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Il condominio deve risarcire anche il danno non patrimoniale subito da un condomino a causa di infiltrazioni d'acqua piovana-Tribunale di Firenze, Sentenza del 21/01/2011, n. 147-Condominio.web

 

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Oltre i danni materiali il condominio deve risarcire anche il danno non patrimoniale. Lo ha stabilito il Tribunale di Firenze che nella specie, ha condannato un condominio a risarcire i danni non patrimoniali alla proprietaria di un immobile che per ben 5 anni aveva subito infiltrazioni d'acqua piovana a causa del mancato rifacimento del tetto.

 

Nella sentenza si legge:

 

Ricade, infatti, indubbiamente sul Condominio il dovere di custodia delle parti comuni dell’edificio - quale certamente è il tetto ai sensi dell’art. 1117 c.c. e, conseguentemente, la responsabilità derivante dall’omessa custodia e manutenzione di tali parti comuni.

 

Nel caso di specie la provenienza delle infiltrazioni da una parte comune dell’edificio è indiscutibile ed è stata del resto espressamente riconosciuta dal Condominio sia nelle varie assemblee sia nella propria comparsa di costituzione, oltre che testimoniata da diversi soggetti sentiti nel corso del giudizio. Infine il CTU ***. ha chiaramente individuato la causa delle infiltrazioni sottolineando l’omissione nel ripristino in capo al Condominio. Si legge, infatti, nella relazione peritale (v. pag. 5) che “.. i danni alla proprietà della parte attrice (..) sono stati provocati da infiltrazioni e stillicidi di acqua piovana, infiltratasi sotto il manto di copertura durante gli anni (..) L’acqua, ripetutamente, ha bagnato porzioni di soffitto e di pareti, i pavimenti, talvolta allagandoli in parte o del tutto, parti della mobilia, numerosi oggetti di arredo, costringendo gli occupanti, quanto meno, a lavoro domestico straordinario, senza considerare il disagio, la frustrazione ed il relativo danno immateriale…”.

 

Sotto il profilo soggettivo la condotta tenuta - per lungo, troppo tempo - dal Condominio convenuto appare alquanto inspiegabile e comunque gravemente colposa, dal momento che esso era certamente edotto e consapevole della stretta necessità di provvedere ai lavori in questione, nonché del fatto che la loro mancata esecuzione era fonte di continui danni per l’attrice: tale situazione era stata non solo rappresentata dalla S. sia in sede di assemblea condominiale sia mediante esibizione di documentazione fotografica e produzione di perizie tecniche, ma anche attestata dai tecnici incaricati dallo stesso Condominio.

 

Non sussiste al riguardo alcuna responsabilità dell’attrice - neanche a titolo di concorso - nella vicenda ‘de qua’, essendosi la stessa attivata sin dalla prima infiltrazione per risolvere bonariamente il problema.

 

Prive di fondamento, oltre che tardive, le deduzioni formulate da parte convenuta all’udienza del 22.3.2006. Indimostrata è infatti la circostanza che le infiltrazioni di acqua piovana dal tetto sovrastante la proprietà dell’attrice sarebbero state con - causate dalla ristrutturazione effettuata dalla stessa e, in particolare, dall’apertura (regolarmente autorizzata) di un lucernaio: l’inesistenza di un qualsiasi nesso causale tra le infiltrazioni piovane ed i lavori di ristrutturazione dell’immobile in questione è stata esclusa in radice da tutti i tecnici che su incarico del Condominio avevano relazionato sulle condizioni del tetto (v. per tutte la relazione dell’ing. ***, perito del Condominio, nella quale si dà atto che “le infiltrazioni dalla copertura nell’appartamento dei sig.ri S. sono senz’altro di natura vecchia e si sono accentuate nel tempo, né per la loro natura possono essere state causate dalle opere di ristrutturazione eseguite nell’appartamento”). Di più, il geom. ***, direttore dei lavori di ristrutturazione commissionati dalla S., ha confermato la presenza di macchie di umidità sul cartongesso prima ancora che detti lavori fossero iniziati. Infine, il CTU ha escluso la circostanza in esame, rilevando che le infiltrazioni si sono verificate in tutti i locali dell’appartamento (quindi non solo dove è stata poi installata la finestra velux) e che il trafilamento primario di acqua è presumibilmente avvenuto da varie interruzioni della continuità del manto (v. pag 5 relazione CTU).

 

Per tutte le ragioni esposte emerge la chiara responsabilità del Condominio il quale va condannato a risarcire i danni cagionati all’attrice.

 

Per quanto concerne i danni materiali, che consistono nei pregiudizi subiti a causa delle infiltrazioni dall’immobile di proprietà dell’attrice nei suoi elementi strutturali e negli arredi ed accessori ivi contenuti, gli stessi sono stati individuati dal CTU che ha li ha quantificati nell’ importo di € 5.880,00=. A tale quantificazione hanno aderito entrambe le parti in causa.

