( Giovanni Minauro )
.Illegittimità' delle maggiorazioni
ex art. 27 l. 689/81 applicate alle sanzioni per
violazione delle norme del c.d.s. – Incertezza ed
illiquidità del compenso dell'ente di riscossione
qualora riportato in maniera criptica nella cartella -
Opposizione ex art. 615 c.p.c. e sospensione
dell'efficacia esecutiva della cartella
.
Sanzione amministrativa –
Violazione al codice della strada
Opposizione a cartella esattoriale
ILLEGITTIMITA' DELLE MAGGIORAZIONI
EX ART. 27 L. 689/81 APPLICATE ALLE SANZIONI PER
VIOLAZIONE DELLE NORME DEL C.d.S. – INCERTEZZA ED
ILLIQUIDITA' DEL COMPENSO DELL'ENTE DI RISCOSSIONE
QUALORA RIPORTATO IN MANIERA CRIPTICA NELLA CARTELLA -
OPPOSIZIONE EX ART. 615 C.P.C. E SOSPENSIONE
DELL'EFFICACIA ESECUTIVA DELLA CARTELLA
di
Avv. Giovanni Minauro
Nelle cartelle
emesse dall'Equitalia per il pagamento di sanzioni
relative a violazioni del C.d.S. e sulla base di verbali
non pagati in misura ridotta e non opposti (o per i
quali v'è stato rigetto del ricorso amministrativo o
giurisdizionale), vengono abitualmente addebitate al
contravventore, nella voce “dettaglio importi dovuti”,
oltre alle sanzioni irrogate dall'ente impositore (per
la metà del massimo edittale ex art. 203 C.d.S.), somme
per “magg. ex l. 689/81” (maggiorazioni di cui al 6°
comma dell’art. 27 della legge 689/81, secondo cui “in
caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è
maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da
quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a
quello in cui il ruolo è trasmesso all’esattore”). La
notifica di tali cartelle, spesso appositamente
effettuata a distanza di diversi anni dall'esigibilità
della sanzione, determina, con il maturare di dette
maggiorazioni (ad un tasso annuo del 20%), un odioso
impazzimento delle stesse.
Ad esempio, se si rimane
soccombenti in un giudizio di opposizione a sanzione
per eccesso di velocità (art. 142 C.d.S.) ricompreso
tra i dieci e i venti km. oltre il limite consentito e
si ci dimentica di effettuare, dopo il deposito della
relativa sentenza, la comunicazione obbligatoria di cui
all'art. 126 bis C.d.S., l'iniziale sanzione applicata
in misura ridotta per la sola violazione di cui al cit.
art. 142 C.d.S. (€. 157,20), a distanza di soli tre anni
dalla sua irrogazione (tempo mediamente occorrente per
avere una pronuncia definitiva da parte dell'A.G.),
aumenterà, a conti fatti, dell'800% circa e si ci vedrà
arrivare a casa una cartella di pagamento dell'importo
di oltre 1.300,00 euro (ossia una cartella del tipo: €.
297,00 per violazione art. 142 C.dS., €. 500,00 per
violazione dell'art. 126 bis - per sanzioni aumentate
fino alla metà del massimo edittale; €.180,00 ed €.
250,00 circa per maggiorazioni di cui alla l. 689/81; €.
9.29 ed €. 7.74 per spese; €. 23,00 ed €. 35,00 circa
per compensi dell’Ente di Riscossione).
La sproporzione tra sanzione
iniziale e finale, tra lievità del fatto e conseguenze
sanzionatorie, è sin troppo evidente. Roba da
gabellieri medievali!
Prescindendo, tuttavia, da ogni
considerazione di politica legislativa sull'opportunità
e sulla ragionevolezza di un siffatto accanimento
sanzionatorio dello Stato nei confronti del cittadino
(si tratta, in buona sostanza, di punire il solo ritardo
dell'automobilista nel pagare le sanzioni irrogategli
per aver violato il C.d.S.), ciò che qui preme rimarcare
è l'illegittima ed inammissibile applicazione, da parte
degli enti impositori e del Concessionario del Servizio
di Riscossione, di un doppia sanzione (aumento della
sanzione, ex art. 203 C.d.S., fino alla metà del
massimo edittale + maggiorazione ex art. 27 co. 6 l.
689/81) per un medesimo fatto (ritardo nel
pagamento).
