ed evento. In altri termini, compito del giudice sarà quello di verificare che la norma cautelare rilevante nel momento in cui è avvenuta la condotta - pur nella sommaria conoscenza della pericolosità della medesima condotta - fosse effettivamente volta a prevenire fatti della stessa classe di quello verificatosi, altrimenti l'ascrizione di responsabilità segue la logica del versari in re illicita (10).

In applicazione di tale principio, ad esempio, è stata riconosciuta la prevedibilità della morte per mesotelioma pleurico (all'epoca dei fatti non ancora ricondotta in letteratura all'esposizione alle polveri di amianto) sulla base dell'acclarata prevedibilità di un evento analogo (morte per asbestosi) (11). Successivamente, lo stesso principio è stato affermato in una fattispecie analoga in tema di responsabilità del datore di lavoro per la mancata predisposizione di misure preventive, ulteriori rispetto a quelle imposte dalle norme preventive vigenti all'epoca, idonee ad evitare la pur prevedibile contrazione da parte dei lavoratori di gravi malattie connesse all'esposizione nell'ambiente di lavoro con polveri di amianto (12).

(7) Cass. pen., Sez. 4, n. 1345 del 15 febbraio 1993, B. e altro, in Ced Cass. 193035; conf., Sez. 4, n. 2147 del 6 marzo 1997, P.M. in proc. M., in Ced Cass. 207573.

(8) V., in giurisprudenza, tra le tante: Cass. pen., Sez. 4, n. 14188 del 25 ottobre 1990, P., in Ced Cass. 185559; conf., Sez. 4, n. 37606 del 12 ottobre 2007, R., in Ced Cass. 237050.

(9) Cass. pen., Sez. 4, n. 5037 del 6 febbraio 2001, C., in Ced Cass. 219425.

(10) Ad es., nella sentenza citata nella nota che precede, si è affermata la necessità per il giudice di decidere se le norme poste ad evitare la diffusione e l'esposizione alle polveri di amianto rilevanti all'epoca della condotta fossero destinate anche alla tutela di soggetti esterni ai luoghi di lavoro: tale circostanza sembrava desumibile solo dall'effettiva conoscenza della micidiale nocività delle polveri.

(11) Si tratta del noto caso delle «Officine meccaniche della Stanga», in cui l'imputazione di omicidio colposo riguardava esclusivamente i lavoratori impiegati negli impianti (Cass. pen., Sez. 4, n. 988 del 14 gennaio 2003, M. e altro, in Ced Cass. 226999). Soluzione identica in relazione agli stessi fatti, in precedenza, si rinviene anche in altro precedente giurisprudenziale (Cass. pen., 11 maggio 1998, C., in FI, 1999, II, 236, con nota di Guariniello.

(12) Si tratta del noto caso «Fincantieri» (Cass. pen., Sez. 4, n. 5117 del 1 febbraio 2008, B. e altri, in Ced Cass. 238777; conf., Sez. 4, n. 40785 del 31 ottobre 2008, C. e altri, in Ced Cass. 241470).

29/06/2011

Colpa per assunzione e principio dell'affidamento

Di regola, in tema di colpa, si afferma il principio secondo cui se le capacità dell'autore concreto sono inferiori a quelle dell'agente modello, la regola di diligenza impone di astenersi dall'operare. Il mancato rispetto di tale regola di diligenza può essere rimproverato e determina la c.d. colpa per assunzione (13).

Il principio è recepito anche dalla giurisprudenza in materia di infortuni sul lavoro.

Ad esempio, in una fattispecie di lesioni colpose commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, si è sostenuto che la «prevedibilità» altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una certa condotta commissiva od omissiva avendo presente il c.d. «modello d'agente», il modello «dell'homo eiusdem condicionis et professionis», ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che importa l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore concreto si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta (14). Ancora, si è sostenuto che ai fini dell'indagine penalistica sulle colpe di singoli partecipi ad un'attività organizzata, occorre tener conto non solo delle attribuzioni ad essi conferite contrattualmente, ma anche di quelle volontariamente assunte, poiché anche da queste possono sorgere aspettative da parte degli altri operatori o di terzi e le inosservanze degli obblighi relativi possono essere fonte di responsabilità per aver condizionato il comportamento di altri che facevano affidamento sull'adempienza degli impegni assunti (15).

