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IL PARADOSSO DEI CARBURANTI IN ITALIA di Marco Bulfon-Nel merito.it

 

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 In primavera, sotto l’effetto delle tensioni politiche in Medio Oriente e Nord Africa il prezzo della benzina ha sfiorato la punta record di 1,60 euro al litro. Nel 2008, in occasione dell’ultima crisi petrolifera, il prezzo aveva faticosamente superato 1,55 euro al litro … Tutta colpa di Gheddafi, della Nato e di piazza Tahrir?

 

Difficile dirlo, il prezzo del petrolio è sempre rimasto sensibilmente al di sotto dei suoi massimi storici. Nel 2008 superò 150 dollari al barile, mentre questa primavera non raggiunse i 130. Dunque, la spinta verso l’alto del prezzo della benzina non fu provocata dal petrolio. Quale la causa, allora? Le tasse? In effetti, come noto, sul pieno di benzina si paga circa la metà in tasse. Tuttavia in questi mesi la componete fiscale del prezzo della benzina è rimasta sostanzialmente invariata. Peraltro, la pressione fiscale sui carburanti è in Italia addirittura lievemente al di sotto della media europea. Anche alle tasse, pertanto, per una volta, non può essere imputato nulla.

Il vero problema, in conclusione, è la componente industriale. In effetti, il prezzo della benzina, soprattutto se lo si considera al netto delle tasse (il cosiddetto “prezzo industriale”), è tra i più alti in Europa. Un fenomeno che si riscontra da tempo, tanto da avere addirittura un termine tecnico per indicarlo: lo “stacco Italia”. Il fatto che il prezzo della benzina sia cresciuto così tanto in primavera è quindi, com’è naturale,  frutto di contingenze, ma riflette una crisi industriale affatto temporanea: il problema di fondo è persistente e strutturale. Il picco primaverile evidenzia molto di più di quanto non possa apparire a prima vista. In effetti, l’intera filiera produttiva, dall’estrazione del greggio fino alla pompa di benzina, è sostanzialmente detenuta dalle aziende petrolifere: uno stesso soggetto estrae la materia prima nei paesi d’origine, la trasporta, la raffina, distribuisce il prodotto finito ai punti di vendita e, spesso, detiene la proprietà degli stessi punti di vendita. Di per sé, il fatto che l’industria detenga il controllo su tutta la filiera non costituisce un problema; purché il sistema sia capace di generare riduzione di costi ed economie di scala. Nel caso in specie, tuttavia, la situazione che si presenta dinanzi agli occhi è estremamente diversa. L’Italia è il Paese che dispone del più elevato numero di raffinerie in Europa. La Germania ne ha poco più della metà. Eppure riesce a produrre ed esportare più prodotto finito. Se ci soffermiamo sulla capacità produttiva media per impianto, il confronto con buona parte degli altri paesi europei, quali Francia o Regno Unito, diviene addirittura divenire imbarazzante. E il giudizio non migliora affatto se si sposta lo sguardo sulla rete distributiva: in Italia il numero di punti vendita è elevatissimo, non solo il più alto, ma un numero che non ha paragoni in Europa. La nostra rete è costituita da un pulviscolo di piccoli distributori, con un fatturato medio tra i più bassi in Europa, che vivono spesso esclusivamente di distribuzione di carburante, su cui godono di margini risicatissimi. Una situazione che rende il nostro sistema distributivo spaventosamente costoso e poco remunerativo.

Insomma, il sistema industriale e distributivo dei carburanti italiano ha fatto dell’inefficienza la sua bandiera. Produciamo poco con costi elevatissimi. E la distribuzione è pure peggio. Un limite che si riversa interamente sul prezzo richiesto ai consumatori e agli automobilisti, che si ritrovano a dover pagare non solo, come è normale, il valore del bene, ma anche e soprattutto le gravi incapacità di gestione altrui. Perché costui, volendo fare tutto, alla fine non riesce a farlo bene. O, almeno, non al meglio.

Gheddafi, dunque, non c’entra nulla. Quando la rete distributiva si sarà affrancata dalla produzione, avrà la possibilità reale di vivere non solo di carburante, ma di differenziare di più e meglio la propria offerta, allora sarà l’intero sistema ad avvantaggiarsene: chi produce, chi distribuisce e chi consuma.

 

*La versione integrale dell’articolo sarà pubblicata sulla rivista “Consumatori, Diritti e Mercato” n° 2/2011

 

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