Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

UNA TUTELA CONTRO GLI ABUSI DEL POTERE ESECUTIVO: LA RISERVA DI LEGGE IN AMBITO PENALE" – Mazzon Riccardo

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

Il principio di riserva di legge esprime il divieto di punire un determinato fatto in assenza di una legge che lo configuri come reato.
Individuando nella legge l’unica e sola fonte normativa in materia penale, di fatto esso tende a garantire i cittadini dagli abusi del potere esecutivo, al quale non è consentita l’emanazione di norme penali.
Doveroso, a tal proposito, ragionare circa la portata della riserva di legge sancita dall’art. 25, comma 2, della Costituzione; più precisamente, si tratta di stabilire se come legge vada intesa esclusivamente la legge formale del Parlamento, ovvero se siano ammissibili, come fonti del diritto penale, anche le leggi in senso materiale, cioè i decreti legge e le leggi delegate.
Parte della dottrina sostiene che tali atti non possano contenere norme penali, poiché, se così fosse, risulterebbero
“….eluse, o quanto meno attenuate, le stesse garanzie implicite nella riserva della competenza penale al Parlamento, consistenti anche nel permettere effettivamente alle minoranze di sindacare le scelte di criminalizzazione operate dal legislatore”.
Fiandaca, Musco, Diritto Penale –Parte Generale-, Bologna 1995, pag. 54
D’altro canto, l’opinione prevalente ammette, tra le fonti del diritto penale, anche le leggi in senso sostanziale sulla base di un duplice assunto: in primo luogo, la delega legislativa, oltre a rispondere ad esigenze pratiche nella normazione penale, è necessariamente subordinata a dei limiti che vincolano l’esercizio della potestà delegata e che permettono quindi un adeguato controllo da parte della Corte Costituzionale circa il rispetto della volontà del legislatore (Padovani, Diritto Penale, Milano, 2006); in secondo luogo, dato che lo stesso ordinamento costituzionale riconosce efficacia, pari a quella delle leggi ordinarie, anche al decreto legislativo (art. 76 Costituzione) e al decreto legge (art. 77 Costituzione), questi vanno annoverati fra le fonti del diritto penale.
Dottrina e giurisprudenza paiono, invece, in sintonia circa il monopolio statale in materia penale, escludendo dal novero delle fonti la legge regionale, sia nelle ipotesi di competenza esclusiva, sia in quelle di competenza concorrente ex art. 117 Costituzione.
Fa eccezione, peraltro, Corte Costituzionale, 25.06.1957, n. 104, che ha ritenuto competente la Regione Sicilia a presidiare con sanzioni penali la propria legge elettorale:
“La Corte è pertanto d'avviso che sia giustificato e risponda ad una razionale interpretazione dell'art. 3 dello Statuto siciliano, ritenere che l'attribuzione di competenza ad emanare la legge per le elezioni dei deputati all'Assemblea regionale, si riferisca alla legge elettorale nel suo complesso, considerata cioè nella sua tradizionale struttura, comprendente quindi sia i precetti e i divieti concernenti le operazioni elettorali, sia le disposizioni di carattere penale che, per quanto si è detto, vi sono connesse. Com'è chiaro, dopo quanto si è esposto, si tratta di attribuzione di competenza legislativa di carattere eccezionale, che deroga, per la materia in esame, al principio generale che si ricava dall'art. 25 della Costituzione, secondo quanto ha già ritenuto questa Corte”.
Corte Cost., 25.06.1957, n. 104
In considerazione dei diritti che vengono toccati, primo fra tutti la libertà personale, e avuto riguardo all’esigenza di unità dell’ordinamento statale (art. 5 Costituzione) e all’uguaglianza dei cittadini (art. 3 Costituzione), resterebbe inammissibile riconoscere alle singole Regioni potestà legislativa in materia penale:
“Il potere legislativo penale appartiene soltanto allo Stato, principalmente in virtù di un principio generale che trova fondamento soprattutto nella particolare natura delle restrizioni della sfera giuridica che si infliggono mediante la pena. La quale incide sugli attributi e beni fondamentali della persona umana, in primo luogo sulla libertà personale; onde la necessità che tali restrizioni siano da stabilirsi in base a una generale e comune valutazione degli interessi della vita sociale, quale può essere compiuta soltanto dalla legge dello Stato. Il principio discende inoltre da altri criteri informatori della Costituzione, quali sono consacrati nelle norme generali, e nell'art. 3, che garantisce l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e nell'art. 5, che consacra l'unità politica dello Stato proclamando che la Repubblica è "una ed indivisibile". La competenza esclusiva dello Stato a legiferare in un campo, che attiene a quella salvaguardia dei diritti fondamentali dell'uomo che la Costituzione afferma e pone anzi a base di tutto l'ordinamento giuridico dello Stato, trova conferma nella disposizione specifica dell'art. 25, comma 2 : "Nessuno può essere punito se non in forza di una leggè che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". Si è osservato che questa disposizione è diretta ad affermare il principio della irretroattività della legge penale; ma il fatto che il 2 comma dell'art. 25 affermi questo principio non porta alla conseguenza e non esclude che contemporaneamente