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La prova della simulazione relativa del prezzo e le sue limitazioni tra le parti- (Andrea Agnese)-Altalex.it

 

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Sommario: 1. Il problema e la fattispecie concreta; 2. Gli inquadramenti dottrinali. Gli orientamenti giurisprudenziali; 3. La soluzione della Cassazione S.U.; 4. Conclusione.

 

1. Il problema e la fattispecie concreta

 

Supponiamo che le parti di una compravendita di bene immobile si accordino tra loro per far figurare un prezzo sensibilmente minore del bene nel contratto definitivo da stipularsi in forma di atto pubblico avanti al notaio, per ragioni di evasione fiscale. Quali rimedi ha a disposizione il venditore nel caso in cui il compratore si rifiuti di pagare oltre quanto è stato pattuito quale ammontare nell’atto pubblico?

 

2. Gli inquadramenti dottrinali

 

La giurisprudenza ha, nel corso del tempo, fornito risposte contrastanti al quesito che precede, in omaggio a diverse ricostruzioni che nel corso del tempo sono state fornite del fenomeno simulatorio.

 

Innanzi tutto occorre soffermarsi sul concetto di simulazione e sulle sue possibili varianti, per poi pervenire al problema della qualificazione degli effetti del negozio simulato come inefficacia, concludendo infine con il profilo probatorio.

 

In primo luogo, occorre osservare che della simulazione non viene fornita dal codice alcuna definizione, né questa è di per sé disapprovata dall’ordinamento[1], ma da questo ricondotta a precise regole, il cui fulcro essenziale risiede nel principio dell’apparenza o di tutela dell’affidamento[2], a causa delle conseguenze indotte dall’agire simulato[3].

 

Il codice del 1942, infatti, orientato nel senso del pragmatismo e disinteressato alla diffidenza del codice civile francese e del precedente codice civile italiano postunitario, ha voluto occuparsi della simulazione, così mostrando di accogliere il monito che autorevole dottrina lanciava nel vigore del codice abrogato, in merito alla necessità di colmare le profonde carenze di tutela dei terzi[4].

 

Il silenzio del codice circa l’aspetto qualificatorio ha consentito agli studiosi di elaborare diverse definizioni del fenomeno, delle quali la più antica e radicata ravvisa la peculiarità dell’istituto nella divergenza tra volontà e dichiarazione. Le parti, infatti, dichiarano di voler produrre certi effetti che in realtà non vogliono, o perché non vogliono che tra loro si produca alcun effetto, o perché vogliono che si producano effetti diversi[5].

 

Questa ricostruzione è stata sottoposta a critica da quanti hanno osservato che in realtà le parti vogliono anche il negozio simulato, in quanto strumento creativo della apparenza giuridica: la dichiarazione simulata e quella dissimulata, si è detto, non si elidono reciprocamente, bensì producono, nel loro combinarsi, effetti giuridici peculiari, differenti nel rapporto interno tra le parti rispetto a quelli prodotti nel rapporto esterno verso i terzi[6].

 

Peraltro, si è fornita anche una spiegazione in termini causali, improntata a sottolineare come nei rapporti interni il negozio simulato sia privo di causa, poiché le parti hanno escluso la produzione di qualsiasi effetto da parte dello stesso[7]. Non si è mancato, peraltro, di criticare anche questa opinione, in omaggio alla più tradizionale concezione volontaristica del fenomeno, in quanto reputata affetta da “fanatismo causalistico”[8].

 

La varietà delle costruzioni messe in luce dai vari studiosi nel corso del tempo ha così portato sia i pratici quanto la dottrina ad interrogarsi sui rapporti intercorrenti tra contratto simulato e dissimulato, così contribuendo a far luce sul rapporto intercorrente tra le parti negoziali.

 

Si è detto, al riguardo, che ragionando astrattamente si dovrebbe pervenire alla conclusione che ravvisa la nullità del negozio simulato, in quanto contratto non voluto dalle parti: in tal modo recuperando, almeno ad avviso di chi scrive, la più risalente concezione dell’istituto, facente capo a Stolfi[9]. Proseguendo sulla scorta di un simile presupposto, infatti, non sono mancati autorevoli voci dottrinali che hanno concluso in senso adesivo alla qualificazione di nullità del negozio simulato, a ciò indotti dalla improduttività di effetti tra le parti ad opera del medesimo[10].

 

In realtà, il codice civile statuisce l’inefficacia, non la nullità del contratto, così opinando per una disciplina maggiormente rispettosa dei principi generali, che, in caso di nullità, esigerebbero la mancata produzione, da parte del negozio, di effetti giuridici nei confronti dei terzi, in omaggio all’antico brocardo per cui quod nullum est nullum producit effectum; laddove, al contrario, è nota la inopponibilità di tale nullità ai terzi protetti dagli articoli 1415 e 1416 c.c.[11]. Questa conclusione comporta l’ascrizione della simulazione non già al novero degli istituti facenti capo alla validità del contratto, pertenendo essa al distinto istituto degli effetti del negozio[12].

 

L’art. 1414 c.c. statuisce l’inefficacia del negozio simulato solo tra le parti: mentre la nullità e, più in generale, la categoria dell’invalidità hanno contenuto obiettivo, l’inefficacia può riguardare solo determinati soggetti e non altri[13], come accade nel caso di specie o nella azione revocatoria.