Difatti, sia la Suprema Corte di
Cassazione e sia i giudici di pace (Cfr. Cass. Civ.,
Sez. II, 16 febbraio 2007 n. 3701; Cass. Civ., Sez. II,
22/10/2009, n. 22397; Cass. Civ., Sez. II, 23/09/2010,
n. 20084; Giudice di Pace di Bari, Sez. VI, 18/05/2010,
n. 4184; Giudice di pace Lugo, 19/06/2002; Giudice di
pace di Castellammare di Stabia, n.2920 /05), hanno
ritenuto che le anzidette maggiorazioni di cui al cit.
art. 27 co. 6 l. 689/81, qualora iscritte a ruolo sulla
base di verbali esecutivi relativi a violazioni del
C.d.S., non sono assolutamente dovute, siccome l'art.
203 C.d.S., in deroga alle disposizioni di cui all’art.
17 della l. n.689/81, prevede espressamente che,qualora
non sia stato proposto ricorso al Prefetto (n.d.r.: o,
in alternativa, al Giudice di Pace) e non sia avvenuto
il pagamento in misura ridotta, il verbale costituisce
titolo esecutivo soltanto per una somma pari alla metà
del massimo della sanzione amministrativa edittale e per
le spese di procedimento.
Infatti, prima dell'entrata in
vigore del Codice della Strada (D.lgs. n. 285/1992),
allorquando il contravventore non aveva effettuato il
pagamento in misura ridotta del verbale, il funzionario
o l'agente che aveva accertato la violazione stradale
aveva invece l'obbligo, ai sensi del cit. art. 17 l.
689/81, di farne rapporto al Prefetto, il quale, con
ordinanza ingiunzione (impugnabile dinanzi all'A.G.),
comminava la sanzione, determinandone l'entità.
E' quindi evidente che la volontà
del legislatore del 1992 era quella di predeterminare,
con riferimento alle ipotesi di mancato pagamento in
misura ridotta del verbale o di mancata proposizione del
ricorso amministrativo avverso i verbali elevati per
violazioni al C.d.S., l'entità delle sanzione da
applicare e di abolire, conseguentemente, il meccanismo
dell'obbligo di rapporto al Prefetto e dell'irrogazione
della sanzione da parte di quest'ultimo.
Si è obiettato, tuttavia, che
l'applicazione delle maggiorazioni in parola sarebbe
giustificata dal rinvio operato dal successivo art. 206
C.d.S., per quanto riguarda la “riscossione dei proventi
delle sanzioni amministrative pecuniarie”, proprio alle
disposizioni di cui all'art. 27 l.689/81.
Si è osservato, ex adverso, che
tale ultimo rinvio normativo, stante l'anzidetta
espressa deroga all'obbligo di rapporto al Prefetto e
la contestuale preventiva predeterminazione della
sanzione dovuta in caso di ritardato pagamento (cit.
art. 203 C.d.S), non potrebbe che riferirsi alle sole
disposizioni che l'art. 27 cit. l. 689/81 detta per le
concrete modalità della riscossione (prevedendo che
questa debba effettuarsi secondo la disciplina dettata
per la esazione delle imposte dirette) e non anche a
quelle di carattere sanzionatorio contenute nella stessa
norma (Cfr,cit. Giudice di Pace di Roma 17/12/2008).
Se così non fosse, ci troveremmo,
difatti, di fronte ad una irragionevole ed illegittima
applicazione di una doppia sanzione per un medesimo
comportamento (ritardo nel pagamento), dal momento che
la maggiorazione del 10% semestrale di cui al 6° comma
dell'art. 27 l. 689/81, avendo già di per sé funzione
sanzionatoria e non risarcitoria (Cfr., sul punto,
Corte costituzionale n. 308/1999) ed essendo stata
prevista in via generale per tutte le sanzioni
amministrative, qualora applicata alle contravvenzioni
al C.d.S., andrebbe inammissibilmente ad aggiungersi
alla sanzione già prevista, dal cit. art. 203 C.d.S.,
per il ritardato pagamento di queste ultime, con
conseguente violazione del principio di specialità di
cui all'art. 9 stessa l. 689/81 (secondo cui, quando
uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e
da una disposizione che prevede una sanzione
amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni
che prevedono sanzioni amministrative, si applica la
disposizione speciale).
In definitiva, stando al quadro
giurisprudenziale nettamente delineatosi in materia, è
da ritenersi che, per le sanzioni relative a violazioni
del C.d.S. e contenute in verbali non pagati e non
opposti (o per i quali v'è stato rigetto del ricorso
amministrativo o all'A.G.), l'Ente Impositore e
l'Equitalia, nonostante l'art. 206 C.d.S. rinvii alle
norme previste in materia di riscossione dall'art. 27 l.
689/81, non possano pretendere il pagamento della
maggiorazione sanzionatoria di cui all'art. 27 co. 6
stessa l. 689/81.
