Sommario
A |
L’Usufrutto
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Pag. 2 |
1 |
Generalità e contenuto
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Pag. 2 |
2 |
La natura giuridica
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Pag. 7 |
3 |
L’oggetto
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Pag. 8 |
4 |
Costituzione del diritto di usufrutto
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Pag. 18 |
5 |
La contitolarità dell’usufrutto
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Pag. 26 |
6 |
Diritti ed obblighi dell’usufruttuario
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Pag. 37 |
7 |
Estinzione dell’usufrutto
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Pag. 51 |
8 |
Questioni processuali |
Pag. 56
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B) |
L’Uso |
Pag. 62
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C) |
L’Abitazione |
Pag. 64
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1 |
La riserva in favore del coniuge
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Pag. 66 |
1) Generalità e contenuto
art. 981 c.c.
contenuto
del diritto di usufrutto:
l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma
deve rispettarne la destinazione economica.
L'usufrutto è un
diritto reale minore
regolato dagli articoli 978 e seguenti del codice
civile, consistente nella facoltà di godimento di un
bene uti dominus (utilizzandolo per il proprio
vantaggio, potendo percepirne anche i frutti), limitata
solo dal non poterne trasferire la proprietà principale
ed al rispetto della destinazione economica impressavi
dal proprietario.
Egli può trarre dalla
cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti
stabiliti in questo capo.
L’istituto
ha origine romanistica e la sua definizione già si trova
in Paolo:
”usufrucutus
est ius alienis rebus utendi fruendi, salva rerum
substantiam”.
Funzione
Essa
consiste nel permettere la separazione temporanea del
godimento della proprietà rispetto ad uno stesso bene,
ossia nel rendere possibile che un soggetto diverso dal
proprietario tragga per un certo tempo dal bene altrui
alcune delle utilità spettanti al proprietario.
In altri
termini, l’istituto permette di frazionare nel tempo
l’utilizzabilità del bene, problema che in altri
ordinamenti di commow law viene, invece, risolto
attraverso altri istituti come la proprietà vitalizi a
la proprietà a termine.
L'investimento immobiliare in nuda proprietà
Venuto alla ribalta negli anni '80, è una
formula di investimento medio-lungo tempo molto
efficace.
Il proprietario si spoglia della nuda
proprietà per assicurarsi un introito, mantenendo la
possibilità di continuare a godere l'abitazione.
Di contro l’altro soggetto acquista la
nuda proprietà per concludere un buon investimento
immobiliare, logicamente, con un esborso inferiore
rispetto a quello per l’acquisto completo.
Sono queste le due medaglie contrapposte
della stessa operazione.
L'operazione può quindi diventare un buon
punto di incontro tra le esigenze di un investitore a
medio-lungo termine e, per esempio, le persone di una
certa età che possono, in tal modo, assicurarsi una
certa somma di denaro per il resto della vita pur senza
privarsi del godimento dell'immobile in cui vivono.
E ciò anche considerando che il pagamento
del prezzo può essere concordato nella concessione di
una rendita.
Il venditore, come detto di solito è un
anziano, senza persone care da beneficiare, che ha
voglia o bisogno di ricevere una determinata somma senza
dover rinunciare alla sua abitazione.
Chi compra, godrà un consistente sconto
sul prezzo reale della casa e pagherà le imposte
sull'acquisto solo in proporzione al valore della nuda
proprietà acquistata.
L'acquisto è talvolta motivato da
altruismo ed in previsione futura, senza considerare
anche una sorta di aleatorietà: si vogliono
avvantaggiare eventualmente i figli, ora ancora piccoli
o comunque adolescenti, ma che in futuro, quando se ne
andranno di casa, potranno trovarsi un'abitazione.
Mentre il valore della nuda proprietà ai
fini fiscali è rigidamente stabilito dalla legge a
seconda dell'età dell'usufruttuario, l'entità dello
sconto ottenibile sul prezzo di libero mercato cambia
tenendo conto anche di altre variabili.
Per esempio, l'usufrutto di un'anziana
vale di più di quello di un uomo, perché le statistiche
ci avvertono che le donne vivono più a lungo.
Quindi lo sconto sarà minore.
Contano poi le condizioni di salute:
quanto più la persona che gode dell'usufrutto è malata,
tanto più il prezzo cresce.
Insomma, l'investimento in nuda proprietà
va gestito con delicatezza, perché ha un lato spiacevole
e nefasto (la convenienza nella morte di qualcuno) ed è
qui che si determina l’aleatorietà di cui in precedenza.
Talvolta si preferisce lasciare
all'anziano non l'usufrutto, ma il semplice "diritto di
abitazione".
Questo perché se l’usufruttuario
decidesse di affittare la casa il contratto sarebbe
valido e impegnativo, fino a scadenza, per il nudo
proprietario, anche se nel frattempo l’usufruttuario
fosse passato a miglior vita
La scissione
tra godimento e proprietà non può, però, essere perpetua
(art. 979 c.c.), perché tale situazione ostacolerebbe
gravemente lo sfruttamento razionale dei beni e la loro
commerciabilità, provocando conseguenze anti –
economiche.
Il contenuto
A differenza
del precedente codice civile, quello vigente non dà una
definizione di usufrutto, ma ne enuncia il contenuto ed
i limiti che concorrono ad enuclearne e a precisarne la
natura giuridica.
Bisogna, pertanto esaminare:
A)
il
potere di godimento
–
questo
potere è paragonabile a quello del proprietario.
Ma il
potere di godere dell’usufruttuario cade sulla cosa
altrui e pertanto si esaurisce laddove diviene
incompatibile con le esigenze di conservazione della
cosa stessa e di riviviscenza dell’analogo potere del
proprietario.
L’usufruttuario ha, quindi, dei limiti intrinseci e
congeniali che costringono il godimento della cosa verso
direzioni obbligate e lo circoscrivono nel tempo.
B)
il
rispetto della destinazione economica –
non
può intendersi come uno dei tanti obblighi connessi con
l’esercizio del diritto ma costituisce la
caratteristica principale dell’istituto in esame,
che assolve, appunto, alla funzione di circoscrivere il
potere del suo titolare, virtualmente illimitato, come
in ogni diritto reale di godimento in un ambito ben
preciso.
Occorre stabilire come debba intendersi la destinazione
economica:
1)
se in
senso oggettivo
(il quale viene rifiutato dalla dottrina, perché troppo
generico e tale da eludere lo scopo principale del
limite in questione che è quello di riservare al nudo
proprietario e ai suoi eredi la cosa nello stesso stato
in cui si trovava al momento della costituzione
dell’usufrutto), cioè con riguardo alla funzione a cui
la cosa è oggettivamente idonea secondo i criteri della
comune vita sociale,
2)
ovvero
in senso soggettivo
(preferibile
– ma inteso con una certa elasticità, poiché
l’usufruttuario può migliorare la capacità produttiva
della cosa, incrementando l’utilità e il valore, può
apportare addizioni o modificazioni), cioè considerando
la funzione cui la cosa era adibita in precedenza dal
proprietario pieno.
In
altri termini il criterio soggettivo è da intendersi nel
senso che l’usufruttuario deve rispettare la
destinazione economica attribuita alla cosa prima della
nascita dell’usufrutto o impressa dal costituente
all’atto della costituzione, purché durante l’usufrutto
il nudo proprietario non consenta una destinazione
diversa.
In merito
con una nota sentenza il consiglio di Stato
ha affermato che ogni questione attinente alla modifica
in via permanente del bene oggetto dell' usufrutto e
della sua destinazione economia deve essere proposta nei
confronti del nudo proprietario.
C)
durata
–
art. 979 c.c.
durata: la durata dell’usufrutto non può
eccedere la vita dell’usufruttuario (678, 698, 796, 853,
1014).
L’usufrutto costituito a favore di una persona giuridica
non può durare più di trenta anni (999, 1014).
Inoltre, la
morte dell’usufruttuario estingue l’usufrutto anche se
esso fu costituito con un termine finale che viene a
scadere dopo tale evento, così come la morte
dell’originario usufruttuario estingue anche ove questo
sia stato ceduto a terzi.
D)
altri
limiti
si
ritrovano quando oggetto del diritto in questione siano
alcuni particolari beni
art. 987 c.c.
miniere, cave e torbiere: l’usufruttuario gode
delle cave e torbiere (826) già aperte e in esercizio
all’inizio dell’usufrutto. Non ha facoltà di aprirne
altre senza il consenso del proprietario.
Per le
ricerche e le coltivazioni minerarie, di cui abbia
ottenuto il permesso, l’usufruttuario deve indennizzare
il proprietario dei danni che saranno accertati alla
fine dell’usufrutto.
Se il
permesso è stato ottenuto dal proprietario o da un
terzo, questi devono al: l’usufruttuario un’indennità
corrispondente al diminuito godimento del fondo durante
l’usufrutto.
art. 988 c.c.
tesoro:
il diritto dell’usufruttuario non si estende al
tesoro che si scopra durante l’usufrutto, salve le
ragioni che gli possono competere come ritrovatore
(932).
art. 989 c.c.
boschi, filari e alberi sparsi di alto fusto:
se nell’usufrutto sono compresi boschi o filari cedui
ovvero boschi o filari di alto fusto destinati alla
produzione di legna, l’usufruttuario può procedere ai
tagli ordinari, curando il mantenimento dell’originaria
consistenza dei boschi o dei filari e provvedendo, se
occorre, alla loro ricostituzione.
Circa il modo, l’estensione, l’ordine e l’epoca dei
tagli, l’usufruttuario è tenuto a uniformarsi, oltre che
alle leggi e ai regolamenti forestali, alla pratica
costante della regione.
Le
stesse regole si applicano agli alberi di alto fusto
sparsi per la campagna, destinati ad essere tagliati.
art. 990 c.c.
alberi di alto fusto divelti, spezzati o periti: gli alberi di alto fusto divelti, spezzati o periti per
accidente spettano al proprietario. L’usufruttuario
può servirsi di essi soltanto per le riparazioni che
sono a suo carico.
art. 991 c.c.
alberi fruttiferi:
gli alberi fruttiferi che periscono e quelli divelti o
spezzati per accidente appartengono all’usufruttuario,
ma questi ha l’obbligo di sostituirne altri.
art. 992 c.c.
pali per vigne e per altre coltivazioni: l’usufruttuario può prendere nei boschi i pali occorrenti
per le vigne e per le altre coltivazioni che ne
abbisognano, osservando sempre la pratica costante
della regione.
art. 993 c.c.
semenzai:
l’usufruttuario può servirsi dei piantoni dei semenzai,
ma deve osservare la pratica costante della regione
per il tempo e il modo della estrazione e per la rimessa
dei virgulti.
art. 994 c.c.
perimento delle mandrie o dei greggi: se l’usufrutto e stabilito sopra una mandria o un gregge,
l’usufruttuario e tenuto a surrogare gli animali periti,
fino alla concorrente quantità dei nati, dopo che la
mandria o il gregge ha cominciato ad essere mancante del
numero primitivo.
Se la
mandria o il gregge perisce interamente per causa non
imputabile all’usufruttuario, questi non è obbligato
verso il proprietario che a rendere conto delle pelli o
del loro valore.
art. 996 c.c.
cose
deteriorabili:
se l’usufrutto comprende cose che, senza consumarsi in
un tratto, si deteriorano a poco a poco, l’usufruttuario
ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono
destinate, e alla fine dell’usufrutto e soltanto tenuto
a restituirle nello stato in cui si trovano.
art. 997 c.c.
impianti,
opifici e macchinari:
se l’usufrutto comprende impianti, opifici o macchinari
che hanno una destinazione produttiva, l’usufruttuario è
tenuto a riparare e a sostituire durante l’usufrutto le
parti che si logorano, in modo da assicurare il regolare
funzionamento delle cose suddette. Se l’usufruttuario ha
sopportato spese che eccedono quelle delle ordinarie
riparazioni (1004), il proprietario, al termine
dell’usufrutto, è tenuto a corrispondergli una congrua
indennità (2651).
A)
E’
un diritto reale
–
Vale erga omnes
e impone a chiunque l’obbligo, sempre negativo, di
rispettarne l’esercizio. Si ritrovano, infatti,
nell’usufrutto, tutte le caratteristiche tipiche dei
diritti reali, ossia l’immediatezza, l’esclusività e il
diritto di sequela.
B)
E’
un diritto di godimento a contenuto generale
–
Mentre al titolare degli altri
diritti reali su cosa altrui competono specifiche e
tassative facoltà (ad esempio, nella superficie, quella
di costruirsi sul suolo altrui), all’usufruttuario
spetta ogni facoltà di godimento della cosa, salvo
quelle escluse dal titolo costitutivo del diritto.
Non bisogna, tuttavia, dimenticare
che l’ampiezza del diritto di usufrutto è comunque,
limitata dalla natura del diritto stesso, vale a dire,
dal rispetto della destinazione economica, dalla sua
essenziale temporaneità, ecc.
C)
E’
un diritto su cosa altrui
(natura
non condivisa dalla dottrina prevalente) –
Secondo alcuni
il diritto d’usufrutto è una proprietà temporanea,
limitata da un fascio di obbligazioni propter rem.
La tesi è stata
criticata dalla dottrina prevalente
la quale ha osservato che, a parte dubbi di sussistenza,
nel nostro ordinamento, dell’istituto della proprietà
temporanea e della possibilità di coesistenza di due
proprietà sullo stesso bene, la stessa esistenza dei
descritti limiti intrinseci del diritto d’usufrutto, ne
fanno un istituto di natura diversa.
Ove si
tratti di beni immobili ed in mancanza di una diversa
previsione contenuta nel titolo costitutivo, l’usufrutto
si estenderà anche al suolo, nonché ad ogni accessorio
ed ogni pertinenza del bene stesso; lo stesso discorso
vale per le accessioni, ossia per tutti gli incrementi
dovuti ad alluvione, avulsione, costruzione, etc.
La natura
mobiliare o immobiliare del bene oggetto di usufrutto
non incide, in linea di massima, sulla disciplina
specifica caratteristica dell’usufrutto, ma rileva
quanto alla forma e alla trascrizione del negozio
costitutivo (ove trattasi di costituzione volontaria,
art. 1350 n. 2 e 2643 n. 2; ovvero quanto al momento
dell’acquisto, ove trattasi di costituzione non
volontaria; artt. 1153, 1158, 1159, 1161 c.c.).
L’ usufrutto Legale
art. 324 c.c.
usufrutto
legale: i genitori esercenti la potestà hanno in
comune l’usufrutto dei beni del figlio.
I frutti
percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia
e all’istruzione ed educazione dei figli.
Non sono
soggetti ad usufrutto legale:
l)
i beni acquistati dal figlio con i proventi del proprio
lavoro;
2)
i beni lasciati o donati (587, 769) al figlio per
intraprendere una carriera, un’arte o una professione;
3)
i beni lasciati o donati con la condizione che i
genitori esercenti la potestà o uno di essi non ne
abbiano l’usufrutto: la condizione però non ha effetto
per i beni spettanti al figlio a titolo di legittima
(537)
4)
i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o
donazione e accettati nell’interesse del figlio contro
la volontà dei genitori esercenti la potestà. Se uno
solo di essi era favorevole all’accettazione,
l’usufrutto legale spetta esclusivamente a lui.
Il diritto spetta anche
ai genitori legittimi, ai genitori naturali, quando vi
sia stato il riconoscimento, non ai genitori adottivi e
parimenti alla famigli di fatto rimane escluso.
Il fondamento di tale
diritto va ravvisato nella necessità di garantire il
libero esercizio dei poteri inerenti alla potestà dei
genitori e nel contempo la solidarietà degli interessi
familiari, realizzando un contributo del figlio
nell’interesse complessivo della famiglia.
Tutto ciò spiega
l’indisponibilità del diritto sancita dall’art. 326
c.c., unitamente al divieto di assoggettarlo a pegno,
ipoteca o ad esecuzione forzata.
Alle ipotesi di
esclusioni previste dall’art. 324, si deve aggiungere
quella prevista nell’art. 465 c.c.,
secondo cui il genitore escluso per indegnità da una
successione non ha l’usufrutto legale sui beni della
medesima, che siano devoluti ai suoi figli per
rappresentazione o per espressa volontà del testatore.
Analogamente, è escluso
l’usufrutto legale per i beni lasciati ai figli
nascituri, essendo l’acquisto di costoro subordinato
all’evento nascita.
L’ipotesi di rimozione
di uno o entrambi i coniugi dall’amministrazione dei
beni del figlio, comporta la privazione, in tutto o in
parte, dell’usufrutto legale.
art. 326 c.c.
inalienabilità dell’usufrutto legale.
Esecuzione sui frutti: l’usufrutto legale non può
essere oggetto di alienazione, di pegno o di ipoteca né
di esecuzione da parte dei creditori.
L’esecuzione sui
frutti dei beni del figlio da parte dei creditori dei
genitori o di quello di essi che ne è titolare esclusivo
non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva
essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni
della famiglia.
art. 325 c.c.
obblighi
inerenti all’usufrutto legale:
gravano sull’usufrutto legale gli obblighi propri
dell’usufruttuario (1001).
art. 327 c.c.
usufrutto
legale di uno solo dei genitori:
il genitore che esercita in modo esclusivo la potestà è
il solo titolare dell’usufrutto legale.
art. 328 c.c.
nuove nozze:
il
genitore che passa a nuove nozze conserva l’usufrutto
legale, con l’obbligo tuttavia di accantonare in favore
del figlio quanto risulti eccedente rispetto alle spese
per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione di
quest’ultimo.
art. 329 c.c.
godimento
dei beni dopo la cessazione dell’usufrutto legale:
cessato l’usufrutto legale, se il genitore ha continuato
a godere i beni del figlio convivente con esso senza
procura ma senza opposizione, o anche con procura ma
senza l’obbligo di rendere conto dei frutti, egli o i
suoi eredi non sono tenuti che a consegnare i frutti
esistenti al tempo della domanda.
art. 155 5 co c.c.
provvedimenti riguardo ai figli:
……..Il giudice dà inoltre disposizioni circa
l’amministrazione dei beni dei figli e, nell’ipotesi che
l’esercizio della potestà sia affidato ad entrambi i
genitori, il concorso degli stessi al godimento
dell’usufrutto legale
art. 194 c.c.
divisione dei beni della comunione:
la divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in
parti eguali l'attivo e il passivo.
Il
giudice, in relazione alle necessità della prole e
all'affidamento di essa, può costituire a favore di uno
dei coniugi l'usufrutto su una parte dei beni spettanti
all'altro coniuge.
La norma
contenuta nell’art. 194 cod. civ., che faculta il
giudice a costituire, in favore di un coniuge,
l’usufrutto sui beni dell’altro coniuge, non ha
carattere eccezionale, essendo applicabile tutte le
volte in cui si renda necessario per assicurare alla
prole minorenne le migliori condizioni materiali e
morali di vita, in modo da garantire alla stessa una
adeguata assistenza da parte dei genitori, affinché essa
riceva il minor danno possibile dalla disgregazione del
nucleo familiare.
Il c.d. quasi usufrutto
art. 995 c.c.
cose
consumabili:
se l’usufrutto comprende cose consumabili,
l’usufruttuario ha diritto di servirsene e ha l’obbligo
di pagarne il valore al termine dell’usufrutto secondo
la stima convenuta.