Altro problema è quello inerente ai rapporti tra principio dell'affidamento e colpa antinfortunistica. Di regola, infatti, tutti i membri di un gruppo possono fare affidamento sul fatto che gli altri membri agiscano nel rispetto dello standard di diligenza (c.d. principio di affidamento). La giurisprudenza riconosce l'affidamento come limite della colpa (16).

Il principio è recepito anche dalla giurisprudenza in materia di infortuni sul lavoro.

Ad esempio, si è sostenuto che il responsabile della sicurezza sul lavoro, che ha negligentemente omesso di attivarsi per impedire l'evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa (17).

Nel solco di tale orientamento si pone, poi, quella decisione che ha affermato che il principio d'affidamento va contemperato con il principio di salvaguardia degli interessi del lavoratore «garantito» dal rispetto della normativa antinfortunistica; ne consegue che il datore di lavoro, garante dell'incolumità personale dei suoi dipendenti, è tenuto a valutare i rischi ed a prevenirli, e non può invocare a sua discolpa, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui (18).

Ancora, si è sostenuto che il principio dell'affidamento non opera allorché il mancato rispetto da parte di terzi delle norme precauzionali di prudenza abbia la sua prima causa nell'inosservanza di tali norme di prudenza da parte di colui che invoca il suddetto principio (19).

Infine, si è affermato che il datore di lavoro non può invocare a propria scusa il principio di affidamento assumendo che l'attività del lavoratore era imprevedibile, essendo ciò doppiamente erroneo, da un lato in quanto l'operatività del detto principio riguarda i fatti prevedibili e dall'altro atteso che esso comunque non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia, come certamente è quella del datore di lavoro (20).

(13) Si è affermato, ad esempio, che «l'agire come membro di un determinato gruppo, o come portatore di un determinato ruolo sociale, comporta, infatti, l'assunzione di responsabilità di saper riconoscere ed affrontare le situazioni ed i problemi inerenti a quel ruolo, secondo lo «standard» di diligenza, di capacità, di conoscenze richieste per il corretto svolgimento di quel ruolo stesso» (Cass. pen., Sez. 4, n. 4793 del 29 aprile 1991, B. e altri, in Ced Cass. 191800).

(14) Cass. pen., Sez. 4, n. 1345 del 15 febbraio 1993, B. e altro, in Ced Cass. 193035.

(15) Cass. pen., Sez. 4, n. 3433 del 13 marzo 1970, G., in Ced Cass. 114221.

(16) Cass. pen., Sez. 3, n. 2329 del 3 marzo 1992, S. e altri, in Ced Cass. 189173).

(17) In applicazione del principio, si è ritenuto che il direttore e delegato alla sicurezza di uno stabilimento, cui era stato contestato di non avere predisposto o fatto predisporre idonee protezioni al fine di evitare cadute dall'alto degli operai che si recassero sui lucernai dello stabilimento per lavori di manutenzione dei canali di gronda, non potesse invocare a sua discolpa la condotta imprudente del lavoratore (Cass. pen., Sez. 4, n. 18998 del 6 maggio 2009, T. e altro, in Guida al lavoro, 2009, 22, p. 47, con nota di M. Gallo, Sicurezza: responsabilità penali per impiego di irregolari e tutele del lavoro autonomo, ed in D&L: Riv. crit. dir. lav., 2009, 2, p. 603, con nota di A. Garlatti, Il lavoratore autonomo e l'obbligazione di sicurezza).

(18) In applicazione del principio, si è ritenuto che il datore di lavoro, al quale era stato contestato di non avere adeguatamente valutato i rischi correlati alla stabilità di pali messi a sua disposizione dall'ENEL, non potesse invocare a sua discolpa l'affidamento nella stabilità dei predetti pali (Cass. pen., Sez. 4, n. 22622 del 5 giugno 2008, B. e altro, in Resp. civ. prev., 2009, 2, II, p. 338 ss., con nota di C. Lavra, La responsabilità del datore di lavoro e obblighi del committente.

(19) In applicazione di tale principio, nel caso esaminato dalla Cassazione, si è affermato che l'imprenditore-costruttore, che costruisca una macchina industriale priva dei dispositivi di sicurezza, nella specie priva del dispositivo di arresto, non può invocare il principio dell'affidamento qualora l'acquirente utilizzi la macchina ponendo in essere una condotta imprudente, in quanto tale condotta sarebbe stata innocua o, comunque, avrebbe avuto conseguenze di ben diverso spessore qualora la macchina fosse stata dotata dei presidi antinfortunistici (Cass. pen., Sez. 4, n. 41985 del 5 novembre 2003, P.G. in proc. M. e altro, in Ced Cass. 227288).

