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Orientamenti sessuali e diritti soggettivi- Salvatore Amato

 

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1.      L/g/b/t: distinguere senza discriminare?

Le mie riflessioni si muovono tra due interrogativi. E’ legittimo discriminare in base agli orientamenti sessuali? Quando sussiste una discriminazione? Nel primo caso è in discussione il rispetto della libertà personale, ma anche della dignità personale nella misura in cui ogni diversità di trattamento, se non ha una fondata giustificazione, nasconde un implicito giudizio negativo, costituisce un’evidente manifestazione di riprovazione morale. Nel secondo caso emerge il problema del principio di uguaglianza in quel delicato rapporto tra “la convivenza e la libertà” che impone di trovare un equilibrio tra la pluralità dei valori costituzionali, perché spesso la diversità di trattamento è espressione dell’esigenza di giustizia, della necessità di distinguere e separare situazioni che non sono tra loro assimilabili[1]. Rispettare il principio di uguaglianza significa, quindi, trovare il “giusto” spazio della differenza. Ed è questo che rende estremamente delicato e sofferto l’intervento normativo in quegli àmbiti che toccano le sfere più intime della persona e incidono sugli aspetti più intensi della vita di relazione. Tra questi rientra certamente la sessualità, essendo “uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire”[2].

            Per quanto sia un aspetto fondamentale dell’autonomia personale, la libertà sessuale incide radicalmente  anche sulla tutela di istituzioni, come la famiglia, e convinzioni, come la “naturale” differenza tra uomo e donna, profondamente radicate nella società. Non è possibile esercitare l’una senza condizionare il modo di intendere le altre. Il problema dell’identità sessuale può assumere, quindi, spesso una valenza chiaramente ideologica di rifiuto di certi valori tradizionali, se non addirittura di aggresione polemica nei confronti dell’insegnamento religioso, quale principale custode di tali valori. Ma non c’è solo questo: l’identità sessuale costituisce il frammentato orizzonte giuridico di una pluralità di situazioni, espressione più della sofferenza che dell’orgoglio, alimentate più dall’emarginazione che dalla volontà di rivendicazioni politiche. Quest’ orizzonte è il frutto di una copiosa elaborazione giurisprudenziale che ha cercato invano in questi anni di mettere ordine all’accumularsi eterogeneo di istanze, ora incerte e marginali, ora nette e radicali.

E’ una discriminazione negare agli omosessuali il diritto al riconoscimento giuridico del rapporto di convivenza, il diritto di adottare, l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita? E’ una discriminazione distinguere tra unioni civili e matrimonio? E’ una discriminazione non accettare, o pretendere che non siano accettati,  nelle televisioni pubbliche film o spettacoli in cui si faccia pubblicità alla convivenza omosessuale? E licenziare due militari perché omosessuali?  Rifiutare l’assunzione in un posto di lavoro o negare l’affidamento del figlio solo a causa dell’orientamento omosessuale? E non riconoscere al convivente omosessuale il diritto alla continuazione del contratto di locazione, quella stessa continuazione che la legge impone per il coniuge o il convivente eterosessuale? E negare gli assegni familiari?  E vietare in una scuola pubblica di indossare magliette con su scritto “Homosexuality is Shameful” oppure “Be Happy, Not Gay”?

Sorge poi il dubbio se già l’interrogarsi su queste cose non costituisca una forma di discriminazione Come se qualcuno continuasse ancora a domandare se sia legittimo vietare i matrimoni tra bianchi e neri o impedire agli ebrei l’accesso ai pubblici uffici o  limitare il diritto di voto delle donne. Tutti interrogativi, sia detto per inciso, che ci siamo messi dietro le spalle solo da qualche decennio e che ancora riaffiorano, qua e là, a ricordarci che si tratta di un passato poi non troppo remoto.

Non ho neppure iniziato a scrivere queste righe che mi sono accorto di essere precipitato nel “politicamente scorretto”. Innanzitutto perché ho parlato di “omosessuali” e invece avrei dovuto scrivere “persone omosessuali”. La scorrettezza rimane, anche se non mi è mai passato per la mente che non fossero “persone”; anche se l’imposizione di una determinata ortografia insinua il sospetto che la qualifica di persona possa essere assunta o negata per decreto e non sia già instrinseca a ogni essere umano, quali che siano i suoi orientamenti sessuali. Poi ho scoperto che neppure “persone omosessuali” è considerato politicamente corretto, nell’Unione europea dovremmo usare l’acronimo Lgbt, per ricomprendere tutte le possibili sfumature: persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, lesbian/gay/bisexual/transgender  people (l/g/b/t).

Tutto questo ci fa capire quanta diffidenza e quanta esasperazione si sia venuta acculando su questi temi. Da una parte, secoli di discriminazioni, e purtroppo anche di violenze, non possono essere cancellati in pochi anni. Dall’altra, eliminare la discriminazione significa non poter riflettere sul problema della differenza? Il fatto che, come si usa dire facendo il verso a Foucault, dietro la differenza vi siano due “narrazioni”, la narrazione della  “naturalità” della famiglia e la narrazione “ebraico-cristiana” della differenza di genere[3], impedisce di riflettere sul rilievo antropologico di queste narrazioni? Ammesso che siano “narrazioni”, nel senso di condizioni storiche di osservazione della società, nel senso di particolari interpretazioni dell’identità umana, questo basta per metterle da parte? Per eliminare ogni discriminazione, dobbiamo cancellare le narrazioni?

Non credo. Ogni narrazione ha la sua trama ed è la trama semmai  che va messa in discussione e non la narrazione in quanto tale. La trama della famiglia è molto più articolata e complessa del suo fondamento naturale e del suo collegamento con l’insegnamento religioso. A livello esistenziale il “proprium” della sessualità non è la sessualità, la sessualità in quanto tale, ma una pluralità di modi di sentire e di agire che muovono dalla sessualità, ma vanno ben oltre il rapporto sessuale. La sessualità come singolo atto si perde nella brutalità della lotta per la sopravvivenza, sembra quasi ricordare il cannibalismo: “forse il desiderio sessuale non è altro che un desiderio mascherato di carne umana”[4]. Sono tutti quegli ulteriori elementi che fanno capo al matrimonio e alla famiglia a rendere quest’atto un aspetto costitutivo dell’identità: l’ espressione cioè non soltanto di qualcosa che si fa, ma di qualcosa che si è. Per questo la famiglia svolge una “funzione pedagogico-esistenziale”[5]. Il termine esistenziale esprime qualcosa che deriva dall’identità umana, ma non è naturale solo nel senso biologico. E’ il frutto del rimodularsi della “naturalità” del comportamento in relazione ad alcune esigenze ineludibili (la sessualità, la procreazione, l’affetto, l’assistenza, l’educazione…) che si sono affinate moralmente e consolidate storicamente proprio all’interno della famiglia, determinando particolari equilibri nelle relazioni intersoggettive. Questi equilibri esprimono dei valori indispensabili non solo per la sussistenza della società, ma anche per capire ciò che è proprio di ogni essere umano.

Il rilievo non meramento ideologico del valore e della struttura della famiglia, nella forma che si è andata consolidando nel tempo, non ci consente di ignorare il problema della discri-minazione. Lo avvertiamo in quanto cittadini di uno Stato di diritto, ma anche, e aggiungerei soprattutto, in quanto cristiani. Sia come cittadini che come cristiani dobbiamo interrogarci anche su tutti coloro che sono o si sentono emarginati o esclusi, cercando di prestare ascolto alla loro sofferenza. L/g/b/t non è soltanto una formula stucchevole e retoricamente aggressiva, è anche il simbolo dell’esistenza dell’altro, addirittura dell’altro dell’altro. Può un cristiano chiudere la porta all’alterità, limitandosi a condannarla? Se avvertiamo con tanta intensità questi problemi, se i giudici tornono e ritornano sulle proprie decisioni, non credo che sia solo il frutto di una deriva libertaria, che certamente esiste e tende a diffondersi con sempre maggior virulenza. E’ anche l’ennesima manifestazione “di una cultura del riconoscimento degli altri in quanto altri e della scoperta della ‘traccia di Dio’ nella scoperta della loro alterità”[6].

Proverò ad affrontare questo problema in conclusione. Prima vorrei esaminare il modo in cui il rapporto tra differenza e discriminazione abbia finito, nelle linee di tendenza sia giuridiche che legislative, per modellarsi su un altro rapporto, altrettanto significativo della percezione dell’identità umana nel nostro tempo, quello tra libertà e diritti soggettivi.