Mancando la stima, e in facoltà dell’usufruttuario di
pagare le cose secondo il valore che hanno al tempo in
cui finisce l’usufrutto o di restituirne altre in eguale
qualità e quantità (1258 c.c.).
La natura di tale diritto
La
particolarità dell’istituto risiede nel fatto che il
quasi usufruttuario acquista non solo il diritto di
godere i beni in oggetto, bensì
la proprietà degli
stessi e può, conseguentemente, disporre in modo
pieno di essi, essendo obbligato solo a restituire il
tantundem eiusdem generis, ovvero il corrispondente
valore.
Questa
peculiarità ha indotto parte della dottrina
a negare l’istituto in oggetto la natura di autentico
usufrutto, attribuendo al quasi usufruttuario la
qualifica di vero e proprio proprietario, benché
temporaneo.
È forse preferibile
la
teoria sostenuta da altra parte della dottrina
la quale osserva che il diritto in oggetto resta pur
sempre un diritto di usufrutto, ossia un diritto di
godimento su cosa altrui, con la sola peculiarità
(peraltro rilevante) che, trattandosi di cose
consumabili la facoltà di godimento comprende anche il
potere di disporre delle cose stesse.
La questione
non è senza rilevanza pratica poiché la scelta dell’una
o dell’altra opinione determina il momento in cui il
c.d. periculum rei passa in capo
all’usufruttuario: secondo la teoria preferibile,
l’usufruttuario non sopporta il rischio del perimento
fortuito, poiché egli non è proprietario della cosa, se
non all’atto in cui la consuma o la spende.
La tipica figura dell’usufrutto del gregge o della
mandria
art. 994 c.c.
perimento delle mandrie o dei greggi:
se l’usufrutto e stabilito sopra una mandria o un
gregge, l’usufruttuario e tenuto a surrogare gli animali
periti, fino alla concorrente quantità dei nati
(
i nati in eccedenza saranno di proprietà
dell’usufruttuario), dopo che la mandria o il gregge
ha cominciato ad essere mancante del numero primitivo.
Se la
mandria o il gregge perisce interamente per causa non
imputabile all’usufruttuario, questi non è obbligato
verso il proprietario che a rendere conto delle pelli o
del loro valore.
La dottrina
unanime ritiene che l’usufrutto sul gregge sia un caso
di usufrutto avente per oggetto una universitatis
facti (art. 816 c.c.): il gregge (o la mandria),
nella sua globalità, viene considerato un bene
teoricamente perpetuo e non una somma di capi in sé
deteriorabili o peribili.
È per questo
che la norma dispone la c.d. submissio capitum,
ossia la sostituzione dei nuovi nati agli animali
periti, a meno che il gregge o la mandria non periscano
interamente.
L’usufrutto d’azienda
I
caratteri specifici di questo usufrutto
risentono delle diverse concezioni dottrinarie sulla
natura giuridica dell’azienda.
1)
Se si
segue la teoria atomistica si avrà vero e proprio
usufrutto sugli elementi aziendali che nell’esercizio
dell’impresa non vengono consumati o alienati (c.d.
capitale fisso) mentre si avrà quasi – usufrutto su quei
beni che devono essere necessariamente consumati (c.d.
capitale circolante);
2)
Se,
invece, si seguono le teorie che considerano l’azienda
unitariamente (teoria del bene immateriale, teoria dell’universitas
iuris e teoria preferibile dell’universitas facti)
bisogna ritenere che oggetto dell’usufrutto in esame non
siano i singoli elementi aziendali, ma l’azienda come
complesso unitario.
È
discusso se all’usufruttuario sia dovuto un compenso per
l’avviamento da lui procurato.
Sembra
preferibile la soluzione positiva, la quale si basa
sull’art. 985 c.c. che, in tema di usufrutto, stabilisce
che l’usufruttuario ha diritto ad un’indennità per i
miglioramenti (tale viene considerato l’inserimento
dell’avviamento) che sussistono al momento della
restituzione della cosa.
L’usufrutto di quota nelle società semplici
Nelle società di
persone, in generale, e nelle società semplici, in
particolare, non c’è alcuna disciplina dettata in
materia di usufrutto di quota, a differenza delle
società di capitali
che all’art. 2352 c.c. ha previsto un’ampia e completa
regolamentazione che non può essere applicata tout
court alle società di persone poiché la scissione
della qualità di socio dall’esercizio dei diritti
amministrativi (potere gestorio) propria delle società
di capitale, non è possibile nelle società semplici in
quanto vi è un legame inscindibile tra i poteri di voto,
i poteri amministrativi e gli altri diritti
amministrativi con lo status di socio.
Partendo dal
presupposto che l’usufrutto, è concepito per i beni di
1°, uno dei più grandi ostacoli da superare, affinché si
possa ammettere l’usufrutto di quota, è dato dal fatto
che il bene “quota” rientra tra i beni di 2°, poiché,
essa determina un ruolo economico mediato,
rappresentando, appunto, un’entità conferita al momento
della costituzione, e non ha un valore estrinseco in
senso stretto. Perciò per superare tale ostacolo bisogna
ritenere ammissibile l’usufrutto di un bene di 2°, come
diritto nei limiti del diritto stesso che esso
rappresenta.
Inoltre è ammissibile
soprattutto perché la dottrina, ha individuato,
attraverso uno studio sistematico, nell’usufrutto
d’azienda e di credito l’esistenza di diritti
d’usufrutto anomali, assimilabili a quello in questione.
art. 981 c.c. contenuto del diritto di usufrutto:
l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve
rispettarne la destinazione economica. Egli può trarre
dalla cosa ogni utilità che questa può dare (1998),
fermi i limiti stabiliti in questo capo. Salvo qualche
voce contraria (Trib. di Trento 1997),
la dottrina non dubita che possono essere oggetto di
usufrutto
non solo le azioni così come testualmente previsto
dall’art. 2352 c.c., richiamato dall’art. 2454 c.c, in
tema di accomandita per azioni, ma anche le quote sia
delle società a r.l. che delle società di persone.
Orbene, sul tema, è
opportuno andare a sviscerare alcune problematiche sorte
in dottrina e non solo.
Un primo problema è ravvisato nel
necessario o meno consenso degli altri soci per la
costituzione dell’usufrutto.
A) dottrina
minoritaria, ritiene che non è necessario il consenso
degli altri soci, in quanto la costituzione, in realtà,
non è una modifica ex art. 2252 c.c. e l’usufruttuario
non interferirà nei rapporti sociali essendo un “volgare
percettore di utili”.
B) La dottrina
prevalente,
invece, ritiene che sia necessario il consenso di tutti
i soci; questo perché
1) l’usufruttuario
acquista al momento della costituzione dell’usufrutto la
qualità di socio ed è inimmaginabile non applicare
l’art. 2252 c.c.
2) Altra dottrina la
presenza dell’usufruttuario altera la distribuzione dei
poteri e dei rapporti sociali, determinando, così una
modifica del contratto sociale. Principio generale (ad
eccezione di autorevole dottrina)
– l’usufruttuario non acquista la qualità di socio.
L’usufruttuario ex art.
981 c.c. ha un limitato potere di godere e di disporre,
mentre il socio ha un potere pieno tanto da rispondere
illimitatamente delle obbligazioni sociali
Ulteriormente si discute se ed in che
limiti spetti all’usufruttuario di quota il diritto di
amministrare la società.
È preferibile la tesi
che distingue il diritto al voto
dal diritto di amministrare, intendendosi il primo come
il diritto di partecipare alla formazione della volontà
sociale, il secondo come il diritto di dirigere gli
affari della società
Per diritti amministrativi
s’intendono:
A) potere dovere di
collaborare ex art. 2252 c.c., ossia di partecipare alla
modifiche del patto sociale –
1) secondo una parte della dottrina,
la risposta è positiva, sia per una tutela maggiore
all’usufruttuario e sia perché il nudo proprietario e
l’usufruttuario integrano coordinatamente la posizione
di socio.
2) Secondo, invece, la giurisprudenza
la risposta è negativa per il semplice ragionamento che
l’usufruttuario non è socio. Anche se da ultimo la
giurisprudenza di merito,
per le S.r.l. ha previsto che l'usufruttuario è titolare
di un diritto reale e portatore di una posizione
giuridica che lo rende unico responsabile delle scelte
relative alla vita della società; posto che sulla
validità delle delibere non può influire l'eventuale
contrasto con la volontà del nudo proprietario che non è
legittimato al voto.
B) Potere
amministrativo in senso stretto (attività gestoria) – la
risposta è negativa, sempre per il principio generale
che l’usufruttuario non acquista lo status di socio.
C) Poteri
amministrativi diversi:
1) ispezione e
controllo dei libri sociali – risposta affermativa;
2) partecipazione
all’approvazione del rendiconto – risposta affermativa;
3) autorizzazione
all’uso dei beni sociali per uno scopo diverso da quello
sociale – per questi poteri la risposta è positiva anche
per non rendere l’usufruttuario un volgare percettore di
utili.
Altro problema dottrinario e non solo se
l’usufruttuario risponde delle obbligazioni sociali.
Secondo la giurisprudenza
e la dottrina prevalente
la risposta è negativa per il semplice ragionamento che
l’usufruttuario non è socio.
Infine ultimo problema se il diritto agli
utili
è esercitatile solo verso il nudo proprietario o verso
la società.
Anche se l’usufruttuario non è socio,
poiché l’usufrutto è un diritto reale, ex art.
981, è un diritto esercitatile contro tutti, quindi,
verso la società.
La discussa figura dell’usufrutto di crediti
Il
legislatore ha previsto espressamente l’usufrutto di
crediti all’art. 1000 c.c., il quale afferma in
sostanza, che ricorre quest’ipotesi qualora il creditore
di una somma capitale attribuisca ad un terzo il diritto
di esigere e di far propri i frutti derivanti
dall’utilizzazione del capitale stesso.
art. 1000 c.c.
riscossione di capitali: per la riscossione di somme che rappresentano un
capitale gravato d’usufrutto (1998), è necessario il
concorso del titolare del credito e dell’usufruttuario.
Il pagamento fatto a uno solo di essi non è opponibile
all’altro, salve in ogni caso le norme relative alla
cessione dei crediti (260 e seguenti).
Il
capitale riscosso deve essere investito in modo
fruttifero e su di esso si trasferisce l’usufrutto. Se
le parti non sono d’accordo sul modo d’investimento,
provvede l’autorità giudiziaria (1998).
Oggetto
dell’usufrutto non può essere il credito, ma l’oggetto
stesso del credito, vale a dire il capitale: ciò
consente all’usufruttuario di percepire gli interessi
soltanto, mentre la nuda proprietà resta a chi costituì
siffatto usufrutto.
Anche la
S.C.
ha affermato in una nota sentenza che oggetto di
usufrutto possono essere i diritti di credito. L'ipotesi
di capitali gravati di usufrutto è espressamente
prevista e disciplinata dall'articolo 1000 del c.c. in
base al quale l'usufruttuario ha anche il diritto alla
riscossione delle somme che rappresentano il capitale in
concorso con il titolare del credito e con conseguente
trasferimento dell'usufrutto sul credito derivante
dall'investimento fruttifero (crediti, titoli o altro).
E’ logica, pertanto, e coerente la previsione da parte
del testatore che abbia previsto un controllore
nell'esercizio dei poteri di amministrazione spettanti
all'erede usufruttuaria anche al fine di aiutare
quest'ultima, moglie del testatore, nella gestione dei
frutti dei beni oggetto dell' usufrutto, nonché di
affiancare all'usufruttuaria un soggetto (nominato erede
e nudo proprietario del diritto di credito oggetto dell'
usufrutto) onde favorire la riscossione del credito e il
seguente reinvestimento.
Preliminarmente però occorre
delineare l’ambito della figura del c.d. usufrutto di
crediti, prescindendo per il momento dall’indagine sulla
sua natura (se di vero usufrutto o diversa). Occorre
chiedersi, dunque, quali crediti possono costituire
oggetto di usufrutto.
Sicuramente tale possibilità
va riconosciuta per i crediti pecuniari, che
costituiscono la fattispecie di usufrutto di crediti di
gran lunga più importante, per almeno tre ragioni.
In primo luogo
questa è l’ipotesi che riveste il maggiore interesse
pratico, anche in vista della ricostruzione della
disciplina dell’usufrutto di titoli di credito, che per
lo più incorporano crediti di questo genere.
In secondo luogo
solo i crediti pecuniari sono in grado di produrre
frutti, e dunque solo l’usufrutto di crediti pecuniari
può fornire all’usufruttuario un’utilità immediata,
senza che sia necessario attendere la scadenza e il
successivo pagamento del debito.
Infine quella dell’usufrutto
di credito pecuniario è l’unica fattispecie di usufrutto
di credito specificamente riconosciuta dal diritto
positivo (art. 1000 c.c.).
L’usufrutto però può gravare
anche su un credito non avente ad oggetto il pagamento
di una somma di denaro: si fanno gli esempi del credito
alla consegna di una cosa di proprietà del costituente e
del credito all’attribuzione di cose non consumabili la
cui proprietà debba essere trasferita al costituente,
cui si aggiunge l’usufrutto sul credito del conduttore
al godimento del bene.
L’usufrutto di crediti non
pecuniari è bensì concepibile in astratto, ma di scarsa
o nulla utilità pratica: poiché i crediti non pecuniari
non sono fruttiferi, l’usufrutto che gravasse su di essi
non sarebbe suscettibile di procurare alcuna utilità
all’usufruttario, se non dopo la sua esazione, quando
l’usufrutto si trasferirà sulle cose riscosse.
Una dottrina autoritaria
ha accostato l’usufrutto di credito infruttifero
all’usufrutto su un fondo sterile o – per fare un
esempio che si attaglia al diritto romano all’usufrutto
su uno schiavo inidoneo a prestare la propria opera
perché ammalato o troppo anziano: in tutti questi casi
l’usufrutto non è di per sé nullo, ma semplicemente
inutile.
Se si tratta di crediti
aventi ad oggetto una prestazione di dare, la
costituzione dell’usufrutto su di essi è un mezzo per
costituire il futuro usufrutto o quasi usufrutto sulla
cosa che costituisce oggetto della prestazione dovuta
dal debitore. Se invece si tratta di crediti aventi ad
oggetto una prestazione di fare o di non fare, la
costituzione dell’usufrutto appare priva di qualsivoglia
funzione economico-sociale.
L’istituto è
riconducibile alla cessione del credito,
ma non si tratta di una mera cessione del credito agli
interessi, come si evince dal 2 co della norma in esame,
perché se così fosse la riscossione del capitale
provocherebbe l’estinzione del diritto di credito,
mentre dalla norma citata risulta che l’usufrutto rimane
e si trasferisce sul reimpiego fruttifero della somma
riscossa.
La figura dell’usufrutto di titoli di credito
Diverso
dall’usufrutto di credito è l’usufrutto di titoli di
credito previsto dall’art. 1198 c.c., perché questo
istituto configura un autentico diritto reale su una
cosa (il titolo documento che incorpora il credito),
anche se finisce per avere un valore assai relativo in
quanto, in definitiva, attribuisce al titolare
analogamente all’usufrutto di credito, soltanto il
diritto di far propri i frutti civili e le utilità che
del credito costituiscono il reddito.
L’usufrutto
di quei particolari titoli di credito che sono le azioni
è, poi regolata dall’art. 2352 c.c.
4) Costituzione del diritto di usufrutto
art. 978 c.c.
costituzione:
l’usufrutto è stabilito dalla legge (324, 540 e
seguenti, 581, 1153) o dalla volontà dell’uomo (587,
1350 n. 2, 1376, 2643 n. 2, 2684). Può anche acquistarsi
per usucapione (1158 e seguenti).
1)
Negozio inter vivos a titolo oneroso |
L’usufrutto
può, in primo luogo, essere costituito a
mezzo di negozio tra vivi a titolo oneroso,
il quale potrà avere la causa di un
qualunque negozio di tale genere (esempio
compravendita, permuta, datio in solutum,
etc.
Dai
negozi inter vivos secondo la
Cassazione
devono essere esclusi gli atti
unilaterali.
Difatti
Seppure l'art. 978 c.c. faccia genericamente
riferimento alla volontà dell'uomo, la
tipologia negoziale idonea a costituire il
diritto di usufrutto deve essere individuata
- non diversamente da quanto è stabilito in
materia di servitù dall'art. 1058 c.c. - nel
testamento e nel contratto, mentre, per
quanto riguarda i negozi unilaterali, nei
limiti in cui sono ritenuti vincolanti per
l'ordinamento, la possibilità di costituire
l' usufrutto deve ritenersi limitata alle
sole figure della promessa al pubblico
prevista dall'art. 1989 c.c. e della
donazione obnuziale di cui all'art. 785 c.c. |
2)
Testamento |
L’usufrutto può anche avere come fonte il
testamento: si tratterrà, secondo autorevole
dottrina,
in tal caso, di un’attribuzione
testamentaria a titolo particolare e,
precisamente di un legato con effetti reali.
Ma di tale avviso non è la Corte di
Legittimità,
secondo la quale, invece, la disposizione
testamentaria di attribuzione dell'usufrutto
generale sui beni (mobili e immobili)
costituisce istituzione di erede e non di
legato. In altre parole
l'attribuzione per
testamento dell' usufrutto generale
su tutti i beni, comprendendo l'universum
ius ai sensi dell'articolo 588 c.c.
e dunque conferendo al designato un titolo
potenzialmente idoneo ad estendersi ad ogni
bene, configura un'istituzione di erede.
Mentre, secondo la Giurisprudenza di
merito,
va definita a titolo particolare - quale
legato - e non a titolo universale, la
disposizione con cui il testatore riconosce,
nella specie al coniuge, il diritto di
usufrutto di tutti i beni immobili del
proprio patrimonio.
Inoltre non pochi dubbi sono sorti in
merito all’interpretazione
quando ci si trova innanzi ad una
disposizione testamentaria di lascito di
usufrutto che potrebbe, invece, aver dato
vita ad una sostituzione fedecommissaria.
Orbene secondo la Corte di Piazza Cavour
l'interpretazione di una disposizione
testamentaria volta a determinare se il
testatore abbia voluto disporre una
sostituzione fedecommissaria o una
costituzione testamentaria di usufrutto deve
muovere dalla ricerca della effettiva
volontà del de cuius, attraverso
l'analisi delle finalità che il testatore
intendeva perseguire, oltre che mediante il
contenuto testuale della scheda
testamentaria; ne consegue che la
disposizione con la quale il de cuius
lascia a persone diverse rispettivamente l'
usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso
bene (o dell'intero complesso dei beni
ereditari) non integra gli estremi della
sostituzione fedecommissaria (ma quelli di
una formale istituzione di erede) quando le
disposizioni siano dirette e simultanee e
non in ordine successivo, i chiamati non
succedano l'uno all'altro, ma direttamente
al testatore, e la consolidazione tra
usufrutto e nuda proprietà costituisca un
effetto non della successione, ma della
vis espansiva della proprietà.