ne ha affermato un altro, quello della riserva della legge statale. In proposito si obietta: che tale disposizione parla genericamente di "legge"; che sono leggi formali non soltanto quelle statali ma anche quelle regionali; e che perciò la norma contenuta nell'art. 8 della legge sarda impugnata non è in contrasto con la disposizione dell'art. 25 della Costituzione, giacché è stata emanata con "legge". Su questo punto specifico, in un caso simile all'attuale rispetto alla portata della parola "legge" adoperata dall'art. 108, comma 1, della Costituzione, la Corte ebbe esplicitamente a pronunciarsi nella sentenza n. 4, affermando che quando questo articolo rinvia alla "legge" la emanazione delle "norme sull'ordinamento giudiziario e ogni magistratura" si riferisce sicuramente e non può che riferirsi alla legge dello Stato. Che allo stesso modo debba intendersi la parola "legge" quando è adoperata nell'art. 25, comma 2, risulta dalla natura dei diritti che da esso vengono toccati, ed è comprovato dalla portata inequivocabile che ha la stessa parola "legge" quando è adoperata negli altri due commi dell'art. 25, che trattano di materie le quali attengono a diritti fondamentali di libertà, e che perciò sicuramente rientrano nella sfera di competenza dello Stato "uno e indivisibile". Nel comma 1, dell'art. 25 si prescrive che "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per leggè", e nel terzo comma che "nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge". E se si esaminano tutti gli altri articoli della Costituzione, nei quali si rinvia puramente e semplicemente alla "legge" la disciplina dei diritti individuali e delle funzioni e potestà degli organi costituzionali dello Stato, si vede che essi si riferiscono sempre alla "legge statale". In base adunque ai principi generali contenuti nelle disposizioni degli artt. 3 e 5 della Costituzione e al principio specifico dettato dall'art. 25, comma 2, si può affermare che la disciplina del potere punitivo resta riservata allo Stato, e che è del tutto preclusa alle Regioni, sia a quelle ad ordinamento comune, sia a quelle a statuto speciale. Soltanto una deroga espressa avrebbe potuto o potrebbe limitare l'efficacia di questo principio; ma né nella Costituzione per le Regioni ad autonomia ordinaria, né nello Statuto speciale per la Sardegna (art. 35), né negli Statuti speciali delle altre Regioni ad ordinamento particolare, vi ha alcuna disposizione che vi apporti deroghe. Per limitare la portata di tale principio è stato addotto che la Regione, pur non potendo innovare al Codice penale né introdurre pene da quest'ultimo non previste, potrebbe garantire la efficacia delle norme da essa emanate, configurando con le sue leggi reati specificamente ed esclusivamente connessi con materie (quale, nella fattispecie, l'agricoltura in virtù dell'art. 3 dello Statuto) di competenza regionale, ed in particolare connettendo sanzioni penali con la violazione di quei precetti tecnici, giuridicamente codificati, la cui osservanza sarebbe necessaria al migliore rendimento delle attività considerate. Col che la Regione non innoverebbe rispetto al diritto penale "generale" (che si ammette appartenere alla competenza esclusiva del legislatore statale), ma lo integrerebbe con un proprio diritto penale "speciale", con l'emanazione di norme sanzionatorie penali complementari, accessorie, integrative, "di rilievo soltanto contravvenzionale". Si arriverebbe così a riconoscere indirettamente alle Regioni, sia pur limitatamente al campo contravvenzionale, una potestà legislativa attinente al magistero penale, quella potestà che è ad essa completamente preclusa dai principi affermati negli artt. 3, 5 e 25 della Costituzione, e che non è ad alcuna di esse attribuita né dallo Statuto sardo né dagli altri Statuti speciali.
Orbene una tale potestà non può venire attribuita e riconosciuta indirettamente alle Regioni, ricorrendo a distinzioni e a configurazioni di istituti non previsti nell'ordinamento costituzionale, ed anzi con esso addirittura contrastanti. Va rilevato anzitutto che nel sistema della autonomia regionale è la Costituzione che attribuisce alle Regioni funzioni e potestà determinate, e che di conseguenza non è possibile che alle Regioni se ne riconoscano, quasi ad integrazione di quelle avute, altre ad esse collegate, in base al prospettarsi di esigenze la cui valutazione spetta in definitiva soltanto allo Stato. Va altresì rilevato che non è esatto distinguere tra diritto penale "generale" e diritto penale "speciale", perché il diritto penale è unico, sia rispetto all'essenza, al contenuto ed alle finalità del magistero punitivo, sia riguardo alla fonte da cui unicamente promana (lo Stato sovrano) ed al sistema con cui soltanto può esserne regolata la disciplina (con legge statale). E se il potere punitivo compete esclusivamente allo Stato, non è possibile riconoscerne alla Regione una parte, sia pur limitata al campo contravvenzionale, perché il diritto penale comprende anche questa parte”.
Corte costituzionale, 26 gennaio 1957, n. 21
Per le implicazioni del principio in tema di concorso di persone nel reato, si veda  "Il concorso di reati e il concorso di persone nel reato", Cedam 2011



 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici