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CIO’ CHE E’ VIVO E CIO’ CHE E’ MORTO DEI REGOLAMENTI
PARLAMENTARI DEL 19711

 

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Eduardo Gianfrancesco

(Ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico – LUMSA di Roma e Palermo)

Sommario: 1. Quarant’anni dopo. -2. Elementi strutturali ed elementi congiunturali nella riforma del 1971. -3. Ciò che
è vivo nei regolamenti parlamentari del 1971. – 4. Ciò che è morto dei regolamenti parlamentari del 1971: i
limiti contingenti. 5. Ciò che è morto dei regolamenti parlamentari del 1971: i limiti strutturali e l’esigenza di
nuovi regolamenti.

1. Quarant’anni dopo
Un intervallo di quaranta anni – quasi due generazioni – dovrebbe consentire un’analisi
distaccata ed obiettiva – se del caso critica, se del caso di apprezzamento – dei regolamenti
parlamentari del 1971 e del loro rendimento istituzionale.

La loro “storicizzazione” dovrebbe essere tanto più consolidata quanto più si accede alle
ricostruzioni secondo le quali il mutamento della legge elettorale del 1993 e del quadro politico-
partitico italiano degli anni Novanta avrebbe segnato una cesura netta nella storia costituzionale
repubblicana, fino a discutersi dell’avvento della “Seconda Repubblica”2. In questa prospettiva, la
riflessione sui regolamenti del 1971 (nella loro versione originaria, almeno) dovrebbe caratterizzarsi
per un’accentuata distanza e freddezza dell’osservatore rispetto all’oggetto dell’osservazione.

Eppure, non sembra proprio questo il sentimento prevalente. Anche nel corso degli ultimi
anni, il dibattito in argomento appare in grado di toccare corde sensibili in molti osservatori,
suscitando vivaci reazioni “pro” o “contro” l’impianto o le soluzioni accolte nei regolamenti qui
considerati3. Basti considerare, a questo proposito, le emozioni, a volte piuttosto vivaci, che la
semplice evocazione del termine “consociativo”, indipendentemente dall’appropriatezza scientifica
del suo riferimento4, è in grado di suscitare nel dibattito anche scientifico.

1 Relazione al seminario di studi su “Origini, novelle e interpretazioni dei regolamenti parlamentari, a quarant'anni dal
1971”, organizzato dal Centro di studi sul Parlamento della Luiss Guido Carli e svoltosi il 28 marzo 2011. Il presente
contributo è destinato agli Studi in onore di Valerio Onida.
2 Non è questa la sede per evidenziare la (spesso voluta) ambiguità di queste ricostruzioni, più o meno abilmente
collocate a cavaliere tra politologia, cronaca e diritto costituzionale e la loro inaccettabilità, se inserite a tutti gli effetti
nel diritto costituzionale.
3 Alcuni riferimenti a taluni autori ascrivibili alle due posizioni verranno effettuati infra, nel presente scritto.
4 Per la critica all’utilizzazione di tale nozione, se intesa in senso tecnicamente definito, cfr. C. CHIMENTI, Regolamenti
parlamentari e forma di governo, in Amministrazione in cammino (31 marzo 2011). Alcune critiche all’applicazione
della categoria della consensus democracy, elaborata da Lijphart, al Parlamento italiano sono presenti anche in M.
COTTA, Il Parlamento nel sistema politico italiano. Mutamenti istituzionali e cicli politici, in Quad. cost., 1991, 204 ss.
che evidenzia opportunamente anche come la fase della cosiddetta “centralità del Parlamento” sia stata caratterizzata da
una rilevante concentrazione delle sedi decisionali (vertici dei partiti ed anche Governo). La difficile riscontrabilità
nell’esperienza italiana concreta degli anni Settanta ed Ottanta di una centralità parlamentare “pura” è evidenziata anche
da E. CHELI, La “centralità parlamentare”: sviluppo e decadenza di un modello, in Quad. cost., 1981, 343 ss., che


Probabilmente i legami che ci uniscono ai regolamenti del 1971 sono più profondi e
persistenti di quanto possa sembrare. Si tratta, in primo luogo, della circostanza per cui l’impianto
fondamentale dei regolamenti parlamentari vigenti è ancora quello dei regolamenti del 1971. Le
novelle succedutesi nel corso degli anni5, per quanto abbiano inciso in modo rilevante su istituti
centrali del diritto parlamentare, segnando significative “svolte” del medesimo, sono state
comunque calate nel contenitore sistematico elaborato nel 1971, con le sue opzioni di fondo di tipo
organizzativo e funzionale.

Ma c’è di più, e proprio su questo condizionamento ulteriore il presente contributo vorrebbe
soffermarsi. I regolamenti parlamentari del 1971 si pongono in una relazione particolare con la
Costituzione; il loro essere il primo -e finora anche unico -esempio di regolamento parlamentare
organico in epoca repubblicana li ha caricati di una valenza particolare, nel senso che alcuni nodi
dell’attuazione delle prescrizioni costituzionali in tema di Parlamento non potevano che trovare
svolgimento all’interno delle loro previsioni.

Nelle ipotesi migliori, come si vedrà, le soluzioni accolte costituiscono dei punti fermi dai
quali è difficile, se non pericoloso, discostarsi in sede di eventuali riforme, anche di ampia portata.
Nelle ipotesi meno felici, le disposizioni regolamentari hanno comunque giocato un ruolo rilevante
nei rapporti Parlamento-società civile e Parlamento-Governo, ponendo limiti non secondari allo
sviluppo della forma di stato e di governo del nostro Paese i cui effetti sono ancora pienamente
operanti. Con il passare degli anni, infine, talune soluzioni accolte nel 1971 si sono mostrate
inadeguate rispetto ad alcuni caratteri evolutivi del nostro sistema costituzionale.

