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                Autore : Michelangelo Scanniello           

Sommario: 1. Il tema. - 2. Una questione terminologica- 3. I soggetti dell’indagine: azienda e impresa. – 4. Inizio dell’impresa. – 5. Fine dell’impresa. - 6. Inizio e fine dell’impresa sociale. - 7. Iscrizione e cancellazione nel registro delle imprese. – 8. Il termine finale del fallimento. – 9. Il sistema. Conclusioni.

 

    Il tema

 

L’inizio e la fine, l’iscrizione e la cancellazione dal registro delle imprese, insieme al fallimento, sono aspetti intimamente correlati all’impresa.  Questo breve scritto intende mettere  in luce i punti di contatto tra le fattispecie per capire quale siano i momenti di inizio e fine dell’attività imprenditoriale, seguendo un unico filo conduttore.

 

Infatti, l’impresa è un fenomeno vivo, una “entità essenzialmente dinamica”(1), un “organismo economico” (2) che nasce e muore. Quest’ultima fase, la c.d. “fine dell’impresa”, è (diciamo così) “certificata” dalla cancellazione dal registro delle imprese. In ultimo, i rapporti giuridici pendenti al momento della fine dell’impresa, devono godere di un regime di certezza giuridica; questo per tutelare la realtà socio-economica, lesa in modo unilaterale con la cessazione dell’attività imprenditoriale; e detta tutela può consistere anche nel fallimento successivo alla cessazione dell’attività.

 

Pertanto la rilevanza dei tre istituti è di tutta evidenza, ricomponendosi in un sistema. Ciò nonostante, definire il momento preciso della fine dell’impresa o dell’inizio della medesima non è affatto facile. Molto si è scritto sul punto, ma oggi qualche lume sembra esserci.

 

    Una questione terminologica

 

Come spesso avviene in diritto la terminologia, benché adottata in modo generalizzato, non è del tutto propria.

 

Si nota, giustamente, che parlare di inizio e fine dell’impresa non è corretto. Chiaramente tutti ci intendiamo nel dire che un’impresa “inizia”, “finisce” o “si sospende”. Tuttavia, in punto di pura correttezza terminologica, non ha senso parlare di inizio, fine o sospensione dell’impresa(3). Questo perché l’impresa è un modello di comportamento, un paradigma normativo che o è presente o non lo è; o la fattispecie concreta risponde a quella astratta oppure no. Pertanto la fine e/o l’inizio dell’impresa altro non sono che i due estremi del segmento comportamentale “impresa”; così discutere di essi altro non significa che parlare di una attività economica, professionalmente svolta, ecc. che corrisponde, appunto, all’impresa(4).

 

Ad ogni modo, la terminologia poco si accorda con la pratica, perciò continueremo ad usare i termini di cui sopra, perché unanimemente adoperati e di ineludibile chiarezza.

 

    I soggetti dell’indagine: azienda e impresa.

 

L’art. 2082 dispone: “E’ imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Si deduce che il  codice civile non definisce l’impresa ma l’imprenditore. Tuttavia la definizione di impresa si desume abbastanza agevolmente. Tanto che: “L'impresa è l'attività economica svolta dall'imprenditore, per cui non è ammissibile un'impresa senza imprenditore”(5).

 

E si evince anche chiaramente che impresa non è sinonimo di “azienda”. L’azienda è infatti definita dall’art. 2555 c.c. quale “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per esercizio dell’impresa”.

 

L’azienda è, in questo modo, l’aspetto materiale, il riflesso immanente di una attività non materiale, dedita ad uno scopo produttivo; nella definizione di azienda l’accento cade sui beni utilizzati nell’attività. Al contrario l’impresa è quella attività. L’una privata dell’altra sono tratti di un disegno incompiuto, e solo dalla “complementarietà tra i due aspetti”(6) origina la reale (e realistica) immagine dell’impresa(7).

 

Nel codice, dei due aspetti, se si volesse farne un valutazione, è l’attività ad avere la “decisa prevalenza sul complesso dei beni (azienda) al quale essa si riferisce”(8). Ma i due profili spesso si confondono nella terminologia comune e legislativa, specie di diritto pubblico.

 

Stando alla definizione di impresa, ad ogni modo, appare evidente il superamento dell’ottica fisiocratica, presente nei codici precedenti.