 

 

2.      Libertà negativa: la sfera di non ingerenza

            Lo sviluppo dello Stato di diritto è segnato dall’emergere di due forme di libertà[7]. La libertà negativa come non interferenza e la libertà positiva come completo inserimento del soggetto nella società. La prima accentua la condizione interiore relativa al diritto di costruire la propria identità senza subire costrizioni. La seconda riguarda la condizione esterna relativa al diritto di rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena espressione della personalità. Nella “genealogia dei diritti” la libertà negativa corrisponde ai diritti di prima generazione, a quelle rivendicazioni della Rivoluzione francese che si sono tradotte nel diritto ad essere liberi dallo Stato (libertà di pensiero, di associazione, da ogni ingiusta detenzione), mentre la libertà positiva corrisponde alla fase successiva delle grandi tensioni sociali che, a partire dall’ottocento, hanno rivendicato tutta una serie di diritti economici e politici (al lavoro, alla partecipazione politica, all’istruzione) che esigono un intervento diretto dello Stato. Un’ulteriore evoluzione dei diritti sociali è il riconoscimento di un trattamento differenziato in particolari condizioni di inferiorità per motivi culturali o fisici: le donne, i bambini, le minoranze etniche, persone con handicap… E le persone omosessuali?

Dove si colloca la sessualità in questo quadro variegato e in continua evoluzione? E’ solo un aspetto della libertà negativa, uno dei tenti risvolti della privacy, oppure costituisce l’ultima frontiera della libertà positiva, rivendicando dallo Stato la rimozione di tutta una serie di ostacoli che sembrano contrapporre l’eterosessuale all’omosessuale, ad esempio il ricoscimento del diritto al matrimonio, all’adozione, alla riproduzione assistita? A differenza delle rivendicazioni relative alla libertà positiva che, come vedremo, incidono su tanti aspetti della vita di relazione, la tutela della della libertà negativa è sempre meno controversa. Appare difficile immaginare una società democratica che non si fondi su un generale diritto di “non intrusione”, diritto che ricomprende “the right to intimate association: what people did consesually and in seclusion, without inflicting anything to outsiders, without even the knowledge of outsiders”[8].

Nel nostro ordinamento, ad esempio, l’assenza di una repressione penale dell’omosessualità ha consentito, per effetto del rapporto tra gli art. 2 e 3 della Costituzione, l’inquadramento dell’identità sessuale entro la sfera dei diritti alla libertà personale. Il problema è emerso con la L. 14.04.1982 n. 164 sul transessualismo che ha permesso, anche attraverso interventi chirurgici altamente demolitori, di “adeguare” i caratteri somatici alla realtà psicologica, riconoscendo che la sessualità è un aspetto fondamentale della persona. La successiva decisione della Corte costituzionale (n. 161 del 1985) ha confermato che l’orientamento transessuale rientra tra i “naturali modi di essere”. Questa legge, unita alla legittimazione dell’aborto, ha determinato un’interpretazione estremamente ampia del concetto di pianificazione familiare come diritto ad esercitare la propria sessualità senza restrizioni. E’ quanto ha sostenuto la Corte di cassazione (sez. V, 18 marzo 1987[9]) nel dichiarare penalmente legittima la sterilizzazione irreversibile per motivi meramente edonistici, perché il desiderio di “una maggiore distensione o serenità nei rapporti con il coniuge e con il partner” è un aspetto  dell’intangibilità delle scelte personali. Ho già ricordato[10] come la Corte costituzionale, seppure nell’esame del caso particolare del diritto alla pensione dopo un grave atto di stupro, parli di un diritto soggettivo assoluto a disporre della libertà sessuale[11]. Gli sviluppi giuridici non sono andati oltre. Non hanno inserito tra i “naturali modi di essere” il diritto di sposarsi con qualsiasi partner. La Corte costituzionale ha, infatti,  rigettato più volte[12] la questione di legittimità costituzionale relativa all’assenza di una disciplina delle unioni omosessuali, affermando tuttavia che due persone dello stesso sesso hanno il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia “nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge”.

All’interno dell’Unione europea un modello analogo pare affermarsi definitivamente dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 1981, Dudgeon v. U.K. [13], che dichiara costiture una violazione della vita privata proibire i rapporti omosessuali. L’art. 21 della Carta europea dei diritti dell’uomo sembra voler ribadire e rafforzare questa tendenza quando vieta “qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale”. L’orientamento sessuale trova uno specifico riconoscimento e viene affiancato, se non contrapposto, al sesso quasi a voler sottolineare che una cosa è l’identità di genere altra la varietà dei modi in cui si può esprimere.

            Quanto questi sviluppi siano tutt’altro che scontati si evince dai ripetuti interventi giudiziali che si sono succeduti negli Stati Uniti, il paese occidentale che è rimasto più attaccato alla repressione penale dell’omosessualità e della sodomia, anche se con un’estrema varietà di sfumature che vanno dalla previsione di ammende meramente simboliche a rilevanti ipotesi detentive[14].

La Suprema Corte aveva preso una posizione netta con il caso Bowers v. Hardwick, in cui aveva dichiarato costituzionalmente legittima la repressione penale della sodomia consensuale, perché le libertà fondamentali sono pensabili solo in un "concetto di libertà ordinata". Il punto centrale, per la Corte, è proprio questo: non esiste un diritto incondizionato e indifferenziato alla libertà sessuale né sussiste alcuna “stringente” analogia "tra l'attività omosessuale e la famiglia, il matrimonio o la procreazione”. Il fatto che il legislatore attribuisca tutela costituzionale a queste istituzioni non implica la legittimazione “di ogni genere di condotta sessuale privata tra adulti consenzienti e che, peraltro, ogni limitazione statale sia costituzionalmente invalida"[15]. La sessualità non è un bene in sé (come la famiglia, il matrimonio o la procreazione) e le scelte sessuali non rientrano nella sfera della libertà personale protetta dalla privacy.

Malgrado le numerose critiche questa linea interpretativa ha resistito per più di trent’anni finché, con il caso Lawrence vs. Texas, la Corte ha allargato le maglie della privacy, sostenendo che “lo Stato non può avvilire la loro esistenza o controllare il loro destino, trasformando in un crimine la loro condotta sessuale privata” [16]. La libertà negativa, e quindi l’orizzonte di non interferenza che Bowers aveva ristretto all’ordine oggettivamente definito dalla differenza di genere e dalla famiglia, viene esteso fino a ricomprendere qualsiasi manifestazione della vita sessuale privata (“to respect for their private lives”). La Due Process Clause impone di riconioscere l’esistenza di un diritto assoluto (full right) “to engage in their conduct without intervention of the government”. La “promessa”, ma anche la premessa, di ogni Costituzione è che “che ci debba essere un regno di libertà personale in cui il governo non può entrare”. Non è possibile impedire agli adulti “di avere una relazione nei confini delle loro case e delle loro vite private e mantenere la loro dignità di persone libere”. Significativamente la sentenza dichiara espressamente di rifarsi all’esperienza europea e cita la decisione della CEDU sul caso Dudgeon. Dopo Lawrence, osserva Martha Nussbaum, “gay e lesbiche prendono il loro posto, nella mente del giudice, come cittadini uguali agli altri e come ‘persone adulte’, con interessi simili a tutte le altre persone ‘nel decidere come condurre la propria vita privata nelle materie relative al sesso’ ”[17]

Come si vede la Corte si muove chiaramente entro il solco della libertà negativa. In analogia con il caso Roe v. Wade, in cui si afferma che l’aborto è giuridicamente tollerabile anche se in un quadro pubblico complessivo di forte perplessità morale, “l’omossessualità è considerata una variabile accettabile ma non necessariamente positiva dell’individuo”[18]. Proprio per questo emerge, nella stessa decisione, il netto dissenso del giudice Kennedy, motivato dal fatto che la Corte non si è spinta fino a riconoscere l’esistenza di un “fundamental right to engage in homosexual sodomy”.