In tutti i casi i regolamenti parlamentari del 1971 costituiscono, comunque, parte integrante
e determinante del diritto costituzionale odierno, continuando a condizionarlo nel bene e nel male.
Essi restano un termine di confronto attuale e di perdurante vitalità per l’interprete, sia in sede
teorica che in sede pratica, in grado di giustificare la vivacità delle discussioni che li riguarda.

Anche sotto questo punto di vista, la cesura tra presunta “Prima Repubblica” e “Seconda
Repubblica” si manifesta labile e discutibile, specie per il giurista.

2. Elementi strutturali ed elementi congiunturali della centralità del Parlamento nella riforma del
1971
Da tempo è stato evidenziato come una, se non la principale, difficoltà nell’analisi dei
regolamenti parlamentari del 1971, nelle zone di luce e di ombra che li caratterizzano, è
rappresentata dalla compresenza di vincoli costituzionali e di vincoli politici, tra loro strettamente
intrecciati fino a risultare difficilmente distinguibili ed accomunati nella formula della “centralità
del Parlamento”. Anche questo rende, almeno in parte, ragione di un dibattito in cui i due piani non
risultano sempre distinti, con la conseguenza che considerazioni – e toni – dell’un piano invadono
l’altro.

richiama l’attenzione sui condizionamenti esterni al Parlamento e L. PALADIN, Per una storia costituzionale dell’Italia
repubblicana, Bologna, 2004, 277, che sottolinea il carattere “ambiguo e polisenso” della formula.
5 Su tali novelle, cfr. i contributi di V. LIPPOLIS, Le riforme degli anni ’80 alla Camera; D. NOCILLA, La riforma del
regolamento del Senato nel 1988; A. PALANZA, Le riforme del Regolamento della Camera dei Deputati del 1997-1999,
tutti in AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), I regolamenti parlamentari nei momenti di “svolta” della
storia costituzionale italiana, in Giornale di Storia costituzionale, n.15, 2008.



E’ il caso delle “difese ad oltranza” dei regolamenti parlamentari del 1971, considerati per
l’intero o quantomeno per ampie parti quali prosecuzione ed attuazione6 diretta della Costituzione7.
All’opposto si possono menzionare le letture critiche complessive svalutative di tali atti, etichettati
sotto la definizione di “consociativi”, se non assembleari8.

Se non si vuole rimanere impigliati in una poco produttiva diatriba, occorre sceverare i due
piani, pur nella consapevolezza della loro connessione. Sotto questo profilo, risulta particolarmente
lucida la distinzione operata da Valerio Onida tra una tendenza congiunturale ad enfatizzare la
centralità del Parlamento ed una di “effettivo e strutturale rafforzamento delle istituzioni
parlamentari”9, entrambe emergenti dai regolamenti parlamentari del 1971.

La circostanza che “attuazione della Costituzione” e “conventio ad includendum” si
intreccino nella genesi dei regolamenti in esame10 non può far venir meno l’esigenza della loro
distinzione concettuale e di trattamento. Ciò vale soprattutto per il giurista, per il quale la
consapevolezza dell’inquadramento storico e del dato politologico sottostante alle norme esaminate
non può far rinunciare alla specificità della propria indagine.

Di qui, l’esigenza di tenere distinte le soluzioni tecniche che si presentano come attuative di
principi di valorizzazione del ruolo delle assemblee elettive insiti nella Costituzione e che, quindi, si
pongono come acquisizioni non reversibili del parlamentarismo italiano, da quelle opzioni,
profondamente compenetrate dallo “spirito dei tempi” che le hanno prodotte, ma non in grado di
vantare un riferimento costituzionale che le renda stabili e sottratte a successive trasformazioni, se
non, in alcuni casi, non funzionali ad un parlamentarismo maturo e, conseguentemente, bisognose
di una più o meno radicale ristrutturazione.

3. Ciò che è vivo nei regolamenti parlamentari del 1971
L’elemento di maggiore vitalità insito nella riforma del 1971 è rappresentato, a parere di chi
scrive, dalla configurazione di canali di accesso diretto dell’istituzione parlamentare alla “società
civile”, per usare un’espressione inevitabilmente dotata di una certa vaghezza ma sicuramente

6 Sulla categoria delle norme regolamentari “attuative” di principi contenuti nella Costituzione, distinte dalle norme
regolamentari “esecutive” di specifiche disposizioni costituzionali, cfr. T. MARTINES, Regolamenti parlamentari e
attuazione della Costituzione, in St. parl. pol. cost., 1971, 5 ss., ora in ID. Opere, II, 2000, 396 s.
7 In questa linea, cfr. ad esempio, P. CARETTI, Le svolte della politica italiana nelle riforme dei regolamenti
parlamentari, in AA.VV. (a cura di L. VIOLANTE), Storia d’Italia. Annali 17. Il Parlamento, Torino, 2001, 592 s.; G.
RIVOSECCHI, Regolamenti parlamentari del 1971, indirizzo politico e questione di fiducia: un’opinione dissenziente, in
AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), I regolamenti parlamentari nei momenti di “svolta” della storia
costituzionale italiana, cit., 143 ss.
Per una visione “storicizzata” del modello dei regolamenti del 1971 fondata sullo stretto collegamento tra intesa (c.d.
consociativa) e conventio ad exludendum, sicché tali due condizioni simul stabunt, simul cadent, cfr. S. LABRIOLA,
Sviluppo e decadenza della tesi della centralità del Parlamento: dall’unità nazionale ai governi Craxi, in AA.VV. (a
cura di L. VIOLANTE), Storia d’Italia. Annali 17. Il Parlamento, cit., 400 s.
8 In questa linea, cfr. M.L. MAZZONI HONORATI, Il procedimento legislativo, in AA.VV. (a cura di S. LABRIOLA), Il
Parlamento repubblicano (1948-1998), Milano, 1999, 258; G. REBUFFA, Teoria e prassi del negoziato parlamentare tra
conflitto e consociazione; S. CURRERI, Il voto segreto: uso, abuso, eccezione; V. LIPPOLIS, Maggioranza, opposizione e
governo nei regolamenti e nelle prassi parlamentari dell’età repubblicana, tutti in AA.VV. (a cura di L. VIOLANTE),
Storia d’Italia. Annali 17. Il Parlamento, cit. rispettivamente 511, 525 e 623.
9 V. ONIDA, Recenti sviluppi della forma di governo in Italia: prime osservazioni, in Quad. cost., 1981 ed in AA.VV.,
Scritti in onore di E. Tosato, III, Milano, 1984, 212 (dal quale sono tratte le citazioni nel presente lavoro).
10 Come evidenziato da P. SCOPPOLA, Parlamento e Governo da De Gasperi a Moro, in AA.VV. (a cura di L.
VIOLANTE), Storia d’Italia. Annali 17. Il Parlamento, cit. 363 ed ivi il rinvio a F. BONINI, Storia costituzionale della
Repubblica. Profilo e documenti (148-1992), Roma, 1993, 56.



