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LA RENDITA DIRETTA PER INABILITA’ PERMANENTE-Dr.ssa Silvana Toriello

 

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PREMESSA

 

La rendita di inabilità permanente ricorre quando a seguito dell’infortunio o della tecnopatia siano residuati al lavoratore assicurato postumi di carattere permanente.Con l’entrata in vigore dell’articolo 13 del D. Lgs. 38/2000 residua soltanto per gli infortuni che si sono verificati e per le malattie professionali che sono state denunciate prima del 25 luglio 2000.

NOZIONE E NATURA GIURIDICA

 

La rendita non ha carattere retributivo e perciò non costituisce reddito assoggettato all’Irpef. Trattasi di prestazione economica che spetta al lavoratore infortunato o affetto da tecnopatia. Lo scopo di tale prestazione è di "risarcire" il lavoratore per il danno subito dall'attività lavorativa. Più nel dettaglio è una prestazione economica con funzione indennitaria del danno subito dal lavoratore a causa dell’evento, un danno che ristora la perdita da parte del lavoratore della generica capacità lavorativa.

 

In origine il sistema di tutela aveva come finalità non il risarcimento del danno alla persona ma l’individuazione di un indennizzo sostitutivo della ridotta capacità di produrre il guadagno del lavoratore , necessario ai fini della sussistenza sua e della sua famiglia.L’articolo 38 della Costituzione prevede che i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Com’è noto questa impostazione è stata rivoluzionata dall’introduzione del danno biologico inteso come risarcimento della lesione della integrità psico fisica della persona di per sé considerata indipendentemente da qualsiasi valutazione inerente il reddito.

 

Riservando ad altra sede l’analisi dell’indennizzo per danno biologico proseguiamo qui nell’analisi della rendita diretta per inabilità permanente per eventi verificatisi ante 25.7.2000.

PRESUPPOSTO

 

Il presupposto alla base della prestazione è non solo la causa lavorativa dell’infortunio o della malattia ma anche il grado di inabilità permanente compreso tra l ’11 ed il 100% calcolato sulla base delle tabelle allegate al Testo Unico e riconosciuto a guarigione clinica avvenuta prima del 25.7.2000. La rendita diretta per inabilità permanente spetta qualora l'infortunio o la malattia professionale, avvenuti o denunciati prima del 25 luglio 2000, abbiano provocato postumi permanenti, cioé un danno duraturo nel tempo, tale da raggiungere il grado dell'11% di inabilità. L’onere della prova dei fatti posti a fondamento della domanda di rendita grava sul lavoratore che agisce per ottenere la prestazione. In sede di erogazione della prestazione 1'Istituto assicuratore è tenuto ad indennizzare anche le inabilità permanenti sul cui determinismo l'infortunio ha svolto un ruolo concausale solo indiretto . E’ stato precisato (Cass. civ., Sez. lav., 24 gennaio 1998 n. 704,) che la « misura superiore al 10% » richiesta dall’art. 74 T.U. 1965 non deve intendersi 1'11% bensì il 10, 1%. Ed infatti, poichè il minimo richiesto dalla norma per l'indennizzabilità del lavoratore infortunato costituisce una clausola di favore per 1'INAIL, non può la norma stessa essere interpretata in modo ulteriormente favorevole per 1'Istituto assicuratore, anche in considerazione del fatto che « ..., almeno nell’ambito dell’assicurazione privata, le clausole limitative di responsabilità, quale è quella in esame, devono essere chiaramente previste (ex art. 1341 cod. civ.), con la conseguenza che, non avendo la legge usato la chiara espressione "in misura pari almeno all’undici per cento", la diminuzione dell’attitudine al lavoro che conferisce il diritto a rendita di invalidità, deve reputarsi esser disciplinata dal disposto di cui alla prima parte del II c. dell'art. 74 cit., che va interpretata, secondo il significato letterale delle parole, nel senso che è sufficiente al fine suddetto una riduzione che superi anche di un decimo o frazione minore la percentuale del dieci per cento, mentre la disposizione di cui alla seconda parte dello stesso comma va interpretata nel senso che tutte le frazioni comprese tra il dieci e 1'undici per cento vanno arrotondate a quest'ultima misura ai fini della quantificazione della rendita da corrispondersi dall ‘INAIL ».