Sotto diverso profilo, va poi
considerato che la non debenza delle suddette
maggiorazioni comporta anche la conseguente diminuzione
dell'entità del compenso dovuto all'Ente di Riscossione
(c.d. aggio), dovendo lo stesso essere logicamente
ricalcolato sulla base della sola sanzione applicabile
ex art. 203 C.d.S. (metà del massimo edittale), ossia
sulla base di una somma di gran lunga minore rispetto a
quella riportata nella cartella.
Inoltre, dato che il compenso
dell'Equitalia risulta normalmente iscritto a ruolo
senza alcuna spiegazione circa la base di calcolo, il
tasso ed il periodo di mora applicati, la cartella
risulterà nulla per mancanza dei requisiti della
certezza e della liquidità del relativo credito -
nullità rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e
grado del giudizio, trattandosi di presupposti
dell’azione esecutiva (Cfr. Cass., Sez. III, nr.
9293/2001) - e per lesione del diritto di difesa,
siccome se, da una parte la determinazione del quantum
debeatur non risulta possibile attraverso gli elementi
testuali ricavabili dal titolo azionato ed in base
all'effettuazione di semplici operazioni aritmetiche,
dall'altra, ildebitore non viene posto nella condizione
di poter controllare l’operato dell’Ente di Riscossione
e di poter adeguatamente tutelare le proprie ragioni.
Difatti, secondo la giurisprudenza
di legittimità, qualsiasi titolo, anche di formazione
giudiziale, non può considerarsi esecutivo se non quando
consente la determinazione degli importi dovuti o perché
già indicati nel proprio testo, o perché comunque
determinabili agevolmente in base agli elementi numerici
contenuti in quel testo attraverso operazioni
aritmetiche elementari, oppure predeterminati per
legge, senza fare ricorso ad elementi numerici ulteriori
che non risultino dal testo dello stesso titolo (Cfr. in
tal senso, Cass., Sez. Lav. 28/04/2010 n. 10164),
mentre nulla ed illegittima, per violazione del diritto
di difesa, è da ritenersi “la cartella di pagamento che
riporta in maniera criptica i soli codici del tributo
richiesto, non potendo comprendere il contribuente la
ricostruzione dell’operato dell’Ufficio attraverso
difficili operazioni interpretative di codici ed
enumerazioni” (Cfr., sul punto, Cass. Sez. Trib., 16
settembre 2005 n. 18415).
Dal punto di vista processuale, Il
rimedio esperibile avverso una cartella affetta dai
suddetti vizi è senz'altro quello dell'opposizione
all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. co I, dal momento che
la stessa, siccome basata su verbale ormai divenuto
esecutivo e non più impugnabile dinanzi al giudice di
pace ex artt. 22 e 23 l. 689/81, va equiparata all'atto
di precetto e che le contestazioni da far valere
riguardano, da una parte, la debenza di alcune somme
(maggiorazione sanzionatoria di cui alla cit.l. 689/81 e
della quota di compenso dell'Ente di Riscossione su di
essa calcolato) e, dall'altra, la mancanza dei
presupposti dell’azione esecutiva costituiti dalla
certezza e dalla liquidità del credito azionato (Cfr.,
sul punto, Cass. Civ., Sez. III, 25/11/2002, n. 16569;
Cass. Civ., Sez. III, 05/05/2009, n.10295).
Competente per il relativo giudizio
sarà, a seconda del valore della causa, il giudice di
pace o il tribunale del luogo ove ha sede il giudice
competente per l'esecuzione (V. art. 27 c.p.c.,
richiamato, in materia di opposizione all'esecuzione,
dall'art. 615 c.p.c..).
Quanto alla legittimazione passiva,
essa spetta sia all'Ente Impositore e sia a quello di
Riscossione, anche se, nel caso in cui venga convenuto
in giudizio solo quest'ultimo, incomberà sullo stesso
l'onere di chiamare in giudizio il primo, se non vuole
rispondere dell'esito della controversia, non potendo il
giudice disporre d'ufficio la relativa integrazione del
contraddittorio, trattandosi di ipotesi di
litisconsorzio non necessario (Cfr. Cass. Sez. Un.,
25/07/2007, n. 16412 e Cass. Civ., Sez. II, 29/02/2008
n. 5532).
