IL PRECETTO (Estratto dal volume
B.Cirillo -L'attività dell'avvocato nel processo di
escuzione mobiliare e immobiliare- Maggioli Editore)
Il precetto, come definito dal
Legislatore, è un’intimazione che il creditore rivolge
al debitore al fine di ottenere l’adempimento
dell’obbligo risultante dal titolo esecutivo (art. 480
c.p.c.). È l’ultimo avvertimento che il creditore fa al
debitore preannunciandogli che, in mancanza di spontaneo
adempimento, si procederà a esecuzione forzata. Per la
quasi unanime giurisprudenza, sia di legittimità che di
merito, il precetto è un atto di parte, preliminare, non
processuale e, in quanto tale, non è atto iniziale
dell’esecuzione che, invece, si instaura solo con il
pignoramento ovvero, nell’esecuzione per consegna o
rilascio, con l’accesso in loco dell’Ufficiale
giudiziario. Di avviso contrario è la dottrina
prevalente che, al contrario, propende per la tesi della
natura processuale dell’atto di precetto definendolo
l’atto introduttivo del processo esecutivo. La
questione, invero assai dibattuta, non ha solo
importanza teorica ma presenta dei risvolti
pratico-operativi di grande rilievo. Infatti, in virtù
della affermata natura non processuale, la
giurisprudenza (Cass., sez. III, n. 7737 del 29 marzo
2007) ha stabilito che il precetto interrompe la
prescrizione ma sen¬za effetti permanenti, anche
nell’ipotesi in cui, a seguito della notifica dell’atto
di precetto, il debitore proponga opposizione. In tal
caso troverà, comunque, applicazione il secondo comma
dell’articolo 2945 del codice civile qualora il
creditore opposto, costituendosi in giudizio, compia
attività processuale ai sensi del secondo comma
dell’articolo 2943. La conseguenza è che dalla data
della sua notificazione inizia un nuovo periodo di
prescrizione, ai sensi del primo comma dell’articolo
2945. Ovviamente a conclusioni diametralmente opposte
giunge la dottrina prevalente che abbraccia la teoria
della natura processuale del-l’atto di precetto in virtù
della quale quest’ultimo, atteso che instaura il
giudizio di esecuzione, non solo interrompe ma sospende
anche la prescrizione.
Il precetto, sotto pena di
comminatoria della nullità, deve contenere l’indicazione
delle parti; pertanto dovrà essere indicato sia il
soggetto creditore, titolare del diritto che si intende
portare a esecuzione, sia il soggetto contro cui si
agirà mediante la minacciata esecuzione forzata. È
evidente che, in caso di successione nel credito o
nell’obbligo (ipotesi già ampiamente dibattuta nel
paragrafo precedente), sarà proprio il precetto che
dovrà dare conto di siffatta modificazione indicando
chia¬ramente e specificamente il soggetto titolare
dell’azione e il soggetto contro cui agire, qualora
siano diversi da quelli indicati nel titolo esecutivo.
Nell’espropriazione contro il terzo proprietario l’art.
603 c.p.c. dispone che il precetto (insieme al titolo
esecutivo) deve essere notificato anche al terzo
proprietario che, pertanto, va in esso indicato.
Inoltre, in tale evenienza, il precetto deve fare anche
espressa menzione del bene del terzo che si intende
espropriare.
Oltre all’indicazione delle parti
il precetto deve contenere, ancora a pena di nullità,
l’indicazione della data di notificazione del titolo
esecutivo, se questa è fatta separatamente, nonché, nei
casi previsti dalla legge, la trascrizione integrale del
titolo stesso. Ciò sarà necessario nei casi in cui il
titolo circoli in originale essendo nella disponibilità
del creditore (ipotesi in cui non è necessaria, come
abbiamo già osservato, la spedizione in forma
esecutiva). Per la cambiale e per l’assegno soccorrono
le relative discipline mentre per le scritture private
autenticate è l’articolo 474 che, all’ultimo comma,
espressamente, prevede che il precetto deve contenerne
la trascrizione integrale. Naturalmente spetta
all’Ufficiale giudiziario certificare di avere
riscontrato che la trascrizione corrisponda esattamente
al titolo originale.