 

Si è giunti difatti ad una visione in cui la ricchezza non è prodotta dal bene in sé, ma dalla sua utile collocazione in un complesso di beni organizzati. La vera ricchezza la crea la specifica collocazione del bene in quella specifica azienda, non (soltanto) il valore proprio ma statico del singolo  bene.

 

    Inizio dell’impresa

 

“La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo esercizio dell’attività di impresa”(9), e si perde con l’effettiva cessazione della stessa attività; non rilevando affatto dichiarazioni, più o meno pubbliche, quali iscrizioni ad albi, autorizzazioni chieste od ottenute, a fare l’impresa(10).

 

Specularmente, l’involontario inizio di attività imprenditoriale costituisce attività d’impresa a tutti gli effetti; e detta attività sarà soggetta al c.d. “statuto dell’imprenditore”, nelle sue eventuali declinazioni, ad esempio quale imprenditore commerciale(11). Questo perché si ritiene che l’attività di impresa è un fatto giuridico, non un atto giuridico(12).

 

E’ sostenibile, ancora, “il principio per cui gli atti meramente preparatori o interni, non accompagnati dall'effettivo esercizio della corrispondente attività commerciale  non possono essere considerati idonei ad attribuire la qualità di imprenditore”, a meno che non “ci si trovi di fronte ad una attività più o meno intensa, finalizzata a porre in essere concreti e positivi atti di commercio ed estrinsecatasi all'esterno con tali peculiari connotati”(13).

 

La giurisprudenza del resto riconosce “la qualità di imprenditore nella fase organizzativa quando si tratta di applicare la disciplina della concorrenza sleale, ritenendo che abbiano natura concorrenziale anche gli atti compiuti da chi o a danno di chi sta organizzando la propria attività imprenditoriale”(14).

 

Quanto detto si riassume nel “principio di effettività”(15), che dà una certa linearità d’insieme al discorso: se c’è (e fino a quando ci sarà) effettivamente attività imprenditoriale, c’è anche impresa; altrimenti parliamo di attività d’altra natura(16).

 

 

Ma da qui in poi, però, la linearità del discorso cambia, e non di poco.

 

Il problema è, infatti, identificare il reale, l’effettivo inizio dell’attività d’impresa. La dizione della norma di certo non aiuta, poiché è imprenditore chi “esercita” una “attività”; espressioni proiettate al futuro, non statiche, ed è di per sé difficile fotografare bene i contorni di un soggetto in movimento già nella definizione oltre che nelle mutevoli fattezze.

 

Si sostiene che “basta, per acquistare la qualità di imprenditore, anche il compimento di un solo atto di impresa” se finalizzato ad una “lunga serie” di atti connessi al primo e svolti professionalmente(17). O che la nozione di imprenditore è “un dato obiettivo”(18), tutto teso alla remunerazione dei fattori produttivi impiegati nell’impresa da esso diretta.

 

E fin qui vale ancora il principio di effettività; ma qual è il “primo atto d’impresa”?

 

In definitiva, non esiste una riposta univoca. Bisogna in primo luogo analizzare la singola attività ed individuare la presenza o meno di atti preparativi all’impresa, per poi valutarne la natura e il significato reale. Così la creazione di strutture stabili, visibili, magari con investimenti economici rilevanti, sono segno certo che l’attività economica è cominciata. Si tratterebbe, come si dice, di “un atto di organizzazione”, cioè diretto a creare l’organizzazione, da distinguersi dall’ “atto dell’organizzazione”, effetto dell’organizzazione.

 

Questa terminologia può essere accolta solo in senso descrittivo; ove se ne accogliesse una statica e netta classificazione, si sostiene, si verrebbe sconfessati dalla fluidità e perplessità di atti che ben difficilmente sono inquadrabili nella prima o nella seconda categoria(19).

 

La giurisprudenza, quando ricorre un “apparato esteriore”, ritiene sufficiente “anche il compimento di un singolo atto riconducibile a quella organizzazione”; quando l’apparato esteriore manchi, invece, richiede “atti oggettivamente suscettibili di essere qualificati come atti d’impresa”, che non siano cioè “operazioni isolate”, ma al contrario il frutto di una “attività professionalmente esercitata”(20).

 

Ove la fase preparatoria non dovesse esserci il discorso si complica ulteriormente. Difatti solo atti coordinati, omogenei, ripetuti e funzionali ad uno scopo, potrebbero essere un valido indice di attività di impresa.