 

Controversa è invece la questione del risarcimento dei danni non patrimoniali, indicati e quantificati in atto di citazione rispettivamente in € 25.000,00= per ‘danno biologico’, in € 12.500,00= per ‘danno esistenziale ed alla vita di relazione’ ed in € 15.000,00= per ‘danno morale’.

 

La stessa parte attrice riconosce in comparsa conclusionale che tale differenziazione di voci deve oggi essere necessariamente rivista alla luce della basilare sentenza n. 26972 del 15.11.2008 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la quale la S.C., abbandonando ogni distinzione del danno non patrimoniale in sottocategorie, ha chiarito che detto danno non è suscettibile di suddivisione in sottocategorie, nel senso che il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno biologico, danno morale, ecc.), risponde solo ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.

 

Vale la pena rimarcare che la suddetta sentenza della S.C. ha, fra gli altri, enunciato i principî che seguono.

 

1) E’ compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.

 

2) Quanto all’individuazione della normativa che prevede la tutela del danno non patrimoniale, viene in prima linea l’art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato. Altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali (L. n. 117 del 1998, art. 2: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall’esercizio di funzioni giudiziarie; L. n. 675 del 1996, art. 29, comma 9: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44, comma 7: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; L. n. 89 del 2001, art. 2: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo). Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

 

Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell’ambito dell’art. 2059 c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dal D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, specifica definizione normativa.

 

La parte danneggiata da un comportamento illecito che oggettivamente presenti gli estremi del reato ha diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c., i quali debbono essere liquidati in unica somma, da determinarsi tenendo conto di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale assume nel caso concreto (sofferenze fisiche e psichiche; danno alla salute, alla vita di relazione, ai rapporti affettivi e familiari, ecc.).

 

3) Sul piano della struttura dell’illecito il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perchè tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona.

 

La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell’ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno; selezione che avviene a livello normativo negli specifici casi determinati dalla legge, ovvero in via di interpretazione da parte del giudice chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria.

 

4) In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili, ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento secondo il criterio dell’ingiustizia ex art. 2043 c.c., poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell’interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato.

 

Negli altri casi determinati dalla legge la selezione degli interessi è già compiuta dal legislatore, ma non può ritenersi precluso al legislatore ampliare il catalogo dei casi determinati dalla legge ordinaria prevedendo la tutela risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi inerenti la persona non aventi il rango costituzionale di diritti inviolabili, privilegiandone taluno rispetto agli altri (Corte Cost.n. 87/1979).

 

5) In relazione ai diritti predicati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955, quale risulta dai vari Protocolli susseguitisi, non spetta il rango di diritti costituzionalmente protetti, poiché la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell’art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, né può essere parificata, a tali fini, all’efficacia del diritto comunitario nell’ordinamento

 

6) Quanto alla tutela risarcitoria del c.d. danno esistenziale, a tale voce di danno era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone, dalla rottura del tacco di una scarpa da sposa all’errato taglio di capelli, dall’attesa stressante in aeroporto al mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico….. ), in tal modo risarcendosi pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall’individuazione dell’interesse leso, e quindi del requisito dell’ingiustizia.

 

Dopo che le sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 hanno fissato il principio, condiviso dalla sentenza in esame, secondo cui, in virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., unica norma disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, la tutela risarcitoria di questo danno è data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e cioè in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere.

 

7) La tutela risarcitoria va riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall’ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali (come la già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata con la L. n. 88 del 1955), cioè purché sussista il requisito dell’ingiustizia generica secondo l’art. 2043 c.c.. La previsione della tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell’interesse leso.

 

In assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona. In questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all’esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di danno.

 

Altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti nell’ambito del danno biologico (comprensivo, secondo giurisprudenza ormai consolidata, sia del c.d. “danno estetico” che del c.d. “danno alla vita di relazione”), saranno risarcibili purché siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità psicofisica. Il pregiudizio di tipo esistenziale è quindi risarcibile solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria.

 

8) Palesemente non meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità.

 

Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici.

 

9) Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza.

 

Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.).

 

Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.

 

10) Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo e può costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.

 

Orbene, posto che nella specie il danno non patrimoniale va liquidato in maniera unitaria e che il riferimento a determinati tipi di pregiudizio in vario modo denominati (danno biologico, danno morale, ecc) risponde solo ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno, va precisato che nessun pregiudizio va riconosciuto sotto il profilo del diritto alla salute (c.d. danno biologico), in quanto non ha l’attrice offerto alcuna prova di un qualche pregiudizio alla propria integrità psicofisica: nessun dato al riguardo è emerso dalla espletata priva testimoniale.

 

Non sono del pari risarcibili, alla luce dei principî sopra esposti, i meri disagi - di cui parlano i testi B. e Z. - consistenti, sotto il profilo di ‘danno alla vita di relazione’, nell’aver qualche volta rifiutato la Salvatori inviti a cena o al cinema perché costretta a restare a casa per verificare l’andamento delle infiltrazioni.