pregnante. Da tempo è stata evidenziata11 l’importanza della rottura del monopolio del Governo
quale interlocutore del Parlamento e l’esigenza per quest’ultimo di accedere in via diretta e non
mediata al mondo degli “interessi organizzati”12 che spesso l’istituzione governativa non è in grado
di rendere nella sua complessità, essendo per sua natura portata ad operare una selezione ed una
sintesi per linee affini all’indirizzo politico sostenuto.

I regolamenti parlamentari del 1971 segnano in questo senso una discontinuità con
un’impostazione sostanzialmente ancora ottocentesca, tendente a risolvere il ruolo del Parlamento
nella funzione assorbente di contraddittore dialettico del Governo e ad esaurire il nucleo della vita
costituzionale dello Stato-persona in questa relazione; relazione dalla quale il tradizionale istituto
dell’inchiesta parlamentare non riesce pienamente a sottrarsi. Solo se il Parlamento è in grado di
rompere il diaframma del rapporto esclusivo con il Governo può farsi organo rappresentativo della
società, punto di congiunzione tra Stato-persona e Stato-comunità. In questo senso la “centralità del
Parlamento” esprime una qualità indispensabile del Parlamento post-ottocentesco e tutt’altro che
uno slogan velleitario ed invecchiato. Sviluppata in modo coerente sino alle sue estreme
conseguenze, essa è in grado di fare del Parlamento il recettore di un bagaglio di informazioni e
conoscenze tale da modificare in profondità i tratti tradizionali della forma di governo parlamentare.
Il modello – per tante ragioni inarrivabile per l’esperienza italiana – del Congresso statunitense ne
costituisce l’esito estremo.

Sono noti gli istituti attraverso i quali nel 1971 questa valorizzazione della capacità di
accesso autonomo alle informazioni da parte del Parlamento si realizza. Si tratta principalmente
delle indagini conoscitive attivabili dalle Commissioni permanenti13 , nonché di una serie di
rapporti, referti, relazioni che organi ausiliari delle Camere sono chiamati a rendere14 .

Ancora, in una prospettiva diversa ma anch’essa innovativa, di apertura del Parlamento a
livelli istituzionali diversi da quelli tradizionali, i regolamenti del 1971 cercano di valorizzare il
rapporto con le Regioni e le Comunità europee, definendo procedure dedicate15 ed organi interni
specializzati16 .

E’ da sottolineare come le sedi di esplicazione delle indagini conoscitive non siano
rappresentate dall’Assemblea quanto dalle Commissioni permanenti, che vedono una significativa
valorizzazione delle loro funzioni. La moltiplicazione dei centri di esame e di decisione nel
Parlamento risponde, del resto, ad un’esigenza di funzionalità insopprimibile che gli stessi
Costituenti hanno colto nel momento in cui decidono di far sopravvivere l’istituto “fascista” del
procedimento legislativo decentrato, ancorché contenuto negli opportuni limiti del quarto comma
dell’art. 72 Cost. I regolamenti parlamentari del 1971 proseguono e sviluppano, quindi, l’intuizione
costituzionale allorché valorizzano le Commissioni permanenti quali sedi di esercizio dell’attività di
indirizzo e controllo nei confronti del Governo17, nonché, logicamente preliminare a queste – ed alla

11 Per la novità della “codificazione” regolamentare del 1971, sotto questo profilo, cfr. per tutti, A. MANZELLA, Il
Parlamento3, Bologna, 2003, 71.
12 E viceversa...Per questo profilo, cfr. ora l’analisi di P.L. PETRILLO, Democrazie sotto pressione. Parlamenti e lobby
nel diritto pubblico comparato, Milano, 2011.
13 Artt. 144 reg. Camera e 48 reg. Senato
14 Cfr., per il regolamento della Camera, art. 145 (Istat), 146 (Cnel), 148 e 149 (Corte dei Conti). Per il regolamento del
Senato, cfr. l’art. 49 per i rapporti con il Cnel e l’art. 131 per il – più tradizionale – esame delle relazioni della Corte dei
Conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato.
15 Cfr. il capo XXII del regolamento della Camera dedicato alle “procedure relative alle questioni regionali” e gli artt.
137 e 138 del regolamento del Senato.
16 Cfr. L’istituzione al Senato della Giunta per gli affari delle Comunità europee (art. 23, 142-144 del regolamento) e la

– invero più generica – disciplina del capo XXVIII del regolamento della Camera dei Deputati.
17 Per l’innovativa possibilità di presentare interrogazioni orali e di votare risoluzioni in Commissione, cfr. V. DI CIOLO
– L. CIAURRO, Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica4, Milano, 2003, 58 s, ai quali si rinvia per un’analitica
rassegna delle principali novità dei regolamenti del 1971 (57-59). La valorizzazione del ruolo delle Commissioni

stessa legislazione – l’attività lato sensu conoscitiva e di accesso alla società civile ed a livelli di
governo diversi da quelli statale appena sopra richiamati.