Il rispetto della libertà negativa consente di erigere una zona costituzionalmente protetta di non ingerenza che definisce l’orizzonte di legittimità delle condotte individuali, senza entrare nel merito del giudizio morale sul singolo atto. E’ la stessa zona che abbiamo visto lentamente definirsi, all’interno delle questioni di fine vita, attorno alla pretesa insindacabilità del paziente a rifiutare le cure. La giurisprudenza di common law, e di riflesso poi anche quella della CEDU sul caso Pretty e la nostra sul caso Welby e sul caso Englaro, ha ritenuto che fosse possibile mantenere un giudizio morale negativo sull’eutanasia senza limitare la libertà di determinazione personale del paziente, distinguendo il legittimo rispetto della volontà di rifiutare l’atto esterno di imposizione di un trattamento sanitario, avvertito come intollerabile e indebito, dal riconoscimento di un diritto a morire, che avrebbe messo radicalmente in discussione il dovere fondamentale di ogni ordinamento di tutelare la vita. La Corte suprema americana non ha dubbi nel riconoscere  una “reale distinzione tra l’atto di chi si infligge un danno mortale e l’atto di chi si autodetermina rifiutando un trattamento artificiale”[19]. Non possiamo chiedere a un giudice  “treat to die”,  ma “allow the life to come to an end peacefully and with dignity”[20]. Sul piano degli effetti la distinzione potrebbe sembrare ipocrita[21]. Tuttavia è parso importante giuridicamente riaffermare la differenza tra la sfera positiva della rivendicazione del diritto a morire e la sfera negativa del rispetto della scelta individuale sulla terapia da seguire.

Ritroviamo un assestamento analogo, con lo stesso rischio di una velata ipocrisia, in ordine ai problemi altrettanto delicati delle scelte procreative. Anche qui si è cercato di tenere separato l’esercizio della libertà negativa a non trasmettere la vita dalla pretesa positiva di avere un figlio con qualsiasi mezzo (naturale o artificiale) e in qualsiasi modo (fecondazione omologa o eterologa). La maggior parte della giurisprudenza ha negato che la legittimazione legislativa della contraccezione e dell’aborto determini il diritto all’insindacabilità di qualsiasi scelta procreativa e quindi il diritto all’accesso a qualsiasi tecnica riproduttiva, perché solo nel primo caso vi è l’esigenza di preservare il corpo della donna da una costrizione esterna. La decisione sull’inizio o sulla prosecuzione di una gravidanza rientra nella sfera di libertà negativa protetta dalla privacy e non va confusa con la rivendicazione di un diritto incondizionato a procreare.  Il legislatore può tutelare entrambe queste ipotesi, ma non deve legittimare l’una solo perché riconosce l’altra.

E’ chiaro che nessuna di queste scelte sull’inizio e sulla fine della vita si esaurisce in se stessa. Ognuna presenta un coinvolgimento più (aborto e rifiuto delle cure)  o meno (contraccezione) esteso di altri soggetti, per cui la costruzione di una sfera privata tendenzialmente intangibile pone non poche perplessità morali. Quelle preplessità che gravano sull’aborto, sull’eutanasia e, più genericamente, sull’idea della privacy come una nebulosa astratta e onnicomprensiva affidata esclusivamente “all’autodeterminanazione del soggetto”[22]: un self che diventa selfish, un’autonomia che  alle volte rasenta l’autoreferenza narcisticia, edonistica, ottusamente distante da ogni effettiva sensibilità relazionale. Tuttavia credo che, pur con tutti questi limiti, sia l’unica via possibile per mantenere la linea di demarcazione tra peccato e reato, propria del principio di laicità dello Stato. Linea che non è solo una società democratica e pluralistica a tracciare, ma anche la convinzione, sempre più diffusa, che sia illusorio pensare che la repressione penale possa supplire alle carenze morali e che un’ammenda o qualche giorno di carcere servano a colmare i vuoti spirituali. Credo si facciano interpreti anche  di questi sentimenti le Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali della Congregazione per la dottrina della fede, quando osservano: “la coscienza morale esige di essere, in ogni occasione, testimoni della verità morale integrale, alla quale si oppongono sia l'approvazione delle relazioni omosessuali sia l'ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali”[23]. Riprovare senza discriminare. Ma è possibile? Ogni riprovazione, quando si esprime solo attraverso la limitazione al godimento di determinati diritti o all’accesso a determinati servizi, non costituisce una forma di discriminazione? E’ il problerma che pone la libertà positiva.  

 

3.      Libertà positiva: discriminazioni e diritti

Anche accettando incondizionatamente la differenza tra libertà negativa e libertà positiva, resta estremamente difficile individuare fino a che punto l’effettiva tutela di una sfera di non intrusione non imponga un intervento sistematico e costante dello Stato, per rimuovere ostacoli fino a determinare una radicale trasformazione di stili e modelli di vita. “…the uncertain terrain that lies ahead and the pressing need for a more lateral and considered approach to the complexity of rights, particularly if we are to see rights as transformative rather than simply remedial. The various arenas for the exercise of sexual rights considered in this Comment suggest that we are merely at the start of a transformative moment, with much of the narrative of sexual rights still to come”[24]. Come “rimediare” senza “trasformare”? Tutta la costruzione dello Stato sociale mette in luce quanto stretti siano i rapporti tra autonomia ed emancipazione: che senso ha la libertà di pensiero senza il diritto all’istruzione, la libertà di cura senza il diritto all’assistenza sanitaria, la libertà di promozione della propria persona senza il diritto al lavoro? Non possiamo quindi meravigliarci se gli stessi interrogativi si ripropongono all’interno del problema dell’identità sessuale. La tolleranza appare ben poca cosa senza la rimozione degli ostacoli posti dalla differenza di genere. E tutti questi ostacoli sembrano portare al matrimonio e alla famiglia come istituzioni da rimuovere e, nello stesso, come obiettivi da raggiungere. Il matrimonio e la famiglia vanno rimossi come presidio della differenza di genere, ma vanno raggiunti come ideale di quello che non si è e che si vorrebbe. Il  raggiungimento del modello-famiglia serve a rassicurare la coppia omosessuale di essere una coppia come tutte le altre, tuttavia la rassicurazione funziona proprio nei limiti in cui la famiglia appare un luogo indistinto di legami e rapporti. Insomma una famiglia “non-più-famiglia”.

Analoga e contraddittoria parabola concettuale rinveniamo nel rapporto tra procreazione e sessualità. Le rivendicazioni femministe vedevano la “condanna” a procreare come il primo ostacolo alla liberazione sessuale della donna: la procreazione e con essa la famiglia e, con la famiglia, i legami e i doveri, la cucina e i bambini. Contraccezione e aborto diventano, così, i simboli della lotta per la riappropriazione integrale del proprio corpo e della proppria sessualità, malgrado le leggi di natura, contro le stigmatizzazioni sociali. Margaret Sanger, la fondatrice dell’International Planned Parenthood, vagheggia già nel 1917 un contraccettivo perfetto: sicuro, semplice, economico che possa “essere inghiottico come un’aspirina”. In nome di questo ideale comincia una lotta politica aspra, ma anche una sperimentazione spesso selvaggia, incontrollata e nascosta fatta, per amore delle donne, a rischio della salute di tante singole donne ignare[25]. Ora sono gli “ostacoli” alla procreazione  ad essere denunciati dagli omosessuali che vedono nelle restrizioni all’accesso alle tecniche di riproduzione assistita o al diritto di adottare una limitazione alla pienezza della propia sessualità, malgrado le leggi di natura, contro le stigmatizzazioni sociali. La procreazione che in un caso condanna alla differenza, nell’altro libera dalla differenza.

Se è la differenza in quanto tale ad esse presentata  come una discriminazione, si alimenta un processo di rivendicazioni politiche che ritiene insignificante il riconoscimento di sfere astratte di libertà alle quali non sia correlata un’ integrale equiparazione nel godimento dei diritti. La famiglia e il matrimonio sono considerati un’opportunità e un vantaggio. Perché concederli solo ad alcuni? Perché negarli a chiunque altro? E’ l’ideologia che ispira  la Risoluzione, adottata, l'8 febbraio 1994,  dal parlamento della Comunità europea Sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità, vanno garantiti “pienamente diritti e vantaggi del matrimonio”, consentendo la registrazione delle unioni ed eliminando qualsiasi limitazione  “di essere genitori ovvero di adottare o avere in affidamento dei bambini”.

Non mi sembra, invece, che vi sia un’esaperazione ideologica in tanti interventi della Comunità europea per correggere distorsioni e pregiudizi contro le discriminazioni nei posti di lavoro, le limitazioni all’acceso ai pubblici uffici, le restrizioni alla libertà circolazione per raggiungere il “convivente”[26]. C’è ancora una zona grigia costituita da  tante particolari storie di esclusione ed emarginazione che non può essere confusa con le eclatanti, e spesso artefatte, rivendicazioni di cambiamento dei modelli sociali. Andiamo a guardare, ad esempio, due decisioni sull’affidamento dei figli minori, una dell’Alabama e l’altra della Virginia, emanate alla luce di disposizioni legislative molto simili.