 

Diversamente da quanto visto con riferimento all’indennità di temporanea per inabilità assoluta la invalidità  permanente che fonda il diritto alla rendita e che è disciplinata dall’art. 74 del TU 1124/1965 consegue ad una situazione patologica che compromette definitivamente, in tutto o in parte, l’attitudine al lavoro dell'assicurato, la sua capacità lavorativa generica, capacità di effettuare un lavoro di qualsiasi genere suscettibile di utilità economica, e non della capacità lavorativa specifica che fonda il diritto all’indennità di temporanea e che concerne la specifica attività lavorativa prestata presso l’azienda di appartenenza. La prova di tale conclusione è rinvenibile sia nella lettera dell’art 74 T.U. 1965 che nelle percentuali invalidanti indicate dalla tabella all.to n. 1, determinate con esclusivo riferimento al tipo di menomazione, prescindendo quindi dal diverso valore che le singole lesioni possono assumere in relazione all’attività concretamente esercitata dal lavoratore. II riferimento alla capacità lavorativa generica, e non specifica, opera non solo per le lesioni di cui la suddetta tabella determina il grado invalidante, ma anche per quelle non contemplate e per le quali detta tabella costituisce solo un parametro per la valutazione medico-legale (Cass. civ. 9 marzo 1982 n. 1486, ).

LA CAPACITA’ LAVORATIVA GENERICA

 

La giurisprudenza di legittimità ha, di volta in volta, definito l'attitudine al lavoro di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965 come la possibilità di esercitare un lavoro di qualsiasi genere, suscettibile di utilità economica, indipendentemente dalla incidenza che la menomazione esplica sulla capacità di lavoro dell'assicurato (cfr. Cass. 14 aprile 1982, n. 2239, ; Cass. 14 febbraio 1983, n. 1158, ; Cass. 9 aprile 1987, n. 3520, ), come la capacità di svolgere un qualunque lavoro manuale medio (cfr. Cass. 14 luglio 1984, n. 4129; Cass. 24 luglio 1990, n. 7495, ), come la capacità biologica di erogare energie fisiopsichiche per il compimento di una qualsiasi attività lavorativa (cfr. Cass. 21 agosto 1986, n. 5138, ), come la capacità lavorativa generica tout court, ovvero come la capacità biologica di guadagno (cfr. Cass. 30 ottobre 1982, n. 5737,).In definitiva qui il pregiudizio è a carico della capacità di guadagno dell’assicurato genericamente intesa.

QUADRO NORMATIVO

 

L'art. 74 T.U. 1965 distingue fra inabilità permanente assoluta, la quale ricorre allorchè l'attitudine al lavoro del soggetto è permanente e completamente annullata, e inabilità permanente parziale, la quale presuppone una riduzione, purchè essenziale, della predetta attitudine lavorativa (in misura superiore al 10%) per 1'erogazione della rendita di inabilita permanente (art. 74 T.U.)

 

L’articolo citato prevede : “Ai sensi del presente titolo deve ritenersi inabilità permanente assoluta la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale, la quale tolga completamente e per tutta la vita l'attitudine al lavoro. Deve ritenersi inabilità permanente parziale la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale la quale diminuisca in parte, ma essenzialmente e per tutta la vita, l'attitudine al lavoro.

 

Quando sia accertato che dall'infortunio o dalla malattia professionale sia derivata un'inabilità permanente tale da ridurre l'attitudine al lavoro in misura superiore al dieci per cento per i casi di infortunio e al venti per cento per i casi di malattia professionale, è corrisposta, con effetto dal giorno successivo a quello della cessazione dell'inabilità temporanea assoluta, una rendita di inabilità rapportata al grado dell'inabilità stessa sulla base delle seguenti aliquote della retribuzione calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120:

 

1) per inabilità di grado dall'undici per cento, al sessanta per cento, aliquota crescente coi grado dell'inabilità, come dalla tabella allegato n. 6, dal cinquanta per cento al sessanta per cento;

 

2) per inabilità di grado dal sessantuno per cento al settantanove per cento, aliquota pari al grado di inabilità;

 

3) per inabilità dall'ottanta per cento al cento per cento, aliquota pari al cento per cento.

 

Gli importi delle rendite mensili sono arrotondati al migliaio più prossimo: per eccesso quelli uguali o superiori alle lire cinquecento, per difetto quelli inferiori a tale cifra (4).

 

A decorrere dal 1 luglio 1965, per il calcolo delle rendite per inabilità permanente si applica la tabella delle aliquote di retribuzione allegato n. 7.