 

Peraltro, non si è mancato di fornire ulteriori argomenti a sostegno della tesi della inefficacia, a confutazione della opposta ricostruzione in chiave di nullità, quali: a) il diverso trattamento che la azione di simulazione subisce in sede di trascrizione rispetto all’azione di nullità (art. 2652, comma 1°, n. 4, c.c.); b) la simulazione relativa parziale, della quale costituisce esempio la fattispecie che ci occupa, poiché le parti possono limitare attraverso di essa gli effetti del negozio simulato facendo prevalere la loro reale volontà; c) il fatto che nessun giurista si sia mai interrogato circa la avvenuta simulazione o meno di un negozio affetto da nullità, proprio perché i due istituti si muovono su piani diversi e il primo presuppone la validità del contratto, che viceversa il secondo esclude; d) la divergenza della disciplina della simulazione da quella della nullità[14].

 

Descrittivamente, si è definita la simulazione come finzione, sussistente tutte le volte che le parti stipulano un contratto che fingono di volere ma che in realtà non desiderano, poiché mosse dal proprio interesse a creare un’apparenza difforme dalla realtà contrattuale effettivamente voluta[15]. La finzione delle parti può essere massima, quando le parti non vogliono stipulare alcun contratto fra di loro, oppure di minore portata, quando le parti fanno mostra di stipulare un determinato negozio e in realtà ne hanno concluso uno diverso, o perché si hanno due contratti (vendita, donazione), o perché l’effettivo regolamento contrattuale è diverso da quello che si vuole palesare ai terzi, sotto un profilo soggettivo come oggettivo. Si parla, rispettivamente, di simulazione assoluta, relativa totale, relativa parziale[16] e, in seno a quest’ultima, si distingue tra simulazione relativa soggettiva, che dà luogo ad interposizione fittizia di persona[17], nonché oggettiva, qualora abbia ad oggetto la natura del negozio o un suo elemento.

 

La dichiarazione di stipulare una vendita ad un prezzo minore di quello effettivo costituisce esempio di simulazione relativa parziale, in particolare si tratta di simulazione relativa oggettiva.

 

Parte della dottrina ha ritenuto la bipartizione operata in seno alla simulazione relativa come irrilevante, giacché essa sarebbe sempre, per sua natura, parziale, sicché la distinzione sarebbe irrilevante e priva di consistenza giuridica[18].

 

Naturalmente, occorre che la divergenza tra voluto e dichiarato sia consapevole e bilaterale: altrimenti, si ha a che fare, rispettivamente, con un errore ostativo[19], con conseguente problema della simulazione meramente colposa[20], nonché con una riserva mentale[21].

 

La rilevanza della classificazione teorica della simulazione si ripropone per l’operatore pratico con tutta la sua forza allorché, chiarite le varie tipologie dell’istituto in esame, questi si deve interrogare sul rapporto che intercorre tra il negozio simulato e quello dissimulato.

 

Si riconosce, da parte della dottrina più avveduta, che nel caso di specie si versa al cospetto di due distinti contratti[22], malgrado si sia autorevolmente ammonito a non cadere vittima di un ontologismo del foglio, che porterebbe a disconoscere come la dichiarazione palese e quella dissimulata siano in realtà un unico testo, pur se spezzato dalle parti e sforbiciato in distinti documenti, quando entrambe abbiano forma scritta[23].

 

Si entra così nel vivo del problema: qualora si versi in un caso di simulazione relativa parziale, come nell’ipotesi di simulazione del prezzo, che natura giuridica ha la controdichiarazione?

 

Al quesito la dottrina maggioritaria risponde che quest’ultima realizza gli estremi di un distinto contratto; tuttavia, non si è mancato di negarle autorevolmente la qualifica negoziale, o di parte di questo, per ravvisarvi una dichiarazione distinta su cui le parti concordano[24].

 

La questione può apparire meramente speculativa, ma così non è, dal momento che essa ha notevoli ricadute circa il profilo probatorio del fenomeno simulatorio e che su tale aspetto per molto tempo è esistito un profondo contrasto giurisprudenziale, frutto dei diversi risultati cui sono pervenuti gli studi più risalenti rispetto alle riflessioni di quelli più moderni, composto solo di recente dalla Sezioni Unite, con un arresto del 2007.

 

Si tratta infatti di chiarire un punto trasversale, a metà strada tra la simulazione e l’onere della prova, con notevoli riflessi circa problemi dibattuti come la nullità o l’inefficacia del negozio simulato, la natura negoziale o meno di quello dissimulato, nonché il relativo regime di prova. Vediamo di chiarire il motivo di tale asserzione.

 

In primo luogo, viene in gioco l’art. 1417 c.c., il quale mentre consente ai terzi di dare la prova della simulazione senza limiti, pone severe limitazioni alla corrispondente attività delle parti. Opportunamente è stato sottolineato che mentre le parti hanno a disposizione la contro scrittura, con la quale far emergere il loro vero accordo, per i terzi, che di tale documento non dispongono, una simile prova è impossibile[25]. Per costoro, il reale consenso raggiunto dalle parti in sede di controdichiarazione è un fatto[26], e come tale deve essere regolamentato in sede probatoria, con la possibilità di servirsi anche della presunzione semplice e della prova per testi.

 

Quanto ai limiti che vengono imposti alle parti, questi si estrinsecano nel divieto di utilizzare la prova testimoniale, a meno che questa non sia diretta a far emergere la illiceità del contratto dissimulato. La regola si spiega osservando come l’ordinamento non possa di certo tollerare la stipulazione di negozi da questo disapprovati al punto da sanzionarli nel modo più grave possibile, ossia con la nullità[27]: si pensi all’elusione del patto commissorio, per la quale viene fatto costante ricorso alla disposizione dell’art. 1417 c.c. da parte della giurisprudenza di legittimità[28].