Nel proporre l'opposizione in
parola, si potrà poi chiedere, ai sensi dell'art. 615
c.p.c, la sospensione dell'efficacia esecutiva
dell'azionata cartella, adducendo, quali gravi motivi,
oltre alla verosimile fondatezza delle lagnanze
sollevate, anche l'ingiustizia del danno patrimoniale
derivante dall'eventuale esecuzione, la presumibile
difficoltà ed i disagi connessi alle successive attività
necessarie a riottenere la restituzione delle somme non
dovute dall'Ente Impositore, soprattutto quando questo
sia ubicato a notevole distanza dal luogo di residenza
dell'opponente (Cfr.Corte App. Milano, sez. I, 14
ottobre 2008;Cass. Civile , sez. III, 25 febbraio 2005,
n. 4060),l'opportunità di evitare le situazioni
pregiudizievoli costituite dall'odiosa ed ormai
consolidata prassi di riscossione (attuata attraverso la
preventiva applicazione delle cc.dd. ganasce fiscali del
fermo amministrativo del veicolo o iscrizione di
ipoteca legale sui beni del debitore), misure, queste
ultime, che la giurisprudenza più attenta ritiene,
peraltro, non utilizzabili per crediti derivanti da
sanzione al C.d.S. (Cfr., ex plurimis, Trib. Novara Sez.
Lav., 09 maggio 2003) ed altrimenti eludibili soltanto
attraverso il pagamento dell’illegittima cartella
impugnata.
Altro motivo da addurre a sostegno
dell'istanza di sospensiva riguarda, poi, l'esigenza di
garantire al debitore l'effettività del diritto ad
opporsi all'esecuzione. Sul punto, va segnalata un
importante ed innovativa pronuncia del Tribunale di
Lecco (Cfr. Trib. Lecco, sez. II 06/07/2006), secondo
cui il grave pregiudizio al diritto a potersi utilmente
opporre all'esecuzione forzata è di per sé connesso
all'astratta possibilità, da parte del creditore
procedente, di porre in essere atti esecutivi per
conseguire il pagamento di somme verosimilmente non
dovute.
Secondo tale ultimo orientamento
giurisprudenziale – da reputarsi del tutto
condivisibile, siccome straordinariamente attento alle
esigenze di giustizia sostanziale sottese al giudizio di
opposizione all'esecuzione - pur volendo configurare
il subprocedimento di sospensione dell'efficacia
esecutiva del titolo ex art 615 co. 2 c.p.c. come
procedimento cautelare (con conseguente applicazione
allo stesso della disciplina di cui agli artt. 669 bis e
ss. c.p.c.), il requisito del c.d. periculum in mora
(necessario ai fini dell'accoglimento dell'istanza)
sarebbe da ritenersi automaticamente sussistente -
siccome di per sé connesso all'astratta possibilità del
creditore di compiere di atti esecutivi volti a
conseguire il pagamento di somme non dovute - ogni qual
volta sussista il requisito del c.d. fumus boni juris.
In altri termini, la verosimile
fondatezza dei motivi di opposizione varrebbe, di per sé
sola, a giustificare la concessione di un provvedimento
di sospensiva, atteso il grave pregiudizio
all'effettività del diritto del debitore di opporsi
all'esecuzione, pregiudizio che conseguirebbe
automaticamente ad atti esecutivi posti in essere sulla
base di una pretesa ingiusta.
Va rimarcato, in ogni caso, che il
debitore, nel caso in cui non proponga opposizione ex
art. 615 c.p.c. e nondimeno provveda al pagamento onde
evitare il pignoramento, non potrà poi agire in via di
ripetizione d'indebito (Cass. Civ., Sez. III,
17/11/2009, n. 24215, Cass. Civ., Sez. I, 13/12/2001
n. 15741).
Seri dubbi sorgono, infine, sulla
possibile rilevanza penale del comportamento dei
responsabili degli enti impositori e di riscossione in
ordine al reato previsto e punito dall'art. 644 c.p.c.
(usura), allorquando costoro, consapevoli della non
debenza delle maggiorazioni sanzionatorie in questione
(perché magari accertata con sentenza dall'A.G. in cause
che avevano coinvolto l'ente di appartenenza),
reiterano, in danno di altri cittadini (soprattutto
quando questi ultimi, versando in stato di bisogno, si
recano agli sportelli dell'Equitalia per mendicare
quantomeno una rateazione del debito), la riscossione di
dette maggiorazioni, al fine di procurare “compensi” o
“vantaggi” all'ente da cui dipendono o per il quale
esercitano attività di “mediazione”. Tali ultime
riflessioni esulano, tuttavia, dall'oggetto del presente
scritto e costituiscono mero spunto per una loro più
approfondita disamina da parte di chi si occupa della
materia penale.
Benevento, luglio
2011
Avv.
Giovanni Minauro
(Foro di Benevento) |