 

In linea di massima in giurisprudenza si cerca di trarre una regola generale dal principio dell’affidamento dei terzi. Basti il ricordare che la “società apparente” è creatura giurisprudenziale. Questo criterio è ritenuto opportuno da chi lo unisce ad “un sufficiente margine di certezza circa la natura dell’oggetto dell’attività intrapresa”(21).

 

In altre parole, alcuni tendono a individuare l’inizio dell’impresa nell’attività che dia il giusto credito, presso i terzi, di essere realmente tale, ma sotto un crisma oggettivo di una attività iniziata, o altrimenti manifestata prima del suo inizio.

 

    Fine dell’impresa

 

La cessazione dell’impresa, a sua volta, crea altri problemi.

 

E’ chiaro che non può parlarsi “di cessazione dell'impresa e di inizio di una nuova impresa, ogni volta che resti immutata la persona dell'imprenditore e mutino, invece, alcuni degli elementi caratterizzanti l'impresa medesima, quali ad esempio la ditta o l'oggetto”/22) anche perché per il codice (art. 2196) trattasi di modifiche apportate all’impresa.

 

Generalmente si afferma che devono essere cessate le operazioni “intrinsecamente identiche a quelle poste in essere nell’esercizio dell’impresa”(23), o gli atti del “ciclo caratteristico”(24).

 

Altri sostiene che solo gli atti tesi a “distruggere l’organizzazione aziendale” identificherebbero realmente la fine dell’impresa(25); la liquidazione, in particolare, afferirebbe all’azienda, quale sua scomposizione(26).

 

Ma questo secondo criterio è valido solo in teoria. Difatti solo quando l’organizzazione non riesce ad essere più il sostrato dell’attività, essa effettivamente cessa; infatti ben può un atto in fase di terminazione dell’impresa essere valutato uguale a quello svolto nel punto di massima del ciclo produttivo. Vendere un bene in fase di liquidazione non è in sé, ontologicamente, diverso dal bene che si vende all’inizio dell’impresa, o nel punto di massimo storico nella vendita di quel bene.

 

Per questo solitamente l’impresa si ritiene cessi con una fase di liquidazione, in cui si smantella il compendio dei beni, l’organizzazione creata e finalmente cessata(27). Dunque, durante la liquidazione l’impresa esiste ancora, solo la “disgregazione del complesso aziendale”(28) certifica la fine dell’impresa in modo non equivoco, oltre le intenzioni dell’imprenditore.

 

Tuttavia, se questa affermazione è vera per le imprese dotate di strutture fisiche più o meno visibili, non avviene lo stesso per quelle che detta struttura non possiedono.

 

    Inizio e fine dell’impresa sociale

 

In dottrina e in giurisprudenza è comune l’affermazione secondo cui le società sono istituzionalmente impresa, per ragioni storiche, ma anche sistematiche.

 

 Si è sostenuto a lungo “la contrapposizione che è lecito istituire tra l'art. 2196 c.c., il quale impone l'inserzione nel registro delle imprese all'imprenditore, che esercita attività commerciale [..] e gli art. 2200 e 2201 c.c., che assoggettano all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese le società costituite per l'esercizio di un'attività commerciale secondo uno dei tipi regolati nei capi III ss. tit. V lb. V […] e gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale l'attività commerciale”(29).

 

Pertanto “l’impresa collettiva nasce con la costituzione della società”; in particolar modo, la società è una “impresa commerciale per il solo fatto che abbia oggetto commerciale, prima ancora che compia atti che lo realizzino” (30).

 

Per le società esisterebbe una vocazione pressoché totale all’impresa, scorrendo inseparabilmente nel piano tracciato dalla prima. Per le società, in altre parole, non vigerebbe il principio di effettività, poiché segnate dal “destino di essere imprenditore”(31).

 

A quanto finora detto la giurisprudenza, e la dottrina, aggiungevano che la cessazione non si individuava con la cessazione dell’attività, ma nella cancellazione dal registro. Tuttavia la cancellazione poteva ottenersi solo con il pagamento di tutti i debiti sociali(32) e “la definizione dei rapporti tra i soci”(33). La simmetria è chiara: la società è impresa già alla sua costituzione; la società non è più impresa con la cancellazione, soggetta al pagamento dei debiti.

 

In questo modo, la società poteva fallire, magari per un singolo debito, sopravvenuto o scoperto, anche molti anni dopo la cancellazione dal registro. E’ di tutta evidenza la sperequazione rispetto all’imprenditore individuale. Questi infatti poteva fallire entro un anno dalla cessazione dell’attività (art. 10 l.fall). E difatti più volte si è proposta la questione di legittimità costituzionale, come si vedrà.