 

In pratica, le parti possono fornire la prova mediante l’allegazione della controdichiarazione, oppure deferendo giuramento decisorio, o in sede di interrogatorio di controparte, sollecitando una confessione di controparte[29].

 

In secondo luogo, l’art. 1417 c.c. richiama le disposizioni del codice civile in materia di prova testimoniale, ossia gli articoli 2721 ss. c.c., con le quali va coordinato. Come appena ricordato, quando ad agire per l’accertamento della simulazione sia una delle parti, la deduzione della simulazione incontra delle limitazioni di prova, non potendo essa servirsi della prova testimoniale, a meno che non si tratti di contratto illecito. In particolare, a tale riguardo assume importanza quanto statuito dall’art. 2722 c.c., laddove la disposizione fa divieto di provare per testi i patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipula è stata anteriore o coeva a quella del documento derogato dagli stessi.

 

Viene qui a coonestarsi il dibattito teorico circa la natura negoziale o meno della contro scrittura: nel momento in cui a questa viene riconosciuta natura negoziale, essa deve essere configurata de plano come un patto aggiunto, con il corollario della non utilizzabilità della prova testimoniale.

 

Nel momento in cui, invece, si opti per la opposta ricostruzione, tesa a negare la natura negoziale alla distinta pattuizione oggetto di contro dichiarazione, sulla scorta della mancanza di autonomia strutturale in capo alla stessa, in quanto facente pur sempre parte del negozio palese, questa viene a mancare della sua natura contrattuale, con la rilevante conseguenza di non potersi predicare in capo alla stessa la qualifica di patto aggiunto o contrario e di ritenere ammissibile la prova testimoniale[30]. Al riguardo, la dottrina[31] che ha avallato una simile impostazione ha ritenuto di poter distinguere tra dichiarazione negoziale e materiale interpretativo privo di rilevanza negoziale e meramente integrativo delle disposizioni contrattuali del negozio palese.

 

In questo modo, tuttavia, si è introdotta una distinzione che non si rinviene nell’ordito normativo, con il quale anzi contrasta, fondata su elementi fragili e privi di base testuale oltre che sistematica, stante la difficoltà inerente la qualificazione di mero patto aggiuntivo e privo di rilevanza negoziale che viene predicata in capo alla pattuizione inerente il prezzo.

 

In particolare, secondo la citata dottrina, nel caso della simulazione del prezzo la fattispecie è già completa, poiché il problema in quanto tale andrebbe ravvisato nel significato da attribuire ad una o più parole o, al limite, ad una clausola, presenti nel regolamento contrattuale. Tipicamente, l’ammontare del prezzo, espresso da un numero che nel linguaggio corrente indica un certo valore e che nelle convenzioni intercorrenti tra le parti è stato riferito ad un ammontare differente.

 

La tematica in esame, a ben vedere, si inscrive in un quadro di riferimento ben più ampio, del quale in questa sede si può dare conto solo nominalmente, relativo al problema del ruolo giocato oggi dal formalismo negoziale[32].

 

Chi sostiene una simile teoria con riguardo alla simulazione[33], tra l’altro, persegue l’obiettivo di restringere le regole sulla forma scritta ad substantiam ad un contenuto minimo del negozio giuridico, da individuarsi secondo criteri incerti che vengono di volta in volta individuati dalla dottrina, con una sostanziale elusione del dettato normativo e una sovrapposizione delle esigenze di politica normativa dell’interprete a quelle perseguite dal legislatore[34].

 

Questo profilo emerge con chiarezza sol che si legga il principio che spinge ad una lettura restrittiva dell’art. 1350 c.c.: quest’ultima disposizione, in particolare, viene a porre gravi limitazioni alla autonomia privata dei paciscenti, ragion per cui essa deve essere ravvisata come norma eccezionale e di stretta interpretazione[35].

 

A conferma della soluzione che si è prospettata per il problema che ci occupa, si è osservato che spesso la causa del contratto può divergere da quella tipica del contratto che le parti mostrano di stipulare, come nel caso del negozio indiretto e di quello misto con donazione. Da ciò si trae l’illazione a tenore della quale l’art. 1350 c.c. configura il mero trasferimento della proprietà quale contenuto minimo dell’atto sufficiente al rispetto della forma scritta[36].

 

Si apprezza ora la rilevanza empirica del problema oggetto del presente contributo e della importanza per l’operatore del diritto che vengono ad assumere le opposte teorie riguardanti il contratto: nel momento in cui si scrive che la controdichiarazione non ha natura contrattuale, né può dirsi essere una parte di un contratto, trattandosi bensì di una dichiarazione su cui le parti concordano, come sarebbe testimoniato dal fatto che essa rientra nel dominio di applicazione dell’art. 2722 c.c.[37], si pone la premessa, pur se in sede teorica, per legittimare la asserzione, fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità più risalente, a tenore della quale ogni volta che l’accordo simulatorio ha ad oggetto solo uno degli elementi del contratto, versandosi, pertanto, in un caso di simulazione relativa oggettiva, e per quest’ultimo la legge richieda la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato mantiene inalterato il suo contenuto salvo che per la parte di esso oggetto della separata pattuizione.

 

Corollario della presente impostazione, che sconta la propria partenza da una premessa teorica particolarmente controversa e cruciale, come si può osservare sol che si leggano i contributi degli ultimi cinquant’anni che sono stati dedicati al tema[38], deve ravvisarsi nella seguente proposizione: posto che il contratto simulato non è nullo, né annullabile, né inesistente, ma solamente inefficace tra le parti, le clausole del regolamento contrattuale del negozio simulato che trovano diversa regolamentazione nella contro scrittura possono essere sostituite liberamente con le corrispondenti previsioni contenute nel negozio dissimulato.