(20) Fattispecie in cui un lavoratore per sbloccare una macchina a 5/6 metri da terra anziché servirsi della apposita scala aveva fatto un uso improprio di un carrello elevatore (Cass. pen., Sez. 4, n. 12115 del 22 ottobre 1999, G., in Ced Cass. 214997).

29/06/2011

Contenuto delle regole di diligenza e colpa antinfortunistica

Lo scopo che, di regola, presiede alla formulazione delle regole di diligenza è impedire l'evento lesivo. Le regole di diligenza possono consistere in obblighi diversi.

Numerose esemplificazioni si hanno in materia antinfortunistica:

a) proteggere o segregare gli organi lavoratori delle macchine (21);

b) scegliere collaboratori idonei (c.d. culpa in eligendo) (22);

c) controllare persone o cose (c.d. culpa in vigilando) (23).

V'è, in ogni caso, una costante nelle affermazioni giurisprudenziali: è irrilevante, ai fini del giudizio della colpa per inosservanza, l'onerosità economica delle misure di sicurezza che la tecnica offre (eventualmente migliorando i presidi sussistenti alla luce del progresso della tecnica), non essendo né «logicamente né giuridicamente concepibile che il bene della salute e della vita resti sacrificato dagli interessi economici, talché l'imprenditore è tenuto ad adottare tutte le misure (ancorché onerose) atte a garantire la sicurezza e, in caso di impossibilità, deve astenersi da quelle attività, e dall'uso di quelle attrezzature, che creino una situazione di pericolo» (24): il ragionamento della Corte è estensibile ad ogni attività che ponga in pericolo la salute o la vita.

(21) Cass. pen., Sez. 4, n. 1501 del 2 febbraio 1990, I., in Ced Cass. 183204.

(22) In tema di scelta dell'appaltatore, v., ad es., Cass. pen., Sez. 3, n. 2329 del 3 marzo 1992, S. ed altri, in Ced Cass. 189173.

(23) I vertici di un'organizzazione complessa rispondono per culpa in vigilando, della mancata attuazione delle direttive da essi emanate: Cass. pen., Sez. 4, n. 5037 del 6 febbraio 2001, C. e altri, in Ced Cass. 219424; conf., Sez. 1, n. 30811 del 13 settembre 2002, V., in Ced Cass. 222588).

(24) Cass. pen., Sez. 4, n. 5037 del 6 febbraio 2001, C. e altri, in Ced Cass. 219423; Sez. 4, n. 6750 del 17 giugno 1991, M., non massimata sul punto, in materia di presidi antinfortunistici.

L'accertamento della colpa specifica: in particolare, le regole elastiche

L'inosservanza di regole cautelari scritte non è di per sé sufficiente a fondare la responsabilità per colpa nei reati colposi di evento: bisogna accertare se l'evento concreto rappresenta o meno la realizzazione del rischio che la norma cautelare mirava ad evitare. Le norme giuridiche contenenti regole di condotta possono essere di due tipi:

a) rigide (in questo caso obbligano il destinatario ad una condotta determinata in modo tassativo;

b) elastiche (in questo caso devono essere interpretate in relazione alla situazione concreta ed il loro accertamento non differisce da quello della colpa generica).

Esempi di norme «elastiche» sono riscontrabili nel D.Lgs. n. 81/2008. Ad esempio, se ne riscontrano molteplici nell'art. 18 del T.U.S. (25).

Ora, è pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che l'accertamento della violazione di una norma positiva «rigida» costituisce un semplice indizio di colpa. Il rispetto di tale tipo di norma è doveroso solo fino a quando la condotta imposta non determini in concreto un aumento del rischio della realizzazione del fatto. In tali ipotesi ad essere prescritta è infatti la condotta inosservante la norma positiva, ma in grado di evitare il pericolo (26).

Ulteriore problema è dato, poi, dal fatto che l'art. 43 richiama disgiuntivamente la colpa generica e quella specifica. Ciò significa che l'osservanza delle regole positive non esclude pertanto la violazione di doveri di diligenza. Ciò è quanto sostiene la giurisprudenza quando non ritiene sufficiente il rispetto dei valori limite di esposizione alle polveri di amianto.