Il padre ha una storia documentata di alcolismo e abusi domestici. La madre vive da tempo con un’altra donna. Entrambe le donne sono molto attive nella comunità omosessuale, discutono apertamente dei loro problemi e conducono i bambini nella chiesa o negli altri luoghi di riunione frequentati da omosessuali. In privato, osserva la Corte dell’Alabama, anche se si scambiano gesti di affetto e mostrano la loro intimità, “they do not engage in intimate sexual contact in front of the children, they openly display affection in the children's presence[27]. In ogni caso, continua la sentenza, l’omosessualità è considerata un reato per cui, “esporre i bambini a un tale stile di vita, illegale per le leggi dello Stato e immorale agli occhi della comunità potrebbe traumatizzarli in maniera estremamente grave”. I giudici non hanno neppure dubbi sul fatto che siano riconducibili alla condotta della madre gli squilibri psichici che manifestano i minori, attraverso un linguaggio talvolta scurrile, attraverso situazioni di angoscia e improvvisi scatti di violenza. Per questi motivi i figli vengono affidati al padre, senza tener conto della sua condotta, senza valutare fino a che punto l’alcolismo e la tendenza alla violenza e agli abusi possano incidere negativamente sullo sviluppo di un minore.

Anche per le leggi della Virginia l’omosessualità è un reato, ma i giudici affermano chiaramente che "a lesbian mother is not per se an unfit parent”[28]. Non si può negare l’affidamento alla madre “per sé”, senza prove specifiche dell’influeza negativa che la sua condotta ha sulla maturazione dei figli.

Quale delle due decisioni ci convince maggiormente? La risposta si trova nel  “per sé”, su cui richiama la nostra attenzione la sentenza della Virginia. La capacità di educare i figli va considerata alla luce delle capacità che la donna esprime in quanto tale: l’identità personale non può essere ricondotta esclusivamene agli orientamenti sessuali. Come in quest’ultima sentenza anche in numerose altre decisioni i giudici non intendono sovvertire le basi morali della società né esprimere giudizi positivi sulla singola condotta sessuale, ma intervenire su evidenti manifestazioni di gravi pregiudizi[29]: la perdita del posto di lavoro, la possibilità di decidere il trattamento sanitario per il convivente incapace, la continuazione del contratto di locazione dopo la sua morte. In tutti questi casi la repressione penale, anche se inapplicata, costituisce una barriera all’effettivo godimento, a pieno titolo, di alcuni diritti fondamentali[30].

Altrettanto singolare è la vicenda americana dei provvedimenti legislativi denominati “Don’t Ask, Don’t Tell, Don’t Pursue”, sul servizio nelle forze armate degli omosessuali. Provvedimenti che Obama ha recentemente abrogato proprio per la loro carica discrimintaria, ma che erano stati presentati, e proprio da Bill Clinton altro presidente “liberal”,  come un’apertura alla diversità degli orientamenti sessuali e alla tutela della privacy. Tuttavia la struttura di queste disposizioni finiva, nella concreta applicazione, per ottenere l’effetto opposto: “le possibilità per questi soggetti di prestare servizio nell'esercito sono effettivamente ridotte: è difficile districarsi in quel dedalo di obblighi di fare e non fare, di dire e non dire senza incorrere in violazioni tali da comportare l'allontanamento: la mera presenza di ‘credible evidence’ di omosessualità permette al comandante di iniziare un'investigazione che può portare al congedo dell'indagato”[31]. Era, insomma, nei fatti, se non nelle intenzioni e nel tenore letterale, l'unica legge negli Stati Uniti che consentiva il licenziamento per il proprio orientamento sessuale. 

 

4.      Il rischio dell’indistinzione

Non credo che cercare di eliminare queste forme di discriminazione contribuisca ad alterare gli equilibri sociali e a mettere in crisi la famiglia. Per rubare una battuta a John  Grisham, “ come possono gli omosessuali mettere in pericolo la santità del matrimonio più degli eterosessuali?”[32]. Merita invece una riflessione particolare la pretesa assimilazione del rapporto di coppia in generale e del rapporto di coppia omosessuale in particolare con la famiglia. La via di un doppio regime che garantisca certi diritti, sottolineando la differenza tra matrimonio e  unione registrata (Danimarca, Olanda), coabitazione legale confermata (Svezia, Finlandia, Norvegia, Islanda), convivenza legale, patto civile di solidarietà (Francia, Spagna, Portogallo)[33], associazione civile (Inghilterra)[34], anche se appena imboccata dalla maggior parte delle legislazioni, sembra già in crisi, perché è il matrimonio che rivendicano gli omosessauli e non un suo surrogato a tutela di determinate situazioni soggettive.

Ancora una volta alcune decisioni americane sembrano precorrere i tempi. La volontà politica di difendere la specificità del matrimonio eterosessuale è ancora molto forte, sia a livello federale (il Defence of Marriage Act del 1996, per evitare la deriva verso le unioni omosessuali, definisce il matrimonio come “l’unione tra un uomo e una donna”) sia a livello della legislazione dei singoli stati, e tanti giudici assecondano questa visione[35]. Tuttavia, mi sembrano significativa alcune decisioni che seguono la linea opposta, asserendo l’ incostituzionale di qualsiasi differenziazione. o.  Secondo la Corte suprema del Massachusetts la disciplina sul rilascio delle licenze matrimoniali sarebbe illegittima se escludesse le coppie dello stesso sesso. La nozione di matrimonio va, quindi, interpretata in maniera estensiva come voluntary union of two persons as spouses to the exclusion of all others[36]. Anche la Corte suprema del New Jersey afferma che lo Stato deve garantire alle coppie dello stesso sesso la totalità dei diritti e dei benefici (“the full rights and benefits”) delle coppie eterosessuali e può farlo in due modi, allargando la nozione di matrimonio oppure inserendo una disciplina parallela in cui anche gli oneri siano gli stessi del matrimonio civile (“bear the burdens of civil marriage”)[37]. Altrettanto netta la linea seguita dalle Corti supreme del Connecticut[38] e della California[39] che affermano il principio che la stessa differenza tra unioni civili e matrimonio è inammissibile perché tutte le relazioni devono aver accordato uguale dignità e rispetto (dignity and respect).

            Quello che colpisce nelle decisioni che ho ricordato non è tanto la presa d’atto di una condizione di disuguaglianza, ma lo sforzo di contrastarla ricostruendo, caso per caso, una “propria” logica del matrimonio: è ora “unione”, ora “unione con esclusione di tutti gli altri”, ora “diritti, benefici e oneri”. Per assimilare situazioni estremamente eterogenee, i giudici devono svuotare l’essenza dell’istituto, ma poi non riescono a ricostruirne una caratterizzazione giuridicamente credibile. E’ quanto emerge anche da altre sentenze che toccano aspetti marginali del rapporto di convivenza.

Ad esempio l’evoluzione giurisprudenziale inglese, anteriore al Civil Partnership Act del  2004[40]. Nel 1999 la House of Lords [41] aveva negato l’esistenza di un diritto soggettivo, da parte del same sex partner, di succedere nella locazione (tenancy) di un appartamento, ritenendo che l’espressione usata nel paragrafo 2 (2) del Rent Act “living togheter as husband and wife” si potesse applicare, dato l’evidente tenore letterale, solamente alle relazioni eterosessuali. Qualche anno dopo cambia indirizzo[42] e sostiene che il combinato disposto degli articoli 14 (Divieto di discriminazioni) e 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo configuri come discriminatorio il differente trattamento riservato alla convivenza omosessuale perché, anche se  i termini husband e wife sono in their natural meaning genderspecific”, essi vanno intesi in senso lato come “living if they were his or her wife or husband”, considerando non la situazione legale e materiale, ma la dimensione esistenziale. Questo aspetto esistenziale viene riaffermato e chiarito in un successivo caso[43] dove si sottolinea come non sia la mera convivenza ad assumere rilevanza giuridica, ma il fatto che possa essere considerata equivalent to that of marriage e quindi non sia “volatile”, casuale, sporadica ma if it is un emotional one of mutual lifetime commitment which has been presented to the outside world openly and unequivocally”.