 

Poiché per la simulazione della singola clausola non sussiste una esigenza di forma scritta ad substantiam come per l’intero contratto, poiché tale esigenza è già assolta dal negozio simulato, può avvenire liberamente la sostituzione della clausola, senza così rispettare i vincoli di forma esigiti dall’ordinamento, e con l’ulteriore e non secondaria conseguenza che la prova della simulazione non incontra le limitazioni disposte dall’art. 2722 c.c., ossia la prova testimoniale.

 

In sintesi, è ammissibile la prova testimoniale della simulazione della singola clausola contrattuale, quale, ad esempio, la clausola riguardante il prezzo nella vendita immobiliare, che richiede la forma scritta ad substantiam, per mancanza di autonomia strutturale della singola clausola e per il già avvenuto soddisfacimento della forma scritta mediante il contratto simulato[39].

 

Così opinando, si postula l’estraneità al fenomeno simulatorio della simulazione relativa parziale, ravvisata come istituto autonomo, nonché la mera funzione integrativa della clausola negoziale statuente l’ammontare del prezzo dissimulato[40].

 

Si legga, a mero titolo di esempio, quanto sostenuto da una pronuncia di legittimità aderente alla dianzi citata prospettazione[41]:

 

“[n]ell'ipotesi di simulazione relativa parziale, il contratto conserva inalterati i suoi elementi, ad eccezione di quello interessato dalla simulazione, con la conseguenza che, non essendo il contratto né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti. Pertanto, la prova per testimoni della simulazione del prezzo della vendita non incontra fra le parti i limiti dettati dall'art. 1417 c.c. né contrasta col divieto posto dall'art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, sicché la prova relativa ha scopo e natura semplicemente integrativa e può a tale stregua risultare anche da deposizioni testimoniali o presunzioni”.

 

Questa impostazione dottrinale e giurisprudenziale merita di essere criticata e, ad essa, si è contrapposto un ulteriore e più recente filone giurisprudenziale[42], il quale ha affermato la operatività dei limiti probatori di cui all’art. 2722 c.c. anche in presenza di simulazione relativa oggettiva afferente la singola clausola negoziale. Si valorizza così il contributo di parte della dottrina, laddove questa ravvisa nella simulazione della singola pattuizione un patto aggiunto o contrario stipulato dalle parti in epoca coeva al contratto simulato[43].

 

La ricostruzione contraria, infatti, è stata accusata di confondere due piani completamente differenti tra loro, ossia l’interpretazione di una clausola contrattuale e la sua sostituzione con un’altra totalmente difforme rispetto alla prima, come avviene nel caso oggetto della presente indagine[44]. La clausola recante il prezzo dissimulato non può essere qualificata come materiale interpretativo, bensì, più correttamente, come elemento che concorre a formare il regolamento negoziale della vendita, della quale costituisce elemento essenziale, oltre che sotto il profilo causale, ai fini della determinazione dell’oggetto del contratto[45]. Più precisamente: come patto segreto e coevo alla stipula del negozio simulato, intercorso tra le medesime parti di quest’ultimo, teso a sostituire e a privare di effetti la clausola contrattuale relativa al prezzo, sostituendola con un’altra statuente un distinto prezzo[46]. Per tali ragioni, il contenuto del negozio solenne non può ricavarsi da una fonte che non sia la dichiarazione negoziale, risultante dall’atto[47], senza che sia data possibilità di scindere il contenuto dell’atto in ragione della essenzialità o meno della clausola.

 

All’opposta teoria tesa a limitare l’applicazione dell’art. 1350 c.c., inoltre, si è convincentemente obiettato[48] che la imposizione, da parte della legge, della forma scritta per determinati negozi è motivata dalla funzione dispositiva perseguita dalle parti con la stipulazione dei contratti a forma vincolata; per tale ragione, da essa non è dato prescindere.

 

Quanto poi ai rapporti tra gli artt. 1417 e 2722 c.c., si è sostenuta la natura di lex specialis della prima disposizione rispetto alla seconda[49], alla luce di una motivata analisi del fenomeno simulatorio svolta da Messineo[50]. Si è avuto infatti avuto modo di osservare che il contratto simulato ha lo scopo di porre in essere una situazione meramente apparente, che trova la propria fonte in un preciso accordo delle parti[51]. Per tale ragione, i due momenti fondamentali in cui si estrinseca l’istituto, ossia la preordinazione e l’apparenza, sono uniti tra loro in modo inscindibile, così da realizzare il duplice intento delle parti, che tra loro pongono in essere una situazione differente da quella che gli stessi vogliono far credere ai terzi. I tre momenti del negozio simulato, di quello dissimulato e della controdichiarazione sono in tal modo avvinti reciprocamente da un legame quasi procedimentale. Quest’ultimo, tuttavia, non deve condurre all’erronea conclusione che porta a ravvisare sempre un rapporto di identità biunivoca tra il simulato e il dissimulato. Al contrario, i due contratti sono tra loro autonomi e diverse possono essere le loro vicende[52], in quanto indipendenti reciprocamente, pur se coesistenti ed entrambi tesi a formare i particolari effetti in cui si dispiega l’art. 1414 c.c.[53]. Della bontà di quest’assunto si è tratta conferma anche dalla simulazione assoluta, nel quale il negozio dissimulato non esiste. Donde l’ulteriore dimostrazione della autonomia tra i due contratti, nonché la preziosa illazione a tenore della quale i due negozi si pongono quali due distinti patti di cui uno aggiunto all’altro. Così impostata la problematica, risulta più agevole comprendere la rilevanza, nel caso di specie, dell’art. 2722 c.c., quale norma generale in materia di prova testimoniale addotta contro un documento scritto. Detta disposizione, tuttavia, deve essere disapplicata, in subiecta materia, a favore dell’art. 1417 c.c., costituente norma derogatoria della prima e lex specialis applicabile in materia di simulazione[54].