 

Dunque, solo per l’imprenditore individuale valeva il principio di effettività.

 

La ratio del ragionamento risiede(rebbe) nel fatto che mentre l’individuo può essere o meno imprenditore, in base allo svolgimento di una attività da valutarsi quale impresa, le società nascerebbero sempre con questa finalità, perché ad esse connaturata.

 

Tuttavia questa impostazione non era per molti autori condivisibile; difatti l’articolo 2082 descrive chi è “imprenditore”, che fosse collettivo o meno, e lo definisce come colui il quale eserciti un’attività, al di fuori di ogni  “dichiarazione  programmatica”(34), qual è, e resta, la costituzione di una società.

 

La “sostanziale autonomia delle due entità concettuali rappresentate dalla società e dall’imprenditore”(35) è evidente, ma operare “staticamente” solo sulle rispettive definizioni, è inutile(36), sarà stato solo un esercizio didattico.

 

Infatti, l’equiparazione imprenditore-società nasce da lontano, dall’abrogato codice del commercio. In esso si definiva (art. 8) i commercianti, ossia: “coloro che esercitano atti di commercio per professione abituale e le società commerciali”(37). E nel solco della tradizione si è continuato a sostenere che le società sono sempre impresa.

 

Tuttavia, saldo orientamento sostiene che il fatto di esistere società che abbiano sospeso l’attività restando, ad esempio iscritte al registro delle imprese quali inattive, ma cui si possa notificare un atto, è una realtà tangibile prima che dal punto di vista normativo, da quello logico. La società, cioè, continua ad esistere seppure quale inattiva, una sorta di “disoccupato collettivo”?

 

Ad ogni modo il problema, adottando questo orientamento, diviene l’individuazione di indici significativi della cessazione dell’attività. In linea di massima, si afferma, occorre effettuare una “diagnosi di impresa” alla stessa stregua di come si procede con le persone fisiche(38), salvo le debite differenze dovute alla diversa figura soggettiva. Pertanto occorre una analisi caso per caso e si rimanda a quanto detto sopra.

 

    Iscrizione e cancellazione nel registro delle imprese

 

L’art. 2196 dispone: “Entro trenta giorni dall'inizio dell'impresa l'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve chiedere l'iscrizione all'ufficio del registro delle imprese […] deve inoltre chiedere l'iscrizione delle modificazioni relative agli elementi suindicati e della cessazione dell'impresa, entro trenta giorni da quello in cui le modificazioni o la cessazione si verificano”.

 

Sia per gli imprenditori individuali che per le società di persone, l’efficacia dell’iscrizione è pacificamente dichiarativa, ed è al più un indizio della reale iscrizione (o cessazione)(39); infatti l’imprenditore può ritardare o addirittura “omettere l’iscrizione dell’avvenuto inizio o della cessazione, sia continuare l’esercizio dell’impresa dopo essersi cancellato”(40).

 

Per le società di capitali il discorso è più complesso. Il codice prevede, per dette società, la costituzione della personalità giuridica ex artt. 2331, 2464 e 2475(41), attraverso l’iscrizione nel registro delle imprese(42).

 

Ma i citati articoli fanno riferimento alla società/43), alla sua persona giuridica, non all’impresa, proprio perché il principio di effettività è (o sarebbe?) riferibile anche alle società di capitali.

 

In altre parole, l’iscrizione della società presso il registro delle imprese è un riconoscimento dello status di soggetto giuridico, non l’attribuzione della qualità di imprenditore, che si guadagna “sul campo”; il riconoscimento di una certa capacità giuridica, non l’attribuzione della qualità di imprenditore. Come detto in precedenza, si deve prescindere dalla volontà del (o dei soggetti) che pongono in essere una certa attività.

 

L’art. 2196 c.c. dispone anche l’iscrizione del fatto “cessazione dell’impresa”. Ma l’art. 2196, si sostiene in modo fermo, non è applicabile alle società, anche se ci sono voci contrarie.

 

Per le società, pertanto, non c’è l’obbligo di depositare la cessazione dell’attività, ma cancellazione della società. Difatti per le società di persone (art. 2312 c.c.), si dispone l’obbligo per i liquidatori della cancellazione dal registro; lo stesso avviene per le società di capitali (art. 2495 c.c.).