Sempre in tema di interpretazione del
testamento, secondo la Cassazione
con una precedente pronuncia, al fine di
stabilire se sia stata prevista
l'attribuzione separata e simultanea a
soggetti diversi della nuda proprietà e
dell'usufrutto dei beni ereditari ovvero se
sia configurabile la sostituzione
fedecommissaria di colui che, essendo stato
designato erede universale, sia obbligato -
in virtù di una duplice chiamata secondo un
ordine successivo - a conservare e
restituire alla propria morte i beni a
favore del sostituito, al quale viene
trasmesso il medesimo diritto attribuito
all'istituito, l'indagine non può limitarsi
a valorizzare esclusivamente l'espressione
"vita natural durante" usata dal testatore
con riferimento alla disposizione a favore
di uno dei soggetti onorati; infatti, la
durata della vita del beneficiario assume
rilievo sia nel caso in cui sia attribuito
il diritto di usufrutto, sia nell'ipotesi in
cui venga conferito il diritto di proprietà
piena a favore dell'istituito nella
sostituzione fedecommissaria, atteso che la
durata della vita dell'usufruttuario
costituisce la misura temporale del diritto
reale conferito ed è al termine della vita
dell'onorato che diventa operante la
chiamata dei sostituiti nella sostituzione
fedecommissaria.
Un caso particolare disciplinato dal
Codice Civile è quello della Cautela
Sociniana dal nome del giurista del ‘500
Mario Socino
art. 550 c.c.
lascito
eccedente la porzione disponibile:
quando il testatore dispone di un
usufrutto
o di una rendita vitalizia (c.c.1872) il
cui reddito eccede quello della porzione
disponibile (c.c.556), i legittimari
(536), ai quali
è stata assegnata la nuda proprietà della
disponibile o di parte di essa, hanno la
scelta o 1) di eseguire tale
disposizione o 2) di abbandonare
(c.c.1350) la nuda proprietà della porzione
disponibile. Nel secondo caso il legatario,
conseguendo la disponibile abbandonata, non
acquista la qualità di erede (588).
Secondo la Suprema Corte
la norma di cui all'art. 500 c.c.,
attribuisce al legittimario, al quale,
rispettivamente, sia stata assegnata la nuda
proprietà ovvero l'usufrutto della
disponibile (o di parte di essa), il potere
di incidere unilateralmente sulla
successione, senza ricorrere all'azione di
riduzione, la quale, impostata sul concetto
di lesione quantitativa, non assicura al
legittimario la qualità (piena proprietà),
oltre che la quantità della legittima -
configura, quale diritto potestativo, una
scelta (per la legittima in piena proprietà,
con abbandono del resto - cioè della nuda
proprietà o dell' usufrutto della
disponibile - ovvero per il conseguimento
dell'oggetto della disposizione
testamentaria) di cui la legge non determina
la forma, con la conseguenza che essa,
espressa o tacita, può essere provata anche
per testimoni o per presunzioni, anche se è
in questione l' usufrutto o la nuda
proprietà di beni immobili.
L'effettuazione di tale scelta è
incompatibile con il successivo ricorso
all'azione di riduzione per la diversità di
presupposti, struttura e finalità delle
norme di cui agli artt. 550 e 554 c.c.
|
3)
Donazione
|
È forse
proprio questo il mezzo più adoperato per la
costituzione dell’usufrutto, soprattutto nel
caso di attribuzioni patrimoniali tra
genitori e figli.
Figura
discussa di donazione, adoperata talvolta
anche in caso di usufrutto, è la donazione
con termine iniziale dalla morte del donante
(cum moriar), ovvero sotto condizione
sospensiva della morte del donante (si
premoriar). Si discute se essi siano dei
patti successori, ma si è seguita la tesi
negatrice.
Una delle
fattispecie più complesse in merito
all’usufrutto è la previsione dell’art. 796
c.c., la quale non consente al donante di
riservare l’usufrutto (ma il tema sarà
approfondito a breve)
dei beni donati a suo vantaggio e, dopo di
lui, a vantaggio di altri soggetti, in
ordine successivo. È, invece, ammesso
l’usufrutto congiuntivo (ex art. 678 c.c.)
in cui il godimento del diritto di usufrutto
alla morte di ognuno passa ad altri
chiamati, le cui quote si accrescono; tale
accrescimento si concentra nella persona che
sopravvive: solo alla morte dell’ultimo
usufruttuario, l’usufrutto si estingue.
Si può quindi
concludere ritenendo che la donazione del
diritto di usufrutto sia ammissibile, e
tuttavia la durata del diritto non potrà
eccedere la vita del donante. È invece
possibile, nell’ambito di una donazione
circa un bene immobile, riservare il diritto
di usufrutto a favore di un soggetto
specificato.
|
4) Usucapione
|
La natura reale
dell’usufrutto permette che questo diritto
sia posseduto indipendentemente dalla
proprietà, anche se non è facile la
distinzione fra possesso di usufrutto e
possesso di proprietà, essendo la stato di
fatto (ossia la detenzione materiale del
bene) in apparenza uguale.
Un’ipotesi sicura si
ha quando l’usufruttuario ha acquistato
questo diritto per usucapione abbreviata e
dal titolo astrattamente idoneo risulta
l’acquisto non a titolo di proprietà, ma a
titolo di usufrutto.
|
5) Sentenza
|
Altro modo di acquisto
dell’usufrutto, ancorché non menzionato
dall’art. 978, è la sentenza del giudice nel
caso che sussista l’obbligo di costituire
l’usufrutto e di tale obbligo si chieda la
c.d. esecuzione in forma specifica mediante
sentenza costitutiva (artt. 2908 e 2932).
|
6) Ex
lege
|
Artt. 324,
540
e seguenti, 581, 1153
Inoltre il
coniuge superstite in successioni legittime
apertesi nel regime anteriore alla legge n.
151 del 1975, partecipa alla divisione
ereditaria in qualità di legatario ex
lege del diritto di usufrutto sullo
stesso immobile in quanto detta divisione
origina, a fianco della comunione propria
tra i coeredi, una comunione incidentale
impropria e di godimento tra diritti
qualitativamente e quantitativamente
eterogenei, determinata dalla concorrenza su
quote ereditarie del diritto reale di
usufrutto e di diritti di nuda proprietà.
|
La riserva di usufrutto
Tale
figura è prevista dal codice sia in tema di donazione
(art. 796 c.c.) che in tema di vendita (art. 1002 c.c.)
art.
796 c.c.
riserva di usufrutto:
è permesso al donante di riservare l’usufrutto (c.c.978
e seguenti, 1002-3) dei beni donati a proprio vantaggio,
e dopo di lui a vantaggio di un’altra persona o anche di
più persone
(contemporaneamente o comulitavamente), ma non
successivamente c.c.698).
art.
1002 c.c.
inventario
e garanzia: l’usufruttuario prende le cose nello
stato in cui si trovano (982).
Egli è tenuto a fare a sue spese l’inventario dei beni, previo
avviso al proprietario (Cod. Proc. Civ. 769). Quando
l’usufruttuario è dispensato dal fare l’inventario,
questo può essere richiesto dal proprietario a sue
spese.
L’usufruttuario deve inoltre dare idonea garanzia (1179).
Dalla prestazione della garanzia sono dispensati i
genitori che hanno l’usufrutto legale sui beni dei loro
figli minori (324). Sono anche dispensati il
venditore e il donante con riserva d’usufrutto
(796); ma, qualora questi cedano l’usufrutto, il
cessionario è tenuto a prestare garanzia.
L’usufruttuario non può conseguire il possesso dei beni (982)
prima di aver adempiuto gli obblighi su indicati.
Natura giuridica
A)
TEORIA
DEL DOPPIO NEGOZIO
– collegato –
questi autori
partendo dalla concezione della proprietà come sintesi
di facoltà infrazionabili e non come somma di una
pluralità di facoltà, affermano che nelle alienazioni
con riserva esistono due negozi:
il donante trasferisce
al donatario la PIENA Proprietà e il donatario
costituisce l'usufrutto sul bene donato a favore del
donante.
Risvolti pratici
– doppio pagamento d’imposta di trasferimento – il
donatario non potrebbe essere un minore perché, essendo
incapace di donare, non potrebbe costituire l’usufrutto
a favore del donante.
B)
TEORIA
DELL’UNICO NEGOZIO
teoria moderna:
con cui il donante titolare della PIENA PROPRIETA’
riserva a suo favore una parte del contenuto della piena
proprietà e cioè l'usufrutto; così come potrebbe
trasferire ad un soggetto l'usufrutto e ad un altro la
NUDA Proprietà; così come potrebbe riservare a se stesso
un altro diritto reale di godimento come un diritto di
enfiteusi.
È vero che la proprietà
costituisce un diritto unitario e non una somma di
diritti, ma non vi è ragione, come è stato rilevato, di
negare al proprietario la possibilità di rompere questo
vincolo unitario.
Secondo ultima
Giurisprudenza di merito
la donazione con riserva di usufrutto in favore di un
terzo da luogo a due distinti negozi, un
trasferimento della nuda proprietà in favore del
donatario, ed un'offerta di donazione dell'usufrutto in
favore del terzo, improduttiva dì effetti fino a che non
intervenga l'accettazione del terzo medesimo, prima
della morte del costituente, nella prescritta forma
dell'atto pubblico; pertanto, ha continuato la stessa
Giurisprudenza, ne consegue che, qualora il donante
riservi l'usufrutto sui beni donati a proprio vantaggio
e, dopo di lui, a vantaggio di un terzo, come consentito
dall'art. 796 c.c., il donatario della nuda proprietà
acquista il pieno dominio alla cessazione dell'
usufrutto del donante, se il terzo riservatario non
abbia accettato con le forme previste per tale tipo di
contratto, ancorché in un momento successivo alla
stipula del medesimo, in data anteriore al decesso del
donante.
È bene anche
sottolineare che secondo la S.C.
al fine di stabilire se l'atto di disposizione
patrimoniale compiuto in vita dal de cuius sia
lesivo della quota riservata ai legittimari, la
donazione con riserva di usufrutto deve essere calcolata
come donazione in piena proprietà, riferendone il valore
al tempo dell'apertura della successione.
5) La contitolarità dell’usufrutto
Non vi è dubbio che l’usufrutto possa spettare a più
soggetti ed il fenomeno viene ricondotto al quadro
generale della comunione (artt. 1100 e ss c.c.)
Ciascun partecipe è
titolare di quota indivisa di usufrutto e può disporre
della cosa compatibilmente con l’uso degli latri
partecipanti; può percepire una parte di frutti
corrispondente alla sua quota; può concorrere
all’amministrazione della cosa (amministrazione che
dipende dalla volontà della maggioranza dei
partecipanti); può, infine, far cessare l’usufrutto
mediante la divisione, salve le eccezioni espressamente
stabilite per ogni comunione ordinaria o ereditaria.
Secondo la S.C.
in ipotesi di concorso sullo stesso bene di diritti
reali di natura diversa, come appunto il diritto di
proprietà ed il diritto di usufrutto, ricorre, sì, una
comunione impropria, ma la sua esistenza giuridica deve
essere riconosciuta al pari della comunione propria.
In realtà, però secondo
giurisprudenza di merito,
l'usufruttuario pro quota
dell'immobile non è litisconsorte necessario nel
giudizio di divisione in cui si chieda lo scioglimento
della comunione non ereditaria, atteso che
l'usufrutto, ove spetti a più
persone, dà luogo esclusivamente ad un concorso di
diritti su cosa altrui e non anche ad una comunione in
senso proprio che, sola, invece, giustifica la
configurabilità di un litisconsorzio necessario.
La comunione di godimento
È anche possibile che
il godimento spetti in comune
ad un usufruttuario pro quota ed a un pieno proprietario
pro quota.
Proprietario ed
usufruttuario sono, in altri termini, entrambi
autorizzati ad usare la cosa, purché non impediscano
l’uso dell’altro; partecipano in proporzione alla loro
quota alla percezione dei frutti, concorrendo in eguale
misura al pagamento delle spese; concorrono
all’amministrazione; contribuiscono a formare la
maggioranza necessaria alle deliberazioni attinenti
all’uso, la godimento e all’approvazione e del relativo
regolamento.
Bisogna distinguere,
nel caso di disposizione testamentaria, due ipotesi,
a seconda che esista o non un’espressa volontà del
testatore.
A)
Es. –
Lego a Tizio la proprietà del fondo Tuscolano e a Caio
l’usufrutto” – tale ipotesi viene interpretata nel senso
che Tizio è legatario della sola nuda proprietà e Caio
di tutto l’usufrutto e non vi è, ovviamente, possibilità
di accrescimento;
B)
Es. –
Tizio lega a Primo la proprietà e a Secondo l’usufrutto
del fondo Tuscolano, espressamente disponendo che
entrambi i legatari dovranno usare e godere il bene
legato. Alla morte di Primo l’usufrutto si accrescerà a
Secondo ovvero si consoliderà per la metà a favore degli
eredi di Primo?
Alla teoria formalistica, la quale nega l’accrescimento
perché si tratterrebbe di oggetti diversi (da un lato la
proprietà e dall’altro l’usufrutto – diritti diseguali
dal punto di vista quantitativo, ma omogenei dal punto
di vista qualitativo), viene autorevolmente
opposto che, ammessa la comunione di godimento (di
conseguenza i rapporti tra proprietario ed
usufruttuario, per quanto riguarda il godimento, possono
considerarsi regolati dalle stesse norme applicabili
alla comunione dei diritti reali), non si può escludere
che la vocazione dell’usufrutto sia potenzialmente
solidale.
Si avrà perciò accrescimento a favore di Secondo.
Usufrutto e condominio
Diritto di voto e ripartizione delle spese in
condominio
A norma dell'art. 67 delle disposizioni
di attuazione del codice civile l'usufruttuario può
intervenire nell'assemblea nelle questioni che
riguardano l'ordinaria amministrazione e l'uso delle
cose e dei servizi comuni.
Le
deliberazioni che riguardano innovazioni, ricostruzioni
o lavori di straordinaria manutenzione alle parti comuni
riguardano invece solo il proprietario.
Difatti
secondo una sentenza di merito
in
tema di condominio, nel caso in cui faccia parte dello
stesso un piano o appartamento oggetto di usufrutto, il
proprietario deve essere chiamato a partecipare alle
assemblee condominiali indette per delibere sulle
innovazioni delle opere di manutenzione straordinaria.
Ove, al contrario, si tratti di affari di ordinaria
amministrazione, deve essere dato avviso
all'usufruttuario il quale non può dare il suo voto
nelle materie riservate al proprietario.
Secondo
ultima sentenza della Corte di Cassazione
in tema di ripartizione degli oneri condominiali tra
nudo proprietario ed usufruttuario, in applicazione
degli artt. 1004 e 1005 c.c., il nudo proprietario non è
tenuto, neanche in via sussidiaria o solidale al
pagamento delle spese condominiale, né può essere
stabilita dall'assemblea una diversa modalità di
imputazione degli oneri stessi in deroga alla legge.
La deliberazione sul conto
consuntivo e preventivo deve prevedere, per la sua
validità, un'esatta ripartizione fra spese di ordinaria
e straordinaria manutenzione del condominio, ciò per
consentire il rispetto dei criteri legali previsti dagli
artt. 1004 e 1005 del c.c.
Nella distinzione fra spese
ordinarie e straordinarie valgono per l'usufruttuario ed
il proprietario le seguenti linee guida:
-
la normalità e/o la
prevedibilità dell'intervento;
-
l'entità materiale
dell'intervento;
-
il costo
dell'intervento in rapporto al reddito della cosa.
In tema è
cosa giusta riportare anche una pronuncia del Tribunale
di Bologna
secondo la quale ai sensi dell'articolo 1014, n. 1, del
c.c., l' usufrutto si estingue per prescrizione
allorquando il titolare non abbia esercitato il suo
diritto per vent'anni. L'avere sempre pagato le spese
condominiali e l'imposta comunale sui rifiuti solidi
urbani, sostenendo altresì gli oneri attinenti alle
utenze per l'elettricità, l'acqua, il riscaldamento, il
telefono evidenziano come l'immobile sia stato
utilizzato dalla data dell'acquisto in poi soltanto
dall'attrice, la quale si presume abbia destinato
l'appartamento a propria abitazione (pur mantenendo la
residenza anagrafica altrove). Anche la produzione delle
copie dei relativi bollettini di c/c postale dimostrano
(altrimenti le ricevute non sarebbero state in suo
possesso) di avere sempre provveduto al versamento
dell'Ici, nonostante detti bollettini siano intestati
all'usufruttuario (ai sensi dell'articolo 3 comma 1, del
D.Lgs. 504/1992 il soggetto passivo dell'imposta è
infatti il titolare del diritto reale di usufrutto e non
il nudo proprietario).
L’usufrutto congiuntivo (con clausola di accrescimento)
Figura di particolare
interesse nell’ambito della contitolarità di usufrutto è
l’usufrutto congiuntivo, la cui caratteristica consiste
nell’accrescimento della quota dell’usufruttuario
premorto a favore dei cousufruttuari superstiti, anziché
nel consolidamento pro quota con la nuda
proprietà.
Secondo Giurisprudenza
di merito,
infatti, l'attribuzione del diritto di usufrutto per
atto tra vivi può avvenire nei confronti di più soggetti
contemporaneamente con diritto di accrescimento, ovvero
con diritto per l'usufruttuario superstite di vedere
accresciuta la propria quota in relazione al decesso
dell'altro (o degli altri).
L'accrescimento,
peraltro, può risultare anche dal tenore generale
dell'atto di costituzione del diritto reale non essendo
necessario, in altre parole, che esso sia espressamente
previsto in apposita clausola se è, comunque, altrimenti
implicitamente deducibile.
Il legislatore ha
previsto l’accrescimento degli atti tra vivi in due
ipotesi:
1)
la
prima anteriore all’acquisto
(in termini di donazione
art. 773, II comma, c.c.).
Relativamente ai negozi non espressamente previsti
(ossia diversi dalla donazione)
A)
alcuni autori ritengono che l’accrescimento anteriore
all’acquisto non possa operare.
1)
Se si tratta di atti a titolo oneroso – si avrà non
accrescimento ma modifica del contratto perché se uno
dei destinatari della proposta accetta, mentre gli altri
rifiutano (o comunque vengono a mancare), egli non sarà
acquirente di quote in accrescimento, ma un acquirente
per l’intero, conseguentemente obbligato per l’intero.
2)
Anche negli atti a titolo gratuito, diversi dalla donazione,
si ha una modifica contrattuale, come nel caso di mutuo,
nel quale chi riceve una maggiore quantità di cose, sarà
tenuto a restituire questa quantità maggiore.
B) Sembra preferibile
l’opinione positiva la quale osserva che
l’aumento del corrispettivo (o dell’eventuale
restituzione nei negozi gratuiti) è in perfetta coerenza
con l’acquisto di quota maggiore.
Anche
qui, si può aggiungere, non si ha un’unica proposta di
contratto rivolta a più soggetti, ma più proposte di
contratto con clausola di accrescimento.
Se ad
es. Tizio propone a Primo e a Secondo l’acquisto con
clausola di accrescimento in parti uguali del fondo
Tuscolano per il prezzo di 100 mila euro, e Primo
accetta mentre Secondo rifiuta, l’acquisto si realizzerà
interamente a favore di Primo, il quale una volta che,
con l’accrescimento della sua quota, ha acquistato
l’intero, dovrà conseguentemente pagare l’intero prezzo.