 

3. La soluzione della Cassazione S.U.

 

A questo contrasto giurisprudenziale ha posto fine la Cassazione a Sezioni Unite nel 2007[55], la quale presenta aspetti degni di rilievo da vari punti di vista.

 

In primo luogo, la pronuncia ha affrontato il tema del rapporto tra gli artt. 1417 e 2722 c.c., osservando come la simulazione di certo rientri nel dominio logico di applicazione della seconda disposizione senza però esaurirla completamente. Il legislatore, infatti, si è preoccupato di chiarire in altro luogo del codice, ossia all’art. 1417 c.c., i limiti che la prova testimoniale incontra in materia di simulazione, allorché di essa si vogliano giovare le parti. Nel caso di specie, l’ordinamento mostra diffidenza nei confronti di una simile prova, dal momento che i paciscenti dispongono della contro dichiarazione e possono pur sempre allegare quest’ultimo documento per far emergere la discrepanza tra il voluto e il manifestato.

 

Questa conclusione vale in tutti i casi, anche quando la simulazione parziale si traduca in un accordo ulteriore e diverso da quello contenuto in una singola clausola contrattuale del negozio simulato, poiché poco pregio avrebbe argomentare circa la pretesa irrilevanza della singola clausola di determinazione del prezzo nella composizione dell’affare. Inoltre, qualificare la singola pattuizione come priva di una propria rilevanza strutturale non supera il rilievo della antinomia sussistente tra il distinto prezzo concordato e quello figurante nel contratto simulato.

 

Importante appare inoltre il riconoscimento, seppure incidenter tantum, della inefficacia del negozio simulato, contrariamente all’insegnamento prevalente della stessa corte di legittimità, che tradizionalmente ha ravvisato nel caso di specie un’ipotesi di nullità. Il giudice nomofilattico sostiene che la inefficacia non legittima di per sé la mancanza, in capo al contratto dissimulato, dei requisiti richiesti dalla legge per la validità di quest’ultimo, quali la forma scritta. In tal modo, il Supremo Collegio mostra di aderire ai rilievi a suo tempo svolti da Francesco Messineo e successivamente ripresi da Gatti, volti a dimostrare l’autonomia dei due atti giuridici, nonché all’insegnamento più risalente, a tenore del quale per la validità del contratto dissimulato devono essere rispettate non le forme minori eventualmente previste per il negozio simulato, ma le previsioni di legge in materia di forma dell’atto proprie del primo, la cui mancanza dà luogo ad inesistenza del contratto dissimulato, a fronte della mancata produzione di effetti giuridici da parte di quello simulato, in quanto non voluto dalle parti[56].

 

La conclusione rileva anche ai fini della configurazione della stessa nozione di simulazione relativa, da ravvisarsi non solo nel caso di discrasia del tipo contrattuale, ma anche di qualsiasi differenza, anche soltanto parziale, intercorrente tra i due contratti[57]. In molti pronunciamenti anteriori, a partire, segnatamente, da un arresto del 1978[58], sulla scorta delle monografie più risalenti[59], la Cassazione mostrò infatti di concepire la simulazione relativa parziale quale istituto riguardante unicamente il tipo contrattuale e non singole clausole del regolamento negoziale, come viceversa sostenuto dalla più attenta dottrina[60], oggi recepita dal Supremo consesso a Sezioni Unite. La pronuncia può essere apprezzata anche con riferimento al rilievo per cui la concezione causalista della simulazione, alla base della concezione che ritiene quale campo di applicazione del fenomeno unicamente il tipo contrattuale, non è in grado, in fattispecie concrete come quella oggetto del presente contributo, di superare l’obiezione in base alla quale oggetto della simulazione è il precetto negoziale, per modo che, in casi quale il presente, il contrario patto, pure voluto dalle parti, non può essere svilito al rango di una documentazione falsa o trattato come se fosse esclusivamente un problema di documentazione plurima[61].

 

4. Conclusione

 

Se si pone capo al quesito iniziale dal quale ha preso le mosse la trattazione, si deve riconoscere al venditore, che veda la controparte contrattuale opporre il proprio rifiuto a versare il prezzo effettivamente pattuito nella contro scrittura per la vendita di immobile, la sola possibilità di far emergere il negozio simulatorio mediante la produzione in giudizio dell’accordo realmente intercorrente tra le parti, senza possibilità di giovarsi, contrariamente a quanto riconosciuto dalla più antica giurisprudenza, della prova testimoniale, stante la natura di patto aggiunto o contrario che deve essere riconosciuta all’accordo di fissazione del prezzo.

 

La pronuncia delle Sezioni Unite ha notevole importanza pratica, specialmente nel settore delle contrattazioni immobiliari, dove si pone primariamente il problema fiscale relativo alla simulazione del prezzo[62]: è noto, infatti, che problema di non poco momento, specialmente per i notai, deve essere ravvisato nel prezzo da dichiarare in atti[63].

