Studio legale law
Anche a marito morto viene in
ballo “il tenore di vita goduto in costanza di
matrimonio”. Insomma, tale tenore pare proprio un
diritto acquisito e un tarlo che non si riesce a
espellere. Se lo si applicasse anche in altri ambiti, al
di fuori del diritto di famiglia, la buttiamo là, al
diritto del lavoro e al sistema pensionistico, perché
no, stop ai licenziamenti e pensioni pari allo
stipendio, ciascuno ha diritto al tenore di vita goduto
in costanza di lavoro. L’impresa fallisce ? Quale cassa
integrazione, lo Stato mi paga l’intero stipendio,
caspita, ho diritto a mantenere il tenore di vita goduto
in costanza di lavoro. No, la regola vale solo per gli
ex mariti. Anche defunti.
Divorziato dopo ventisette anni di
matrimonio, convola a nuove nozze, ma il nuovo
matrimonio dura solo due anni, causa il decesso del
coniuge. Le due mogli si gettano a falco sulla pensione
di reversibilità.
La quota maggiore spetta a me,
sostiene la prima moglie, il mio matrimonio ha avuto una
durata temporale maggiore. La Corte di Appello di
Bologna, in riforma della pronuncia di primo grado,
attribuisce a costei il 93% della pensione di
reversibilità del defunto ex coniuge, ritenendo,
diversamente dal primo giudice, che in forza della
sentenza di sentenza di divorzio, la stessa era titolare
di assegno divorzile e inoltre, che la quota a lei
spettante della pensione di reversibilità dell’ex
marito, dovesse stabilirsi unicamente in base al
criterio della durata legale di rapporti matrimoniali.
La Cassazione cassa con rinvio la sentenza della Corte
di Appello, in punto di criteri di ripartizione della
pensione di reversibilità, affermando il seguente
principio di diritto. Ai fini della ripartizione della
pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e il
coniuge divorziato, il giudice deve necessariamente
tener conto del preponderante e, secondo le circostanze,
finanche decisivo elemento temporale costituito dalla
durata legale dei rispettivi rapporti matrimoniali dei
medesimi coniugi con il coniuge deceduto, ovvero del
semplice dato numerico rappresentato dalla rigida
proporzione tra i relativi periodi di tali rapporti,
senza che, tuttavia, l’applicazione di un simile
criterio si ponga quale unico e esclusivo parametro cui
conformarsi automaticamente sulla base di un mero
calcolo matematico, ovvero implichi la mancata
considerazione, eventualmente in funzione di correttivi
del risultato così conseguito, di ulteriori elementi di
giudizio e, segnatamente, vuoi degli altri criteri di
riferimento utilizzabili nella liquidazione dell’assegno
di divorzio, afferenti alle condizioni delle parti
interessate e alle finalità assistenziali del predetto
assegno, vuoi dello stesso ammontare di quest’ultimo
quale goduto dall’ex coniuge al momento della morte del
titolare diretto della pensione. Pronunciando in sede di
rinvio, la Corte di Appello di Bologna, in riforma della
sentenza di primo grado, attribuisce alla moglie
divorziata la quota percentuale del 55% della pensione
di reversibilità del defunto e alla moglie superstite,
in proprio e quale genitore esercente la potestà sulla
figlia minore, la restante quota percentuale pari al 45%
della pensione. La seconda moglie non ci sta e promuove
un nuovo ricorso per Cassazione. In sede di rinvio,
ulteriore riduzione della quota spettante alla prima
moglie, 35%. A questo punto è la prima moglie a
promuovere un nuovo ricorso per Cassazione. Ma se
costoro avessero risparmiato i soldi devoluti per le
spese legali, non avrebbero avuto maggiori disponibilità
economiche a loro disposizione ? Con la Sentenza n.
25174/2011, la Suprema Corte rigetta il ricorso. La
ricorrente deduce che il giudice di appello ha
ridimensionato il criterio preponderante e decisivo
della durata legale dei due matrimoni, fino a fare dello
stesso un criterio minoritario, soccombente rispetto
alla funzione meramente correttiva degli altri criteri.
Il motivo non merita favorevole apprezzamento.
I giudici del rinvio hanno chiarito
le ragioni, rimaste incensurate, per le quali il
principio di diritto cui dovevano uniformarsi,
considerati pure i relativi dati terminologici, non era
suscettibile di essere interpretato nel senso di fare
assurgere la maggiore durata legale del primo matrimonio
a criterio impediente l’attribuzione alla stessa di una
quota di pensione inferiore a quella attribuita alla
seconda moglie, il cui matrimonio con il medesimo De B.
era stato di significativa, minore durata. La pronuncia
di appello si rivela anche aderente al condiviso
principio di diritto, già enunciato, secondo cui la
ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso
di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite
aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione,
deve essere effettuato, oltre che sulla base del
criterio della durata del rapporto matrimoniale, anche
ponderando ulteriori elementi, da utilizzare
eventualmente quali correttivi del criterio temporale e
da individuare in quelli funzionali allo scopo di
evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi
indispensabili per il mantenimento del tenore di vita
che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di
divorzio e il secondo sia privato di quanto necessario
per la conservazione del tenore di vita che il de cuius
gli aveva assicurato in vita.
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