2) la seconda successiva all’acquisto (in tema di
rendita vitalizia
art. 1874 c.c.)
art. 1874 c.c.
costituzione a favore di più persone:
se la rendita è costituita a favore di più persone, la
parte spettante al creditore premorto si accresce a
favore degli altri, salvo patto contrario.
Questo accrescimento (ex lege per i legati e
convenzionale per gli atti inter vivos) viene
giustificato considerando che l’usufrutto (a differenza
della proprietà) è un diritto temporaneo che si estingue
con la fine del suo titolare. Di conseguenza, essendo a
ciascun cousufruttuario attribuito (per il principio
della comunione) il diritto all’intero, sia pure
limitato dal diritto degli altri, nessun ostacolo si
oppone, a differenza che per la proprietà, per un
accrescimento posteriore all’acquisto, figura
quest’ultima, oltre tutto, espressamente prevista per la
rendita vitalizia.
L’ammissione di un
accrescimento successivo all’acquisto, secondo la tesi
preferibile,
seguita anche dalla giurisprudenza della Cassazione, si
basa sul presupposto che bisogna distinguere
tra proprietà
, usufrutto e comproprietà:
A)
nella prima ipotesi -
l’accrescimento non
può ammettersi perché:
1)
il
diritto di proprietà è stato irreversibilmente
acquistato dal con donatario e, alla sua morte, dovrà
necessariamente far parte della sua successione, salvo,
ben s’intende, che egli non ne abbia già disposto per
atto inter vivos;
2)
inoltre
una clausola di tal tipo urterebbe contro il divieto
della sostituzione fedecommissaria (art. 692 c.c.) e
3)
contro
quello dei patti successori (art. 458 c.c.)
B)
Nel
caso di cousufrutto
(di uso e di abitazione) l’accrescimento successivo
è possibile. Essendo un diritto di natura temporale
e non suscettibile di trasmissione ereditaria nemmeno
per rappresentazione, nessun ostacolo in ordine logico –
giuridico si pone contro la configurabilità del patto di
accrescimento:
1)
non la
necessaria trasmissione agli eredi, trattandosi,
appunto, di diritto intrasmissibile;
2)
non il
divieto di sostituzione fedecommissaria, giacché
l’operare dell’accrescimento non determina una vera e
propria successione di più soggetti nello stesso
diritto, ma la naturale espansione dell’unico godimento,
per effetto del venir meno del limiti originario
costituito dal concorso altrui;
3)
non il
divieto dei patti successori, non potendo il diritto di
usufrutto considerarsi in alcun modo quale bene
ereditario.
C)
Nel caso della comunione
tuttavia, l’accrescimento potrebbe aversi per altra
strada e, precisamente, perché i soggetti sono fra
loro in comunione e si applicheranno, perciò i principi
di questo istituto, rispetto al quale bisogna
distinguere tra rinunzia e premorienza:
1)
nel primo
caso si avrà accrescimento;
se ad es. Primo,
titolare in comproprietà con Secondo del fondo Tuscolano
acquistato da Tizio, rinunzierà alla sua comproprietà,
la sua quota si accrescerà a Secondo non in forza della
clausola contenuta nel contratto ma per l’espansione
della quota dell’atro comunista; altrimenti la quota del
rinunziante spetterebbe al patrimonio dello Stato (art.
827) per i beni immobili o diverrebbe res derelicta
per i beni mobili.
2)
nel
secondo caso il diritto del comunista si trasmetterà ai
suoi eredi.
L’usufrutto successivo
– in generale è
vietato
Non è pertanto ammesso che la riserva sia fatta a favore del donante,
dopo di sé, a favore di altre persone e dopo
quest'ultime a favore di altri (cd. usufrutto
successivo).
Quindi, stante l'intrinseca temporaneità del diritto di usufrutto,
questo potrà restare separato dalla nuda proprietà solo
per il tempo della vita del donante (primo
riservatario) e per quello della vita del
secondo riservatario.
L’usufrutto successivo, ha dunque, una struttura
nettamente diversa da quello congiuntivo
(contemporaneamente a più persone). In questo ultimo si
ha un solo usufrutto contemporaneo (o contitolarità
dello stesso usufrutto); nell’usufrutto successivo,
invece, abbiamo più usufrutti, uno dopo l’altro.
L’usufrutto successivo negli atti mortis causa
è assolutamente vietato.
Il fondamento del
divieto di usufrutto successivo si ritrova nell’esigenza
di evitare una lunga privazione del godimento del bene
da parte del proprietario che inciderebbe sulla sua
commerciabilità. La conferma di questa ratio è
nell’art. 979 < la durata dell’usufrutto non può
eccedere la vita dell’usufruttuario (artt. 678, 698,
796, 853, 1014 c.c.) >.
Secondo la S.C.
il divieto dell’usufrutto successivo,
ricollegandosi a quello della sostituzione
fedecommissaria, è di ordine pubblico, giacché si
coordina anche esso all’esigenza di evitare che siano
frapposti ostacoli alla libera circolazione dei beni,
mediante l’imposizione di vincoli di durata assai lunga
o indeterminata. Tale divieto trova applicazione anche
rispetto ai diritti di uso e di abitazione, in quanto
l’art. 1026 c.c. richiama espressamente e senza alcuna
discriminazione, le norme in tema di usufrutto, tra le
quali si inquadra anche l’art. 698 c.c., ed in quanto la
ratio di questo ricorre anche per i diritti di
uso e di abitazione.
La collocazione del legato di usufrutto successivo nella
stessa sezione della sostituzione fedecommissaria spiega
una somiglianza formale dei due istituti ma in realtà,
l’art. 698 c.c. vieta una fattispecie strutturalmente
diversa, perché nell’usufrutto successivo, a differenza
del fedecommesso, manca l’obbligo di conservare e
restituire essendo l’usufrutto un diritto che si
estingue alla morte del suo titolare.
Perciò oggetto del fedecommesso non può essere un
usufrutto, ma solo la proprietà.
art. 698 c.c.
usufrutto successivo: la disposizione, con la
quale è lasciato a più persone successivamente
l’usufrutto, una rendita o un’annualità, ha valore
soltanto a favore di quelli che alla morte del testatore
si trovano primi chiamati a goderne (c.c.796).
Es. – Tizio ha legato
l’usufrutto del fondo Tuscolano a Caio e
successivamente, a Mevio e, successivamente, a
Sempronio, l’unico legato di usufrutto valido sarà
quello a favore di Caio.
Ammissibilità del
legato di usufrutto a termine
È discusso se il
divieto dell’usufrutto successivo riguardi anche
l’ipotesi di usufrutto a termine: Tizio lega un
usufrutto a favore di Primo, Secondo e Terzo in modo che
primo ne goda per 10 anni, Secondo per i successivi 10 e
Terzo per gli altri 10.
È preferibile
la tesi
della validità perché, in questa ipotesi la durata
dell’usufrutto non supera termini certi, mentre
l’usufrutto successivo fa riferimenti a termini incerti
e, precisamente alla morte degli usufruttuari che si
susseguono.
La
donazione di usufrutto successivo
Il divieto per la
donazione di usufrutto successivo è analogo a quello
disposto per il legato con la sola differenza che, nel
caso appunto di donazione, è consentita la costituzione
di un usufrutto in più, vale a dire la riserva in capo
al donante stesso.
Il principio generale è che il donante può riservare l'usufrutto a
suo favore e poi dopo la sua morte, congiuntamente,
a favore di un'altra persona (ad es. moglie) o più
persone (ad es. figli) viventi al momento della
donazione (USUFRUTTO
SUCCESSIVO eccezionalmente valido).
Struttura
A)
Secondo
alcuni autori
in questo caso ricorre un’ipotesi di
contratto a favore di
terzo: il donatario, al quale viene trasferita la
proprietà, assumerebbe l’obbligo di costituire
l’usufrutto, alla morte del donante, a favore di altra
persona.
B)
Invece,
secondo altri autori,
si avranno due DONAZIONI:
1)
DONAZIONE della nuda proprietà ad un soggetto (con riserva
di usufrutto al donante – PRIMO RISERVATARIO);
2)
DONAZIONE
contestuale ad altro soggetto (o a più soggetti
congiuntamente ma non successivamente) avente ad oggetto
l'usufrutto (SECONDO RISERVATARIO) per dopo la morte del
donante (art. 796 c.c.).
Ne segue che il c.d.
terzo, data la struttura contrattuale della donazione,
acquisterà l’usufrutto unicamente con l’accettazione, la
quale dovrà essere fatta non solo per atto pubblico, ma
anche in vita del donante: la sua morte, infatti,
toglierà efficacia alla proposta di donazione.
In altre parole, secondo la migliore dottrina, la riserva a favore del
secondo riservatario dà luogo ad una PROPOSTA DI
DONAZIONE DIRETTA che va accettata in vita del
donante (ex art.782 cc).
Tale fattispecie ricorre molto frequentemente nella
donazione dal padre ai figli della nuda proprietà, con
riserva di usufrutto a favore di esso donante e per dopo
la sua morte a favore del coniuge; per perfezionare il
contratto di donazione, la moglie dovrà, ad esempio,
costituirsi nell'atto
notarile ed accettare la donazione (diretta)
dell'usufrutto a suo favore (che ovviamente è sottoposta
alla condizione della premorienza del marito alla
moglie).
Le cose dette valgono, naturalmente, anche per l’ipotesi,
legislativamente non prevista, nella quale la riserva è
fatta solo a favore del c.d. terzo e non anche a favore
del donante. In questo caso, evidentemente, si avranno 2
donazioni distinte e immediate: una della nuda
proprietà, l’altra dell’usufrutto.
La teoria della doppia donazione esclude poi la riserva a favore di
soggetti indeterminati al momento della donazione e che
il donante si riserva di designare successivamente. Un
contratto, infatti, non è possibile se non con una
persona determinata, alla quale la proposta deve essere
indirizzata.
Possibilità di
conferma
Di particolare
interesse è il problema se possono essere confermati ai
sensi degli artt. 799 e 590 c.c. le donazioni ed i
legati nulli perché in contrasto con il divieto
dell’usufrutto successivo.
è
preferibile
la tesi positiva, seguita da una non recente sentenza
della Cassazione e da una meditata dottrina la quale
utilizza l’autonomia del negozio di conferma rispetto ai
negozi confermati e sostiene che bisogna in concreto
individuare se un certo risultato, illecito in quanto
perseguito mediante testamento o donazione, sia illecito
anche se perseguito inter vivos.
Così, ad esempio, è
stata affermata in giurisprudenza la sanabilità del
testamento che disponga un usufrutto successivo: la
legge, infatti, si limita ad evitare che un simile
usufrutto sia costituito mediante testamento (art. 698
c.c.) e mediante donazione (art. 796 c.c.), ma non
estende tale divieto agli atti tra vivi diversi dalla
donazione, tra i quali s’inquadra il negozio di
conferma.
In altri termini,
l’eventuale illiceità viene, per questa teoria,
trasferita dalle disposizioni testamentarie al negozio
di conferma.
La costituzione di usufrutto successivo con atto a
titolo oneroso
È discussa la sua ammissibilità che ricorre ad esempio
quando Tizio vende l’usufrutto del fondo Tuscolano a
Caio e, successivamente a Sempronio, nel senso che alla
morte di Caio, l’usufrutto di Costui non si consoliderà
a favore di Tizio perché avrà inizio l’usufrutto di
Sempronio.
La dottrina prevalente
e la costante Giurisprudenza della Cassazione hanno
ammesso la costituzione di un usufrutto successivo con
atto tra vivi a titolo oneroso perché manca qualsiasi
norma che lo vieti, sia pure in via indiretta, qual è,
per le disposizioni testamentarie e per la donazione, il
fedecommesso.
Si legge nelle sentenze della Cassazione che la legge
(per ragioni di ordine pubblico ricollegatesi al divieto
di sostituzione fedecommissaria, come già scritto) vieta
soltanto che l’usufrutto successivo possa essere
costituito mediante disposizione testamentaria ovvero,
salva l’eccezione di cui all’art. 796 c.c., mediante
donazione. Non contrasta con l’essenza dell’usufrutto e
col suo carattere di temporaneità la costituzione di un
usufrutto successivo in favore di persone fisiche tutte
viventi al momento della costituzione, mediante un atto
tra vivi diverso dalla donazione.
Si aggiunge che l’usufrutto successivo non potrà,
comunque, superare la durata di una vita umana, perché
gli usufruttuari dovranno necessariamente essere persone
già nate.
6) Diritti ed obblighi dell’usufruttuario
A)
Possesso della cosa |
art. 982 c.c.
possesso della cosa:
l’usufruttuario ha il diritto di conseguire
il possesso della cosa di cui ha
l’usufrutto, salvo quanto è disposto
dall’art. 1002.
Secondo una pronuncia di merito
il possesso dell'usufruttuario, pur
dovendosi qualificare come detenzione nei
confronti del nudo proprietario, ha tuttavia
un'autonoma rilevanza sufficiente ad
escludere che altri soggetti, quand'anche in
concreto godano ed usino della cosa, possano
vantare con la cosa stessa una relazione di
fatto idonea a determinare, ove prolungata
per i tempi e secondo le modalità all'uopo
necessarie, l'usucapione.
Inoltre in
tema la S.C.
ha affermato che l’usufruttuario ha il
diritto di conseguire, nei limiti della
propria quota, il possesso della cosa di cui
ha l’usufrutto, anche nel caso in cui
concorra nell’usufrutto medesimo per una
quota minore rispetto a quella di altri
usufruttuari, in quanto ove tale diritto
spetta a più soggetti si stabilisce tra i
medesimi una comunione di godimento
(cousufrutto) che può essere caratterizzata
da partecipazioni disuguali, cui si
applicano le norme regolanti la comunione
dei diritti reali (art. 1105 c.c.).
Proprio in
virtù di tale possesso ai fini della
responsabilità
presunta per cose in custodia ai sensi
all'art. 2051 c.c., l'usufruttuario –
avendo, appunto il possesso della cosa – è
parificato al proprietario, senza che si
possa distinguere nell'ambito della cosa
oggetto dell' usufrutto (nella specie, villa
con parco), per sottrarsi alla
responsabilità, tra un singolo bene
pertinenziale non fruttifero, destinato a
scopi ornamentali, come una pianta di
araucaria, e il bene principale, atteso che
la capacità di produrre frutti va riferita
non alle singole parti, ma al bene nella sua
inscindibile totalità.
art. 1002 c.c.
inventario e garanzia:
l’usufruttuario prende le cose nello stato
in cui si trovano (982).
Egli è
tenuto a fare a sue spese
(1o presupposto per prendere
possesso)
l’inventario dei beni,
previo avviso al proprietario (Cod. Proc.
Civ. 769). Quando l’usufruttuario è
dispensato dal fare l’inventario, questo può
essere richiesto dal proprietario a sue
spese.
L’usufruttuario deve inoltre dare idonea
garanzia
(2o presupposto per
prendere possesso)(1179). Dalla
prestazione della garanzia sono dispensati i
genitori che hanno l’usufrutto legale sui
beni dei loro figli minori (324). Sono anche
dispensati il venditore e il donante con
riserva d’usufrutto (796); ma, qualora
questi cedano l’usufrutto, il cessionario è
tenuto a prestare garanzia.
L’usufruttuario non può conseguire il
possesso dei beni (982) prima di aver
adempiuto gli obblighi su indicati.
art. 1003 c.c.
mancanza o insufficienza della garanzia: se
l’usufruttuario non presta la garanzia a cui
e tenuto, si osservano le disposizioni
seguenti:
gli
immobili sono locati o messi sotto
amministrazione, salva la facoltà
all’usufruttuario di farsi assegnare per
propria abitazione una casa compresa
nell’usufrutto. L’amministrazione è
affidata, con il consenso
dell’usufruttuario, al proprietario o
altrimenti a un terzo scelto di comune
accordo tra proprietario e usufruttuario o,
in mancanza di tale accordo, nominato
dall’autorità giudiziaria (att. 59);
il
danaro è collocato a interesse (1000-2);
i
titoli al portatore si convertono in
nominativi a favore del proprietario con il
vincolo dell’usufrutto, ovvero si depositano
presso una terza persona, scelta dalle
parti, o presso un istituto di credito, la
cui designazione, in caso di dissenso, e
fatta dall’autorità giudiziaria;
le
derrate sono vendute e il loro prezzo è
parimenti collocato a interesse (1000-2).
In
questi casi appartengono all’usufruttuario
gli interessi dei capitali, le rendite, le
pigioni e i fitti.
Se si
tratta di mobili i quali si deteriorano con
l’uso, il proprietario può chiedere che
siano venduti e ne sia impiegato il prezzo
come quello delle derrate. L’usufruttuario
può nondimeno domandare che gli siano
lasciati i mobili necessari per il proprio
uso.
Per conseguire il
possesso, se questo è esercitato da altri,
l’usufruttuario può esperire l’actio
confessoria, azione analoga alla rei
vendicatio, detta, appunto, anche
vendicatio usufructus.
|
B) diritti
dell’usufruttuario
|
art. 983 c.c.
accessioni:
l’usufrutto si estende a tutte le accessioni
della cosa . Se il proprietario dopo
l'inizio dell'usufrutto, con il consenso
dell'usufruttuario, ha fatto nel fondo
costruzioni o piantagioni, l'usufruttuario è
tenuto a corrispondere gli interessi sulle
somme impiegate. La norma si applica anche
nel caso in cui le costruzioni o piantagioni
sono state fatte per disposizione della
pubblica autorità.
L'estensione dell'usufrutto alle accessioni
della cosa non è subordinata, nel caso di
costruzioni o piantagioni fatte dal
proprietario con il consenso
dell'usufruttuario o per disposizione della
pubblica autorità, alla condizione della
corresponsione degli interessi sulle somme
impiegate.
Sempre per la S.C.,
in deroga alla previsione ex art. 983 c.c.,
in ipotesi di usufrutto stabilito soltanto
sopra un edificio, se questo perisce, trova
applicazione il secondo comma dell’art. 1018
c.c., che sancisce un’eccezione alla regola
generale contenuta nell’art. 983 c.c.
Pertanto, ove il
proprietario costruisca un nuovo edificio,
avvalendosi del diritto di occupare l’area e
di adoperare i materiali, il nuovo edificio
non è soggetto ad usufrutto ed
all’usufruttuario rimane soltanto il diritto
di credito, avente ad oggetto gli interessi
sulla somma corrispondente al valore
dell’area e dei materiali. Consegue che,
essendosi estinto l’usufrutto con la
costruzione del nuovo edificio, al
successivo evento della morte
dell’originario usufruttuario non si
verifica consolidazione e non è, quindi,
dovuta l’imposta di consolidazione.
La proprietà dei
frutti naturali si acquista con al
separazione, i frutti civili si acquistano
giorno per giorno in ragione della durata
del diritto.