 

Così procedendo, si evince che per le società terminare il ciclo produttivo (fine attività in senso stretto) e smantellare il compendio aziendale (liquidazione) sono operazioni diverse anche nel loro rispettivo valore giuridico: il primo è operazione non formalizzata, la seconda si sostanzia nella iscrizione della liquidazione e della cancellazione dal registro delle imprese(44); e se le società sono, come parte della dottrina e giurisprudenza sostengono, istituzionalmente impresa: l’obbligo dell’art. 2196 non può esistere, perché “l’inizio dell’impresa” è “l’inizio della società”.

 

Tuttavia, il discorso è cambiato di recente. In particolare è mutato il valore da dare alla cancellazione dal registro per le società.

 

Infatti due sentenze della Cassazione, a Sezioni Unite, sono intervenute di recente(45); esse  hanno sostenuto, schematizzando, che:

 

    per le società di capitale il nuovo art. 2495 “ha reso costitutiva [..] l’efficacia della cancellazione, che provoca immediatamente l’estinzione della compagine sociale”(46); questo avviene a causa dell’inserimento, nel 2003, dell’inciso: “Ferma restando l’estinzione della società” (comma 2), che dovrebbe scaturire dall’obbligo gravante sui liquidatori di “chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese” (comma 1) e dalla conseguenza di esso: “dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci” (ancora il comma 2). Si desumerebbe che la società di capitale si estingue in modo chiaro con la cancellazione.

    Per le società di persone il discorso è meno chiaro. Le due sentenze sostengono che l’iscrizione e la cancellazione hanno effetto dichiarativo, tuttavia l’art. 2312 affermando che: “Dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci”, fa sì che anche per le società, estinta la capacità processuale venga meno la soggettività giuridica (anche se non ‘entificata’).

 

L’art. 2495, in pratica, “ammanta dei suoi effetti anche le società di persone” (47), originando una conseguenza imprevista, diciamo pur così, anche per le società di persone.

 

In effetti l’art. 2495 c.c. è molto interessante anche perché da esso sembra desumersi ancora l’equipollenza tra cessazione e cancellazione(48). Ma questo consegue anche alla logica: affermare che l’iscrizione ha effetto dichiarativo non può trasformare la cancellazione in efficacia costitutiva(49), anzi potrebbe avere un vero effetto presuntivo della cessazione dell’impresa(50)

 

    Il termine iniziale del fallimento

 

L’art. 10 della legge fallimentare, come modificato dalla L. 5/06 e dal D.lgs 169/07, dispone: “Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.

 

In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma”(51).

 

Si deduce che il dies a quo coincide con la cancellazione dal registro delle imprese, ma può essere spostato nel caso in cui (creditore o P.M.) dimostrino un termine effettivo differente(52).

 

Ma è davvero così?

 

Secondo parte della dottrina, infatti, la novella all’art. 10 nega il principio di effettività, che è stato per l’imprenditore individuale limitato, e per le società praticamente escluso(53).

 

Invero nel primo caso solo il creditore (o il P.M.) può disporre di un termine diverso per il fallimento, mentre per le società c’è l’ulteriore condizione che (creditore o P.M.) possono dimostrare l’effettiva cessazione solo nel caso di “cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi” (ex DPR 247/04).

 

In questo modo, si sostiene, si sarebbe tornati alla equiparazione società-impresa al momento della iscrizione-cancellazione nel registro, in base all’oggetto sociale, anche perché una società commerciale che esercita in fatto attività agricola non può farsi fallire solo perché società commerciale(54).

 

Specie a seguito della modifica dell’art. 2495 c.c., in pratica, la cancellazione della società pare essere “la definitiva ed irreversibile estinzione della società”(55). La giurisprudenza, del resto, non è affatto indifferente a questo orientamento come già riportato sopra.

 

Altra dottrina, invece, sostiene che il nuovo art. 10 è una vera novità, tanto chiesta in passato; prima della modifica, specie in giurisprudenza, l’applicabilità dell’art. 10 alle società era praticamente “ignorato” (56).

 

In questo modo: “oggi la cancellazione dal registro delle imprese è condizione necessaria affinché l’imprenditore individuale o collettivo benefici del termine annuale per la dichiarazione di fallimento”(57).

 

In altre parole il termine annuale è presuntivamente identificato nella cancellazione dal registro delle imprese(58) perché non esiste una norma che istituzionalizzi l’impresa nella società tramite “il superamento della nozione di imprenditore delineata nell’art. 2082 c.c.”(59).