In questa sede sembra importante sottolineare come questo versante dell’attività
parlamentare, inaugurata dai regolamenti del 1971, appare oggi nuovamente di grandissimo rilievo
ed importanza, nel momento in cui la “valutazione delle politiche pubbliche” diviene la “nuova
frontiera” dei Parlamenti del XXI secolo, fino ad essere consacrata nell’art. 24 della Costituzione
francese, modificata nel 2008, come una delle funzioni fondamentali parlamentari18. E’ evidente,
infatti, che nessuna seria valutazione delle politiche pubbliche può essere realizzata senza che
l’istituzione parlamentare sviluppi una propria capacità di analisi dei dati rilevanti e, quindi, una
propria, autonoma capacità di accesso al fatto, acquisendo informazioni e valutazioni per vie che
non possono essere soltanto quelle dell’apparato di governo. L’effettivo “decollo” di questa nuova
funzione parlamentare non può non passare, quindi, attraverso la ripresa ed adeguata valorizzazione
delle intuizioni contenute nei regolamenti del 1971.

E’ il caso di considerare, inoltre, come il tema dello sviluppo dei poteri conoscitivi autonomi
del Parlamento porti gli stessi regolamenti del 1971 a prevedere forme di collaborazione ed azione
congiunta tra le due Camere. E’ evidente, infatti, che, rispetto all’esigenza di assumere informazioni
ed elementi di valutazione, la posizione dei due rami di un parlamento bicamerale perfetto appaia
sostanzialmente indifferenziata e che, pertanto, la materia in esame si presenti come un campo
preferenziale di sperimentazione del superamento di un’accezione rigida del principio bicamerale.

La formulazione prudente e possibilista dell’art. 144, quinto comma, del regolamento della
Camera dei Deputati permette di cogliere l’innovatività ed al tempo stesso la difficoltà di tale
prospettiva che comunque – occorre riconoscerlo – è chiamata a muoversi nei limiti del principio
bicamerale accolto dalla Costituzione. La circostanza che in recenti contributi dedicati alla riforma
del regolamento ancora si dibatta di soluzioni non molto lontane da quelle già rese possibili dalla
disposizione del 1971 dimostra, del resto, le difficoltà della prassi parlamentare a muoversi in tale
direzione19 .

L’ingresso della programmazione come metodo di lavoro delle Camere costituisce, ad
avviso di molti osservatori, una ulteriore fondamentale innovazione dei regolamenti del 1971.
Anche in questo caso si può sostenere senza particolari forzature che il metodo della
programmazione costituisce la soluzione non soltanto più razionale, ma più conforme all’idea del
Parlamento come sede del confronto tra visioni diverse e talvolta contrapposte dell’interesse
generale ed al contempo come sede di adozione delle decisioni politiche maggiormente significative
(la legge; gli atti di indirizzo e controllo politico sul Governo).

Il metodo della programmazione, sottraendo l’agire parlamentare all’estemporaneità
dell’agire giorno per giorno, in genere dominato dalla maggioranza parlamentare, consente di

permanenti rispetto all’esperienza precedente è sottolineata da C. CHIMENTI, I regolamenti del 1971, in AA.VV. (a cura
di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), I regolamenti parlamentari nei momenti di “svolta” della storia costituzionale
italiana, cit., 137, il quale non manca, tuttavia, di evidenziare anche le incertezze nell’imboccare in modo deciso tale
strada (140 s).
Fuoriesce dall’oggetto di questo lavoro l’analisi delle differenze – pur significative – nelle soluzioni adottate da Camera
e Senato nel 1971. Sul punto, cfr. l’analisi di L. PALADIN, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, cit.,
272 ss.
18 Su questa riforma e sul suo impatto sulle funzioni dei parlamenti contemporanei, cfr. N. LUPO, Un parlamento da
rafforzare, non da indebolire. La revisione costituzionale francese del luglio 2008 a confronto con le prospettate
riforme dei regolamenti parlamentari in Italia, in AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), La riforma dei
regolamenti parlamentari al banco di prova della XVI legislatura, Roma, 2009, 254.
19 Si considerino, a questo proposito, i contributi di G. RIVOSECCHI, Bicameralismo e procedure intercamerali e L.
GIANNITI, Per un ragionevole bicameralismo amministrativo, entrambi in AA.VV., (a cura di A. MANZELLA – F.
BASSANINI), Per far funzionare il Parlamento. Quarantaquattro modeste proposte, Bologna, 2007, rispettivamente, 67
ss e 77 ss.


esplicare – ed esplicitare20 – l’attuazione dell’indirizzo politico sostenuto dal raccordo Governo-
maggioranza parlamentare in un arco di tempo ragionevole (non simbolico, da un lato, e con un
termine finale di decisione funzionale, dall’altro). Esso, inoltre, se adeguatamente sviluppato21 ,
consente la corretta attuazione del principio democratico nella decisione parlamentare per cui gli
argomenti all’ordine del giorno sono in parte determinati dalle forze non maggioritarie, concretando
in questo fondamentale e pregiudiziale ambito il principio maggioritario/minoritario che anima il
metodo democratico22 .

Se questo modus procedendi è implicito nel disegno costituzionale del Parlamento italiano
come organo di democrazia rappresentativa, si può trarre la conclusione che il metodo della
programmazione costituisce la corretta attuazione di opzioni di fondo del nostro sistema
costituzionale. Trattandosi, tuttavia, di opzioni fondamentali suscettibili di molteplici forme e gradi
di attuazione, il discorso si sposta sulle fonti di attuazione e sulle soluzioni concretamente accolte.
Come si evidenzierà nel paragrafo successivo, proprio le soluzioni in tema di programmazione fatte
proprie dai regolamenti parlamentari del 1971, ed in particolare l’accoglimento del principio
unanimistico, costituisce l’esempio più evidente del possibile intreccio tra elementi strutturali di
positiva attuazione di principi costituzionali ed elementi congiunturali legati alle esigenze del
sistema politico-partitico sottostante, non sempre (e questo è sicuramente il caso) altrettanto felici.