Questa regola generale
si applica anche all’usufruttuario.
art. 984
c.c.
frutti:
i frutti naturali e i frutti civili spettano
all’usufruttuario per la durata del suo
diritto (820 s )
Se il
proprietario e l’usufruttuario si succedono
nel godimento della cosa entro l’anno
agrario o nel corso di un periodo produttivo
di maggiore durata, l’insieme di tutti i
frutti si ripartisce fra l’uno e l’altro in
proporzione della durata del rispettivo
diritto nel periodo stesso (199; att. 150).
Le spese
per la produzione e il raccolto sono a
carico del proprietario e dell’usufruttuario
nella proporzione indicata dal comma
precedente ed entro i limiti del valore dei
frutti (821).
art. 985 c.c. miglioramenti:
l’usufruttuario ha diritto a un’indennità
per i miglioramenti che sussistono al
momento della restituzione della cosa (att.
157).
L’indennità si deve corrispondere nella
minor somma tra l’importo della spesa e
l’aumento di valore conseguito dalla cosa
per effetto dei miglioramenti.
L’autorità giudiziaria, avuto riguardo alle
circostanze, può disporre che il pagamento
della indennità prevista dai commi
precedenti sia fatto ratealmente, imponendo
in questo caso idonea garanzia
(1179, Cod. Proc. Civ. 119).
Per la Corte
nomofilattica, a norma dell’art. 985 c.c.
l’usufruttuario deve effettuare con risorse
proprie i miglioramenti e può pretendere,
solamente per quelle migliorie che
sussistano al momento della restituzione
della cosa, una indennità, fissata nella
minor somma tra l’importo della spesa e
l’aumento di valore conseguito dalla cosa.
Pertanto,
l’usufruttuario non può legittimamente
utilizzare allo scopo danaro del
proprietario di cui sia comunque in
possesso, né il suo diritto all’indennità
diventa attuale fino alla cessazione
dell’usufrutto.
Per di più con una
recente pronuncia la medesima Corte
ha, in deroga al dettato normativo,
stabilito che in caso di donazione della
nuda proprietà di un immobile con riserva di
usufrutto, attesa la natura di diritto reale
di quest'ultimo, il nudo proprietario non è
tenuto al pagamento di alcuna indennità in
favore dell'usufruttuario, salva la
sussistenza di titoli diversi o ulteriori,
quali la locazione o il possesso di mala
fede.
art. 986 c.c.
addizioni:
l’usufruttuario può eseguire addizioni che
non alterino la destinazione economica della
cosa.
Egli ha
diritto di toglierle alla fine
dell’usufrutto, qualora ciò possa farsi
senza nocumento della cosa, salvo che il
proprietario preferisca ritenere le
addizioni stesse. In questo caso deve essere
corrisposta all’usufruttuario un’indennità
pari alla minor somma tra l’importo della
spesa e il valore delle addizioni al tempo
della riconsegna.
Se le
addizioni non possono separarsi senza
nocumento della cosa e costituiscono
miglioramento di essa si applicano le
disposizioni relative ai miglioramenti (att.
157).
Ad esempio a tutela
del diritto di godere al pieno il proprio
diritto di usufrutto è bene già sottolineare
che, secondo la S.C.,
va confermata in quanto sorretta da
motivazione congrua e corretta non soltanto
per quanto riguarda la scelta del
procedimento di liquidazione equitativa ma
anche per quel che concerne la
determinazione in concreto del pregiudizio
la sentenza di merito che, nel pronunciare
la condanna al risarcimento del danno
determinato dal mancato godimento del
diritto di usufrutto, ha evidenziato, oltre
alla limitata estensione del terreno, la
circostanza che lo stesso, dalla data di
costituzione dell' usufrutto a quella dello
spossessamelo era rimasto incolto per alcuni
periodi.
|
C) disponibilità del diritto di usufrutto
|
Oltre alla cessione
l’usufruttuario può concedere l’ipoteca
sull’usufrutto stesso (art. 2810, n. 2).
art. 980 c.c. cessione dell’usufrutto:
l’usufruttuario può cedere il proprio
diritto per un certo tempo o per tutta la
sua durata, se ciò non è vietato dal
titolo costitutivo (1002, 1350 n. 2,
2643 n. 2, 2810).
La
cessione deve essere notificata al
proprietario; finché non sia stata
notificata, l’usufruttuario è solidalmente
obbligato con il cessionario verso il
proprietario (1292).
Sul tema la Corte di Piazza Cavour,
ha affermato che, appunto, l'usufruttuario
può cedere temporaneamente l'esercizio del
suo diritto, conferendo al cessionario tutti
i poteri inerenti e caratterizzanti il suo
diritto reale, ma non il solo godimento di
tale diritto, mediante un contratto di
locazione che, ai sensi dell'art. 1571 c.c.,
può avere oggetto solo un cosa mobile o
immobile.
Mentre non è
configurabile la cessione temporanea del
diritto di usufrutto a favore del nudo
proprietario, in quanto ciò comporta la
estinzione per consolidazione ai sensi
dell’art. 1014 n. 2 c.c., senza possibilità
che, allo spirare del pattuito termine della
cessione, si verifichi la reviviscenza
dell’usufrutto ormai estinto, è ben
possibile, invece, la cessione
temporanea dell’esercizio del diritto di
usufrutto, poiché esso comporta il
conferimento al cessionario delle sole
facoltà di uso e di godimento della cosa,
senza trasferimento del diritto, dando
luogo ad un rapporto obbligatorio costituito
dall’impegno del cedente (che conserva la
titolarità dell’usufrutto) di lasciare
esercitare al cessionario tutti i poteri
inerenti a tale diritto che, pur presentando
delle affinità, si distingue dall’affitto di
fondo rustico, sicché è da escludere,
trattandosi di un negozio atipico,
l’assoggettabilità del rapporto al regime
vincolistico previsto per i contratti di
affitto di fondo rustico le cui norme,
stante il loro carattere cogente, non sono
suscettibili di interpretazione analogica.
In merito al
divieto eventualmente previsto dal titolo
costitutivo bisogna precisare che a
differenza della fattispecie disciplinata
dall’art. 1379 c.c. le alienazioni effettuate contro tale previsione saranno
efficace anche nei confronti dei terzi.
art. 1379 c.c.
divieto di alienazione:
il divieto di alienare stabilito per
contratto ha effetto solo tra le parti, e
non è valido
(1° limite)
se non è contenuto entro convenienti
limiti di tempo [in caso di mancanza
della fissazione del termine, è
preferibile la tesi dell’invalidità (
poiché è contraria a norma imperativa ex
art. 1418) e non dell’annullabilità, perché
le norme che abilitano il giudice a
sostituirsi alle parti nella fissazione di
un termine sono di carattere eccezionale,
non applicabili, dunque, per analogia](965)
(2° limite) e se non
risponde a un apprezzabile interesse di una
delle parti (1260).
L’istituto
è inserito dal legislatore nel capitolo
sugli effetti del contratto per sottolineare
la sua efficacia obbligatoria e non reale, a
conferma del principio della tipicità dei
diritti reali, ossia di quei diritti la cui
efficacia, invece, si produce anche nei
confronti dei terzi.
Si tratta
di una regola inderogabile, nel senso
che non potrà certo, né una pattuizione
espressa, né la trascrizione dall’atto,
attribuire al patto efficacia reale per
renderlo opponibile ai terzi.
In tal
caso, invece, i trasferimenti effettuati
contro il divieto saranno perciò validi e
non pregiudicheranno l’acquisto del terzo,
né potranno determinare un risarcimento del
danno a suo carico; tuttavia, colui che si è
obbligato a non alienare risponderà dei
danni verso la parte alla quale aveva
promesso di non disporre della cosa o del
diritto.
art. 999 c.c.
locazioni concluse dall’usufruttuario: le locazioni concluse dall’usufruttuario, in corso
al tempo della cessazione dell’usufrutto,
purché constino da atto pubblico (2699) o
da scrittura privata di data certa (2704)
anteriore,
continuano per la durata stabilita (1599),
ma non oltre il quinquennio dalla cessazione
dell’usufrutto.
Se la
cessazione dell’usufrutto avviene per la
scadenza del termine stabilito, le locazioni
non durano in ogni caso se non per l’anno e,
trattandosi di fondi rustici dei quali il
principale raccolto è biennale o triennale,
se non per il biennio o triennio che si
trova in corso al tempo in cui cessa
l’usufrutto (att. 51).
In merito la Corte di
Piazza Cavour
ha affermato che il nudo proprietario di un
immobile, concesso in locazione
dall'usufruttuario ad un prezzo inferiore al
valore di mercato, non può ottenere la
declaratoria di invalidità di tale
contratto.
Infatti, mancando nel
nostro ordinamento una norma generale che
sanzioni il contratto in frode ai terzi,
l'unica tutela in ipotesi garantita al nudo
proprietario è quella di cui all'art. 999
c.c., che circoscrive temporalmente
l'opponibilità della locazione in corso al
momento della cessazione dell' usufrutto.
Ancora in precedenza
la stessa Corte,
ha stabilito che la posizione soggettiva in
cui versa, in pendenza dell’usufrutto, il
nudo proprietario, benché consenta a
quest’ultimo il compimento di atti
conservativi, non lo legittima ad agire, in
difetto di un interesse concreto ed attuale
(che non può identificarsi nella pendenza di
giudizio relativo a domanda di cessazione
dell’usufrutto per lamentati abusi
dell`usufruttuario né nella circostanza
dell’età avanzata di questi, tale che lasci
presumere l`imminenza del consolidamento del
pieno diritto di proprietà), per fare
accertare la simulazione assoluta di un
contratto di affitto del bene in usufrutto,
concluso dall’usufruttuario.
Inoltre
la regola prevista dall'art. 999 c.c.
(secondo cui i contratti posti in essere
dall'usufruttuario non possono avere una
durata superiore al quinquennio successivo
alla cessazione dell' usufrutto), vale in
ogni caso e non può dirsi abrogata dalla
legislazione successiva, in particolare
dalla legge n. 392/78.
Questo perché mentre
la c.d. legge sull'equo canone detta la
disciplina «generale» dei contratti di
locazione urbani, l'art. 999 c.c.
costituisce - invece - norma «speciale», in
quanto diretta a disciplinare, con riguardo
al tempo della cessazione dell' usufrutto, i
contratti di locazione conclusi
dall'usufruttuario.
Restando in tema,
secondo la S.C.
l'adesione del nudo proprietario al
contratto stipulato dal primo per una durata
eccedente i cinque anni dalla cessazione
dell' usufrutto vale a derogare al divieto
posto al riguardo dall'art. 999 c.c., che ha
valore dispositivo, in quanto volto a
dirimere interessi privati.
Infatti, la suddetta
norma regola solo le interferenze tra il
pieno godimento del proprietario
successivamente alla cessazione
dell'usufrutto ed il godimento del
conduttore che derivi il suo diritto da
contratto anteriormente stipulato con
l'usufruttuario dando, per un verso, una
preferenza al conduttore, che conserva il
diritto anche nei confronti del
proprietario, benché terzo rispetto al
contratto di locazione, ma limitando, per
altro verso, il vantaggio in tal modo
attribuito al conduttore entro i cinque anni
dalla data di cessazione dell'usufrutto.
art. 1078 c.c.
servitù costituite a favore del fondo enfiteutico, dotale o in
usufrutto:
le servitù costituite dall’enfiteuta a
favore del fondo enfiteutico non cessano con
l’estinguersi dell’enfiteusi. Lo stesso vale
per le servitù costituite dall’usufruttuario
a favore del fondo di cui ha l’usufrutto o
dal marito a favore del fondo dotale (166
bis).
La costituzione di servitù da parte dei
titolari dei descritti diritti reali
parziali si ritengono costituite dunque fin
dall’inizio come accessorie del diritto di
proprietà e, pertanto, anche a favore del
nudo proprietario, con la conseguenza che
non possono essere oggetto di rinunzia da
parte dell’enfiteuta, o dell’usufruttuario
in quanto costoro non possono disporre del
diritto che spetta anche al proprietario.
Su di un
piano strettamente teorico può ammettersi la
costituzione di una servitù passiva da parte
dell’usufruttuario, purché essa sia limitata
nel tempo al periodo per cui dura
l’usufrutto e non importi un mutamento nella
destinazione economica della cosa.
Tuttavia il codice ha espressamente
voluto disconoscere all’usufruttuario la
facoltà di costituire servitù passive,
facendo seguire immediatamente all’art. 1077
c.c. (che regola la sorte delle servitù
costituite dall’enfiteuta o non contempla
affatto l’ipotesi di servitù costituite
dall’usufruttuario), l’art. 1078 il quale,
invece, dispone, relativamente alle servitù
acquistate dall’enfiteuta a favore del fondo
da lui goduto e contempla anche le servitù
acquistate dall’usufruttuario.
|
D)
obblighi preliminari
|
All’inizio
all’usufruttuario s’impongono l’obbligo di
fare l’inventario, se non è stato
dispensato, e l’onere di dare un’idonea
garanzia.
Secondo le Sezioni
Unite,
infatti,
il nudo
proprietario, ancorchè abbia consentito che
l’usufruttuario consegua il possesso dei
beni senza previa prestazione d’idonea
garanzia, può proporre domanda di
accertamento dell’obbligo dell’usufruttuario
di prestarla.
E tale domanda
del nudo proprietario nei confronti
dell’usufruttuario, per ottenere
l’adempimento di quest’ultimo agli obblighi
della effettuazione dell’inventario e della
prestazione di idonea garanzia ha natura
meramente personale,
in quanto non investe l’esistenza ed il
contenuto del diritto di usufrutto.
Pertanto, in ipotesi di comunione
ereditaria, la suddetta azione deve
ritenersi esperibile anche dal singolo
coerede, senza che insorga necessità di
integrazione del contraddittorio nei
confronti degli altri eredi.
La Cassazione
ha anche affermato, una sorta di deroga
parziale, che
l’usufruttuario non è tenuto a prestare la
garanzia prevista dall’art. 1002 c.c. se
l’usufrutto è costituito su immobili dati in
precedenza in locazione ad altri e fino a
quando dura il relativo rapporto.
Pertanto, finché
dura la locazione, il proprietario non può
pretendere che, in mancanza della garanzia,
l’esercizio dei diritti del locatore,
nascente dai contratti di locazione in
corso, sia affidato, sia pure per conto
dell’usufruttuario, a persona diversa da
questo, in quanto le sanzioni previste
dall’art. 1003 c.c. per il caso che
l’usufruttuario non presti idonea cauzione
(dare in locazione o porre sotto
amministrazione gli immobili) hanno
carattere alternativo e l’una esclude
l’altra.
L’omessa prestazione
della cauzione e l’omessa compilazione
dell’inventario inibiscono all’usufruttuario
l’acquisto del possesso (come già detto)
ma non intaccano l’acquisto immediato del
diritto,
né, trattandosi di usufruttuario ex lege,
l’acquisto della qualità di partecipe della
comunione di godimento e della contitolarità
dei rapporti locatizi relativi alla cosa
oggetto dell’usufrutto con i connessi poteri
di disposizione. Tale principio è valido
anche nel caso di mancato conseguimento del
possesso da parte del coniuge superstite
ex art. 649 ultimo comma c.c., secondo
il quale il legatario deve, per conseguire
il possesso della cosa legata domandarla
all’onorato.
|
E) obblighi durante l’usufrutto
|
art. 981 c.c.
contenuto del diritto di usufrutto:
l’usufruttuario ha diritto di godere della
cosa, ma deve rispettarne la
destinazione economica.
Egli
può trarre dalla cosa ogni utilità che
questa può dare (1998), fermi i limiti
stabiliti in questo capo.
In
merito per la Corte di Cassazione
in relazione al concetto di «destinazione
economica» della cosa, che l’usufruttuario
deve rispettare, quale limite al suo diritto
di godimento della cosa stessa, posto
dall’art. 981 comma I, c.c., deve aversi
riguardo non alla funzione a cui la cosa
sarebbe oggettivamente idonea, secondo i
criteri della comune vita sociale bensì alla
funzione a cui la cosa era adibita in
concreto in precedenza dal pieno
proprietario. In ogni caso, quello di cui
occorre tener conto non è il regime
giuridico della cosa, che può essere anche
variato (così ad esempio l’usufruttuario può
dare in locazione l’immobile che
l’originario pieno proprietario abitava
personalmente), bensì lo sfruttamento
utilitario assegnato alla cosa, che non può
essere di regola mutato.
Ciò
posto, salvo il caso di particolari divieti
contenuti nell’atto costitutivo
dell’usufrutto ed idonei essi stessi a
determinare una particolare destinazione
economica della cosa e salvo che specifiche
limitazioni non siano imposte dalla
particolare natura di essa, deve ritenersi
che, come non è dato al nudo proprietario di
interferire negli accordi tra
l’usufruttuario ed il terzo circa l’uso o il
godimento della cosa, allo stesso modo non è
richiesto il consenso del nudo proprietario
per rendere a lui opponibili quegli accordi,
a tanto provvedendo direttamente la legge
con la disposizione dell’art. 999 c.c.
Di conseguenza
l’usufruttuario, che esegue (o che consenta
siano eseguite) opere che alterino
l’originaria destinazione dell’immobile
oggetto del suo diritto, si rende
inadempiente all’obbligazione di godere
della cosa usando della diligenza del buon
padre di famiglia e, essendo tenuto a
risarcire il danno che ne derivi al nudo
proprietario, può essere condannato al
risarcimento del danno in forma specifica e,
perciò al ripristino delle precedenti
condizioni dell’immobile.
art. 1001 c.c.
obbligo di restituzione. Misura della
diligenza: l’usufruttuario deve restituire le cose che formano
oggetto del suo diritto, al termine
dell’usufrutto, salvo quanto è disposto
dall’art. 995 (2930).
Nel
godimento della cosa egli deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia (1176).
Nel godimento
del bene l’usufruttuario deve tenere la
diligenza del buon padre di famiglia;
ad esempio, perciò, se oggetto di usufrutto
è un fondo rustico dato in gestione a terzi,
l’usufruttuario è tenuto a controllare che
non siano compromesse la naturale
destinazione del fondo e la normale
efficienza dell’organizzazione della
produzione e del suo mantenimento.
art. 1004 c.c.
spese a carico dell’usufruttuario:
le spese e, in genere, gli oneri relativi
alla custodia, amministrazione e
manutenzione ordinaria della cosa sono a
carico dell’usufruttuario.
Sono
pure a suo carico le riparazioni
straordinarie rese necessarie
dall’inadempimento degli obblighi di
ordinaria manutenzione.
L'usufruttuario ha
l'obbligo di provvedere alle spese ed in
genere agli oneri relativi alla manutenzione
ordinaria dell'immobile, ma non anche a
quelli relativi ad interventi di restauro,
né è tenuto a comunicare al proprietario la
necessità di tali interventi.
Non è, pertanto,
configurabile alcuna sua responsabilità per
la mancata comunicazione della predetta
necessità, né per aver omesso di provvedere
direttamente alle riparazioni non eseguite
dal proprietario, essendo prevista al
riguardo dall'art. 1006 cod. civ. soltanto
una facoltà.
Le Sezioni Unite,
hanno affermato che i criteri di
ripartizione dei carichi di godimento e
delle spese di custodia fra nudo
proprietario ed usufruttuario, operano nei
rapporti interni e, di regola, non sono
opponibili al terzo creditore, salvo che
diversamente risulti dal titolo del suo
credito.
art. 1005 c.c.
riparazioni straordinarie:
le riparazioni straordinarie sono a carico
del proprietario.