 

Dalla data del 1 luglio 1965 sono riliquidate tutte le rendite in corso di godimento in base alle nuove aliquote di retribuzione di cui al comma precedente. “

 

La Corte Costituzionale con sentenza 30 maggio 1977 n,93 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 74, secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui non pone, agli effetti della rendita, chi é colpito da malattia professionale nella stessa condizione di chi é invece colpito da infortunio sul lavoro. “Se pertanto, scrive la Corte, la conseguenza dei due eventi (malattia e infortunio) é la medesima, cioè a dire la invalidità permanente, la disparità di trattamento agli effetti del percepimento della rendita fra il lavoratore che ha sofferto una malattia professionale e quello che ha subito un infortunio sul lavoro, appare priva di qualsiasi razionalità e giustificazione. In entrambi i casi la fonte dell'evento dannoso risiede nella attività lavorativa svolta con lo specifico rischio del pericolo che essa comporta e quando l'evento dannoso si é verificato, producendo una invalidità permanente, non é consentito differenziarne la percentuale ai fini della corresponsione della rendita, rendendola più gravosa per la malattia (21 %) rispetto all'infortunio (11%). Né può trovare apprezzamento l'argomento dell'INAIL secondo il quale le malattie professionali presentano dal punto di vista medico - legale una precisa e distinta configurazione dagli infortuni, essendo la loro causalità lesiva diluita nel tempo mentre é concentrata (causa violenta) negli infortuni, talché la malattia si evidenzierebbe dopo un certo lasso di tempo dalla sua insorgenza e soltanto ad un certo livello di invalidità che il legislatore ha ritenuto corrispondente al grado del 21 %. Alle considerazioni già svolte di carattere medico - legale si aggiunge che, poiché l'invalidità contratta ha identica natura (fatto patologico), sia che derivi da infortunio, sia da malattia professionale e che l'invalidità é in diretta connessione con un rapporto di lavoro che quel fatto patologico ha causato o quanto meno ne é stato l'occasione, non é ammissibile che ad eguali situazioni di fatto, non debba corrispondere nella previsione legislativa di salvaguardia del lavoratore, eguaglianza di tutela.

 

Il contrasto della norma impugnata con le norme costituzionali di raffronto (artt. 3 e 38 Cost.) appare maggiormente evidente, come rileva l'ordinanza del pretore di Pisa, ove si consideri che per il combinato disposto dagli artt. 80, ultimo comma, e 132 della legge n. 1124 del 1965, il lavoratore che abbia subito un infortunio comportante una invalidità permanente non indennizzabile (inferiore all'11 %) - in ipotesi 2% - se successivamente contragga malattia professionale dalla quale derivi inabilità permanente la cui percentuale - in ipotes19% - sommata a quella dell'infortunio pregresso superi il 10%, ha diritto alla rendita. Il che dà maggiormente rilievo alla illogicità dell'art. 74 del t.u. n. 1124 del 1965 là dove stabilisce che la inabilità permanente da sola malattia professionale, per consentire una rendita, deve ridurre l'attitudine al lavoro in misura superiore al 20% (venti per cento). La norma impugnata é quindi in contrasto non solo con l'art. 3 (principio di eguaglianza) ma anche con l'art. 38 della Costituzione perché riduce l'obbligo della assistenza sociale ai cittadini inabili al lavoro, in ragione di una distinzione della causa di inabilità che é ignorata dalla norma costituzionale.  “

 

Prima della sentenza della Corte cost. 30 maggio 1977 n, 93), l'art. 74, II c, T.U. 1965 richiedeva in caso di malattia professionale un'invalidita permanente superiore al 20%, rna il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma del1'art. 74 perché penalizza ingiustificatamente il tecnopatico rispetto all’infortunato. Detto principio, essendo di carattere generale, si estende anche all’asbestosi e alla silicosi. Unitamente all’articolo 74 interessano l’istituto della rendita diretta permanente anche gli articoli  75,77,116,214,215,217 del Testo Unico 1124/1965 .

ISTANZA

 

La presentazione della domanda non è necessaria, l’INAIL provvede direttamente dopo l’accertamento del grado di inabilità.

 

Il termine di prescrizione è di 3 anni e 150 gg dalla data in cui l’assicurato è consapevole di avere un danno di origine professionale in misura indennizzabile.

 

Il termine del provvedimento è 120 gg dalla data di ricezione del certificato medico definitivo per gli infortuni e dalla data di ricezione del primo certificato e/o dalla data di denuncia della malattia professionale .