Appare opportuno rammentare che è
stato deciso che nell’espropriazione forzata, minacciata
in virtù di ingiunzione dichiarata esecutiva ai sensi
dell’articolo 654 c.p.c., nel precetto deve farsi
menzione del provvedimento che ha disposto
l’esecutorietà e dell’apposizione della formula con la
conseguenza che la relativa mancanza comporta la nullità
dell’atto di precetto. Quest’ultima non può essere
rilevata d’ufficio dal giudice ma deve essere dedotta
dal debitore intimato mediante opposizione agli atti
esecutivi.
Inoltre è stato affermato che con
il precetto può essere intimato anche il pagamento delle
spese relative al precetto stesso (Cass. n. 5489 del 26
ottobre 1984) e, segnatamente, che il creditore, il
quale intimi precetto per il pagamento di una cambiale e
delle spese di precetto, non può rifiutare il pagamento
della sola somma portata dal titolo (escluse le spese di
precetto), fermo il diritto di procedere all’esecuzione
per queste ultime (Cass. n. 1697 del 6 giugno 1968).
Questa pronuncia è particolarmente significativa in
quanto introduce la replica alla facile obiezione che,
nel caso delle spese di precetto “auto liquidate” dallo
stesso creditore istante, mancherebbe un titolo
giudiziale per procede¬re all’esecuzione. Infatti,
essendo il precetto la mera intimazione di adempiere
l’obbligo risultante dal titolo esecutivo, va
considerato in stretta connessione funzionale con
quest’ultimo, di talché le spese del precetto assumono
portata accessoria rispetto all’obbligazione recata nel
titolo. Da ciò si ricava che sotto un profilo
logico-giuridico non vi è distinzione tra le ipotesi di
esecuzione per il pagamento di una somma e quelle per il
rilascio di una res perché prevale, in ogni caso, il
caratte¬re comunque accessorio del precetto rispetto al
titolo esecutivo.
Quindi, anche in tema di esecuzione
forzata di obblighi di fare o di non fare il pagamento
delle spese di precetto – attinenti a una fase anteriore
all’esecuzione – può essere chiesto con il precetto
medesimo. Lo stesso dicasi per la procedura esecutiva
per consegna o rilascio nell’ambito della quale è
consentito al creditore istante di intimare, con il
precetto, il pagamento delle spese a esso inerenti,
senza preventiva liquidazione giudiziale e di procedere,
in caso di inottemperanza, al pignoramento, fermo
restando il diritto del debitore di proporre opposizione
all’esecuzione limitatamente a tale obbligazione,
accessoria rispetto a quella portata dal titolo
esecutivo (Cass., sez. unite, n. 1471 del 24 febbario
1996).
Ancora, è stato correttamente
osservato che l’indicazione degli interessi non
costituisce un requisito di validità dell’atto di
precetto, stante la possibilità per il debitore di
controllare, attraverso l’esame della convenzione,
l’esattezza degli importi pretesi dal creditore istante.
Ritornando all’esame degli elementi
che il precetto deve menzionare, è anche previsto che il
precetto contenga la dichiarazione di residenza o
l’elezione di domicilio della parte istante nel Comune
in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione.
La mancanza di tale indi¬cazione non determina,
comunque, la nullità dell’atto ma comporta che le
opposizioni al precetto dovranno essere proposte davanti
al giudice del luogo in cui lo stesso è stato notificato
e le notificazioni alla parte istante saranno fatte
presso la Cancelleria del giudice.