 

Resta il problema delle società irregolari e di quelle occulte su cui molto si discute(60).

 

    Il sistema. Conclusioni

 

Si tracciano di seguito brevi conclusioni. Nell’opinione di chi scrive, per concludere il discorso fin qui portato, il sistema si può così ricomporre:

 

    l’inizio e la fine dell’impresa devono essere sorretti dal principio di effettività, a prescindere dal soggetto che diviene imprenditore;

    l’efficacia dell’iscrizione o della cancellazione dal registro delle imprese invece è diversa a seconda del soggetto:

        per gli imprenditori individuali vale sempre l’effettività dell’esercizio, cui deve corrispondere una situazione notiziale aggiornata nel registro, anche perché sanzionata a diverso titolo; inoltre per questi sussiste un dovere esplicito derivante, come detto, dall’art. 2196 del codice;

        per le società di persone restano dichiarative la cancellazione e l’iscrizione; facendo presumere che effettivamente l’attività inizi o cessi in pari data, ma può aversi prova contraria ai sensi dell’art. 10 legge fallimentare(61);

        per le società di capitali la cancellazione (e l’iscrizione) fa estinguere la società, ma la cessazione è, a sua volta, rinvenibile in punto di fatto ad un tempo successivo, stante ancora l’articolo da ultimo citato, ai fini del fallimento.

 

Da tutto quanto detto, si evince una certa “logica di sistema”, che coniuga l’affidamento dei terzi con l’effettivo esercizio, o meno, dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore.

 

(1) Cass. 29/01/1973, n. 273.

 

(2) Ferri, Manuale di Diritto Commerciale, 34, 2006.

 

(3) Del resto “l’espressione ‘inizio dell’impresa’ compare una sola volta nella nostra legge, nell’art. 2196 c.c.” insegnava lo Jaeger nel 1966 in un importante articolo: “Note critiche sull’inizio dell’impresa commerciale”, in Rivista di diritto civile, p. 756.

 

(4) Sul punto bene: Spada, Impresa, 60, Dig. Disc. Priv., Sez. Comm.

 

(5) Alpa-Mariconda, Art. 2082, in Codice civile commentato , 2005.

 

(6) Ferri, Manuale di Diritto Commerciale, 32, 2006.

 

(7) Non conforme appare: Galgano, Diritto Commerciale, I, 63, 2008.

 

(8) Riva-Sanseverino,  in Commetario del Codice civile Scialoja-Branca, Libro V, Art. 2082147, 1969.

 

(9) Campobasso, Diritto Commerciale, I, 99, 2008; in giurisprudenza  cfr. Cass. 17/03/1997, n. 2321.

 

(10) Spada, Impresa, 60, Dig. Disc. Priv., Sez. Comm.; similmente: Buonocore, Imprenditore, in Enciclopedia del diritto, Vol. XX, par. 2, 1970; Graziani-Minervini-Belviso, Manuale di diritto commerciale, 64, 2011.

 

(11) Campobasso, Op. cit., loc cit.

 

(12) Lucidamente: per il fatto giuridico “la giuridicità è conseguenza del mero verificarsi dell’evento naturale”, mentre l’acquisto della qualità imprenditore è conseguenza che “la legge ricollega unicamente alla reiterazione degli atti” professionalmente svolti, a prescindere dalla volontà dello stesso soggetto (Buonocore, L’impresa, 100 ss, in Trattato diritto commerciale diretto da Buonocore); pertanto l’impresa è un fatto giuridico non un atto, diversamente da quanto disposto nell’abrogato codice del commercio (art. 3); tuttavia la questione non è così semplice, perché altri ha opinato per l’impresa come atto (cfr. sul punto: Panuccio, Impresa (dir. priv.), in Enc. Dir., XX, par. 19, 1970).

 

(13) Alpa-Mariconda, Art. 2082, in Codice civile commentato , 2005.

 

(14) AA.VV, Art. 2082, Codice civile ipertestuale, 2006.

 

(15) Il principio oggi trova riscontro nominale anche nel nuovo art. 10 l. fallimentare, come si vedrà.

 

(16) “Affinché si abbia l’impresa […] è necessaria l’effettività dell’esercizio” insegnava il  Casanova, in Impresa ( in generale), in  Nuov. Digesto It., 354.

 

(17) Galgano, Op. cit., loc. cit.

 

(18) Cass. 19/06/2008, n. 16612.

 

(19) Campobasso, Op. cit., 102; similmente Galgano, Op. cit., 65.