Il rischio, in questi casi, è quello di un massiccio ricorso alla colpa generica (art. 2087 c.c.) in caso di esclusione della violazione della specifica disposizione prudenziale, ciò che si verifica frequentemente nella giurisprudenza in materia antinfortunistica, che sostiene il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile (27). Ciò porta la giurisprudenza a ritenere che non occorre, per configurare la responsabilità del datore di lavoro, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure e accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore (28).

(25) V., a mero titolo esemplificativo: e) «prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico»; g-bis) «nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41, comunicare tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro»; i) «informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione»; q) «prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio».

(26) Marinucci, op. cit., v. supra.

(27) V., tra le tante: Cass. pen., Sez. 4, n. 7402 del 24 giugno 2000, M., in Ced Cass. 216476; conf., Sez. 4, n. 41944 del 21 dicembre 2006, P.G. in proc. L. ed altri, in Dir. prat. lav., 2007, 5, p. 376 ss. con nota di R. Guariniello, Disastro ferroviario e livello esigibile di aggiornamento tecnologico, ed in Cass. pen., 2007, 11, IV, p. 4269, con nota di F. Pavesi, A proposito della «massima sicurezza tecnologica» esigibile dal datore di lavoro.

(28) Cass. pen., Sez. 3, n. 6360 del 18 febbraio 2005, L.G., in Ced Cass. 230855; conf., Sez. 4, n. 8641 del 3 marzo 2010, T. e altro, in Ced Cass. 246423.

29/06/2011

Il nesso tra colpa ed evento: la causalità nella colpa

L'evento non appartiene allo schema legale soltanto sotto il profilo oggettivo, come mero elemento del rapporto di causalità, ma anche come punto di riferimento della colpa: «la qualifica di imprudente non riguarda la condotta in sé e per sé, isolatamente considerata, ma si riferisce alla condotta in quanto produttiva di un determinato evento. Si doveva agire diversamente appunto perché, agendo come si è agito, si poteva cagionare un evento che il legislatore voleva impedire» (29).

La giurisprudenza tuttavia confonde spesso questa duplice rilevanza dell'evento.

Quando sussiste dunque il nesso tra colpa ed evento? Sussiste qualora l'evento verificatosi nella realtà rappresenta la realizzazione dello specifico pericolo (costituente la ratio della norma cautelare violata) - creato (o non impedito) dall'agente - che faceva apparire oggettivamente contrario a diligenza il suo fare (o il suo omettere): l'evento verificatosi deve quindi essere riconducibile al tipo di evento che la regola cautelare violata intende prevenire (30).

In giurisprudenza è frequente l'affermazione che la prevedibilità debba riferirsi alle «modalità essenziali» che consentano di individuare l'evento rappresentabile come appartenente allo stesso «tipo» di evento che si è verificato in concreto.

La dottrina sostiene che questa sia una formula tautologica finché non si stabilisce un criterio che consenta di distinguere le modalità «essenziali» da quelle «non essenziali» (31). Si tratta di quella che viene definita come «causalità della colpa», ciò che significa che il giudizio di prevedibilità non ha ad oggetto l'evento come appartenente ad un genus o un mero evento di danno, ma deve fare riferimento allo specifico decorso causale sfociato nell'evento terminale (32).

Non sempre è necessario accertare la completa concatenazione causale che ha provocato l'evento verificatosi per giungere ad affermare la responsabilità dell'imputato: ad esempio, se un lavoratore cade da un'impalcatura perché il datore di lavoro non gli ha fornito una cintura di sicurezza oppure perché non ha controllato che questi la indossasse, è irrilevante accertare che il lavoratore sia caduto per un malore o per un errore di valutazione o, ancora, per una spinta involontaria di un terzo, poiché, quale che sia stata la causa, l'osservanza della regola precauzionale sarebbe stata comunque idonea ad impedire l'evento finale. Però, esistono casi nei quali, invece, non può prescindersi dall'accertamento fattuale, ossia dal ricostruire come e perché l'evento si è verificato.

D'accordo su quest'ultimo punto anche la dottrina che, ad es., ribadisce che la descrizione dell'evento debba avvenire rispetto all'evento concreto e dal punto di vista della regola cautelare, rischiandosi altrimenti di ricadere nella logica del versari in re illicita (33).