I regolamenti del 1971 fanno dei Gruppi parlamentari i soggetti centrali della
programmazione. Si tratta di una soluzione ineccepibile (oltre che inevitabile), conforme, ancora
una volta, ai caratteri del disegno costituzionale che non casualmente richiama in più di una
disposizione i Gruppi quali soggetti dell’organizzazione interna delle Camere. I regolamenti
parlamentari traggono sul piano funzionale le conseguenze delle previsioni costituzionali
organizzative. Andare oltre e, cioè, fare del Governo un soggetto co-decidente della
programmazione, se non addirittura il protagonista di essa, avrebbe richiesto una copertura
costituzionale esplicita, limitativa del principio di autodeterminazione funzionale delle Camere. In
assenza, fino ad oggi, di una opzione di questo tipo, la possibilità del Governo di incidere sugli atti
della programmazione è affidata al raccordo con la sua maggioranza e, quindi con i Presidenti dei
Gruppi che lo sostengono presenti in Conferenza, secondo un modello che nell’esperienza concreta
può anche dare vita a problemi e frizioni ma che non può dirsi eccentrico rispetto ai caratteri della
forma di governo parlamentare.

L’ultimo elemento di vitalità dei regolamenti del 1971 che si intende evidenziare in queste
pagine è rappresentato dalla scelta – della sola Camera dei Deputati -di “codificare” l’istituto della
questione di fiducia.

Anche in questo caso, taluni elementi contingenti relativi ai passaggi del procedimento di
votazione della fiducia, suscettibili di interpretazione critica e che verranno richiamati nel paragrafo
successivo, non possono distogliere dal rilevante significato rappresentato dalla positivizzazione in
una fonte di diritto scritto dell’istituto.

20 Le positive innovazioni dei regolamenti del 1971, soprattutto in tema di lavori delle Commissioni, sono evidenziate
da V. DI CIOLO – L. CIAURRO, Il diritto parlamentare nella teoria e nella pratica, cit., 57.
21 Sugli sviluppi del dibattito relativo alle opportune innovazioni in tema di disciplina di programmazione, in vista delle
riforme dei regolamenti parlamentari della XVI legislatura (mai avvenute…), cfr. E. GRIGLIO, La “riforma impropria”
delle regole sulla programmazione dei lavori parlamentari, in AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), La
riforma dei regolamenti parlamentari al banco di prova della XVI legislatura, cit., 69 ss. .
22 Si può vedere infatti in quest’ambito (determinazione dell’ordine del giorno, in senso lato, dei lavori parlamentari)
un’applicazione di quella relazione dialettica tra principio maggioritario e principio minoritario sulla quale si reggono le
liberal-democrazie. Sull’essenzialità di tale relazione, cfr. A. D’ATENA, Lezioni di diritto costituzionale2, Torino, 2006,
48 ed ivi, ovviamente, il riferimento alla riflessione di Kelsen.



Innanzitutto, in questo modo la disciplina di un tassello centrale della forma di governo
parlamentare imposta dall’art. 94 Cost. viene sottratta all’inevitabile indeterminatezza delle fonti di
diritto non scritto, esposte a oscillazioni interpretative anche rilevanti23 .

In secondo luogo – ed è una circostanza ancora più significativa – il “momento della
scrittura” della disciplina della questione di fiducia si presenta idoneo a registrare una serie di
soluzioni, più o meno concordate tra i gruppi parlamentari, che sono in grado di rendere lo
strumento più rispondente alle aspettative ed esigenze della vita parlamentare. Se la rilevazione
dell’esistenza di una norma consuetudinaria è operata “a posteriori” dall’interprete che, nel caso del
diritto parlamentare, è il Presidente d’assemblea, gravato, nei casi dubbi, di una notevole
responsabilità non solo giuridica, la norma di diritto scritto è in grado di incorporare e registrare in
modo più preciso il punto di equilibrio tra le forze politiche24 .

L’accoglimento di soluzioni diverse tra i due rami del Parlamento e specificamente le
differenze tra la disciplina regolamentare della questione di fiducia disciplinata nel regolamento alla
Camera dei Deputati nel 1971 e quella a matrice consuetudinaria del Senato, fino al 1988,
testimoniano il carattere non meramente teorico della riflessione appena svolta e, questo, si badi,
prescindendo dalla preferibilità delle soluzioni in concreto accolte nei due rami del Parlamento.
Come dimostrano le tormentate vicende del “lodo Iotti” fino alla “riscrittura” della disposizione nel
1981, la ridefinizione in via interpretativa dei confini di una norma scritta di diritto parlamentare
con decisione del Presidente di assemblea si espone a possibili critiche più precise e puntuali, dal
punto di vista dei canoni ermeneutici più rilevanti per il giurista (e tra questi, specialmente di quello
sistematico), rispetto alle decisioni interpretative delle (più ambigue) norme a fondamento
consuetudinario, maggiormente “vischiose” e, quindi, sottoponibili con maggiore difficoltà a
critiche logico-ricostruttive.

4. Ciò che è morto dei regolamenti parlamentari del 1971: i limiti contingenti
Occorre distinguere, in questo ambito, i condizionamenti prodotti dal clima politico e
partitico sulle soluzioni accolte nei regolamenti parlamentari, (gli elementi contingenti della riforma
del 1971, secondo la distinzione sopra ricordata di Valerio Onida), con il conseguente
immiserimento della riforma e delle sue potenzialità, da alcuni limiti strutturali legati al rilevante
intervallo temporale intercorso tra il 1971 e la contemporaneità, tra la posizione del Parlamento
nella società di ieri e di oggi, nonché al diverso modo di intendere le relazioni tra i soggetti della
dialettica politica nel Parlamento.

Ci troviamo di fronte all’esigenza di distinguere, quindi, tra limiti contingenti e limiti
strutturali per i quali ultimi apparirebbe eccessivo imputare ai regolamenti del 1971 un vizio di
fattura e formulazione, trattandosi piuttosto di prendere atto del mutamento della sensibilità della
società e degli interpreti in riferimento a tutta una serie di temi.