 

(20) (Cass. 13/08/2004, n. 15769).

 

(21) AA.VV., Diritto Commerciale, 2010, 11.

 

(22) Buonocore, Op. cit. par. 16.

 

(23) Cass. 17/03/1997, n. 2321.

 

(24) Lubrano di Scorpaniello, Cessazione dell’impresa e procedure concorsuali,  2005, 69.

 

(25) AA.VV., Diritto Commerciale, 11, 2010.

 

(26) F. Ferrara, Il fallimento, 122, 1974.

 

(27) Cfr. Buonocore: “il comprendere nell'attività di esercizio dell'impresa le operazioni di realizzo attraverso la vendita dei beni non dipende […] soprattutto dalla circostanza che solo dopo il compimento di tale fase potrà considerarsi verificato quel fatto irrevocabile che, nella specie, è la cessazione dell'impresa. E, di conseguenza, dal momento del compimento della fase predetta potrà parlarsi effettivamente di cessazione dell'impresa, intesa sia come cessazione di attività, sia come disgregazione del complesso aziendale” (Imprenditore, in  Enc. Dir., par. 20, 1970).

 

(28) Galgano, Dir. Comm., cit., 65.

 

(29) Andrioli, Fallimento (dir. priv. e dir. proc. civ.), in Enciclopedia del diritto, Vol. XVI, par. 12, 1968; il medesimo autorevole scrittore aggiunge: “Che poi la società, pur essendo tenuta all'iscrizione nel registro, non ottemperi a tale obbligo, è vicenda che non incide sull'acquisizione della qualità d'imprenditore e quindi sulla generica soggezione al fallimento, sol se si tratti di società in nome collettivo e in accomandita semplice (art. 2297, 2317 c.c.), non già se si tratti di società di capitali, per le quali la personalità giuridica segue all'iscrizione nel registro, e per le operazioni compiute in nome della società prima dell'iscrizione sono illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi coloro che hanno agito (art. 2231, 2464, 2475 c.c.)”

 

(30) Cass. 28/04/2005, n. 8849.

 

(31) Graziani-Minervini-Belviso, Op. cit., 65.

 

(32) Pajardi, Codice del fallimento, sub. art. 10, 2, 2009.

 

(33) Campobasso, Op. cit., 104.

 

(34) Cfr. Campobasso, Op. cit., 100.

 

(35) Farina, L’acquisto della qualità di imprenditore, 222, 1985.

 

(36) Farina, Op. cit., 223.

 

(37) Del resto l’art. 76 disponeva: “le società commerciali hanno per oggetto uno o più atti di commercio”.

 

(38) Farina, Op. cit., 306.

 

(39) Naturalmente se non si dà per scontata la più volte citata teoria tradizionale secondo cui la società è sempre impresa.

 

(40) Lubrano di Scorpaniello, Op. cit.,49. Gli effetti del ritardo e dell’omissione sono, naturalmente diversi, ma sul punto non possiamo dilungarci.

 

(41) Nel disposto dell’art. 2331 si ha un caso di c.d. pubblicità costitutiva, ossia è l’iscrizione a dare la personalità giuridica alle società di capitali. La formulazione della norma è “equivoca” per Pavone La Rosa, Il registro delle imprese, 102, 2004, ma unanimemente interpretata come sopra.

 

(42) Per le società di persone è il contratto costitutivo l’atto fondante, e il suo deposito presso il registro delle imprese ha valore solo di pubblicità dichiarativa appunto, cui nulla aggiunge in termini di efficacia-costituzione la registrazione.

 

(43) Lubrano di Scorpaniello, Op. cit. loc. cit.

 

(44) Cfr. molto bene sul punto: Lubrano di Scorpaniello, Op. cit. 72 ss.

 

(45) SS.UU. 22/02/2010, n. 4060 e 09/04/2010, n. 8424).

 

(46) Ghia-Piccinini-Severini,  Trattato delle procedure concorsuali, I, 105, 2010).

 

(47) Ghia-Piccinini-Severini, Op. cit., 104.