DURATA

 

La durata della prestazione è per tutta la vita a condizione che nell’arco di tempo in cui è possibile che si verifichi una revisione, il grado di inabilità riconosciuta non scenda sotto l’11% e purché la rendita non venga capitalizzata al termine del periodo di revisione in quanto compresa tra l’11 ed il 15% dopo 10 anni dalla costituzione della rendita in caso di infortunio, dopo 15 anni in caso di malattia professionale . La capitalizzazione consiste, dunque, nell'erogazione di una somma una tantum (valore capitale della rendita) nei casi in cui, dopo 10 anni per gli infortuni o dopo 15 anni per le malattie professionali, il grado di inabilità rimane fissato tra l'11% ed il 15%. Invece, se il danno raggiunge o supera il 16% di inabilità, la rendita è erogata per tutta la vita del lavoratore. Può accadere che i postumi minimi indennizzabili siano accertati in un momento successivo rispetto al primo accertamento postumi come, ad esempio, in caso di richiesta di revisione passiva: in tal caso, la rendita decorre dal primo giorno del mese successivo alla richiesta di revisione (all. 1, circ. n. 71 del 30 ottobre 1996).

DECORRENZA

 

La decorrenza della prestazione è dal giorno successivo alla guarigione clinica. In caso di  astensione da lavoro: dal giorno successivo alla cessazione della inabilità temporanea assoluta. In assenza di astensione dal lavoro: dalla data dell’evento (infortunio) o dalla data di segnalazione all’Inail (malattia professionale). Si pensi ad esempio al lavoratore che contrae la malattia professionale per ipoacusia (sordità da rumore); in tal caso, generalmente, non interrompendo l'attività lavorativa, la rendita avrà decorrenza dalla denuncia. decorrerà poi dal giorno in cui il danno raggiungerà la misura minima indennizzabile. Infatti, è possibile che il lavoratore - in seguito all'infortunio o alla contrazione della malattia professionale - possa subire un danno non indennizzabile, ad esempio del 7% di inabilità permanente. Successivamente, per aggravamento dei postumi invalidanti, l'inabilità permanente raggiunge il grado dell'12%. Da tale data, decorrerà la prestazione. Inoltre poiché il diritto alla rendita sorge nel momento in cui si realizza la percentuale minima di inabilita permanente, in caso di contestazione il giudice deve tener conto della condizione dell’assicurato successiva alla presentazione della denuncia di infortunio o di malattia professionale e riconoscere la sussistenza del diritto all’indennizzo anche quando la suddetta percentuale, pur essendo originariamente mancante, sia sopravvenuta successivamente, fino al momento dell’accertamento giudiziario. L’INAIL corrisponde una rendita mensile al lavoratore assicurato con grado di inabilità superiore al 10% .La rendita decorre,dunque, dal primo giorno successivo a quello della cessazione dell’inabilità temporanea assoluta salvo, naturalmente, che il limite di indennizzabilità dell’inabilità permanente non sia raggiunto successivamente . In questo caso, come pure in quello in cui in sede di revisione risulti una percentuale di inabilità indennizzabile diversa da quella precedentemente accertata, la variazione della rendita ha effetto dalla prima rata con scadenza successiva a quella relativa al periodo di tempo nel quale è stata richiesta la revisione (art. 84 T.U. 1965).

CALCOLO DELLA RENDITA

 

II calcolo della rendita comporta una duplice operazione: la prima, a carattere medico-legale, ha per oggetto la valutazione del danno, cioè dell’incidenza che l'infortunio o la malattia professionale hanno avuto sulla capacita di lavoro dell'assicurato. Quindi innanzitutto si calcola il grado di inabilità residuato dopo la guarigione ( di tale aspetto si parlerà più estesamente in ulteriore contributo). La seconda, invece, accerta la base economica sulla quale si deve procedere per il computo della prestazione. Detta base è rappresentata dalla retribuzione percepita dal lavoratore assicurato, in danaro o in natura, nei dodici mesi precedenti la data di infortunio o di manifestazione della malattia, e rispetto al grado di inabilità riconosciuto, sempre entro i limiti minimo e massimo stabiliti per legge. (art. 116, I c, T.U. 1965). Viene, dunque, calcolata in base alla retribuzione annua precedente l’evento, nell’ambito del minimale e del massimale stabilito per legge, e al grado di inabilità residuato ( i parametri sono diversi in regime di indennizzo del danno biologico). In definitiva poiché la legge stabilisce un minimo ed un massimo di retribuzione, se la retribuzione percepita  nell’anno precedente risulta inferiore al minimo, la rendita si liquida sul predetto minimo (cd. minimale di rendita); se invece è superiore al massimo la rendita si liquida sul massimo ( cd. massimale di rendita).; sono inoltre previste delle quote aggiuntive nel caso di presenza dei soggetti di cui all’art. 85 T.U. Per alcune categorie di lavoratori (artigiani, coltivatori diretti, facchini, ecc.) il calcolo della prestazione viene effettuato sulla base di retribuzioni convenzionali stabilite da Decreto Ministeriale. Si tiene conto anche della tredicesima mensilità. Se il lavoratore è un apprendista o comunque minore degli anni diciotto, la retribuzione da prendere a base per la rendita è quella della qualifica iniziale del lavoratore di età superiore ai diciotto anni non apprendista della stessa categoria o lavorazione.