Vorrei ricordare, passando a un’altra vicenda totalmente diversa e particolarmente drammatica, una decisione della Corte d'appello del Minnesota che ha riconosciuto alla partner di una donna, Sharon Kowalski, rimasta gravemente ferita in un incidente d'auto, il diritto di assisterla in ospedale e di prendere tutte le decisioni che spettano al tutore (guardian) sulla prosecuzione o interruzione delle cure, nonostante l'opposizione del padre della malata. L’opposizione si basava sostanzialmente su due argomenti: non vi era nessun legame giuridicamente rilevante tra le due donne e la donna che rivendicava la “guardian” aveva avuto altre relazioni sessuali dopo l’incidente occorso alla sua convivente. I giudici hanno disatteso entrambe le eccezioni, riconoscendo, in positivo, che tra le due donne si era creata una “family of affinity” e, in negativo, che "is not uncommon for spouses to make changes in their personal lives while maintaining their commitment to the injured person"[44]. E’ proprio della famiglia affezionarsi l’un l’altro. E’ proprio della famiglia tradirsi l’un l’altro. Affetti e tradimenti stanno assieme nello stesso indistinto coacervo di… di che cosa? In un altro contesto anche Martha Nussbaum afferma che “il fatto è che il matrimonio, come istituzione, ha sempre accolto al suo interno sia amore sia violenza, sia l’educazione dei bambinisia sia l’abuso o la degradazione dei bambini”[45].

Questa spinta verso l’indistinzione si riscontra pure nella giurisprudenza della CEDU relativa alla legislazione inglese, anteriore al già ricordato Civil Partnership Act,  che consentiva il cambiamento anatomico di sesso, ma non la relativa annotazione nei registri dello stato civile con il conseguente diritto di contrarre matrimonio in corrispondenza con il nuovo sesso assunto. Nella Sentenza 30 luglio 1998, sul caso Sheffield e Horsham c. Regno Unito[46], la Corte, seguendo quanto già sostenuto nelle  sentenze Rees e Cossey, osserva che la transessualità continua a “sollevare questioni complesse di natura scientifica, giuridica, morale e sociale che non fanno oggetto di un approccio generalmente seguito negli stati contraenti” (§ 58). A fronte di questi dubbi l’art. 12 della Convenzione, affermando che “Uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”, si riferisce chiaramente al matrimonio tradizionale tra due persone di sesso diverso: “...ne risulta che lo scopo perseguito consiste essenzialmente nel proteggere il matrimonio come fondamento della famiglia”. La Corte ritiene, quindi, che l’attaccamento normativo al concetto tradizionale di matrimonio sia ancora un motivo sufficiente per continuare ad applicare criteri biologici per determinare il sesso di una persona a fini matrimoniali, poiché tale materia attiene al potere di cui godono gli Stati contraenti di disciplinare con legge l’esercizio del diritto di sposarsi.

Passano appena quattro anni e la Corte, nella Sentenza 11 luglio 2002 nel caso Christine Goodwin c. Regno Unito [47], cambia radicalmente indirizzo. Anche in questo caso le premesse argomentative sono piene di incertezze. “Bisogna prendere atto che nessuna scoperta determinante è intervenuta in merito alle cause del transessualismo” ( § 81). Questo non significa che vi sia qualcosa di arbitrario o di inconsulto nelle decisioni di una persona di sottoporsi al mutamento di sesso. Anzi, proprio l’opinabilità dell’elemento cromosomico, rafforza la rilevanza delle scelte soggettive. La Corte dichiara di non essere più convinta che si possa continuare ad ammettere che le parole usate nell’art. 12 della Convenzione “implichino che il sesso debba essere determinato secondo criteri strettamente biologici”. Il vincolo di genere sembra definitivamente superato per effetto della formulazione dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, usando la dizione “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti...”, omette volutamente qualsiasi riferimento all’uomo e alla donna.

L’indistinzione si coglie proprio nella difficoltà di rinvenire la soglia di rilevanza giuridica di un determinato atto: cosa rende il matrimonio matrimonio e lo distingue da qualsiasi sporadica relazione sessuale? La legge tedesca del 16 febbraio 2001 (Gazzetta ufficiale federale 2001, I, 266) “sulla cessazione della discriminazione delle unioni omosessuali: convivenze” prova a rispondere in questo modo: Due persone dello stesso sesso costituiscono una convivenza quando dichiarano reciprocamente, personalmente, e in contemporanea presenza di volere condurre una convivenza a vita” (§ 1). E’ l’ennesimo esempio dell’ affannoso arrampicarsi dei giuristi attorno a qualche schema classificatorio. C’è chi suggerisce di parlare di “famiglia degli affetti”, un  nuovo modello di rapporto di convivenza basato su vincoli d'affetto e interessi comuni, caratterizzato dalla libertà e dall’autonomia, regolato dalla protezione dei diritti dell'uomo[48]. J. Derrida, in una delle ultime interviste rilasciate prima della morte, osservava che, se fosse stato il legislatore, avrebbe eliminato il concetto di “matrimonio” in un codice civile e laico. L’avrebbe sostituito con una “unione civile”  a carattere esclusivamente contrattuale: “una sorta di patto di solidarietà generalizzato, migliorato, flessibile, regolato tra i partner di sesso e numero non imposto” [49]. Marta Nussbaum sostiene, in nome del rispetto delle libertà fondamentali e del principio di pari dignità di tutti i cittadini,  che in futuro si dovrebbero lasciare le unioni civili allo Stato e il matrimonio alle religioni. L’unione civile dovrebbe essere un contratto privato con misure di protezione governativa per i bambini e gli anziani, mentre sarebbe opportuno disaggregare l’attuale “pacchetto di benefici” a favore del matrimonio, legandolo alle particolari esigenze dei singoli rapporti[50].

Non troviamo, quindi, un quadro unitario, ma tanti frammenti eterogenei che aspirano ora al raggiungimento di un diverso assetto istituzionale ora alla riproposizione dello stesso assetto, ma in altre forme, con altri partner. Nuove figure soggettive per i diritti tradizionalmente riconosciuti. Nuovi diritti per ripensare le tradizionali figure soggettive. Figure soggettive e diritti che si aggregano o disgregano alla luce degli interessi che emergono. Come abbiamo visto, l’accento è stato posto su:

a)       l’ unione volontaria di due persone per vivere come sposi con l’esclusione di tutte le altre  (Corte suprema del Massachusetts);

b)      il legame emotivo frutto di una vita in comune che si presenta come tale apertamente e inequicabilmente (Fitzpatrick  v. Sterling Housing Association Ltd);

c)       la convivenza a vita (legge tedesca);

d)      la familiarità delle affinità (In re Guardianship of Kowalski);

e)      la familiarità degli affetti;

f)        la solidarietà che deriva da un patto aperto, flessibile, indeterminato (Derrida);

g)      un contratto privato con qualche forma di tutela governativa (Nussbaum).

Passiamo dalla ricerca di una “specificità” emotiva ed esistenziale all’esigenza di una struttura generica e onnicomprensiva, indifferentemente “l/g/b/t”. Il modello del vincolo aperto dovrebbe portare ad accettare integralmente la logica contrattuale. Tuttavia è proprio questa logica che smentiscono la maggior parte delle rivendicazioni omosessuali: non vogliono un’unione quale che sia, un contratto tra i tanti, ma quel particolare rapporto esistenziale che si realizza con il matrimonio. In questo modo finiscono, in fondo, per confermare quella lunga tradizione filosofica e quella complessa ridefinizione giuridica che nega l’identificazione tra matrimonio e contratto. Come ha scritto benissimo Piovani, “qui davvero non può esserci un contratto perché non si contratta l’unione di due vite: se si contratta, essa non è se stessa, è meno di se stessa, si snatura, si avvilisce. La pienezza di una simile unione implica la sua indissolubile assolutezza, o meglio si realizza solo se è indissolubilmente assoluta: o è così  o non è un’unione piena. Se il matrimonio è unione di tutta una vita con un’altra vita: l’indissolubilità è nella sua stessa totalità”[51].

Il matrimonio non è un contratto proprio per la sua “differenza” da un qualsiasi rapporto sessuale o patrimoniale, da un qualsiasi legame affettivo o economico. Si pensa come idealmente indissolubile perché va oltre la casualità e sporadicità di un atto sessuale o di un incontro emotivo, ma si prolunga nei sentimenti, nei figli, nei beni… Più questi elementi si avvertono come particolari e propri del matrimonio, più vanno relativizzati e mistificati per renderlo indifferentamente accessibile a qualsiasi esperienza. Più avanza questo processo di adattamento e più il matrimonio diventa un simulacro. Più il simulacro non appaga, più va cancellato il modello originale: tutto deve diventare uno schema vuoto da riempire come si vuole senza modelli e senza vincoli. Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale la Corte d’appello di Firenze sostiene che la tutela della famiglia supposta “naturale” potrebbe tranquillamente estendersi ad una famiglia “meno naturale” o “diversamente naturale” senza per questo rinnegare se stessa[52].