 

(48) Tuttavia le citate sentenze sembrano divergere nell’efficacia da attribuirsi alla cancellazione, per una è dichiarativa per l’atra costitutiva (Ghia-Piccinini-Severini, Op. cit., 106). Infatti la Cassazione a Sezioni Unite ha sostenuto, nella sentenza di febbraio, che: “La natura costitutiva riconosciuta per legge a decorrere dal 1 gennaio 2004, degli effetti delle cancellazioni già iscritte e di quelle future per le società di capitali che con esse si estinguono, comporta, anche per quelle di persone, che, a garanzia della parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società, si abbia una vicenda estintiva analoga con la fine della vita di queste contestuale alla pubblicità, che resta dichiarativa degli effetti da desumere dall’insieme delle norme pregresse e di quelle novellate, che, per analogia iuris determinano una interpretazione nuova della disciplina pregressa delle società di persone”. In pratica le società si estinguono con la cancellazione.

 

Invece, molto di recente si è stabilito: “L’articolo 2495 comma 2 del codice civile, così come modificato dal Dlgs 6/2003 ed in vigore dal 1° gennaio 2004, sostituendo il previgente articolo 2456 del codice civile, prevede che dopo la cancellazione della società, la stessa si estingue”; pertanto: “I creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”; ne consegue che: “In sostanza, viene sancito l’effetto costitutivo dell’estinzione della società al momento dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, indipendentemente dall’esaurimento o meno del procedimento di liquidazione e dal persistere o meno di debiti o crediti sociali” (Trib. Piacenza, 14/04/2011); sostenendosi l’efficacia costitutiva della cancellazione.

 

(49) Rossano, La cancellazione dal registro delle imprese e le società di persone, in Giurisprudenza, Commerciale, 715, luglio-agosto 2010.

 

(50) Rossano, Op. cit., 716. Ne consegue che l’articolo 10 della l. fall. “assume un identico rilievo per tutte le società”, scrive ancora l’autore.

 

(51) La modifica si è avuta a seguito della dichiarazione di incostituzionalità, in particolare si veda Corte Cost. 20/05/2000, n. 319 in Giurisprudenza  Italiana., 2000, 1857.

 

(52) Secondo logica l’art. 2196 e l’art. 10 della l.fall. sono connessi. L’uno dice che l’imprenditore deve dichiarare l’inizio dell’impresa, l’altro che dalla cancellazione decorre il termine per il fallimento. Oggi con l’istituto dell’impresa individuale inattiva (con la Bersani-bis) la connessione diventa più forte. Infatti entrambi gli articoli mettono in luce la funzione-finzione della pubblicità che reca il registro delle imprese, ma in una ottica particolare: il fatto dichiarato non esiste nella realtà. L’art. 2196 dovrebbe negare l’esistenza dell’impresa individuale inattiva, poiché parla di obbligo di denunciare l’ “inizio dell’impresa”; ma se “inizio dell’impresa” viene intesa quale operazioni prodromiche all’attività (i cc.dd. atti di organizzazione), l’impresa c’è, manca invece l’attività.

 

In altre parole “inizio di impresa” sarebbe cosa diversa da “inizio dell’attività”.

 

In realtà la differenza terminologica è tenue. Forse inizio dell’impresa e dell’attività non sono differenti, nelle intenzioni del legislatore, anche perché l’iscrizione in registri pubblici non è prova di impresa, o attività, ma indizio di intenzioni, come si è detto sopra.

 

L’art. 10 l.fall., quasi all’opposto, fa dichiarare un fatto (la cancellazione dell’impresa) che potrebbe non essere avvenuto nella realtà.

 

(53) Guglielmucci, Diritto fallimentare, 36, 2011.

 

(54) Si avrebbe, in pratica, la “coincidenza della liquidazione formale della società con quella sostanziale” (Pajardi, Op. cit., 5).

 

(55) Galgano, Dir. Comm., cit., 421.

 

(56) Pellegrino, Fallimento delle società, 166, 2007.

 

(57) Campobasso, Op. cit., 105.

 

(58) Campobasso, Op. cit., 105.

 

(59) La citazione è tratta da Jorio (Osservazioni in tema di società […], in Rivista di diritto civile, 1968, 83 s.) che condanna una decisione di apertura di fallimento per una società che non aveva effettivamente iniziato l’impresa ma effettuato atti di garanzia; all’ autore si rimanda per tutta la materia dell’art. 10 l.fall. ante riforma, dato la grande attenzione che ha dedicato al tema anche in scritti successivi.

 

(60) Per alcuni il termine decorre “dalla data della effettiva liquidazione di tutti i rapporti” (Pellegrino, Op. cit., 169 s.).

 

(61) Resta salvo il caso di iscrizioni di società inattive, cui si affida in futuro la dichiarazione di inizio di attività.

 

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