Riparazioni straordinarie sono quelle
necessarie ad assicurare la stabilità dei
muri maestri e delle volte, la sostituzione
delle travi, il rinnovamento, per intero o
per una parte notevole, dei tetti, solai,
scale, argini, acquedotti, muri di sostegno
o di cinta.
L’usufruttuario deve corrispondere al
proprietario, durante l’usufrutto,
l’interesse (1284) delle somme spese per le
riparazioni straordinarie.
Secondo il
Tribunale Capitolino,
con ultima sentenza,
le
riparazioni elencate nella disposizione
normativa di cui all'art. 1005 c.c. non sono
tassative, potendo e dovendo far rientrare
in esse ogni opera che comporti la
sostituzione di entità preesistenti, ma
ormai inefficienti, con altre pienamente efficienti.
Ha specificato la S.C. che il concetto di rinnovamento delle entità abbisognevoli
di riparazione, cui si riferisce l'art. 1005
c.c. in tema di ripartizione delle spese
relative alla cosa oggetto di usufrutto, è
ben diverso dal concetto di innovazione cui
si riferiscono, in tema di condominio negli
edifici, gli artt. 1120 e 1121 c.c. Il primo
concetto va posto in relazione ad opere che
comportano la sostituzione di entità
preesistenti, ma ormai inefficienti con
altre pienamente efficienti. Il secondo
riguarda, invece, opere che importano un
mutamento della cosa nella forma e nella
sostanza, con aggiunta di entità non
preesistenti o trasformazione di alcuna di
quelle preesistenti.
art. 1006 c.c.
rifiuto del proprietario alle riparazioni:
se il proprietario rifiuta di eseguire le
riparazioni poste a suo carico o ne ritarda
l’esecuzione senza giusto motivo, e in
facoltà dell’usufruttuario di farle eseguire
a proprie spese. Le spese devono essere
rimborsate alla fine dell’usufrutto senza
interesse. A garanzia del rimborso
l’usufruttuario ha diritto di ritenere
l’immobile riparato (2756; att. 152).
art. 1007 c.c.
rovina parziale di edificio accessorio:
le disposizioni dei due articoli precedenti
si applicano anche nel caso in cui, per
vetusta o caso fortuito, rovini soltanto in
parte l’edificio che formava accessorio
necessario del fondo soggetto a usufrutto.
art. 1008 c.c.
imposte e altri pesi a carico del
l’usufruttuario: l’usufruttuario è tenuto per la durata del suo diritto, ai
carichi annuali, come le imposte, i canoni,
le rendite fondiarie e gli altri pesi che
gravano sul reddito.
Per
l’anno in corso al principio e alla fine
dell’usufrutto questi carichi si
ripartiscono tra il proprietario e
l’usufruttuario in proporzione della durata
del rispettivo diritto (984).
art. 1009 c.c.
imposte e altri pesi a carico del proprietario:
al pagamento dei carichi imposti sulla
proprietà durante l’usufrutto, salvo diverse
disposizioni di legge, è tenuto il
proprietario, ma l’usufruttuario gli deve
corrispondere l’interesse (1284) della somma
pagata.
Se
l’usufruttuario ne anticipa il pagamento, ha
diritto di essere rimborsato del capitale
alla fine dell’usufrutto.
Ad esempio secondo
una pronuncia della
Commissione Tributaria provinciale di Milano ai sensi dell'art. 3, D.Lgs. 504792, soggetto passivo
dell'imposta comunale sugli immobili è il
proprietario di immobili ovvero il titolare
di diritto reale di usufrutto, uso,
abitazione, enfiteusi, superficie, sugli
stessi.
art. 1010 c.c.
passività gravanti su eredità in usufrutto:
l’usufruttuario di un’eredità o di una quota
di eredità (588) è obbligato a pagare per
intero, o in proporzione della quota, le
annualità e gli interessi dei debiti o dei
legati da cui l’eredità stessa sia gravata.
Per il
pagamento del capitale dei debiti o dei
legati, che si renda necessario durante
l’usufrutto, e in facoltà dell’usufruttuario
di fornire la somma occorrente, che gli deve
essere rimborsata senza interesse alla fine
dell’usufrutto.
Se
l’usufruttuario non può o non vuole fare
questa anticipazione, il proprietario può
pagare tale somma, sulla quale
l’usufruttuario deve corrispondergli
l’interesse (1284) durante l’usufrutto, o
può vendere una porzione dei beni soggetti
all’usufrutto fino alla concorrenza della
somma dovuta.
Se per
il pagamento dei debiti si rende necessaria
la vendita dei beni, questa è fatta
d’accordo tra proprietario e usufruttuario,
salvo ricorso all’autorità giudiziaria in
caso di dissenso. L’espropriazione forzata
deve seguire contro ambedue.
Si è
affermato che questo tipo di vocazione non
attribuisce la qualità di erede, ma quella
di legatario con la conseguenza che
l’usufruttuario non è obbligato al pagamento
dei debiti e dei pesi ereditari, fatta
eccezione per le annualità e gli interessi
dei debiti o dei legati da cui l’eredità
stessa sia gravata ex art. 1010 c.c..
art. 1011 c.c.
ritenzione per le somme anticipate:
nelle ipotesi contemplate dal secondo comma
dell’art. 1009 e dal secondo comma dell’art.
1010, l’usufruttuario ha diritto di
ritenzione sui beni che sono in suo possesso
fino alla concorrenza della somma a lui
dovuta (att. 152).
|
G)
Obblighi alla fine dell’usufrutto
|
art. 1001 c.c.
obbligo di restituzione. Misura della diligenza:
l’usufruttuario deve restituire le cose che
formano oggetto del suo diritto, al termine
dell’usufrutto, salvo quanto è disposto
dall’art. 995
(quasi usufrutto) (2930).
art. 996 c.c.
cose deteriorabili:
se l’usufrutto comprende cose che, senza
consumarsi in un tratto, si deteriorano a
poco a poco, l’usufruttuario ha diritto di
servirsene secondo l’uso al quale sono
destinate, e alla fine dell’usufrutto e
soltanto tenuto a restituirle nello stato in
cui si trovano. |
7) Estinzione dell’usufrutto
art.
1014 c.c.
estinzione dell’usufrutto: oltre quanto è stabilito dall’art. 979 (328),
l’usufrutto si estingue:
l) per prescrizione per effetto del non uso durato per venti
anni (2934 e seguenti);
2) per la riunione dell’usufrutto e della proprietà nella
stessa persona (2814);
3) per il totale perimento della cosa su cui è costituito
(1016 e seguenti).
A)
prescrizione ventennale per non uso
|
È il caso di precisare
che qualsiasi atto di esercizio vale a
interrompere il non uso, anche un atto con
il quale l’usufruttuario traesse dal bene
un’utilità minore di quella che la
titolarità del diritto gli consentirebbe,
ovvero quando egli, inerte nel godimento, ne
disponesse cedendola ad altri o
costituendovi un’ipoteca o esercitando le
azioni del suo diritto.
Non si estingue,
invece, l’usufrutto par la c.d. usucapio
libertatis la quale consiste nel
possedere il fondo in stato di libertà da
parte di un terzo.
Se, infatti, Tizio
possiede il fondo come libero per 20 anni,
acquisterà la proprietà piena non per la sua
usucapione, ma solo perché,
contemporaneamente, l’usufrutto si estingue
per non uso non avendo l’usufruttuario
esercitato il suo diritto in alcun modo.
|
B) Perimento
del bene |
art. 1016 c.c. perimento parziale della cosa: se una sola
parte della cosa soggetta all’usufrutto
perisce, l’usufrutto si conserva sopra ciò
che rimane.
art. 1018 c.c.
perimento dell’edificio:
se l’usufrutto è stabilito sopra un fondo,
del quale fa parte un edificio, e questo
viene in qualsiasi modo a perire,
l’usufruttuario ha diritto di godere
dell’area e dei materiali.
La
stessa disposizione si applica se
l’usufrutto e stabilito soltanto sopra un
edificio. In tal caso, però, il
proprietario, se intende costruire un altro
edificio, ha il diritto di occupare l’area e
di valersi dei materiali, pagando
all’usufruttuario, durante l’usufrutto, gli
interessi (1284) sulla somma corrispondente
al valore dell’area e dei materiali.
|
C)
consolidazione
|
art. 1014 c.c.
estinzione dell’usufrutto:
…………………………………..
2) per la riunione dell’usufrutto e della proprietà nella
stessa persona (2814);
|
D)
La morte dell’usufruttuario
|
art. 979 c.c.
durata:
la durata dell’usufrutto non può eccedere la
vita dell’usufruttuario
Gli stessi effetti
produce la dichiarazione di morte presunta
la quale, ad ogni effetto giuridico,
equivale alla morte vera.
|
E) abusi
|
art. 1015 c.c. abusi dell’usufruttuario: l’usufrutto può anche
cessare per l’abuso
(2561, 2814) che faccia l’usufruttuario del
suo diritto alienando i beni o
deteriorandoli o lasciandoli andare in
perimento per mancanza di ordinarie
riparazioni (1004).
L’autorità giudiziaria può, secondo le
circostanze, ordinare che l’usufruttuario
dia garanzia, qualora ne sia esente, o che i
beni siano locati o posti sotto
amministrazione a spese di lui, o anche dati
in possesso al proprietario con l’obbligo di
pagare annualmente all’usufruttuario,
durante l’usufrutto, una somma determinata.
I
creditori dell’usufruttuario possono
intervenire nel giudizio per conservare le
loro ragioni, offrire il risarcimento dei
danni e dare garanzia per l’avvenire (2900).
Ottima disamina
dell’istituto viene fornita dalla Corte di
Piazza Cavour
con una nota sentenza secondo la quale
l’art. 1015 c.c., conforme all’art. 516 c.c.
del 1865, prevede tre distinte ipotesi in
presenza delle quali l’usufruttuario può
essere dichiarato decaduto dall’usufrutto.
Tali ipotesi ricorrono quando
l’usufruttuario alieni i beni o li deteriori
o li lasci andare in perimento per mancanza
di ordinarie riparazioni. La decadenza,
peraltro, non può riguardare che i casi più
gravi, in quanto, per gli abusi di minore
gravità, la legge stessa prevede, nel
secondo comma dell’art. 1015 c.c., rimedi
meno rigorosi, di carattere non repressivo e
sanzionatorio, ma semplicemente cautelari a
tutela preventiva del diritto del nudo
proprietario. Per tali più lievi abusi
l’autorità giudiziaria, che ha in proposito
il più ampio potere discrezionale, può,
secondo le circostanze, o limitarsi ad
imporre allo usufruttuario una cauzione,
qualora ne sia esente, o adottare un
provvedimento che privi l’usufruttuario di
ogni ingerenza sui beni, disponendo che essi
siano locati, o posti sotto amministrazione
a spese di lui, o anche dati in possesso al
nudo proprietario, con l’obbligo per costui
di pagare annualmente all’usufruttuario,
durante l’usufrutto, una somma determinata.
Ai fini della determinazione delle
conseguenze sanzionatorie, l’accertamento
del giudice del merito è fondato su un
apprezzamento discrezionale, insindacabile
in cassazione, purché sia sorretto da
congrua valutazione di tutti gli elementi
decisivi concorrenti a determinare la colpa
dell’usufruttuario.
L’estinzione, quindi, non si ha iposo
iure, bensì ope iudicis.
E nell’ambito di tale giudizio,
il nudo proprietario il quale chieda la
decadenza dell'usufruttuario dal suo
diritto, adducendo che si sia verificata una
delle ipotesi previste dall'art. 1015 c.c.
(abuso del diritto consistente
nell'alienazione o nel deterioramento dei
beni che ne formano oggetto, ovvero nella
mancanza di ordinarie riparazioni che li
lasci andare in perimento), deve limitarsi a
dimostrare la sussistenza di tali condizioni
al momento della proposizione della domanda
esaurendosi con questa prova l'onere posto a
suo carico. Pertanto, l'usufruttuario, il
quale affermi che la mancanza di
manutenzione preesisteva alla costituzione
del suo diritto, propone un’eccezione che,
essendo diretta a paralizzare la pretesa
fatta valere in giudizio, deve essere da lui
provata.
Per di più
l’usufruttuario, che esegue (o che consenta
siano eseguite) opere che alterino
l’originaria destinazione dell’immobile
oggetto del suo diritto, si rende
inadempiente all’obbligazione di godere
della cosa usando della diligenza del buon
padre di famiglia e, essendo tenuto a
risarcire il danno che ne derivi al nudo
proprietario, può essere condannato al
risarcimento del danno in forma specifica e,
perciò al ripristino delle precedenti
condizioni dell’immobile.
|
F)
la scadenza del termine trentennale (a
favore di una persona giuridica)
|
art. 979 c.c.
durata:
la durata dell’usufrutto non può eccedere la
vita dell’usufruttuario (678, 698, 796, 853,
1014).
L’usufrutto costituito a favore di una
persona giuridica non può durare più di
trenta anni
(999, 1014).
|
G) altre cause d’estinzione
|
1)
annullamento
2)
rescissione
3)
risoluzione
4)
la revocazione della donazione
5)
rinuncia
Per rinunciare all'usufrutto, in
generale, c’è bisogno di rivolgersi ad un
notaio. Le norme di riferimento sono gli
articoli 2643, comma 1, numero 5, e 2657,
del Codice civile.
La prima norma dispone che si devono
trascrivere gli atti di rinuncia che abbiano
ad oggetto diritti reali su beni immobili
(qual è, appunto, la rinuncia al diritto di
usufrutto su un appartamento).
La seconda, richiede, ai fini della
trascrizione nei Registri Immobiliari,
l'atto pubblico o la scrittura privata
autenticata.
Con la
risoluzione n. 25/E
del 16 febbraio, l’Agenzia delle entrate ha
precisato che l’atto di rinuncia a titolo
gratuito del diritto di usufrutto in favore
del nudo proprietario, configurando una
forma di donazione indiretta, è soggetto
all’imposta prevista dal Dlgs 346/90, come
reintrodotto dalla legge 286/06, di
conversione del Dl n. 262, nonché alle
imposte ipotecaria e catastale in misura
proporzionale.
L’equiparazione di un
atto di rinuncia abdicativo, a titolo
gratuito, agli atti di trasferimento di
diritti reali di godimento, è pressoché
pacifico nella giurisprudenza della
Cassazione,
in virtù dell’effetto di arricchimento del
beneficiario conseguente alla rinuncia del
diritto da parte del suo titolare.
Infatti, la rinuncia
al diritto da parte dell’usufruttuario in
favore del titolare della nuda proprietà,
determinando la ricostituzione della piena
proprietà dell’immobile, precedentemente
gravato dal diritto di usufrutto, è
assimilabile a un atto di trasferimento di
un diritto di godimento.
Pertanto: l'aliquota è pari al 4% del
valore dell'usufrutto, per il valore che
oltrepassa la franchigia di un milione di
euro; le imposte ipotecarie e catastali sono
fisse (ciascuna pari a euro 168) se si
tratta di prima casa, altrimenti sono
rispettivamente pari al 2% e all'1% del
valore (catastale) dell'usufrutto.
|
H) modificazioni dell’usufrutto
|
Esistono particolari
ipotesi nelle quali il bene oggetto
dell’usufrutto perisce, mentre il diritto si
trasferisce su un altro bene che ne
rappresenta in qualche modo, l’equivalente
economico.
art. 1017 c.c.
perimento della cosa per colpa o dolo di terzi:
se il perimento della cosa non è conseguenza
di caso fortuito, l’usufrutto si trasferisce
sull’indennità dovuta dal responsabile del
danno.
art. 1019 c.c.
perimento di cosa assicurata
dall’usufruttuario: se l’usufruttuario ha provveduto all’assicurazione
della cosa o al pagamento dei premi per la
cosa già assicurata, l’usufrutto si
trasferisce sull’indennità dovuta
dall’assicuratore.
Se è
perito un edificio e il proprietario intende
di ricostruirlo con la somma conseguita come
indennità, l’usufruttuario non può opporsi.
L’usufrutto in questo caso si trasferisce
sull’edificio ricostruito. Se però la somma
impiegata nella ricostruzione è maggiore di
quella spettante in usufrutto, il diritto
dell’usufruttuario sul nuovo edificio è
limitato in proporzione di quest’ultima.
art. 1020 c.c.
requisizione o espropriazione: se la cosa è requisita o espropriata per pubblico
interesse, l’usufrutto si trasferisce
sull’indennità relativa (1000).
Tutte le ipotesi
predette possono considerarsi casi di
surrogazione reale. |
art. 1012 c.c.
usurpazioni durante l’usufrutto e azioni relative alle
servitù:
se durante l’usufrutto un terzo commette usurpazione sul
fondo o altrimenti offende le ragioni del proprietario,
l’usufruttuario e tenuto a fargliene denunzia e,
omettendola, è responsabile dei danni che eventualmente
siano derivati al proprietario.
L’usufruttuario può far riconoscere (2653) l’esistenza
delle servitù a favore del fondo (1079) o l’inesistenza
di quelle che si pretende di esercitare sul fondo
medesimo (949); egli deve in questi casi chiamare in
giudizio il proprietario (Cod. Proc. Civ. 102)
L’onere
di chiamare in giudizio il nudo proprietario, posto
dall’art. 1012 c.c., a carico dell’usufruttuario che
intenda esercitare l’azione confessoria o negatoria a
tutela del fondo gravato dall’usufrutto, trae la sua
giustificazione dal particolare contenuto che
caratterizza l’estensione di tale diritto nei confronti
della proprietà e dalla correlativa esigenza di evitare
la formazione di giudicati la cui inopponibilità al nudo
proprietario, derivante dalla sua mancata partecipazione
al giudizio, contrasterebbe con la particolare finalità
di accertare una condicio o qualitas fundi cui i
giudicati stessi sono preordinati.
Tale esigenza, non ricorre, invece, nella diversa
ipotesi in cui le suddette azioni siano promosse da o
contro il nudo proprietario, con la conseguenza che, in
tal caso, non è necessaria la partecipazione al giudizio
dell’usufruttuario del fondo passivamente o attivamente
gravato dalla servitù.
La legittimazione processuale
Secondo la
S.C.
in tema di limitazioni legali della proprietà, l'azione
per denunciare la violazione da parte del vicino delle
distanze nelle costruzioni ha natura di negatoria
servitutis, essendo diretta a far valere
l'inesistenza di iura in re a carico della
proprietà suscettibili di dar luogo ad una servitù, e
pertanto al suo esercizio è legittimato, a norma
dell'art. 1012, II comma, c.c., anche il titolare del
diritto di usufrutto sul fondo.
È bene anche
precisare
che rispetto all'originaria domanda di negatoria
servitutis, la domanda successivamente avanzata in
corso di causa, diretta a ottenere il riconoscimento del
diritto di proprietà per intervenuta usucapione ovvero
il diritto di usufrutto della strada asseritamente di
proprietà di altri, onde giustificare la propria
legittimazione ad agire con l'actio negatoria,
comporta non una semplice modificazione (emendatio) ma
un vero e proprio mutamento della stessa (mutatio
libelli), in quanto amplia il petitum
sostanziale e introduce nel processo, nei limiti di tale
ampliamento, un cambiamento degli elementi di fatto,
diversi per consistenza ontologica, struttura e
qualificazione giuridica, oltre che un nuovo tema di
indagine.