La libertà positiva, conducendo fino alle estreme conseguenze la rimozione della differenza, ottunde la libertà di scelta di chi in questa differenza crede e si identifica. La rivendicazione di spazi di libertà corre il rischio di diventare una forma subdola di oppressione. L’idea che tutti possono fare tutto e che il diritto si deve piegare a queste esigenze è altrettanto intrusiva dell’idea di sindacare le singole scelte sessuali. Non stupisce, quindi, che una legge del Vermont (An Act to Protect Religious Freedom and Recognize Equality in Civil Marriage) si preoccupi di tutelare, insieme alla libertà sessuale, la libertà di coscienza religiosa, prevedendo espressamente che i sacerdoti possano rifiutarsi di celebrare un matrimonio religioso per persone dello stesso sesso senza incorrere in alcuna responsabilità civile (“refusal to do so shall not create any civil claim or cause of action”). Se tutto è equivalente anche la differenza tra rito civile e rito religioso viene meno, anche la pretesa di una religione di costruire un proprio modello morale può apparire discriminatoria.

Per questo motivo credo che sia importante lasciare il problema dell’identità sessuale all’interno della libertà negativa[53]. La libertà negativa preserva l’autonomia degli orientamenti sessuali con la stessa intensità con cui consente di garantire la particolarità del matrimonio. Rappresenta quel giusto equilibrio dei valori costituzionali che deve ricercare una società pluralistica. Nagel osserva che la differenza tra tolleranza e approvazione è uno dei cardini della società liberale. Quindi, a suo avviso, “…the right direction of development is not to expand marriage, but to extend the informal protection of  intimacy without the need for secrecy to a broader range of sexual relations”[54]. Chiunque, come Nagel, si renda conto di quanto siano delicati i rapporti all’interno di una società democratica, deve impegnarsi perché la tutela del pluralismo non diventi l’equivalenza di tutto a tutto. Il pluralismo non è costituito solo dal rifiuto di ogni manistazione di intolleranzae di ogni discriminazione, ma anche dal rispetto delle differenze, compresa quella “particolare differenza” attorno a cui il diritto ha definituto l’istituto del matrimonio e della famiglia. Ma anche il cristiano, come ricorda Wolfang Böckenförde[55], non deve perdere l’opportunità che sgli viene offerta dal principio democratico, ponendosi “lealmente all’interno del suo ethos, e quindi reclami per sé solo quanto è disposto a concedere lealmente a chi la pensa diversamente. Così facendo egli non diventa forse più credibile e inattaccabile nelle sue richieste?”

 

5.      Il ricatto del “disgusto” e l’attenzione per la sofferenza

Per accettare fino in fondo questa visione, dobbiamo superare quello che potrei chiamare il “ricatto” del disgusto. E’ un tema che ricorre spesso nel dibattito sui riflessi giuridici della differenza di genere. Il mantenimento dell’attuale regime giuridico del caratte privilegiato attribuito al matrimonio eterosessuale avrebbe solo un valore espressivo, servirebbe a indicare il disgusto e a ostentare la riprovazione nei confronti delle relazioni omosessuali. Sarebbe una forma celata di intolleranza, perché dietro un’apparente benevola indifferenza, avallerebbe e perpetuerebbe un continuo processo di discriminazione. Queste considerazioni si legano, nella maggior parte dei casi, a una visione negativa del matrimonio, considerato, in quanto tale, privo di qualsiasi rilevante funzione sociale.

E’ quello che emerge emblematicamente dalle riflessioni di Martha Nussbaum che al tema del disgusto ha dedicato due libri: Hiding from Humanity[56] e From Disgust to Humanity. Il disgusto è collegato dalla Nussbaum al timore ancestrale e quasi animale della “contaminazione”. Difendere la specificità del matrimonio e della famiglia significa, allora, tacciare come ripugnanti e impuri tutti quelli che vivono in maniera diversa la propria sessualità. Questa prospettiva è legata alla convinzione che il rilievo e la particolare dignità giuridica conferita al matrimonio abbiano solo la funzione di “stigmatizing and degrading” [57] gay e lesbiche, perché si tratta di un’istituzione che “ospita e supporta molti distinti aspetti dell’esistenza: relazioni sessuali, amicizia e solidarietà, conversazione, amore, procreazione ed educazione dei figli e mutua responsabilità” (p. 128). Nessuno di questi elementi si ritrova necessariamente nel matrimonio e ciascuno di questi elementi può realizzarsi anche attraverso qualsiasi altro rapporto di coppia o di organizzazione sociale della convivenza.

Per questi motivi possiamo parlare di una sorta di “ricatto” del disgusto: un ricatto del “o tutto o niente”, “o l’assimilazione integrale o la riprovazione sociale”. La tolleranza non è sufficiente, perché non cancellando altri modelli di condotta, condanna chi la pensa diversamente a cambiare vita o a nascondere i propri orientamenti: un peso estremamente gravoso  da sopportare (“a very crippling burden”). Dovremmo, allora, ampliare il processo di “umanizzazione” del diritto: la logica del “disgusto” dovrebbe essere categoricamente bandita dall’esperienza giuridica e sostituita con una politica ispirata alla “simpatia, all’immaginazione e al rispetto”. Ma il rispetto indica ancora il distacco e la diffidenza,  è necessario “something else, something closer to love must also be involved”[58].

L’esperienza giuridica ci mostra molte più sfumature della ridida contrapposizione indicata da Martha Nussbaum. Per essere aderenti alla realtà, dovremmo distinguere tra comportamento tipico, comportamento legittimo, comportamento irrilevante, comportamento illegittimo. Ma che senso avrebbe? Il disgusto può colpire ciascuno di questi comportamenti a prescindere dalle previsioni legislative. Non è corretto, quindi, brandire il disgusto come un’arma morale per imporre la logica dell’assimilazione forzata. Un’uguaglianza indistinta e indifferentemente aperta a tutto ha un’evidente valenza antidemocratica. Un aspetto fondamentale della libertà, come bo già osservato, è anche il diritto ad esprimere la “propria” differenza. Non vi è quindi nulla di indebito nel fatto che il diritto, tenendo conto delle singole “specificità”, indichi modelli di condotta e tenda a privilegiare determinati comportamenti.  

Martha Nussbaum ha, però,  ragione nel sottolineare come non possiamo semplicemente mettere da parte la diversità degli orientamenti sessuali e le relative rivendicazioni come qualcosa di abnorme o estraneo al processo di “umanizzazione” del diritto che caratterizza la nostra cultura. Se la logica laica del reato non ci può far dimenticare il dovere morale di ricordare l’esistenza del peccato, la logica cristiana del peccato non ci può far dimenticare il dovere morale di cercare di capire, comprendere e amare (something closer to love) il peccatore. Fino a che punto va spinto il dovere di condannare? Fino a che punto va spinto il dovere di amare? La nostra esperienza cristiana si muove tra questi due interrogativi. Più avvertiamo il richiamo dell’uno, più siamo siamo turbati dall’altro. In mezzo sta quel processo di umanizzazione che deriva dal sentimento di attenzione per le vittime che collega,  seguendo l’insegnamento di René Girard[59], il Cristianesimo all’invenzione dei diritti umani e agli sviluppi dello Stato sociale. Nel Cristianesimo la responsabilità interiore verso Dio, e quindi la lotta contro il peccato, non appare scindibile dalla responsabilità materiale verso tutte le forme di emarginazione e quindi persino dall’amore per il peccatore. I Fratelli Karamazov di Dostoevskij sono forse l’espressione estrema della convinzione che “non bisogna temere di amare il peccatore perché solo amandolo, e quindi perdonandolo, lo si redime: anzi, non si deve temere di amare il peccato stesso, perché solo dall’amore e dal perdono il male è sconfitto e negato”[60]. E nell’Adolescente troviamo  uno dei più toccanti inviti che sia mai nato dall’esperienza religiosa. “Noi dobbiamo pregare incessantemente per tale peccatore: ogni volta che senti di un simile peccato, coricandoti, prega commosso per quel peccatore; magari fai anche solo un sospiro per lui a Dio; anche se non lo conoscevi affatto, tanto più sarà utile la tua preghiera per lui”[61].