A tale riguardo, la Cassazione, con
ordinanza emessa il 15 aprile 1970, aveva sollevato la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo
480, terzo comma, considerato che, così come formulato,
consen¬tirebbe alla parte istante di eludere la finalità
voluta dal Legislatore, rimettendo alla sua libera
scelta “la facoltà di dislocare ove più gli aggrada la
propria sede di residenza o di domicilio”, anche in
luogo non avente “nessun collegamento con quello ove
sono i beni da espropriare, e ove quindi si procederà
poi in concreto alla espropriazione”. In tale ipotesi,
rimarrebbe frustrato “quel necessario rapporto di
equilibrio tra i contendenti, cui tendono le ordinarie
norme sulla competenza, nella ripartizione dei disagi
che l’amministrazione della lite comporta, poiché alla
libera iniziativa del creditore precettante di
prescegliere – attraverso la elezione di domicilio – il
giudice della causa di opposizione, nessun rimedio
correttivo fa riscontro in favore del debitore, il quale
rimane costretto ad adire un giudice che soltanto
l’altra parte ha potuto predeterminare, con autonoma
designazione, svincolata da un qualsiasi criterio
obiettivo, precostituito dalla legge”.
La Corte Costituzionale, investita
della questione, con la sentenza n. 84 del 1973 chiarì
che per risolvere la questione occorreva considerare la
norma denunciata nel contesto delle disposizioni che
disciplinano la competenza per le opposizioni alla
esecuzione e agli atti esecutivi, prima dell’inizio
della esecuzione.
L’art. 615, comma 1, c.p.c.,
dispone che quando si contesta il diritto della parte
istante a procedere a esecuzione forzata, e questa non è
anco¬ra iniziata, l’opposizione al precetto può essere
proposta con citazione “davanti al giudice competente
per materia o valore e per territorio a norma dell’art.
27”; l’art. 617, primo comma, a sua volta dispone che le
opposizioni relative alla regolarità formale del titolo
esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia
iniziata l’esecuzione, con atto di cita¬zione “davanti
al giudice indicato nell’art. 480, terzo comma”.
Dal complesso di queste
disposizioni, che si integrano e richiamano a vicenda,
risulta con chiarezza che l’art. 480, terzo comma, non
contiene una norma regolatrice della competenza: le sue
disposizioni debbono essere interpretate e applicate con
riferimento alle norme generali e inderogabili sulla
competenza per territorio contenute nell’art. 26 (foro
dell’esecuzione forzata) e nell’art. 27 (foro delle
opposizioni al-l’esecuzione).
Queste norme debbono essere
osservate dalla parte istante per la dichiarazione di
residenza o elezione di domicilio che è tenuta a fare,
giusta il disposto dell’art. 480, “nel Comune in cui ha
sede il giudice competente per la esecuzione”, ossia il
giudice del luogo in cui si trova¬no le cose mobili o
immobili sulle quali essa intende procedere a esecuzione
forzata.
È incontestabile che la facoltà di
individuare i beni, immobili o mobili, sui quali intende
procedere alla esecuzione, debba competere alla parte
istante: la parte istante ha il diritto di scegliere tra
l’espropriazione immobiliare o mobiliare, e anche di
ricorrere contem¬poraneamente o successivamente ai
diversi mezzi di espropriazione previsti dalla legge,
procedendo a pignoramento con l’osservanza delle
disposizioni degli artt. 483 e segg., degli artt. 513 e
segg., dell’art. 543, e dell’art. 555 c.p.c. e delle
altre norme regolatrici dell’esecuzione.
Il Legislatore non ha imposto alla
parte istante di indicare nel precetto le cose mobili o
immobili sulle quali intende procedere a espropriazione
forzata (mentre tale indicazione ha richiesto nel
precetto per consegna o rilascio: si veda art. 605,
comma 1, c.p.c.), e il diverso regime ha evidente
giustificazione nella differenza tra i due tipi di
esecuzione, oltre che nella esigenza di consentire alla
parte istante di procedere alla esecuzione nel luogo ove
si trovino beni mobili o immobili rispetto ai quali
ritenga più spedita e agevole la soddisfazione del suo
diritto, e di avvalersi alternativamente,
cumulativamente e successivamente di diversi mezzi di
espropriazione, anche su beni diversi e situati in
luoghi diversi (o trasferiti dal debitore da uno ad
altro luogo).