Sul primo versante, è evidente ed è stata ampiamente sottolineata l’insostenibilità di una
declinazione del principio di programmazione fondata sul principio di unanimità delle decisioni in

23 Il percorso non sempre lineare – anzi talvolta tortuoso – di elaborazione, definizione e ridefinizione delle regole non
scritto del diritto parlamentare è fatto oggetto di interessanti riflessioni da C. BERGONZINI, La piramide rovesciata: la
gerarchia tra le fonti del diritto parlamentare, in Quad. cost., 2008, 753 ss. Sui limiti del metodo casistico nel diritto
parlamentare e sui rischi della “tirannia del precedente” che esso reca con sé, cfr. anche D. PICCIONE, Metodi
interpretativi per il parlamentarismo (per una prospettiva di evoluzione del metodo di studio nel diritto parlamentare),
in Giur. cost., 2007, 543 ss.
24 E la reciproca legittimazione tra le stesse, secondo una delle finalità principali del diritto parlamentare, come
esemplarmente evidenziato da M. MANETTI, La legittimazione del diritto parlamentare, Milano, 1990.


sede di Conferenza dei Presidenti dei Gruppi. Come ha rilevato Andrea Manzella, avere accoppiato
“una straordinaria disponibilità di strumenti istruttori (anche se non sempre ben valorizzata e
sostenuta da un apparato interno che la tratti adeguatamente)” ad una “debolissima capacità
decisionale” ha prodotto risultati micidiali per la funzionalità complessiva del sistema”25 .

Anche in un sistema politico improntato a soluzioni consensuali o, se si vuole, consociative,
l’assenza di garanzie per la decisione politica ha costituito un peso insostenibile, senza che le ipotesi
di superamento delle situazioni di stallo previste dai regolamenti parlamentari potessero
considerarsi adeguate26 . Di qui, come è noto, la successiva modificazione dei regolamenti
parlamentari in senso “maggioritario” attraverso l’abbandono del principio unanimistico27 .

Nella stessa categoria di limiti contingenti della riforma regolamentare si inseriscono quelle
interpretazioni e quelle prassi che, trascendendo i confini della “nuova” funzione conoscitiva del
Parlamento sulla quale ci siamo soffermati in precedenza, hanno determinato una vera e propria
ingerenza del Parlamento e delle sue articolazioni interne in attività di natura amministrativa. Si
tratta della “cogestione” o codecisione parlamentare realizzata attraverso le Commissioni bicamerali
ovvero attraverso un certo uso della funzione consultiva tendente ad assumere il carattere di
contrattazione tra Governo e Parlamento del contenuto di provvedimenti che, per loro natura,
dovrebbero essere ascritti alla responsabilità e, quindi, alla determinazione dell’esecutivo28 .

Infine, sempre ad un ripiegamento delle potenzialità della riforma del 1971, possono essere
ricondotte alcune infelici soluzioni in tema di formalizzazione della questione di fiducia, specie per
quanto riguarda la disciplina dell’illustrazione degli emendamenti rispetto alla votazione del testo
sul quale il Governo impegna il proprio rapporto fiduciario29; soluzioni inadeguate, ma

25 A. MANZELLA, I regolamenti parlamentari del 1971: quale riforma ?, in Città & Regione, 1980, 37.
Sulla “signoria procedurale” dei gruppi parlamentari -di ogni gruppo -nell’organizzazione e funzionamento dei lavori
derivante dalla equiparazione tra essi nelle decisioni sulla programmazione, cfr. C. FUSARO, Il rapporto di fiducia nei
regolamenti parlamentari, in AA.VV. (a cura di S. LABRIOLA), Il Parlamento repubblicano, cit. 176.
26 Si fa riferimento al rinvio, in caso di mancato accordo, da parte dell’art. 23, quinto comma, del regolamento della
Camera al primo comma dell’art. 26 secondo il quale il Presidente fissa l’ordine del giorno per i due giorni successivi,
salva la decisione ultima dell’assemblea se vi è opposizione ed alla previsione dell’art. 54, commi 5 e 6, del
regolamento del Senato che adotta una soluzione simile con riferimento ad uno “schema dei lavori” in grado di coprire
una settimana.
E’ evidente l’assenza di una reale logica programmatoria nelle soluzioni appena considerate, per l’esiguità dell’arco
temporale considerato, nonché l’”abbandono” ad una decisione “maggioritaria” sull’ ordine del giorno/schema dei
lavori, solo che vi sia opposizione alla decisione presidenziale, anch’esso contrastante con le esigenze sistematiche del
metodo della programmazione alle quali si fa riferimento nel testo. Bisogna peraltro tenere presente che la prassi del
Senato si orientò nel senso prevalente di decisioni unanimi (cfr. V. LIPPOLIS, Maggioranza, opposizione e governo nei
regolamenti e nelle prassi parlamentari dell’età repubblicana, cit., 625).
Come è noto, la decisione maggioritaria su di uno schema di lavoro per una settimana è ancora oggi resa possibile
dall’art. 54 del regolamento del Senato, mentre l’art. 23, comma 6, del regolamento della Camera affida al Presidente il
compito di predisporre il programma, nel rispetto dei criteri fissati dai commi 4 e 5 del medesimo articolo e tenendo
conto delle proposte dei Gruppi.
27 Sulle modifiche dei regolamenti parlamentari negli anni Ottanta, cfr. i contributi richiamati a nota 4 del presente
lavoro.
28 Cfr. al riguardo di tale evoluzione/involuzione dei rapporti Parlamento-Governo, le osservazioni critiche di M.
MANETTI, Il parlamento nell’amministrazione: dall’ingerenza alla co-decisione, in Quad. cost., 1991, 385 ss.
Osservazioni critiche nei confronti dello sconfinamento del Parlamento nel campo dell’amministrazione anche in V.
LIPPOLIS, Maggioranza, opposizione e governo nei regolamenti e nelle prassi parlamentari dell’età repubblicana, cit.,