Tutto questo non ci dice come segnare i confini della famiglia e dove collocare il divieto di discriminazione. Mi torna in mente un delicato quadro delineato da Muriel Spark[62]:

“Io credo che Dio direbbe ‘Non disprezzate questo Mio infelice figlio, non disprezzate l’omosessuale’ “

Helena aveva risposto: ‘Certo. Ma se ci sembra contro natura rispettare queste persone... Oh, l’amore è così difficile’ ”.

Muriel Spark è una straordinaria costruttrice di dialoghi, più che di trame. Dialoghi dove il sentimento religioso e l’adesione al Cattolicesimo hanno, per lei convertita, un ruolo centrale. Perché il Cattolicesimo è la dimensione su cui ha scelto di radicare la propria esistenza e  perché il Cattolicesimo in Inghilterra può apparire ancora il credo di una “minoranza”, degli “altri”, con tutto il “disgusto” che reca in sé quest’idea. E’ così difficile amare… è più facile condannare.

Durante l'Angelus di domenica 22 febbraio Giovanni Paolo II ha criticato aspramente la già ricordata Risoluzione dell'8 febbraio 1994 per la parità dei diritti degli omosessuali e delle lesbiche nella Comunità europea. Osserva che si tratta di una di quelle iniziative che, proprio nell'anno dedicato dall'ONU alla famiglia, “nella sostanza si rivelano ‘antifamiliari’…Sono iniziative che danno la priorità a ciò che decide della decomposizione delle famiglie e della sconfitta dell'essere umano: uomo o donna o figli. Vi si chiama, infatti, bene ciò che in realtà è male…In essa [nella Risoluzione] non si sono semplicemente prese le difese di persone con tendenze omosessuali, rifiutando ingiuste discriminazioni nei loro confronti. Su questo anche la Chiesa è d'accordo, anzi lo approva, lo fa suo, giacché ogni persona umana è degna di rispetto. Ciò che non è moralmente ammissibile è l'approvazione giuridica della pratica omosessuale. Essere comprensivi verso chi pecca, verso chi non è in grado di liberarsi da questa tendenza, non equivale, infatti, a sminuire le esigenze della norma morale. Cristo ha perdonato la donna adultera, salvandola dalla lapidazione, ma le ha detto al tempo stesso: ‘Va' e d'ora in poi non peccare più’ ”[63].

Che sia più difficile amare che condannare non è soltanto una constatazione esistenziale, ma un ammonimento morale. L’umanità non ha bisogno di Dio per condannare e non trova Dio, lapidando l’adultera. Trova Dio, quando abbassa le braccia e posa la pietra. Ricordare questa parabola non ci dice “come”,  come articolare le norme e definire gli orizzonti istituzionali. Ci dice “perché”, perché siamo qui a interrogarci su questi problemi e non possiamo tranquillamente metterli da parte

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[1] P. Barile, Libertà, giustizia e costituzione tr. it. Padova, Cedam, 1993, p. 51.

[2] Corte costituzionale 18 dicembre 1987 n. 561. Va detto che la decisione riguardava il diritto al trattamento pensionistico di guerra in conseguenza di violenze carnali consumate in occasione di fatti bellici. Si chiedeva alla Corte di decidere se la violenza carnale in quanto tale - a prescindere cioè dalle lesioni o infermità che ne fossero eventualmente conseguite - dovesse o meno dare titolo al risarcimento dei danni non patrimoniali.

[3] Timothy E. Lin, Social  Norms and Judicial Decisionmaking: Examinig the Role of Narratives in Same-Sex Adoption Cases, in “Columbia Law Review”, April, 1999,  p. 739 e ss.

[4] E’ quanto pensavano  Kant, Novalis, Hegel… Rinvio al saggio di R. Callois, La mantide religiosa, in Il mito e l’uomo, tr. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1998, p. 32.

[5] F. D’Agostino, Linee di una filosofia della famiglia nella prospettiva della filosofia del diritto, Milano, Giuffré, 1991, p. 9.

[6] Johann B. Metz, “La fede nella storia e nella società”, oggi, tr. it. in  Sul concetto della nuova teologia politica 1967-1997, Brescia, Queriniana, 1998, p. 186.

[7] E’ la nota lezione di I. Berlin, Quattro saggi sulla libertà, tr. it. Milano, Comunità, 1989,  p. 42 e ss. e p. 183 e ss.

[8] Martha C. Nussbaum, From Disgust to Humanity. Sexual Orientation & Constitutional Law, Oxford, Oxford University Press, 2010, p. 55.

[9] Il testo è riportato, ad esempio, in “Rivista italiana di medicina legale”, 1988, n.10, p. 601.

[10] Vedasi nota n. 2.

[11] G. Pino, L’identità personale in S. Rodotà, M. C. Tallacchini, Ambito e fonti del biodiritto vol. I del Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà e P. Zatti, Milano, Giuffré, 2010, p. 310.

[12] 138/2010, 276/2010 e 4/2011.

[13] 1981, Ser. A, n. 451. Il Regno Unito è stato condannato per violazione dell'art. 8 Conv. eur. sui diritti umani a causa delle perquisizioni ordinate dalla polizia in una città dell'Irlanda del Nord nella casa di un noto omosessuale. Questa sentenza è stata confermata da diverse decisioni successive  Norris v. Ireland (1988), Ser. A, n. 142; Modinos v. Cyprus (1993), Ser. A, n. 259. SL v Austria (2003) n. 45330/99. In generale si vedano le considerazioni di G. Ferrando, Il Contributo della Corte europea dei diritti dell’uomo all’evoluzione del diritto di famiglia, in “Nuova Giurisprudenza Civile Commentata”, 2005-II, p. 267 e ss.

[14] Rinvio al volume di V. Barsotti, Privacy e orientamento sessuale. Una storia americana, Torino, Giappichelli, 2005.

[15] Bowers v. Hardwick  478 U.S. 186 (1986) che cito nella traduzione italiana contenuta nel volume, a cura di  J. Greenbaum, Giustizia costituzionale e diritti dell'uomo negli Stati Uniti. I giudici Warren e Burger, Milano, Giuffrè, 1992, pp. 416-417.

[16] 539 U.S. 558 (2003) (No. 02- 102) Argued March 26, 2003.Decided June 26, 2003. Una prima sintesi critica si trova in  M. Cerase, Gli atti omosessuali innanzi alla Corte Suprema degli Stati Uniti in “Diritto penale e processo”  2004/6, p. 776 e ss.

[17] Op. cit., p. 89.

[18] V. Barsotti, op. cit., p. 166.

[19] Corte Suprema degli Stati Uniti, sentenza 26 giugno 1997, Washington et al. C. Glucksberg et al. ; Vacca et al. c. Quill et al. tr. it. in  “Foro italiano”, 1998, IV, c. 85 (con nota di Ponzanelli) c. 87.

[20] Re C (A Minor) (Wardship: Medica1 Treatment) 1989 3 WLR 240 citata da  D. Robertson, The Withdrawal of Medical Treatment from Patients: Fundamental Legal Issues, in “ Australian Law Journal”  1996, p. 725.

[21] Commentando il caso Bland, la decisione della Suprema corte inglese di autorizzare l’interruzione del trattamento a un soggetto in stato vegetativo persistente, Lord Mustill ha ironicamente commentato che, in base alle argomentazioni della Corte, è proibito uccidere intenzionalmente con un atto, ma è permesso uccidere intenzionalmente con un’omissione. Lo ricorda J. Keown,  Dehydration and Human Rights, in “ The Cambridge Law Journal”, 2001, p. 53. A  sua volta R. Dworkin, in relazione al caso Quill, ha osservato che “la distinzione fra atti che mirano o non mirano alla morte, non può giustificare una distinzione costituzionale fra assistere il suicidio e staccare una macchina che permette la sopravvivenza. Alcuni medici che staccano la spina solo perché i1 malato lo chiede, non mirano alla morte. Ma non lo fanno neanche i medici che prescrivono pillole letali per la stessa ragione, e sperano che il malato non le prenda. E molti medici che staccano la spina ovviamente mirano alla morte, compresi quelli che negano il nutrimento durante la sedazione terminale, perché negare il nutrimento serve ad accelerare la morte, non a lenire il dolore” (Introduzione alla memoria presentata in qualità di Amicus curiae alla Corte suprema che doveva decidere sul caso Quill da vari filosofi compreso lo stesso Dworkin in Suicidio assistito: la memoria dei filosofi inserto speciale della   “New Review of Books- Rivista dei libri”, Luglio- Agosto 1997, p. 6).