 

Nel caso in cui manchi un dato salariale riflettente 1'intero periodo (dodici mesi) preso in considerazione - il che può avvenire o perchè l’infortunato nel predetto periodo non ha prestato servizio in modo continuativo oppure perchè l'ha prestato presso diversi datori di lavoro ma non è possibile determinare il cumulo delle retribuzioni percepite  la retribuzione annua si valuta eguale a trecento volte la retribuzione giornaliera, per questa intendendosi «la sesta parte della somma che si ottiene rapportando alla durata oraria normale della settimana di lavoro nell'azienda per la categoria cui appartiene 1'infortunato il gua-dagno medio orario percepito dall'infortunato stesso anche presso suc-cessivi datori di lavoro flno al giorno dell’infortunio nel periodo, non superiore ai dodici mesi, per il quale sia possibile l'accertamento dei guadagni percepiti» (art. 116, II c, T.U. 1965).Per la determinazione della retribuzione giornaliera occorre aver riguardo all’orario settimanale abitualmente praticato nell'azienda in cui lavora 1'assicurato, e non a quello previsto dalla legge e dai contratti collettivi. Definiti,pertanto, retribuzione e grado di inabilità, la rendita da corrispondere è rapportata al grado della inabilità stessa sulla base di aliquote della retribuzione crescenti con il grado di inabilità come da tabella allegato n. 7 al T.U. 1965. Se la rendita viene erogata in conseguenza di inabilità permanente assoluta, essa è pari alla retribuzione annua. Se si tratta, invece, di inabilità permanente parziale essa viene proporzionalmente ridotta con riguardo al grado di invalidità permanente di cui 1'assicurato risulta portatore. La tabella allegato n. 7 al T.U. 1965 (« Aliquote percentuali basi di retribuzione per il calcolo delle rendite e rendita base annua per ogni mille lire di retribuzione ») indica per ciascun grado, compreso fra 1’11 e il 100%, la rendita spettante all’assicurato per ogni mille lire di retribuzione annua, accertata secondo quanto detto.

LA RIVALUTAZIONE PERIODICA

 

L’articolo 10 della legge 19 gennaio 1963 n. 15 prevede che “all'articolo  40  del  regio decreto 17 agosto 1935, numero 1765, e successive  modificazioni,  e' aggiunto il seguente comma "Le rendite liquidate  sulle  retribuzioni  convenzionali  previste  dal presente articolo  sono  riliquidate  ogni  triennio  a norma dell'articolo 39 sulla  base  delle retribuzioni convenzionali in vigore alla scadenza di  ciascun  triennio,  sempreche' sia intervenuta una variazione non inferiore  al 10 per cento; in mancanza di retribuzioni convenzionali cui  fare  riferimento  si  applica  il  disposto  del  quinto  comma dell'articolo 39".

 

Le variazioni inferiori al 10 per cento intervenute nel corso di un triennio si computano con quelle verificatesi nel triennio successivo per la riliquidazione delle rendite.”

 

L’articolo che disciplina il periodico adeguamento delle prestazioni previdenziali alla dinamica salariale introducendolo nel nostro ordinamento si muove in perfetta coerenza con gli artt36 e 38 Cost e con la funzione di parziale sostituzione della retribuzione che le prestazioni hanno.