Pur nel doveroso rispetto di questa
facoltà di scelta della parte istante, il Legislatore
ha, tuttavia, ritenuto opportuno richiedere che il
precetto contenga la dichiarazione di residenza o la
elezione di domicilio laddove ha sede il giudice
competente per l’esecuzione; predeterminan¬dosi così nel
precetto il luogo della minacciata esecuzione, ancorché
tale indicazione non sia richiesta a pena di nullità, né
sia definitivamente vincolante.
Oggetto della norma è appunto
quello di consentire al debitore di individuare il
giudice territorialmente competente al fine della
notificazione al creditore della opposizione al precetto
che egli intenda pro¬porre prima dell’effettivo inizio
della esecuzione: essa consente bensì alla parte istante
di indicare il luogo della esecuzione, qualora il
debitore possegga una pluralità di beni mobili o
immobili, siti in luoghi diver¬si, ma non rimette al suo
arbitrio la determinazione del foro del-l’esecuzione,
perché il giudice competente non può essere se non
quello di un luogo in cui sia consentito dalla legge di
procedere a
pignoramento, e trattasi di
competenza territoriale inderogabilmente stabilita dalla
legge.
Si deve ricordare a questo riguardo
che il creditore non può proporsi di procedere a
pignoramento mobiliare presso il debitore se non nella
casa dello stesso o negli altri luoghi a lui
appartenenti, giusta le puntuali disposizioni dell’art.
513 c.p.c. che disciplinano la ricerca delle cose da
pignorare, e che incertezze non sono possibili nemmeno
per il pignoramento immobiliare (art. 555 c.p.c.), o per
il pignoramento presso terzi di cose mobili del debitore
(art. 543 c.p.c.).
La dichiarazione di residenza è
ovviamente prevista con riguardo alla eventualità che la
parte istante abbia la propria residenza in quel Comune,
nel quale, altrimenti, è tenuta a eleggere domicilio.
Qualora il creditore “dichiari una
residenza o elegga un domicilio non aventi nessun
collegamento con il luogo ove sono i beni da
espropriare, e ove quindi si procederà poi in concreto
alla esecuzione”, la legge assicura al debitore
precettato un sicuro rimedio correttivo, qua¬lora
intenda proporre opposizione prima dell’inizio
dell’esecuzione.
Egli avrà, infatti, la possibilità
di controllare immediatamente con sicurezza un’eventuale
violazione della competenza per territorio, quale
stabilita inderogabilmente dall’art. 26, comma 1,
c.p.c.; e quindi, in man¬canza della dichiarazione di
residenza o della elezione di domicilio pres¬so la sede
del giudice competente (ossia del giudice di un luogo in
cui sia dalla legge consentito il pignoramento, a norma
dell’art. 513, dell’art. 543 e dell’art. 555 c.p.c.),
avrà la facoltà di proporre opposizione – ai sensi
dell’art. 615, primo comma, come dell’art. 617, primo
comma – davanti al giudice del luogo in cui il precetto
gli fu notificato, cioè di regola davanti al giudice del
luogo in cui ha la residenza o il domicilio.
Ciò in base non solo all’art. 480,
terzo comma, ma anche all’espresso disposto dell’art. 27
c.p.c., che per le cause di opposizione dichiara
competente il giudice del luogo dell’esecuzione, salva
la disposizione del-l’art. 480, terzo comma, ossia salva
precisamente la disposizione conte¬nuta nella seconda
parte del terzo comma.
Questa interpretazione dell’art.
480, terzo comma, non contrasta con il principio
ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza ordinaria,
che quando l’esecuzione non è ancora iniziata, non
potendosi conosce¬re con certezza il luogo in cui si
trovano i beni che saranno sottoposti alla esecuzione
stessa, la dichiarazione di residenza o l’elezione di
domicilio che il creditore è tenuto a fare nel precetto
serve a stabilire in via presuntiva il luogo della
minacciata esecuzione, ed è determinante al fine di
radicare definitivamente la competenza del giudice che
ivi ha sede a pronunciarsi sulle eventuali opposizioni
del precettato.