 

Per combattere la precedente tendenza, diffusa specialmente in passato, a stipulare un preliminare nel quale le parti, obbligandosi ad addivenire successivamente alla conclusione di un definitivo, dichiaravano il prezzo reale, per poi pattuirne fittiziamente uno più basso e parametrato al valore catastale nel definitivo, il legislatore ha introdotto diversi rimedi[64]. In primo luogo, è stata offerta la possibilità di trascrivere il preliminare, così perseguendo il duplice obiettivo di tutelare il promissario acquirente da possibili atti di mala fede del proprietario e da stroncare in radice il fenomeno del diverso e minor prezzo indicato nel definitivo. In secondo luogo, si è introdotta una normativa fiscale[65], di matrice incentivante, con la quale, per favorire l’emersione del prezzo effettivamente stipulato dalle parti, si consente loro di beneficiare di un’imposizione fondata sul valore dell’immobile così come risultante dalla rendita catastale, in luogo del valore venale corrente del medesimo; nel contempo, tuttavia, in tal modo si offre all’amministrazione l’opportunità di conoscere i valori reali delle contrattazioni, in vista dell’aggiornamento catastale.

 

La tematica in esame, infatti, potrebbe costituire oggetto di una disamina completamente diversa, incentrata sul problema della effettività delle norme fiscali e sulla loro violazione ad opera dei contraenti, che mai dà luogo a nullità del contratto[66], secondo l’insegnamento tradizionale, poiché già autonomamente sanzionata dal legislatore tributario.

 

Quanto poi alle ulteriori implicazioni civilistiche della questione trattata, ricadute della simulazione relativa del prezzo si possono ravvisare, sempre nell’ambito delle contrattazioni immobiliari, per tutti quei beni, oggetto di vendita, che siano nel contempo sottoposti a prelazione legale, come il retratto successorio (art. 732 c.c.) o la prelazione su immobili urbani (art. 38, L. 27.07.1978, n. 392)[67]: in caso di violazione di quest’ultimo diritto, il prelazionario pretermesso può corrispondere all’acquirente il prezzo che quest’ultimo ha pagato, così come indicato in contratto[68].

 

Rilevanti anche le implicazioni che il fenomeno può avere in materia concorsuale, laddove, rispettivamente: il nuovo art. 67, comma 3°, lett. c, l. fall. statuisce l’esenzione da revocatoria delle vendite a giusto prezzo di immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente, o dei suoi parenti e affini entro il terzo grado, in caso di fallimento del venditore; inoltre, l’art. 72 bis l. fall., introdotto con d.lgs. 20.06.2005, n. 122, statuisce lo scioglimento del contratto relativo ad immobile da costruire in caso di intervenuta escussione della fideiussione da parte dell’acquirente, debitamente comunicata al curatore che non aveva ancora esercitato la scelta tra scioglimento o esecuzione del relativo contratto. In questi casi, rileva, nuovamente, il valore dell’immobile così come dedotto dalle parti in contratto, nonché, ai fini della determinazione del giusto prezzo, quanto emerge dalla prassi delle contrattazioni di mercato relative agli immobili siti nella medesima città e facenti capo al medesimo segmento abitativo di quello in oggetto, con correlativo rischio per il compratore nel caso sia stato dichiarato un prezzo inferiore a quello mediamente praticato[69].

 

(Altalex, 25 maggio 2011. Articolo di Andrea Agnese)

 

________________

 

[1] Roppo, Il contratto, Giuffrè, 2001, 694.

 

[2] Sul quale Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 2, Cedam, 2009, 404 ss.. Per il collegamento della simulazione alla tutela dell’affidamento incolpevole dei terzi dovuta all’apparenza di diritto si esprimeva favorevolmente già Betti, Teoria generale del negozio giuridico, ESI, 2002, ristampa dell’opera pubblicata nel 1960 nel Trattato Vassalli, con Introduzione di Ferri G. B., a cura di Crifò, 406 s.

 

[3] Come riconosce espressamente Anelli, Simulazione e interposizioni, in Roppo (cur.), Trattato del contratto, vol. 3, a cura di Costanza, Giuffrè, 2006, 561.

 

[4] Mi riferisco a Ferrara sr., Della simulazione dei negozi giuridici, Athenaeum, 1922, 281 s., citato da Anelli, Simulazione, cit., 562 testo e n. 4.

 

[5] In tal senso Stolfi G., Teoria del negozio giuridico, Cedam, 1961, 141.

 

[6] Pugliatti, Diritto civile. Metodo, teoria, pratica, Giuffrè, 1951, 543 s., il quale precisa che “l’accordo simulatorio e il negozio simulato sono due elementi di un unico fenomeno e il secondo ne completa e ne perfeziona il ciclo formativo” (ivi, 548).

 

[7] Pugliatti, Diritto civile, cit., 543 s.

 

[8] Messineo, Accordo simulatorio e dissimulazione di contratto, in Riv. Dir. Civ., 1966, I, 252.

 

[9] Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 2, cit., 391 s.. Non è mancato, tuttavia, che ha ritenuto più pertinente approdo di un simile ragoinamento non già la nullità, bensì l’inesistenza: Gentili, Il contratto simulato. Teorie della simulazione e analisi del linguaggio, Jovene, 1982, passim, 155 ss.

 

[10] Per tutti, Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Jovene, 1997 (ristampa), 154, ove si prende espressa posizione sul punto, ragionando espressamente a partire dalla improduttività di effetti tra le parti: “[L]a simulazione, in conformità della controdichiarazione, è improduttiva di effetti fra le parti, ma tale specie d’inefficacia implica, sebbene recentemente sia stato sostenuto il contrario, che il negozio simulato è nullo rispetto alle medesime…”.

 

[11] Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 2, cit., 393.

 

[12] Roppo, Il contratto, cit., 716; Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 2, cit., 393.