629.
29 Il riferimento nel testo è all’alternativa tra una interpretazione dell’art. 116 del regolamento che consentiva
un’illustrazione dei singoli emendamenti, nonché del complesso di essi, ovvero una diversa interpretazione che
consentiva a ciascun oratore di intervenire una sola volta nel rispetto dei tempi definiti e con discussione, quindi, riferita
al complesso degli emendamenti. Su tale alternativa interpretativa, cfr. l’accurata analisi di M. OLIVETTI, La questione
di fiducia nel sistema parlamentare italiano, Milano, 1996, 243 ss.

evidentemente frutto di un equilibrio politico preciso, che, come si è accennato, richiederanno una
“correzione” interpretativa della disposizione da parte del Presidente della Camera, prima di
giungere ad una vera e propria revisione del regolamento stesso30 .

Cercando di affrontare il problema più spinoso che l’attuale esperienza della questione di
fiducia presenta, ma le cui radici vanno ricercate nella assenza di disciplina sul punto delle
disposizioni del regolamento (della Camera) del 1971, sembra di poter dire che il regolamento
parlamentare dovrebbe essere la sede nella quale cercare di affrontare ed offrire una qualche
soluzione al problema della omogeneità delle disposizioni sottoposte al voto fiduciario dell’aula ed
al rispetto della sequenza Commissione-Aula, imposto dall’art. 72 Cost. anche per queste ipotesi31 .

Ciò anche al fine di evitare che la soluzione provenga traumaticamente dall’esterno del
Parlamento, attraverso una pronuncia della Corte costituzionale sul punto che, nell’attuale
esperienza italiana, sembra inevitabile, ancorché lungamente attesa.

5. Ciò che è morto dei regolamenti parlamentari del 1971: i limiti strutturali e l’esigenza di nuovi
regolamenti
Come si è anticipato, non sempre le criticità dei regolamenti parlamentari del 1971 sono
imputabili alle soluzioni tecniche in essi accolte od a “convenzioni costituzionali” applicative che
ne hanno orientato in un verso piuttosto che in un altro le virtualità interpretative32. In più di un caso
è, infatti, il cambiamento del contesto sociale e culturale di riferimento ad avere determinato
l’obsolescenza di alcuni istituti. In particolare, non si può far certo una colpa ai regolamenti
parlamentari del 1971 – ed ai loro autori storici – di non aver intuito l’evoluzione del sistema
politico italiano verso una forma di – tormentata e non compiuta – democrazia maggioritaria.

Si pone comunque in questi casi l’esigenza di intervenire con modifiche regolamentari più o
meno ampie, idonee a sopperire a questa “inadeguatezza sopravvenuta” di soluzioni tradizionali ma
ora divenute insoddisfacenti.

Entro certi limiti, il carattere abbastanza scarno delle disposizioni costituzionali sul
Parlamento costituisce un vantaggio, consentendo ampie innovazioni, comunque “coperte” dalla
fonte suprema dell’ordinamento. Anzi, sotto questo punto di vista, non si può che apprezzare la
scelta del Costituente di porre norme-principio sul Parlamento, in grado di essere applicate, grazie
all’intermediazione dei regolamenti, ad epoche storiche tra loro notevolmente diverse33 .

30 Sulle vicende che condussero al “lodo Iotti”, cfr. S. TRAVERSA, Questione di fiducia e ostruzionismo parlamentare, in
ID., Il Parlamento nella Costituzione e nella prassi. Studi, Milano, 1989, 367 ss.; V. LIPPOLIS, Maggioranza,
opposizione e governo nei regolamenti e nelle prassi parlamentari dell’età repubblicana, cit., 628
31 Sul tema dei maxi-emendamenti e sui vulnera costituzionali che tale prassi reca con sé, cfr. E. GRIGLIO, I maxiemendamenti
del Governo in Parlamento, in Quad. cost., 2005, 807 ss.; N. LUPO, Emendamenti, maxi-emendamenti e
questione di fiducia nelle legislature del maggioritario, in AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), Le regole
del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, Roma, 2007, 41 ss.; C. BERGONZINI, La
piramide rovesciata, cit., 747 ss.; G. PICCIRILLI, L’emendamento nel processo di decisione parlamentare, Padova, 2008,
cap. VII.
32 Potendo venire in rilievo le diverse categorie di convenzioni costituzionali individuate da G.U. RESCIGNO, Le
convenzioni costituzionali, Padova, 1972.
33 E’ il caso soprattutto dell’art. 72 Cost., che consente diverse possibilità di modulazione del procedimento legislativo
in grado di soddisfare le esigenze di celerità (secondo comma) e specializzazione (terzo comma) del legislatore
contemporaneo. Occorre rilevare che fino ad oggi tali potenzialità non sono state adeguatamente sfruttate, mentre il
riferimento ai “procedimenti abbreviati” del secondo comma dell’art. 72 Cost. è stato utilizzato nel corso della XIV
Legislatura per discutibili letture in grado di stravolgere l’interpretazione sistematica dell’intera disposizione. Sulla
vicenda rinvio a E. GIANFRANCESCO, Il ruolo dei Presidenti delle Camere tra soggetti politici e arbitri imparziali, in
AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza
e opposizione, cit., 20.


Il primo dei casi ai quali si fa riferimento34 riguarda la differenziazione dei criteri di
composizione delle Commissioni, naturalmente legati alla proporzionalità tra i Gruppi ed i criteri di
composizioni di organi interni funzionalmente diversi e che quindi dovrebbero obbedire anche ad
una diversa regola strutturale, ovvero le Giunte. E, tra queste, il discorso vale a maggiore ragione
per la Giunta del regolamento con il suo ruolo potenzialmente centrale nell’opera di elaborazione
del diritto parlamentare vivente. Per essa vale in massimo grado l’esigenza di adottare una
composizione che la sottragga (e sottragga le Giunte in genere) alla dialettica maggioranza-
minoranza – che in questo tipo di sede non può operare – prescegliendo una composizione bipartisan,
del tipo di quella oggi prevista per il Comitato della legislazione della Camera dei
Deputati.