È, infatti, appena il caso di
osservare che la competenza per territorio per le cause
di opposizione all’esecuzione è sempre inderogabile
(art. 28 c.p.c.), e che, pertanto, l’eventuale elezione
di domicilio in luogo ove non sussista la possibilità di
procedere a pignoramento, mobiliare o immobiliare, non
potrebbe mai ritenersi operante ai sensi dell’art. 480,
terzo comma, né comunque idonea ad attribui¬re al
giudice di quel luogo una competenza inderogabilmente
stabilita dalla legge.
Anche nel caso in cui l’esecuzione
possa svolgersi, a scelta della parte istante, sopra
beni mobili o immobili siti in luoghi diversi,
competente sarà sempre e soltanto il giudice del luogo
in cui la legge, in base a criteri obiettivi, permette
di pignorare i beni prescelti per l’esecuzione, e,
pertanto, la norma in questione non consente arbitraria
sottrazione del precettato al giudice precostituito per
legge.
In virtù dell’ultimo comma
dell’art. 480 c.p.c., il precetto deve essere
sottoscritto a norma dell’articolo 125 c.p.c. Per la
giurisprudenza, conformemente alla già più volte
ribadita natura non processuale del precetto, non trova
applicazione il secondo comma dell’art. 125 c.p.c. e,
per l’effetto, la sottoscrizione da parte di un
procuratore legale privo di procura in calce al precetto
ne determina la nullità che non può essere sanata anche
se la procura sia rilasciata successivamente alla
notifica dell’atto.
Inoltre, sempre in base all’ultimo
comma dell’articolo 480 c.p.c., il precetto va
notificato alla parte personalmente a norma degli
articoli 137 e seguenti del c.p.c. Il precetto,
pertanto, è un atto recettizio e come tale va portato a
conoscenza del destinatario. Al fine di realizzare
siffatta conoscenza sono richiamate le norme del libro I
relative alle notificazioni prevedendo, in particolare,
che sia l’Ufficiale giudiziario a eseguirla mediante
consegna al destinatario di copia conforme all’originale
munita della formula esecutiva.
Al riguardo l’articolo 479 prevede
che, salvo le eccezioni espressamente previste dalla
legge, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla
notificazione del titolo in forma esecutiva e del
precetto; sia il titolo che il precetto devono essere
notificati personalmente alla parte. L’ultimo comma
aggiunge che il precetto può essere redatto di seguito
al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con
questo (salvo che nella già commentata ipotesi
disciplinata dall’art. 477). È il caso di rammentare che
il vizio di notificazione dell’atto di precetto si
traduce in un vizio di nullità del pignoramento e, di
conseguenza, va dedotto mediante il meccanismo
dell’opposizione agli atti esecutivi (Cass., sez. III,
n. 5231 del 6 maggio 1993).
Abbiamo visto che il primo comma
dell’art. 479 usa l’espressione “se la legge non dispone
altrimenti”, richiamando, in tal modo, l’attenzione
dell’interprete sull’esistenza di ipotesi in cui non è
necessaria la no¬tifica del titolo esecutivo e/o del
precetto. Si pensi all’ipotesi frequente contemplata
nell’articolo 654, comma 2, c.p.c. che stabilisce che ai
fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione
del decreto esecutivo ma è sufficiente che nel precetto
si faccia menzione del prov-vedimento che ha disposto
l’esecutorietà e dell’apposizione della formula.
A norma dell’articolo 481, il
precetto non ha un’efficacia illimitata ma, al
contrario, diventa inefficace se, nel termine –
perentorio – di novanta giorni dalla sua notificazione
non è iniziata l’esecuzione (al riguardo si parla di
perenzione dell’atto di precetto).
Ovviamente l’espressione “non è
iniziata l’esecuzione” va coordinata con i vari tipi di
esecuzione disciplinati.
Nell’espropriazione forzata il
primo atto è il pignoramento (art. 491); nell’esecuzione
per consegna il primo atto è l’accesso del-l’Ufficiale
giudiziario (art. 606); nell’esecuzione per rilascio il
pri¬mo atto è la notifica dell’avviso da parte
dell’Ufficiale giudiziario (art. 608); nell’esecuzione
forzata di obblighi di fare il primo atto è il deposito
del ricorso presso la Cancelleria del Giudice
dell’esecuzione (art. 612).