[22] Come ricorda, G. Buttà, William H. Rehnquist. “Judicial review”, “new federalism” e nuovi diritti, Milano, Giuffrè, 2009, p. 293.

[23] 3 giugno 2003. E il documento prosegue: “Sono perciò utili interventi discreti e prudenti, il contenuto dei quali potrebbe essere, per esempio, il seguente: smascherare l'uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso. A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male”.

[24] O. Phillips,  A Brief Introduction to the Relation between Sexuality and Rights,  in “Georgia Journal of International and Comparative Law”, 2005-33,  p. 466.

[25] Sperimentazione che, senza una così forte spinta ideologica, non sarebbe avvenuta con tanta leggerezza e con tanto disprezzo dei diritti fondamentali: P. Le Couteur  e J. Burreson, I bottoni di Napoleone. Come 17 molecole hanno cambiato la storia, tr. it., Milano, Longanesi, 2010 (Edizione speciale per “La Biblioteca delle Scienze”), p. 226 e ss.

[26] Lo ricorda R. Biedron, L’impegno dell’Europa nella lotta contro le discriminazioni in base all’orientamento sessuale, in “Biblioteca della libertà”, XLIII -2008 , pp. 79-88

[27] Alabama Supreme Court,  In re of R.W. v. D.W.W. – 27 February 1998  717 So. 2d 793. La sentenza è ricordata e commentata da A. D’Angelo,  Qualcuno è rimasto indietro? in  A. D’Angelo (a cura di), Good Morning America, Milano Giuffrè, 2003, p. 192. La sentenza è riportata integralmente nel CD annesso al volume.

[28] Virginia Supreme Court  Bottoms v Bottoms - 21 April 1995   457 S.E.2d 102. Riportata nel CD annesso al volume suindicato.

[29]  Courtney G. Joslin, Recent Development: Equal Protection And Anti-Gay Legislation: Dismantling The Legacy Of Bowers V. Hardwick -- Romer v. Evans, 116 S. Ct. 1620 (1996) in “Harvard Civil Rights-Civil Liberties Law Review”, 1997-32, p. 225 e ss.

[30] Jeffrey A. Williams, Re-Orienting The Sex Discrimination Argument For Gay Rights After Lawrence V. Texas in “Columbia Journal of Gender and Law”, 2005-14, pp. 131 e ss.

[31] Filippo Romoli, No, we can't: orientamento sessuale e discriminazione nelle forze armate degli Stati Uniti, in “Rivista critica del diritto privato”, 2009-3, p. 465.

[32] Ultima sentenza tr. it., Milano, Mondadori, 2008, p. 261

[33] Una sintetica rassegna delle diverse esperienze legislative si trova in S. Melis, Il regime giuridico delle coppie omosessuali in europa in “Rassegna parlamentare”, 2005, p. 267 e ss.

[34] C. Ricci, Tutela delle unioni omosessuali in Europa: il modello britannico del Civil Partnership Act, in “I diritti dell’uomo”, 2005-3, p. 23 e ss.

[35] Emblematiche le due decisioni delle Corti supreme di New York  (Hernandez v. Robles, 2006 N.Y. LEXIS 1836; 2006 NY Slip Op.5239)  e Washington (Andersen v. King County, 138 P. 3d 963; 2006 Wash LEXIS 598) che hanno negato che escludere dall'istituto matrimoniale le persone dello stesso sesso rappresenti una violazione dei principi di libertà e uguaglianza previsti dalle rispettive Costituzioni

[36] Goodridge v. Department of Public Health 798 N.E. 2d.941 (Mass. 2003). Rinvio al saggio di V. Barsotti, Le unioni tra persone dello stesso sesso negli Stati Uniti. Questioni di diritti e di federalismo, in “Rivista critica del diritto privato”, 2009-4, pp. 574-5.

[37] Supreme Court of New Jersey (A-68-05); Decided October 25,2006. V. Barsotti, Il matrimonio tra persone dello stesso sesso: orientamenti recenti delle Corti americane, in “Corriere giuridico”, 2007-7,  pp. 1030- 31

[38] Kerrigan v. Commissioner of Public Health, SC 17716, Argued May 14, 2007, Officially released October 28, 2008

[39] Corte suprema della California In re Marriage Cases (2008) 43 Cal.  4th. 757 (76 Cal. Rptr.  3d 683, 183 P.  3d 384. Per l’analisi di queste decisioni rinvio al saggio di V. Barsotti sup. cit.  Le unioni tra persone dello stesso sesso negli Stati Uniti. Questioni di diritti e di federalismo.

[40] Rinvio all’analisi di C. Ricci, Tutela delle unioni omosessuali in Europa: il modello britannico del Civil Partnership Act, in “I diritti dell’uomo”, 2005-3, p. 23.

[41] Fitzpatrick  v. Sterling Housing Association Ltd. 3 WRL 1 I 13 (H.L. 1999).

[42] Ahmad Ruja Ghaidan v.Antonio Mendoza, 4 Al1 ER I162 (EWCA Civ. 1533 [2002]) case n. B2/2002/0359

[43] Nutting v Southern Housing Group Ltd [2004] EWHC 2982, Chancen Division. 2  1 December 2004.

[44] In re Guardianship of Kowalski, 478 N.W.2d 790, 796 Minn. Ct. App. 1991. La decisione è stata indicata come un precedente rilevante nella controversia sul caso Schiavo, sul diritto del marito, che si asseriva avesse  intrattenuto altre relazioni sessuali, di chiedere l’interruzione del trattamento: M. Coombs, Schiavo: The Road Not Taken, in “University of Miami Law Rieview”, 2007-61, p. 539 e ss.

[45] Martha C. Nussbaum, Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge, tr.it Roma, Carocci, 2007, p. 313.

[46]“Rivista internazionale dei diritti dell’uomo”, 1998, pp. 917 ss.

[47] Ricorso n. 28957/95, in “Rivista internazionale dei diritti dell’uomo”, 2002, pp. 561 ss.

[48] V. Mazzotta, Le relazioni omosessuali in Italia, in “Nuova giurisprudenza civile commentata” 2004, Parte seconda, § 3.

[49] J. Derrida, Sono in lotta con me stesso, in “Internazionale”, 561, 15 ottobre 2004, p. 34.

[50] M. Nussbaum, From disgust to humanity, cit., p. 162-163.

[51] P. Piovani, Linee di una filosofia del diritto, Padiva, CEDAM, 1968, p. 308

[52] Come ricorda l’ordinanza della Corte costituzionale  276/2010. Forse per questo si tende a definire queste nuove aggregazioni “famiglie arcobaleno”: per indicare che sono “colorite”, ricche di diversità o per rimarcare che vi sono tutti i colori?

[53] Penso all’efficace differenza, delineata da F. D’Agostino (Bioetica e  biopolitica. Ventuno voci fondamentali, Torino, Guappichelli, 2011, p. 152),  tra posizioni “liberazioniste”, che rivendicano un integrale deponteziamento del matrimonio e posizioni “liberali” che rivendicano solo uno spazio di rilevanza giuridica per le unioni omosessuali.

[54] Th. Nagel, Concealment and Exposure in “Philosophy and public affairs”, 1998-1, p. 21

[55] Cristianesimo, liberà, democrazia tr. it. Brescia, Morcelliana, 2007, p. 198.

[56] Op. cit. alla nota n. 44.

[57] From Disgust to Humanity, cit., p. 132.

[58] Ivi p. XVIII. Una serrata analisi critica di questa visione ritenuta, per cetrti versi,  “ neither accurate nor helpful”  si trova in Mary Anne Case, A Lot to Ask:  Review Essay of Martha Nussbaum's From Disgust To Humanity: Sexual Orientation and Constitutional Law, in “Columbia Journal of Gender and Law”, 2010-89, p. 1 e ss.

[59] Ad esempio, R. Girard, G. Fornari, Il caso Nietzsche. La ribellione fallita dell’anticristo, Genova- Milano, Marietti 1820, 2002, p. 89.

[60] L. Pareyson, Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, Torino, Einaudi, 1992, p. 82.

[61] F. Dostoecskij, L’adolescente, tr. it. Milano, Mondadori, 1989, p. 452. Va detto che il brano si riferisce al suicidio e non ha niente a che vedere con la sessualità.

[62] I consolatori, tr. it. Milano, Adelphi, 2009, p.144

[63] Lo ricorda  P. Ferrari Da Passano S.I., Omosessualità e dirittoin “La Civiltà Cattolica” 1994 II, p. 21.

 

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