E’ ancora il caso della auspicabile “emersione” nei regolamenti parlamentari di forme di
considerazione e valorizzazione della figura dell’Opposizione, intesa non come sostitutiva dei
Gruppi parlamentari di minoranza, ma collocata su un piano diverso ed integrativo di almeno alcuni
di essi35 .

Spostandosi verso i confini tra lo spazio della riforma regolamentare e quello della
necessaria revisione costituzionale, si può menzionare l’esigenza di sottoporre a ripensamento
critico la concezione meramente autoreferenziale degli istituti di garanzia dell’autonomia delle
Camere presenti negli articoli 66 e 68 Cost, nonché dell’autodichia, legati ad un modello di
Parlamento “difensivo” nei confronti degli altri poteri dello Stato che, al di là delle asprezze
contingenti della cronaca italiana, nella sua configurazione attuale alla lunga non potrà reggere36 .

Se il ripensamento radicale di tali istituti richiede l’intervento sulle norme costituzionali che
ne costituiscono l’attuale fondamento, a “costituzione vigente” e con innovazioni regolamentari si
può pensare a forme di attenuazione dell’autoreferenzialità parlamentare, introducendo nel
procedimento decisionale pareri esterni i quali, ancorché non vincolanti, “pesino” politicamente ed
in un eventuale conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale.

Infine, dal punto di vista della funzionalità della “decisione” parlamentare, si pone il
problema dell’accrescimento del peso del Governo nella decisione sulla programmazione dei lavori
parlamentari, ovvero di un “potere di decisione” su di una quota del programma e del calendario
assunto in nome proprio e non già attraverso l’intermediazione necessaria e potenzialmente non
coincidente dei Gruppi di maggioranza, secondo un’opzione di rafforzamento della posizione del
Governo in Parlamento che non pare incompatibile con i principi della forma di governo
parlamentare.

Le innovazioni appena auspicate incidono su profili organizzativi e funzionali vitali dei
regolamenti parlamentari: incidere sulle Giunte, per ciò che sono e ciò che fanno, sui Gruppi e sulla
programmazione dei lavori significa mutare la fisionomia di fondo degli atti di auto-organizzazione

34 L’elencazione che segue riprende quanto già sostenuto dallo scrivente in E. GIANFRANCESCO, La riforma dei
regolamenti parlamentari all’intersezione tra forma di stato e forma di governo, in AA.VV. (a cura di E.
GIANFRANCESCO – N. LUPO), La riforma dei regolamenti parlamentari al banco di prova della XVI legislatura, cit., 238
ss.
35 Sul tema, per soluzioni anche più radicali di quelle sostenute nel presente lavoro, cfr. M. RUBECHI, Dai partiti ai
gruppi: le proposte di modificazione dei regolamenti parlamentari, in AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N.
LUPO), La riforma dei regolamenti parlamentari al banco di prova della XVI legislatura, cit, 31 ss. Il problema delle
forme di istituzionalizzazione dell’Opposizione è affrontato, nel medesimo volume, anche da G. PERNICIARO,
L’istituzionalizzazione del ruolo dell’opposizione: profili organizzativi, 95 ss.
36 Sulle non esaltanti vicende delle prerogative di cui all’art. 68 Cost., cfr. ora il riepilogo di V. LIPPOLIS, Le immunità
dei parlamentari in Italia, in Rass. parl., 2010, che sostiene il ritorno alla disciplina originaria della Costituzione e,
quindi, all’istituto dell’autorizzazione a procedere. E’ da chiedersi se, calata nell’attualità concreta, tale soluzione non
finirebbe per incrementare – e non ridurre – il contenzioso costituzionale in materia.



delle assemblee parlamentari. Di qui, la sensatezza della constatazione che sia venuto il tempo di
procedere ad una nuova “codificazione” generale del diritto parlamentare.

Non sembri in contrasto con quanto sostenuto nella prima parte di questo lavoro l’auspicio
dell’adozione di nuovi regolamenti parlamentari. Non si tratta affatto di cedere ad una illusione
palingenetica che solchi una linea di cesura netta con il passato, quanto di permettere agli elementi
vitali della riforma del 1971 di continuare ad operare in un contesto sistematico adeguato ed
organico37 .

Tra l’altro, l’adozione di nuovi regolamenti parlamentari finirebbe per essere l’occasione per
porsi in termini più stringenti e seri una questione fondamentale che in qualche occasione è emersa
in questo scritto e che qui si accenna semplicemente: quanta parte, cioè, della disciplina
organizzativa e funzionale del Parlamento deve (continuare ad) essere affidata allo strumento
(duttile) del regolamento parlamentare e quanta deve essere trasferita alla (più rigida) sede delle
norme di rango costituzionale38 .

Si tratta di questioni che dopo l’infelice esperienza della XVI legislatura -che sta
completamente deludendo le attese -sono destinate a riproporsi e che si spera presto trovino
adeguata risposta, nell’interesse della stessa istituzione parlamentare, oltre che della “qualità” della
liberal-democrazia italiana.

37 In questo senso, cfr. le considerazioni di L. CIAURRO, Verso una nuova codificazione delle regole parlamentari, in
AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), La riforma dei regolamenti parlamentari al banco di prova della
XVI legislatura, cit., 223 ss.
38 Insiste sulla necessità di una riflessione su questo punto e sulla opportunità di una “costituzionalizzazione” di “pezzi”
del diritto parlamentare classico, sul modello di quanto operato con la Costituzione francese del 1958, cfr. A.
MANZELLA, Introduzione, in AA.VV. (a cura di E. GIANFRANCESCO – N. LUPO), La riforma dei regolamenti
parlamentari al banco di prova della XVI legislatura, cit., 26.



 

 

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