 

[13] Auricchio, La simulazione nel negozio giuridico, Jovene, 1957, 65, ristampa inalterata a cura della ESI, donde si cita. Per un’esposizione e una critica del pensiero di questo Autore, Gentili, Il contratto simulato, cit., 52 ss.

 

[14] Auricchio, La simulazione, cit., 67 ss.

 

[15] Roppo, Il contratto, cit., 693.

 

[16] Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 2, cit., 388.

 

[17] Roppo, Il contratto, cit., 699 ss.

 

[18] In luogo di molti, Anelli, Simulazione e interposizioni, cit., 613.

 

[19] Roppo, Il contratto, cit., 697.

 

[20] Si pone il problema Sacco, Le controdichiarazioni, in Rescigno (cur.), Trattato di diritto civile, vol. 10, Utet, 2002, 262, ove si sottolinea l’impossibilità per il contraente di invocare il proprio stato psicologico e di sottrarsi al regime giuridico della simulazione, perché la dichiarazione fittizia ha sempre effetti decettivi nei confronti dei terzi, motivo per cui chi ha posto in essere la dichiarazione stessa deve soggiacere al rischio creato con questa, nonché al corrispondente regime giuridico della simulazione.

 

[21] Roppo, Il contratto, cit., 696, dove si sottolinea l’irrilevanza della riserva mentale del contraente, anche nel caso in cui essa sia nota al destinatario della dichiarazione.

 

[22] Roppo, Il contratto, cit., 698; Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 2, cit., 388; Anelli, Simulazioni e interposizioni, cit., 599 ss.

 

[23] Sacco, Le controdichiarazioni, cit., 259.

 

[24] Sacco, Le controdichiarazioni, cit., 259.

 

[25] Galgano, in Galgano – Peccenini – Franzoni – Memmo – Cavallo Borgia, Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, Zanichelli – Il Foro Italiano, 1998, 57 s., sub art. 1417; Roppo, Il contratto, cit., 713.

 

[26] Recentemente, Cataldi, La prova della simulazione tra le parti, reperibile su www.appinter.csm.it, 2.

 

[27] Roppo, Il contratto, cit., 714.

 

[28] Galgano, Trattato di diritto civile, vol. 2, cit., 400 s., testo e n. 33.

 

[29] Torrente – Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, 2007, a cura di Anelli e Granelli, 581.

 

[30] In argomento, con riferimento precipuo alla giurisprudenza di legittimità, Pinto, I poteri istruttori del giudice e delle parti. In particolare: problemi in tema di ammissibilità della prova per testimoni, in relazione ai limiti previsti dal codice civile; consulenza tecnica d’ufficio; tecniche di redazione dei provvedimenti istruttori, reperibile su www.appinter.csm.it, 11 ss.

 

[31] Casella M., Simulazione, in Enc. Dir., Giuffrè, 1990, 593, ad vocem.

 

[32] Per tutti, Irti, il salvagente della forma, Laterza, 2007.

 

[33] Come Giorgianni, Forma degli atti (dir. priv.), in Enc. Dir., Giuffrè, 1968, 1005, ad vocem.

 

[34] Tommaseo, Sul patto di simulazione del prezzo nei negozi solenni, in Giur. It., 1989, I, 1, c. 566.

 

[35] Giorgianni, Forma, cit., 1005.

 

[36] Giorgianni, Forma, cit., 1005.

 

[37] Sacco, Le controdichiarazioni, cit., 259.

 

[38] Per convincersene, basta leggere l’ampio e travagliato dibattito che si è avuto sul tema, come ricostruito da Gentili, Il contratto simulato, cit., 3 ss.

 

[39] In tal senso: Cassazione 02.10.1978, n. 4366, in Giust. Civ., 1979, I, 77; Cassazione 09.07.1987, n. 5975, in Giur. It., 1989, I, 1, 564; Cassazione 23.01.1988, n. 526, in Vita Not., 1988, I, 248; Cassazione 24.06.1996, n. 3857, in Vita Not., 1996, 1319; Cassazione 24.06.2003, n. 10009, in Dir. e Giust., 2003, 102; Cassazione 06.09.2006, n. 19146, in Obbl. e Contr., 2007, 174; Cassazione 02.03.2007, n. 4901.

 

[40] Loffredo, Simulazione del prezzo della compravendita. Limiti all’ammissibilità della prova per testimoni in caso di domanda proposta dalle parti, in Giust. Civ., 2007, I, 1868.

 

[41] Cassazione 24.06.1996, n. 3857 cit..

 

[42] Cassazione 03.04.1992, n. 4073, in Giur. It., 1994, I, 1, 664; Cassazione 06.05.2003, n. 6882, in Gius., 2003, 2145; Cassazione 19.03.2004, n. 5539, in Foro It., 2005, I. c. 510.

 

[43] Tommaseo, Sul patto di simulazione, cit., c. 563 ss.; Cricenti, In tema di prova della simulazione del prezzo, in Giur. Mer., I, 1993, 684 ss.; Mayer, Simulazione del prezzo e limitazioni della prova, in Rass. Dir. Civ., 2000, 438 ss.. In argomento anche Anelli, Simulazione e interposizioni, cit., spec. 725 ss.

 

[44] Tommaseo, Sul patto di simulazione, cit., spec. c. 565 ss.; Mayer, Simulazione, cit., 444.

 

[45] Mayer, Simulazione, cit., 446; Nanni, L’interposizione di persona, Cedam, 1991, 140.

 

[46] Galgano, Il negozio giuridico, Giuffrè, 2002, 365 n. 1.

 

[47] Santoro Passarelli, Dottrine generali, cit., 208.

 

[48] Scognamiglio, Dei contratti in generale, Zanichelli – Il Foro Italiano, 1970, 416.