 

Va invece riconosciuta la risarcibiilità del danno non patrimoniale per la violazione del diritto di proprietà, rientrante nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona (secondo l’interpretazione fornita in diverse pronunce dalla Corte europea di Strasburgo ed in considerazione dei rapporti delineati dalla nostra Corte costituzionale, nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, tra ordinamento interno e diritto sovranazionale).

 

Invero, posto che << la risarcibilità del danno non patrimoniale è ammessa, oltre che nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, nei casi in cui il fatto illecito altrui vulneri diritti inviolabili della persona costituzionalmente protetti >> (Cassazione civile, sez. III, 01/06/2010, n. 13431) e che << ..la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana.>> (Cass. SS.UU n. 26972/08 cit.), deve nella specie ritenersi configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del diritto di proprietà, posto che la lesione di tale diritto non può non considerarsi ingiusta.

 

Pur non costituendo una prerogativa assoluta, tale diritto viene di fatto tutelato alla stregua di un diritto fondamentale e costituzionalmente garantito, le cui restrizioni devono soggiacere al giusto equilibrio tra interesse generale e interesse privato.

 

Non è dubbio infatti che nella specie la lesione del diritto di proprietà dell’attrice abbia ecceduto una apprezzabile e consistente soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che pur impone un grado minimo di tolleranza.

 

Anche se occorre adoperare il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno al fine di attuare il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso il soggetto danneggiato e quello di tolleranza, con la conseguenza che il pregiudizio non sia futile e quindi il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.), ritiene il giudicante che entrambi i requisiti sussistono nella fattispecie secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale nel determinato momento storico.

 

Non può dubitarsi infatti che la ripetuta presenza di infiltrazioni nel corso di cinque anni consecutivi ha chiaramente limitato ed intralciato fortemente il diritto dell’attrice nel godimento del diritto di proprietà sulla propria abitazione. Basta visionare le fotografie agli atti (v. docc. 1 e 2 allegati al ricorso ex art. 700 c.p.c. e doc. 23) per rendersi conto di ciò che, per cinque lunghi anni si verificava all’interno dell’abitazione dell’attrice nei giorni di pioggia, con la cucina rimasta per lungo tempo sprovvista di un pannello di copertura poiché quello originario, rigonfio a causa dell’acqua, era stato necessariamente rimosso per misure anche di sicurezza.

 

E’ palese, quindi, la limitazione avvenuta nel caso in esame al diritto di proprietà dell’attrice, definito dall’art. 832 c.c. come diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo e costituzionalmente tutelato (art. 42 della Costituzione). La sua limitazione, anche ai sensi della recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sopra citata è quindi fonte di danno risarcibile.

 

E’ innegabile poi che l’abitare in un appartamento interessato da infiltrazioni d’acqua frequenti e protrattesi per lunghissimo tempo (5 anni) senza che le richieste di “intervento” vengano considerate in alcun modo, abbia causato nell’attrice uno stato di stress e di frustrazione rilevanti sotto il profilo del ‘danno morale’.

 

Affermata quindi la sussistenza del dedotto danno non patrimoniale nei limiti di cui si è detto, in ordine alla quantificazione dello stesso parte attrice si è rimessa al prudente apprezzamento del giudice chiedendo la liquidazione secondo equità, criterio ordinariamente previsto dalla giurisprudenza per la liquidazione del danno non patrimoniale (v. per tutte Cass. Civ., sez. II, 24 maggio 2010, n. 12613).

 

Tenuto pertanto conto, in diritto, che la categoria dei pregiudizi non patrimoniali va intesa come omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile individuare, se non con funzione meramente descrittiva, ulteriori sottocategorie, senza che sia diano luogo a duplicazioni e parcellizzazione delle varie forme di danno non patrimoniale (v. Cassazione civile, sez. III, 01/06/2010, n. 13431) e, in fatto, che va tenuta nella dovuta considerazione il contegno tenuto dal condominio c.p.r. riguardo alla durata (oltre 5 anni) della consapevole volontaria omissione all’esecuzione - necessaria a giudizi dei tecnici del stessa parte convenuta - dei lavori di cui trattasi, va il Condomino condannato al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dalla S. nell’ unica, comprensiva somma che si determina - in via equitativa e sulla base dei parametri medi della CEDU di € 1.000,00 - 1.500,00= per anno - in € 12.000,00= con riferimento - per omogeneità di valutazione - alla data degli accertamenti peritali.

 

In definitiva, il Condominio convenuto va dichiarato responsabile dei danni sopra indicati e per l’effetto condannato a pagare all’attrice, a tal titolo, la complessiva somma di € 17.580,00=, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal 1° giugno 2010 (mese successivo al deposito della relazione peritale).

 

 

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