Anche in
tema di immissioni è riconosciuto il diritto
all’usufruttuario di poter esperire la relativa azione.
Infatti secondo la S.C.
l'art. 844 c.c.,
il quale riconosce al proprietario il diritto di far
cessare le propagazioni derivanti dal fondo del vicino
che superino la normale tollerabilità, deve essere
interpretato estensivamente, nel senso di legittimare
all'azione anche il superficiario, l'enfiteuta, il
titolare di usufrutto, di uso o di abitazione
e, inoltre, è applicabile per analogia a chi sia
titolare di un diritto personale di godimento sul fondo,
come il conduttore ovvero il promissario di vendita
immobiliare che abbia ricevuto la consegna del bene in
anticipo rispetto alla conclusione del contratto
definitivo.
In virtù
dell’art. 982 c.c. competono all’usufruttuario anche le
azioni possessorie.
Difatti
secondo la S.C.
l’usufruttuario ha il potere di agire
giudizialmente contro coloro che effettuano ingerenze
sulla cosa oggetto del suo diritto, e pertanto egli è
legittimato alle azioni possessorie ed a quelle
petitorie dirette a tutelare l’uso ed il godimento della
cosa.
In altre
parole
deve riconoscersi all’usufruttuario il potere di agire
giudizialmente contro coloro che effettuano ingerenze
sulla cosa oggetto dell’usufrutto e, quindi, la
legittimazione ad agire non solo nella vindicatio
usufructus, ma in tutte le azioni, possessorie e
petitorie, dirette a conservare il possesso nella sua
sfera originaria e a recuperarlo, se perduto in tutto o
in parte, e, comunque, dirette a difendere e a
realizzare l’uso e il godimento della cosa.
Relativamente alle ingerenze di terzi che ledono le
ragioni sia dell’usufruttuario sia nel nudo
proprietario, il primo, se, da un lato, è tenuto a farne
denuncia al secondo, dall’altro, è legittimato ad agire
da solo per la tutela del suo diritto, ma soltanto in
nome proprio e non anche nell’interesse del nudo
proprietario. La necessità del litisconsorzio tra
usufruttuario e nudo proprietario è prevista, peraltro,
riguardo alle liti in materia di servitù attive e
passive promosse dall’usufruttuario, al fine di evitare
la formazione di giudicati aventi efficacia solo
temporanea.
Ancora,
per la Cassazione,
l’usufruttuario, quale titolare del diritto di godimento
sul bene, è attivamente legittimato in ordine
all’azione tendente al rilascio di un immobile, sia
se fondata su un rapporto contrattuale, quale quello
derivante dalla locazione o dal comodato, sia se basata
sulla occupazione senza titolo dell’immobile stesso.
Inoltre
l'usufruttuario ha un'autonoma legittimazione ad agire
ai sensi dell'art. 2043 c.c. per il risarcimento del
danno cagionato da un terzo al bene oggetto del suo
diritto.
Secondo,
ultima Cassazione,
invece, la legittimazione passiva in ordine all'azione
di riduzione in pristino conseguente all'esecuzione, su
immobile concesso in usufrutto, di opere edilizie
illegittime, perché realizzate in violazione delle
distante legali,
spetta al nudo proprietario, potendosi riconoscere
all'usufruttuario il solo interesse a spiegare nel
giudizio intervento volontario ad adiuvandum, ai
sensi dell'art. 105, II comma, c.p.c., volto a sostenere
le ragioni del nudo proprietario alla conservazione del
suo immobile, anche quando le opere realizzate a
distanza illegittima abbiano riguardato sopravvenute
accessioni sulle quali si sia esteso il godimento
spettante all'usufruttuario in conformità dell'art. 983
c.c.
In un’altro
caso particolare, sempre ai fini processuali, secondo
Giurisprudenza di merito,
nella fase esecutiva non vi è lesione del diritto del
terzo nudo proprietario rispetto alla procedura di
espropriazione esercitata nei confronti del debitore -
usufruttuario - del diritto reale (di usufrutto appunto)
facente capo allo stesso che, evidentemente, è
ricompreso nel suo asse patrimoniale. Tale procedura
esecutiva, quindi, rimane estranea alla sfera giuridica
del nudo proprietario che, di conseguenza, non ha alcun
interesse, ed alcuna legittimazione, ad agire in
opposizione alla stessa.
Sempre
nell’ambito della medesima fase, per altro Tribunale,
in pendenza di procedura esecutiva immobiliare avente ad
oggetto la nuda proprietà, qualora il titolare del
diritto di usufrutto deceda in epoca anteriore
all'emissione del decreto di trasferimento,
l'aggiudicatario della nuda proprietà non può ritenersi
acquirente a titolo originario, anche del diritto di
usufrutto del bene da lui acquistato, e per l'effetto
non può estendere il limitato diritto a lui trasferito
fin quando non si verifichi un successivo fatto
estintivo del diritto di godimento medesimo. Ciò in
quanto la successione temporale esclude che di tale
consolidamento possa giovarsi l'aggiudicatario, quanto
piuttosto il creditore procedente e quelli intervenuti
nella procedura esecutiva che sono, pertanto,
legittimati a chiedere l'estensione del pignoramento
anche al diritto di usufrutto sull'immobile esecuta.
Logicamente,
come affermato dal Tribunale di Reggio Calabria,
non si può procedere alla vendita forzata quando il
diritto pignorato non corrisponde a quello oggetto di
vendita ovvero quando viene pignorato il diritto di
proprietà, ma il debitore esecutato risultava titolare
del diritto di usufrutto.
Litisconsorzio
È opportuno, nuovamente
sottolineare
che, quanto ai due soggetti titolari di usufrutto sul
bene, non ricorre una ipotesi di litisconsorzio
necessario, atteso che l'usufrutto e la nuda proprietà,
costituendo diritti reali diversi, danno luogo - ove
spettino a più persone - a un concorso di iura in re
aliena sul medesimo bene e non anche a una comunione
in senso proprio. Insussistente, dunque, è la pretesa
qualità di litisconsorte necessario dell'usufruttuario
pro quota dell'immobile, che, all'evidenza, la
disposizione dell'art. 784 c.p.c. non prefigura e che si
pone in contrasto col principio già enunciato dalla
stessa Corte, secondo cui, nel giudizio di divisione
relativo ad immobile gravato pro quota da
usufrutto in virtù di un negozio trascritto
anteriormente alla trascrizione della domanda di
divisione giudiziale, l'usufruttuario non è
litisconsorte necessario, ma può essere chiamato
affinché la sentenza abbia effetto nei suoi confronti,
ai sensi dell'art. 1113, comma II, c.c., in relazione
all'art. 106 c.p.c.
Difatti
nel caso di comproprietà di beni gravati da un diritto
di usufrutto, la partecipazione dell'usufruttuario al
giudizio di divisione si rende necessaria nella sola
ipotesi di comunione ereditaria, e sempreché
l'usufruttario rivesta, altresì, la qualità di erede
(art. 713 c.c.), ma non in caso di divisione
convenzionale, dovendo ritenersi consentito ai
comproprietari, nell'esercizio della loro autonomia
negoziale, di pattuire fra di essi lo scioglimento della
comunione stessa (art. 784 c.p.c.), senza che, in tale
giudizio, l'usufruttuario acquisti la veste di
litisconsorte necessario.
Principio già affermato con
altra sentenza
secondo la quale, qualora con la domanda di divisione
si chieda lo scioglimento della comunione non ereditaria
avente ad oggetto la contitolarità della nuda proprietà,
l'usufruttuario pro quota dell'immobile non è
parte necessaria del giudizio, atteso che l' usufrutto e
la nuda proprietà, costituendo diritti reali diversi,
danno luogo - ove spettino a più persone - a un concorso
di iura in re aliena sul medesimo bene e non
anche ad una comunione in senso proprio, configurabile
in presenza della contitolarità del medesimo diritto
reale (1100 c.c.) ed alla quale è correlato il giudizio
di divisione, che è volto alla trasformazione del
diritto ad una quota ideale (della proprietà o di altro
diritto reale limitato) in un diritto esclusivo (di
proprietà o di altro diritto reale limitato) su beni
individuali; nè, d'altra parte, l'art. 784 c.c.
prefigura la sussistenza di un litisconsorzio necessario
nei confronti dell'usufruttuario "pro quota", atteso
che, nel giudizio di divisione, l'usufruttuario stesso,
il quale abbia acquistato il diritto in base a un
negozio trascritto in data anteriore alla trascrizione
della domanda di divisione, può essere chiamato in
giudizio, ai sensi dell'art. 1113 comma III, c.c. in
relazione all'art. 106 c.p.c., perché la sentenza abbia
effetto nei suoi confronti.
Mentre
interpretando a contrario una massima della
Cassazione
risulta necessario l’integrazione del contraddittorio
quando ad esempio è
proposta azione
negatoria servitutis - diretta a ottenere la
condanna del convenuto alla rimozione di opere
realizzate sul suo fondo - nei confronti
dell'usufruttuario del fondo di proprietà.
Ma in
maniera più chiara con una precedente pronuncia la
medesima Corte
ha stabilito che qualora venga proposta domanda di
costituzione di servitù coattiva (nella specie: di
passaggio) la stessa non può chiedersi che al
proprietario del fondo. Ove, peraltro, quest'ultimo sia
gravato da usufrutto è indispensabile che al giudizio
partecipi altresì l'usufruttuario e che il medesimo sia
quindi evocato in causa unitamente al nudo proprietario,
dovendosi assimilare la posizione del proprietario e
quella dell'usufruttuario a quella dei condomini,
postulandosi così che il giudicato non possa non aver
efficacia per tutti e due.
Non
sussiste litisconsorzio necessario
tra nudo proprietario ed usufruttuario di un fondo
quando sia esperita non una azione reale (che investa il
fondo gravato di usufrutto e comporti la contestazione
di diritti sia del nudo proprietario che
dell’usufruttuario), bensì una azione personale nei
confronti del proprietario per ottenere il pagamento dei
compensi dovuti per un’attività di lavoro subordinato
svolta nel fondo alle dipendenze del proprietario
stesso.
Sempre ai
fini processuali in ambito societario per il Tribunale
di Marsala
è inammissibile l'intervento del socio di una s.r.l. a
sostegno della posizione processuale che altro soggetto,
quale usufruttuario di quote sociali, si trovi a
rivestire nel giudizio contro il nudo proprietario dì
tali quote sociali, e avente ad oggetto l'accertamento
dell'abuso dell' usufrutto e l'adozione dei
provvedimenti di cessazione dello stesso.
art. 1013 c.c.
spese
per le liti: le spese delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto
l’usufrutto sono sopportate dal proprietario e
dall’usufruttuario in proporzione del rispettivo
interesse.
art.
1021 c.c.
uso:
chi ha il diritto d’uso di una cosa, può servirsi di
essa e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti (821)
per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia
(1023 e seguenti, 1100).
I bisogni
si devono valutare secondo la condizione sociale del
titolare del diritto.
Ai sensi dell'art. 1021 c.c. il diritto d'uso, che ha natura
personale, trova la sua fonte in un'obbligazione assunta
da un soggetto nei confronti di un altro soggetto, il
quale può servirsi della cosa secondo lo schema
delineato dalla norma citata, con conseguente divieto di
cedere il diritto stesso, ex art. 1024 c.c., salvo
espressa pattuizione di deroga ad opera delle parti.
Sul tema la S.C.
ha stabilito che
la differenza, dal
punto di vista sostanziale e contenutistico, tra il
diritto reale d'uso e il diritto personale di godimento
è costituita dall'ampiezza ed illimitatezza del primo,
in conformità al canone della tipicità dei diritti
reali, rispetto alla multiforme possibilità di
atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo
carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato
dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto.
Inoltre
il diritto di uso non è limitato a soddisfare i bisogni
personali del titolare, ma si estende a tutte le utilità
che possono obiettivamente trarsi dal bene secondo la
sua destinazione, potendo l'usuario - non diversamente
dall'usufruttuario - servirsi della cosa in modo pieno,
dovendo soltanto rispettare la destinazione economica di
essa. Ne consegue che la costruzione di un manufatto da
adibire a garage rientra nell'ambito delle facoltà
riconosciute dall'art. 1021 c.c. al titolare - in forza
di convenzione scritta - di un diritto di uso su un'area
nuda, salva la rilevanza che detta opera assume nella
regolamentazione dei rapporti tra le parti al momento
della cessazione del diritto.
Per la costituzione del diritto d’uso non
può assurgere a titolo costitutivo di un diritto reale
una generica clausola di stile,
che non sostanzi un’esplicita manifestazione di volontà
in ordine alla precisa individuazione del diritto reale
fatto valere in giudizio.
Infine altra sentenza
degna di nota ha stabilito che il diritto all'uso
dell'area pertinente ad un fabbricato per parcheggio
dell'auto è di natura reale (artt. 18 legge 6 agosto
1967 n. 765 e 26 legge 28 febbraio 1985 n. 47), e
pertanto si prescrive - per il combinato disposto dagli
artt. 1026 e 1014 c.c. - dopo vent'anni dall'acquisto
dell'unità immobiliare.
art. 1022 c.c.
abitazione: chi ha il diritto di abitazione
di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e
della sua famiglia.
Nel corso degli anni questo istituto, in
particolare, ha avuto dispute giurisprudenziali in
merito alla possibilità dell’usucapione.
Secondo una prima pronuncia è stato
escluso il possesso ad usucapiendum,
poiché il godimento di un immobile nell'esercizio di un
diritto reale di abitazione non costituisce possesso
idoneo all'usucapione del diritto dominicale, occorrendo
a tal fine un mutamento del titolo del possesso stesso,
ai sensi dell'art. 1164 c.c.
Pertanto, con riguardo ad un contratto
avente ad oggetto la cessione del godimento di una casa
per la durata della vita del beneficiario, la ricorrenza
di un atto costitutivo di diritto reale di abitazione,
anziché di un rapporto di locazione, non può essere di
per sé ravvisata nel carattere irrisorio o simbolico del
canone pattuito, sotto il profilo della sua funzione
meramente ricognitiva a tutela del proprietario contro
la possibilità di usucapione, atteso che una siffatta
esigenza cautelativa assume maggiore rilievo proprio nei
confronti di chi entra in relazione con la cosa altrui
in forza di un rapporto obbligatorio.
Successivamente con altra sentenza la
Cassazione,
in senso generale, ha previsto che
il diritto di
abitazione, che ha le sue origini nell’usus domus
del diritto romano classico, ha natura reale e quindi
può essere costituito mediante testamento, usucapione o
contratto, per il quale è richiesta ad substantiam
la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata
(art. 1350 n. 4 c.c.).
Proseguendo su questa scia si arriva ad
un’altra pronuncia
di merito, che in maniera chiara ha previsto che il
diritto di abitazione sull'appartamento del convivente
può essere usucapito in ambito di una relazione more
uxorio.
Con altra sentenza,
inoltre, si è precisato che
il diritto di
abitazione si estende sia a tutto ciò che concorre ad
integrare la casa che ne è oggetto, sotto forma di
accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino,
rimessa, ecc.), giacché l’abitazione non è costituita
soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne
rappresenta la parte accessoria, sia, in virtù del
combinato disposto degli artt. 983 e 1026 cod. civ.,
alle accessioni (nella specie: nuova costruzione).
art. 1023 c.c.
ambito
della famiglia: nella famiglia si comprendono anche i figli nati dopo che è
cominciato il diritto d’uso o d’abitazione, quantunque
nel tempo in cui il diritto e sorto la persona non
avesse contratto matrimonio. Si comprendono inoltre i
figli adottivi (291 e seguenti), i figli naturali
riconosciuti (250 e seguenti) e gli affiliati (404 e
seguenti), anche se l’adozione, il riconoscimento o
l’affiliazione sono seguiti dopo che il diritto era già
sorto. Si comprendono infine le persone che convivono
con il titolare del diritto per prestare a lui o alla
sua famiglia i loro servizi (att. 153).
L' art. 1023
c.c., nel determinare l'ambito della famiglia in
relazione ai diritti di uso e di abitazione contemplati
nei due articoli precedenti, si riferisce al nucleo
familiare
del "titolare del diritto", cioè del diritto di uso o di
abitazione, e non al nucleo familiare del suo "dante
causa" per atto tra vivi o mortis causa.
art. 1024 c.c.
divieto di cessione: i diritti di uso e di abitazione non si possono cedere (853)
o dare in locazione.
Derogabilità del divieto
Il divieto
di cessione dei diritti di uso e di abitazione, sancito
dall'art. 1024 c.c., non è di ordine pubblico e pertanto
può essere oggetto di deroga ove espressamente convenuta
tra il proprietario (costituente) e l’usuario, senza che
la stessa possa desumersi, implicitamente, per il solo
fatto che quest'ultimo, violando la norma, ceda il suo
diritto a terzi.
art. 1025 c.c.
obblighi inerenti all’uso e all’abitazione:
chi ha l’uso di un fondo e ne raccoglie tutti i frutti o
chi ha il diritto di abitazione e occupa tutta la casa e
tenuto alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie
e al pagamento dei tributi come l’usufruttuario (1004 e
seguenti).
Se non
raccoglie che una parte dei frutti o non occupa che una
parte della casa, contribuisce in proporzione di ciò che
gode.
art. 1026 c.c.
applicabilità delle norme sull’usufrutto:
le disposizioni relative all’usufrutto (978 e seguenti)
si applicano, in quanto compatibili, all’uso e
all’abitazione.
1) Riserva a favore del coniuge
Ipotesi legale di abitazione e di uso
A favore del coniuge
superstite prevista al II co. dell’art. 540 c.c.
Coniuge e diritto di abitazione
Il legislatore ha
inteso tutelare non tanto un interesse economico del
coniuge superstite a disporre di un alloggio,
quanto un interesse morale legato alla
conservazione dei rapporti effettivi e di consuetudine
con la casa familiare, oltre che al mantenimento del
tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status
simbols goduti durante il matrimonio.
art. 540 c.c.
riserva a
favore del coniuge:
a favore del coniuge (c.c.459) è riservata la metà
½
del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni
dell’art. 542 per il caso di concorso con i figli.
Al coniuge, anche
quando concorra con altri chiamati, sono riservati
1) i diritti di abitazione sulla casa adibita a
residenza familiare (c.c.144), e 2) di uso
sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto
o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione
disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per
il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed
eventualmente sulla quota riservata ai figli.
L’art. 540, comma II,
c.c., dispone che al coniuge, anche quando concorra con
altri chiamati, sono riservati i diritti d’abitazione
sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui
mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o
comuni.
Il
diritto di abitazione si estende sia a tutto ciò che
concorre ad integrare la casa che ne è oggetto, sotto
forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande,
giardino, rimessa etc.), giacché l’abitazione non è
costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da
tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria, sia, in
virtù del combinato disposto degli artt. 983 e 1026 cod.
civ., alle accessioni (nella specie, nuova costruzione).