La richiamata disposizione
normativa trova applicazione anche con riferimento alla
disciplina speciale prevista in materia di riscossione
coattiva delle entrate patrimoniali (r.d. n. 639/1910)
con l’effetto che l’inosservanza del termine perentorio
comporta la nullità del pignoramento eseguito; nullità
che deve essere dedotta dal debitore mediante
l’opposizione agli atti esecutivi.
Il suddetto termine è di
“decadenza” e, quindi, una volta che sia stato
rispettato, consente di instaurare altre procedure
espropriative con il solo limite del divieto del cumulo
eccessivo.
Il Legislatore, a tutela del
creditore, stabilisce che se contro il precetto è
proposta opposizione, il termine rimane sospeso e
riprende a decorrere dal passaggio in giudicato della
sentenza che ha definito il processo di opposizione o
dal momento di estinzione di esso.
Appare opportuno mettere in
evidenza che ai sensi dell’articolo 283
c.p.c. il giudice d’appello può
sospendere parzialmente l’esecutività di un titolo
esecutivo giudiziale. Qualora sia ancora pendente il
termine perentorio di efficacia del precetto si
realizzano due scenari: a) con riguardo alla parte di
pretesa rispetto alla quale non è stata disposta la
sospensione l’esecuzione può iniziare entro il termine
di novanta giorni; b) con riguardo alla parte di pretesa
rispetto alla quale è stata disposta la sospensione,
l’esecuzione può iniziare dal momento che il titolare
del diritto ha ricevuto comunicazione della cessazione
dell’efficacia della sospensione e, in tal caso, va
tenuto conto del residuo termine di efficacia del
precetto stesso.
Coerentemente alla dichiarata
natura non processuale dell’atto di precetto, la
giurisprudenza è concorde nel ritenere che al termine di
novanta giorni non si applichi la sospensione feriale
dei termini processuali ex art. 1 della legge n. 742 del
7 ottobre 1969.
L’articolo 482 prevede un termine
dilatorio allorché dispone che non si può iniziare
l’esecuzione forzata prima che sia decorso il termine
indicato nel precetto e, in ogni caso, non prima che
siano decorsi dieci giorni dalla notificazione di esso.
L’inizio dell’esecuzione forzata
senza il rispetto del suddetto termine determina la
nullità sia del precetto che del pignoramento eseguito.
Al contrario, l’indicazione nell’atto di precetto di un
termine ad adempiere inferiore ai dieci giorni non ne
determina la nullità qualora l’esecuzione rispetti,
comunque, il suindicato termine. È evidente che se è
indicato un termine maggiore di dieci giorni è questo
maggior termine a dover essere necessariamente
rispettato.
Anche al termine previsto dall’art.
482 non si applica la sospensione feriale dei termini
processuali.
Va detto che il creditore
procedente, se ha fondato motivo di ritenere che il
rispetto del termine di dieci giorni possa pregiudicare
la fruttuosità della futura esecuzione forzata, può, con
istanza motivata, chiedere al Presidente del tribunale
competente per l’esecuzione (che può a sua volta
delegare un giudice) di essere autorizzato
all’esecuzione immediata, ovvero senza il rispetto del
predetto termine. L’istanza, così come il precetto,
atteso che incide sui soli effetti del precetto, può
essere sottoscritta sia personalmente dalla parte che da
un suo rappresentante sostanziale. L’autorizzazione, che
può prevedere anche la presta¬zione di una cauzione, è
data con decreto scritto in calce al precetto e
trascritto a cura dell’Ufficiale giudiziario nella copia
da notificarsi. In nessun caso l’autorizzazione
all’esecuzione immediata può essere contenuta in un atto
anteriore all’intimazione del precetto.
Contro il decreto che decide
sull’istanza non è previsto alcun mezzo di impugnazione
ma l’istanza può essere riproposta.
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