La giurisprudenza, tuttavia, ha sovente approdi diversi, come dimostrato in numerosi casi, anche recenti (34).

(29) Così Delitala, Dolo eventuale e colpa cosciente, ora in Diritto penale. Raccolta degli scritti, I, 1976, p. 431.

(30) Cass. pen., Sez. 4, n. 1501 del 2 febbraio 1990, I., in Ced Cass. 183204.

(31) In tal senso: Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, 1990. V., però, un'espressione più felice, con cui la giurisprudenza ha fatto riferimento ad «errori della stessa classe dell'evento», a proposito del noto disastro di Stava (Cass. pen., Sez. 4, n. 4793 del 29 aprile 1991, B. e altri, in Ced Cass. 191788).

(32) V., di recente, Cass. pen., Sez. IV, 26 gennaio 2011, n. 2597, in Sistema A&S, con nota di A. Scarcella, Responsabilità del datore di lavoro, violazione della regola cautelare ed incerto decorso causale, su http://www.ambientesicurezza.indicitalia.it/quotidiano.

(33) Così, Dolcini, L'imputazione dell'evento aggravante. Un contributo di diritto comparato, in RIDPP, 1979, p. 755; Id., Responsabilità oggettiva e principio di colpevolezza, in RIDPP, 2000, p. 863.

(34) Ci si riferisce, in particolare, a Cass. pen., Sez. 4, n. 5037 del 6 febbraio 2001, C. e altri, in Ced Cass. 219425; Sez. 4, n. 988 del 14 gennaio 2003, M. e altro, in Ced Cass. 227000; Sez. 4, n. 5117 del 1 febbraio 2008, B. e altri, in Ced Cass. 238777; Sez. 4, n. 38991 del 4 novembre 2010, Q. e altri, Guida al lav., 2010, 45, p. 15 ss., con nota di M. Gallo, Sicurezza del lavoro: la Cassazione sulla responsabilità del Cda, ed in Dir. pen. proc., 2010, 2, p. 185 ss., con nota di F. Palazzo Francesco, Morti da amianto e colpa penale, ed, infine, in Resp. civ. prev., 2011, 2, II, p. 346 ss., con nota di N. Coggiola, La Cassazione penale ed il problema della scelta delle teorie scientifiche secondo cui ricostruire la causalità nelle fattispecie di mesoteliomi causati dall'esposizione all'amianto.

Considerazioni conclusive

 

A conclusione del percorso in esame, è agevole rendersi conto di come (e quanto) complesso sia l'accertamento della «colpa» nei reati antinfortunistici.

 

Certo, se più semplice appare l'accertamento della responsabilità colposa negli infortuni sul lavoro propriamente detti, maggiore è, invece, il grado di complessità valutativa che l'accertamento del coefficiente psicologico che sorregge la condotta si ha nel capo delle malattie professionali, anche se, sovente, in tali casi si tende maggiormente ad approfondire il tema della causalità lasciando sullo sfondo, quasi fosse un fratello minore, il tema della colpa. Se questo è vero, è però altrettanto vero che altri problemi si delineano all'orizzonte degli operatori del diritto nel campo della responsabilità antinfortunistica. Intendiamo riferirci, in particolare, al noto caso della Thyssenkrupp, recentemente conclusosi con il riconoscimento, per la prima volta in questo campo, della responsabilità dolosa del datore di lavoro, sub specie di dolo eventuale.

 

È stato opportunamente osservato dai primi commentatori della sentenza che la sentenza della Corte d'Assise di Torino rappresenta un nuovo modo di intendere la prevenzione infortuni. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, non possiamo non registrare un dato. Dal campo della responsabilità colposa, la sentenza ha aperto le porte verso un nuovo modo di intendere la prevenzione e, correlativamente, di accertare i profili di responsabilità del reo.

 

Dall'accertamento della colpa, infatti, occorre un mutamento di angolo prospettico, volgendo l'attenzione verso il dolo. L'insidiosa (e, nel contempo, coraggiosa) strada percorsa dai giudici della Corte piemontese costituirà senz'altro materia di dibattito nei prossimi anni, con la certezza che la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione saprà fornire - come sempre brillantemente avvenuto in questi anni - la soluzione al dilemma esegetico.

 

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