 

[49] Gatti, Simulazione relativa e rapporto di specialità fra l’art. 1417 e l’art. 2722 cod. civ., in Riv. Dir. Comm., 1976, 84.

 

[50] Messineo, Il contratto in genere, vol. II, Giuffrè, 1972, 483 ss.

 

[51] Questa notazione è rinvenibile nella dottrina a partire dall’opera di Ferrara, Della simulazione dei negozi giuridici, Roma, 1922, 234, citato da Gentili, Il contratto, cit., 7 n. 1.

 

[52] Sulla scorta di questa condivisibile affermazione si è criticato l’orientamento giurisprudenziale che, in materia di simulazione relativa di negozio con forma vincolata legislativamente, ritiene necessario il rispetto del requisito formale nel solo contratto apparente: in questi termini, recentemente, Anelli, Simulazioni, cit., 604 ss., ove ulteriori ragguagli.

 

[53] Messineo, Il contratto, cit., 477.

 

[54] Gatti, Simulazione relativa, cit., 83 s.. In argomento anche Anelli, Simulazioni, cit., 721 ss., ove l’opinione, ivi, 722, che ritiene i limiti di prova fissati dall’art. 1417 c.c. equivalenti a quelli di cui all’art. 2722 c.c.

 

[55] Cassazione S.U. 26.03.2007, n. 7246, in Giust. Civ., 2007, I, 1075 ss.; in Giur. It., 2007, 2441 ss.

 

[56] Gatti, Simulazione relativa, cit., 78, ove riferimenti giurisprudenziali di legittimità. Su questo punto si sofferma Anelli, Simulazioni, cit., 617 s., il quale osserva le pesanti ricadute pratiche di una simile asserzione, ossia la invalidazione dell’intera operazione economica perseguita dalle parti. Questo travolgimento dell’efficacia di entrambi i contratti, per esempio, inibirebbe al prelazionario di svelare l’accordo simulatorio del prezzo ai fini dell’esercizio del proprio diritto reale per il prezzo effettivamente voluto dalle parti, allorché il coevo patto effettivamente intercorrente tra le parti fosse nullo per difetto di forma: ivi, 618 s.

 

[57] Marani, La simulazione degli atti unilaterali, Cedam, 1971, 35, ove anche l’asserzione della applicabilità dell’art. 1417 c.c. in caso di simulazione relativa di un singolo elemento del regolamento contrattuale.

 

[58] Cassazione 02.10.1978, n. 4366 cit.; l’osservazione spetta a Travaglino, Compravendita, simulazione del prezzo e prova per testi, in Corr. Mer., 2007, 7, 882.

 

[59] Come Auricchio, La simulazione, cit., 163 ss.; la definizione di simulazione relativa in termini di atto di autonomia privata caratterizzato da un tipo negoziale differente si ritrova testualmente Betti, Teoria generale, cit., 396.

 

[60] Galgano, in Galgano – Peccenini – Franzoni – Memmo – Cavallo Borgia, Simulazione. Nullità del contratto. Annullabilità del contratto, Zanichelli – Il Foro Italiano, 1998, cit.

 

[61] Cricenti, In tema di prova, cit., 685 s.. Ragionare di precetto negoziale significa accogliere la teoria precettivistica, propugnata da Betti, Teoria generale, cit., 404 ss.. Per una critica a tale impostazione, Gentili, Il contratto, cit., 19 ss. Inoltre, la differente ricostruzione in chiave causale della simulazione è stata portata avanti da Pugliatti, del cui pensiero dà conto Gentili, ivi, 25 ss.

 

[62] In argomento, Giuliani, Simulazione e fisco (sotto la specie dell’imposizione sui redditi) tra diritto civile e diritto tributario, reperibile al seguente indirizzo: http://www.businessandtax.it/img/la_simulazione.pdf, 43 ss., ove ulteriori ragguagli.

 

[63] Pedron, Simulazione del prezzo: questioni probatorie e contrattazione immobiliare, in Riv. Not., II, 2007, 1203.

 

[64] Le osservazioni spettano a Pedron, Simulazione, cit., 1204.

 

[65]Art. 1, comma 497°, L. 23.12.2005, n. 266, modificato dall’art. unico, comma 309°, L. 27.12.2006, n. 296.

 

[66] Il problema è trattato diffusamente da Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Jovene, 2003, anche sulla scorta dell’evoluzione dell’opinione tradizionale, di cui si dà conto nel testo, per la quale la violazione di norme tributarie non dà luogo a sanzioni civilistiche, come la nullità, poiché trattasi di illecito già sanzionato dal legislatore fiscale. Un’esposizione della spiegazione più risalente si può trovare in Mantovani, Divieti legislativi e nullità del contratto, in N. Giur. Civ. Comm., 1987, II, 530 ss., ove ulteriori ragguagli anche giurisprudenziali.

 

[67] In argomento, Gozzoli, Prova testimoniale di accordi simulatori e condizioni per l’esercizio del diritto di prelazione e riscatto nella alienazione di immobili urbani ad uso non abitativo, in N. Giur. Civ. Comm., 2004, I, 56 ss.

 

[68] Loffredo, Simulazione, cit., 1870; Gozzoli, Prova testimoniale, cit., 58, ove ulteriori riferimenti di giurisprudenza e la notazione che osserva la natura sanzionatoria dell’orientamento di legittimità che, per scoraggiare la simulazione del prezzo, ritiene quest’ultima irrilevante ai fini della determinazione del prezzo del riscatto dell’immobile.

 

[69] Loffredo, Simulazione, cit., 1870 s.

 

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