Secondo la migliore
dottrina
tali diritti rappresentano propriamente dei prelegati
ex lege che l’art. 540, c.c. ha considerato come
un’aggiunta alla quota di piena proprietà già riservata
al coniuge. I compilatori hanno voluto, cioè, attribuire
al legato in questione funzione di porzione aggiunta non
solo qualitativa (garantire al coniuge il godimento
della casa familiare arredata), ma anche quantitativa.
Solo se la disponibile non è sufficiente, i diritti in
esame potranno gravare sulla quota di riserva del
coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
Ne consegue che al
coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono
riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a
residenza familiare e di uso sui mobili che la
corredano, se di proprietà del defunto o comuni, quale
prelegato, che, in prededuzione, grava sulla porzione
c.d. disponibile e, qualora questa non sia sufficiente,
per la parte eccedente sulla quota di riserva del
coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
Conforme a tale
dottrina è la giurisprudenza di legittimità
secondo la quale
la titolarità del
diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540,
capov., c.c. al coniuge superstite sulla casa adibita a
residenza familiare, che, costituendo ex lege oggetto di
un legato, viene acquisita immediatamente da detto
coniuge, secondo la regola dei legati di specie (art.
649, secondo comma, cod. civ.), al momento dell’apertura
della successione, ha necessario riferimento al diritto
dominicale spettante sull’abitazione al de cuius.
Pertanto, nel caso in cui la residenza familiare del
de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il
diritto di abitazione del coniuge superstite trova
limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà
del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per
l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il
materiale distacco della porzione dell’immobile
spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero
ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione
dell’equivalente monetario di quel diritto senza che —
non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione
obbligatoria — possa verificarsi l’effetto estintivo per
impossibilità della prestazione, previsto dal II comma
dell’art. 673 c.c.
È giusto evidenziare,
anche, che ai diritti reali di abitazione della casa
adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che
l'arredano, attribuiti al coniuge superstite dall'art.
540 comma 2, c.c., non si applicano gli artt. 1021 e
1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in
relazione al fabbisogno del titolare.
Tali diritti si configurano, pertanto, come diritti
esclusivi e non comprimibili del coniuge superstite, con
la conseguenza che, così come non potrà trovare
accoglimento la domanda di riconoscimento di un diritto
di co-abitazione o di co-utilizzazione dei beni da parte
di un coerede, al contrario dovrà essere accolta la
domanda di esclusione dall'uso dei beni e dal diritto di
abitazione della casa già residenza familiare, di un
terzo, per quanto contitolare dell'immobile per diritto
ereditario.
Infine, in tema sempre di
rapporto tra coniugi, per la S.C.,
inoltre, in tema di divorzio e con riguardo al
trattamento economico del coniuge divorziato in caso di
morte dell'ex coniuge, l'accordo intervenuto tra
i coniugi in ordine all'attribuzione dell'usufrutto
sulla casa coniugale a titolo di corresponsione
dell'assegno di divorzio in unica soluzione, a norma
dell'art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n.
898, è idoneo a configurare la titolarità di detto
assegno, alla stregua del principio della riconduzione
ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in
sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale,
dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive
della natura solidaristico-assistenziale dell'istituto;
ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa
il requisito della previa titolarità di assegno
prescritto dall'art. 5 della legge ai fini dell'accesso
alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il
coniuge superstite, alla sua ripartizione.
Trib.
min. Roma, 25 giugno 1984.
Può essere accolta la domanda della madre
separata, affidataria dei figli minori, e
comproprietaria insieme col marito
dell’appartamento nel quale vive con la prole,
di costituzione in proprio favore, ai sensi
dell’art. 194 cod. civ., dell’usufrutto sulla
quota di tale bene appartenente al coniuge,
qualora ciò si riveli necessario per garantire
alla prole il diritto di vivere in modo
indisturbato in un’abitazione idonea a favorirne
la crescita equilibrata, considerando che tale
diritto non potrebbe esserle adeguatamente
assicurato per mezzo dell’ospitalità offerta dai
nonni materni, dato che in tal caso i minori non
avrebbero la sicurezza e la garanzia di vivere
stabilmente nella propria abitazione.
Tribunale di Trento, sentenza 14 gennaio
1997.
È inammissibile la costituzione di un diritto di usufrutto su
quote di società di persone. Secondo il
tribunale Trentino, come correttamente rilevato
dal conservatore del registro delle imprese nel
provvedimento di rifiuto di iscrizione oggetto
del ricorso, "il diritto di usufrutto è un
diritto reale limitato, caratterizzato dal
requisito di tipicità ed avente ad oggetto, come
tale, ogni bene patrimoniale materiale ed
immateriale che possa formare oggetto del
diritto di proprietà".Tra tali beni non possono
ricomprendersi le quote sociali di società di
persone, afferendo le stesse a posizioni
contrattuali complesse, non rappresentate da
alcun titolo (come invece avviene per le società
di capitali) e concernendo posizioni giuridiche
non suscettibili di qualificazione nell'ambito
della nozione giuridica della proprietà. Si
evidenzia, inoltre, che ammettere in via
generale la possibilità di costituzione e
cessione di diritti reali di usufrutto su quote
di società di persone comporterebbe ulteriori,
rilevanti problematiche interpretative dai
significativi ed immediati risvolti concreti,
nell'ipotesi, pur configurabile astrattamente,
di cessione di diritti di usufrutto in favore di
terzi non soci, alla luce del principio dell'intuitus
personae e della responsabilità patrimoniale
dei soci (ai quali spetta anche
l'amministrazione ex art. 2257 c. c.),
caratterizzanti tale forma societaria.
Gradassi – auspicabile, al momento della
costituzione dell’usufrutto, disciplinare, in
maniera pattizia, la responsabilità, tenuto
conto della delicatezza degli interessi
contrastanti.
Gazzoni – La cessione si realizza
mediante accordo tra creditore cedente e terzo
cessionario. Si è in presenza dunque ad un
contratto ad effetti reali cui è del tutto
estraneo il debitore ceduto: trattasi pertanto
di contratto bilaterale e non trilaterale.
Tuttavia secondo l’art. 1264 la cessione è
opponibile al debitore ceduto solo in caso di
accettazione (necessaria per la P.A.) o di
avvenuta notifica. Peraltro anche prima di tale
evento (di cui si discute il profilo formale, se
cioè la notificazione debba avvenire nelle forme
processuali con intervento dell’ufficiale
giudiziario ovvero con atto scritto di data
certa o abbia invece – come sembra preferibile –
forma libera e dunque possa avvenire anche
mediante comunicazione orale), la prestazione è
bensì inesigibile dal terzo, ma il debitore che
paga al cedente non è liberato se il cessionario
prova che il debitore stessa era a conoscenza
dell’avvenuta cessione.
Corte di Cassazione Sezione II civile,
sentenza 24 febbraio 2009, n. 4435. Conforme
Corte di Cassazione Sezione II civile,
sentenza 12 settembre 2002, n. 13310.
L'attribuzione testamentaria dell'usufrutto
generale non costituisce assegnazione di legato
ma istituzione di erede comprendendo tale
attribuzione l'universalità dei beni ai sensi
dell'articolo 588 del codice civile.
Trattasi di una sostituzione prevista dal de
cuius, ma non già per il caso in cui
l’istituito non possa o non voglia succedere,
quanto piuttosto per il momento della morte di
costui, dopo quindi che egli ha accettato la
delazione.
In sostanza (1) il testatore ad es. istituisce erede
(2) Tizio (fedecommesso) con l’obbligo di
conservare il patrimonio, che andrà, alla
morte di Tizio
►
(3) a Caio (fedecommissario), a prescindere da
qualsivoglia manifestazione, positiva o
contraria.
Non vi è dunque un obbligo a carico di Tizio (istituito) di
fare testamento a vantaggio di Caio
(sostituito), perché Caio succederà direttamente
(poiché vi è una duplice delazione) al
de cuius originario che ha disposto la
sostituzione fidecommissaria.
Tribunale di Nola Sezione I civile, sentenza
12 febbraio 2008. Conforme, Tribunale di
Napoli civile
Sentenza 17 maggio 2006.
La donazione con riserva di usufrutto in favore
di un terzo da luogo a due distinti negozi, un
trasferimento della nuda proprietà in favore del
donatario, ed un 'offerta di donazione dell'
usufrutto in favore del terzo, improduttiva di
effetti fino a che non intervenga l'accettazione
del terzo medesimo, prima della morte del
costituente, nella prescritta forma dell'atto
pubblico; ne consegue che, qualora il donante
riservi l' usufrutto sui beni donati a proprio
vantaggio e, dopo di lui, a vantaggio di un
terzo, come consentito dall'art. 796 c.c, il
donatario della nuda proprietà acquista il pieno
dominio alla cessazione dell' usufrutto del
donante, se il terzo riservatane non abbia
accettato prima della morte del donante stesso.
Tribunale di Rovigo
civile sentenza 31 maggio 2007, n. 61.
In merito alla
distinzione tra atti di ordinaria e
straordinaria amministrazione, la sentenza
precisa che è negli atti diretti alla mera
conservazione dell'immobile che devono
individuarsi quelli di ordinaria
amministrazione. Tale osservazione è conforme a
quanto disposto dall'art. 1108 c.c. che
individua nelle "innovazioni dirette al
miglioramento della cosa" gli atti di
straordinaria amministrazione ed in generale
negli atti non diretti alla mera conservazione
del bene. In senso conforme, vedi, Cassazione
civile, sentenza 5 novembre 1990, n. 10611.
Corte di Cassazione, Sezione II civile,
sentenza 28 agosto 2008, n. 21774. Altra
massima estrapolata dalla medesima sentenza
prevede che quando la porzione di immobile
facente parte di un condominio è oggetto del
diritto di usufrutto, l'atto dal quale tale
situazione deriva, se debitamente trascritto, è
opponibile erga omnes e quindi anche al
condominio, il quale è tenuto a osservare le
norme dettate dagli articoli 1004 e 1005 del
c.c. in ordine alla ripartizione delle spese fra
nudo proprietario e usufruttuario, tenuto conto
che, in relazione al pagamento degli oneri
condominiali che costituiscono un'obbligazione
propter rem, la qualità di debitore
dipende dalla titolarità del diritto di
proprietà o di altro diritto reale sulla cosa;
pertanto, poiché anche le spese dovute
dall'usufruttuario si configurano come
obbligazioni propter rem, non è
necessario all'assemblea interferire
sull'imputazione e sulla ripartizione dei
contributi stabiliti dalla legge in ragione
della loro natura, non rientrando nei suoi
poteri introdurre deroghe che verrebbero a
incidere su diritti individuali. Corte di
Cassazione Sezione II civile, sentenza 27
ottobre 2006, n. 23291. Conforme. Quando la
porzione di immobile facente parte di un
condominio è oggetto del diritto
di usufrutto, l'atto dal quale tale situazione
deriva, se debitamente trascritto, è opponibile
erga omnes e quindi anche al condominio,
il quale è tenuto ad osservare le norme dettate
dagli artt.1004 e 1005 c.c. in ordine alla
ripartizione delle spese fra nudo proprietario e
usufruttuario, tenuto conto che - in relazione
al pagamento degli oneri condominiali che
costituiscono un'obbligazione propter rem,
quindi tipica - la qualità di debitore dipende
dalla titolarità del diritto di proprietà o di
altro diritto reale sulla cosa; pertanto, poiché
anche le spese dovute dall'usufruttuario si
configurano come obbligazioni propter rem,
non è consentito all'assemblea interferire sulla
imputazione e sulla ripartizione dei contributi
stabiliti dalla legge in ragione della loro
natura, non rientrando nei suoi poteri
introdurre deroghe che verrebbero a incidere su
diritti individuali. Ne consegue che
l'assemblea, in sede di approvazione del
bilancio, deve ripartire le spese secondo a loro
funzione e il loro fondamento, spettando
all'amministratore, in sede di esecuzione,
ascrivere i contributi, secondo la loro natura,
ai diversi i soggetti obbligati anche nel caso
in cui l'assemblea non abbia provveduto ad
individuarli.
Corte d'Appello di Firenze, Sezione II civile,
sentenza 10 febbraio 2009, n. 163
Clausola tipica "Tizio, riservando
l'usufrutto a suo favore e per dopo la sua morte
a favore della moglie, DONA ai figli ……… che
accettano, la nuda proprietà
dell'appartamento……. La moglie Tizia accetta la
donazione dell'usufrutto a suo favore diritto
che nascerà al momento della morte di Tizio."
Corte di Cassazione Sezione III civile,
sentenza 05 luglio 2004, n. 12280.
L'usufruttuario, come si desume dal combinato
disposto degli artt. 982 e 1004 c.c., ha il
possesso e la custodia della cosa ed è,
pertanto, ai fini della responsabilità di cui
all'art. 2051 c.c., in tutto e per tutto
parificato al proprietario.
Corte di Cassazione Sezione II civile,
sentenza 24 maggio 2010, n. 12613
Tribunale
di Roma Sezione V civile, sentenza 20 febbraio
2006, n. 17746. Ai sensi dell'art. 999 c.c. le
locazioni immobiliari stipulate
dall'usufruttuario sono opponibili, per tutta la
loro residua durata, al pieno proprietario che
consolidi la propria titolarità dominicale in
conseguenza della cessazione dell' usufrutto,
solamente qualora esse constino da atto pubblico
ovvero da scrittura privata avente data certa
anteriore; va, pertanto, accolta la domanda
proposta dal proprietario tale divenuto a
seguito dell'estinzione dell' usufrutto nei
confronti del conduttore e volta ad ottenere il
rilascio del bene al medesimo concesso in
godimento personale dall'usufruttuario in forza
di titolo negoziale non rivestente i detti
requisiti di forma, come nel caso della c.d.
locazione verbale. Massima estratta già da una
sentenza della Corte di Cassazione Sezione 3
civile (sentenza 25 luglio 2003, n. 11561).
L' art. 999 c.c., a norma del quale le locazioni
concluse dall'usufruttuario ed in corso alla
data di cessazione
dell' usufrutto sono opponibili al proprietario, purché
constino da atto pubblico o da scrittura privata
di data certa anteriore, in ogni caso per una
durata non eccedente il quinquennio dalla
cessazione dell' usufrutto, non è stato
implicitamente abrogato dalla legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti
agrari), nè per quanto riguarda la forma del
contratto di affitto posto in essere
dall'usufruttuario, richiesta per l'opponibilità
al proprietario, nè per quanto riguarda la
durata del contratto di affitto
Corte di Cassazione Sezione III civile,
sentenza 20 marzo 2008, n. 7485. Conforme,
Corte di Cassazione Sezione III civile,
sentenza 25 luglio 2003, n. 11561.
Non esiste nell'ordinamento positivo un'azione
di impugnativa della locazione, stipulata
dall'usufruttuario, per frode in danno del nudo
proprietario, l'unico strumento previsto a
tutela di quest'ultimo essendo la disciplina
specifica dettata dall'art. 999 c.c., che
stabilisce, oltre che le condizioni di forma e
di sostanza richieste per l'opponibilità al
proprietario del contratto costitutivo del
diritto personale di godimento, la durata
massima del rapporto di locazione dopo la
cessazione dell' usufrutto. Nè la mancata
configurazione, a tutela del proprietario,
accanto e ad integrazione di quanto derivante
dalla previsione contenuta nel citato art. 999,
di un'azione diretta a far valere la nullità per
frode della locazione stipulata
dall'usufruttuario, si pone in contrasto con gli
artt. 3 e 42 Cost., essendo la disciplina in
materia frutto di un equilibrato contemperamento
dei vari interessi in gioco. Si segnala,
inoltre, una pronuncia contraria di merito,
Tribunale di Parma civile, sentenza 23 giugno
1999,
secondo la quale il
nudo proprietario può ottenere la risoluzione di
un contralto di locazione stipulato
dall'usufruttuario per durata e condizioni tali
da dimostrare un consilium fraudis tra i
contraenti in danno di lui proprietario (nella
specie, il novantunenne usufruttuario d'un fondo
rustico, deceduto poco dopo il contratto
impugnato dal proprietario del fondo, l'aveva
affittato per la durata di venti anni e per un
canone apparso esiguo).
Corte di Cassazione 18 giugno 1971, n. 1878
Tribunale di Latina Sezione II civile,
decreto 12 dicembre 2006. Principio affermato
dalla
Corte di Cassazione Sezione 3 civile,
sentenza 25 agosto 2006, n. 18492 Nell'espropriazione
immobiliare, oggetto del trasferimento è il bene
descritto nell'ordinanza di vendita così che,
ove risulti sottoposta a pignoramento la nuda
proprietà di un immobile, il cui usufrutto
appartiene ad un soggetto diverso, il
consolidamento dell' usufrutto per sopravvenuta
morte dell'usufruttuario, non indicato
nell'ordinanza di vendita e nel decreto di
trasferimento, consente l'aggiudicazione e, il
trasferimento della sola nuda proprietà.
Tribunale di Marsala civile, Ordinanza 21
luglio 2005.
Inoltre per il medesimo Tribunale
la scelta tra le misure da adottare per
fronteggiare una situazione di abuso di
usufrutto è rimessa al giudice, che dovrà
valutare le concrete circostanze e attenersi ai
criteri della proporzionalità della misura
rispetto all'abuso, dell'adeguatezza della
misura alla salvaguardia della res, del
contemperamento degli interessi del nudo
proprietario e dell'usufruttuario. Infine,
costituisce abuso di usufrutto di quote sociali
il contributo causale e consapevole ad una
situazione di paralisi dell'assemblea, condotta
eziologicamente in grado di determinare una
causa dì scioglimento della società e il
conseguente venir meno del bene-quota concesso
in usufrutto.
Corte di Cassazione Sezione II civile,
sentenza 26 febbraio 2008, n. 5034. Nella
specie, la S.C. ha confermato la sentenza di
merito la quale - in relazione al conferimento
di attrezzature sciistiche e di uso di terreni
nell'ambito del patrimonio di una società in
fase di costituzione - aveva ritenuto che tale
conferimento avesse il carattere di un diritto
personale di godimento e non di un diritto reale
di uso, in considerazione della stretta
connessione tra l'uso dei terreni ed il
mantenimento degli impianti sciistici in
questione
Corte di Cassazione 20 giugno 1963, n. 1651
Particolare, quanto singolare appare questa
pronuncia del Tribunale di Modena
Sezione I civile
Sentenza 22 agosto 2006, n. 1390 secondo la quale non integra il
presupposto per l'annullamento per errore la
convinzione relativa al contenuto della riserva
del diritto di abitazione rispetto alla riserva
di usufrutto, dal momento che essendo un errore
di diritto doveva essere l'unica o comunque
fondamentale ragione della stipulazione.
Corte di
Cassazione, Sezione
II, sentenza n. 5044 del 09 giugno 1987
Nella specie, i giudici del merito, con
riguardo al diritto di abitazione spettante al
coniuge superstite sulla casa coniugale ex art.
540, secondo comma, cod. civ., avevano
riconosciuto ad una collaboratrice convivente,
quale facente parte del nucleo familiare, l'uso
di una stanza e di un gabinetto, sebbene la sua
collaborazione fosse cessata dopo la morte del "de
cuius". La Suprema Corte ha annullato la
decisione, enunciando il principio di cui in
massima.
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