 

“In relazione alla determinazione delle rendite per inabilità permanente dovute dall’INAIL ed alla rivalutazione delle stesse, il sistema normativo delineato prima dall’art. 116 T.U. 1965, poi dall'art. 1 L. 10 maggio 1982 n. 251 ed infine dall'art. 111 L. 30 dicembre 1991 n. 412 è sostanzialmente omogeneo,secondo Cassazione sez. lav dec.5100/2003, in quanto trova il suo perno sempre nella determinazione della retribuzione media giornaliera fissata con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, soggetta a revisione dopo un periodo di tempo (la cui durata è individuata diversamente dalle tre leggi), purchè si sia medio tempore verificata una variazione del costo della vita superiore ad una determinata soglia, anch'essa fissata in misura diversa da ogni singola legge. A questo riguardo è stato peraltro chiarito  in sede giurisprudenziale che l'adeguamento delle rendite non costituisce un indennizzo per svalutazione monetaria giacche’ esso è previsto non per compensare il danno subito a seguito della  svalutazione medio tempore intervenuta, ma per adeguare la rendita al costo della vita, non diversamente da quanto si veriflca per la retribuzione con l'indennità di contingenza.”

 

La retribuzione percepita dal lavoratore viene contenuta, agli effetti del computo della rendita, nei limiti di un minimale e di un massimale, con la conseguenza che se la massa salariale annua accertata è infe-riore al minimale, quest'ultimo viene assunto come base per il computo; se è superiore al massimale, la rendita viene calcolata su questa. In definitiva, la retribuzione percepita viene assunta come effettiva base per il calcolo solo se compresa nell’ambito di questi due parametri che non sono fissi ma suscettibili di periodica revisione, a mezzo di decreto ministeriale, in relazione alle variazioni intervenute, nell'arco temporale considerato, nei prezzi al consumo.Una volta che il decreto ministeriale abbia stabilito i nuovi minimali e massimali , tutte le rendite in corso di godimento vengono riliquidate su di essi, al fine di porle su di un identico metro salariale, indipendentemente dalla data nella quale si è verificato rinfortunio o si è manifestata la malattia professionale.

 

Ai sensi dell’art. 11 D.L.vo 23 febbraio 2000 n. 38, con effetto dall'anno 2000 e a decorrere dal 1° luglio di ciascun anno la retribuzione da assumere per la liquidazione delle rendite corrisposte dall’INAIL è annualmente rivalutata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenuta nell'anno precedente. I suddetti incrementi annuali sono riassorbiti nell’anno in cui scatta la variazione retributiva minima non inferiore al 10% fissata dall’art. 20, III e IV c, L. 28 febbraio 1986 n. 41, rispetto alla retribuzione presa a base per 1'ultima rivalutazkme effettuata (art. 4 D.M. 31 luglio2003). Per un esempio su tale ultimo aspetto si fa rinvio alla Delibera PRES-C.S. n. 464 del 21 giugno 2004.La rivalutazione ha effetto anche sulle rendite già costituite in precedenza in corso di godimemento, tranne quelle costituite nell’ultimo anno.

 

Il tema verrà ulteriormente approfondito quando ci occuperemo delle modifiche sopravvenute per effetto del’introduzione del danno biologico.

LA RENDITA PROVVISORIA DI INABILITA’ PERMANENTE

 

L’articolo 102 del TU prevede :”ricevuto il certificato medico costatante l'esito definitivo della lesione, l'Istituto assicuratore comunica immediatamente all'infortunato la data della cessazione dell'indennità per inabilità temporanea e se siano o no prevedibili conseguenze di carattere permanente indennizzabili ai sensi del presente titolo.

 

Qualora siano prevedibili dette conseguenze, L'Istituto assicuratore procede agli accertamenti per determinare la specie ed il grado dell'inabilità permanente al lavoro e, nel termine di trenta giorni dalla data di ricevimento del certificato medico di cui al comma precedente, comunica all'infortunato la liquidazione della rendita di inabilità, indicando gli elementi che sono serviti di base a tale liquidazione .

 

Quando per le condizioni della lesione non sia ancora accertabile il grado di inabilità permanente, l'Istituto assicuratore liquida una rendita in misura provvisoria, dandone comunicazione nel termine suddetto all'interessato, con riserva di procedere a liquidazione definitiva.

 

Nel caso di liquidazione di rendita non accettata dell'infortunato, ove questi convenga in giudizio l'Istituto assicuratore, quest'ultimo, fino all'esito del giudizio, è tenuto a corrispondere la rendita liquidata.”La data della comunicazione è anche data della costituzione della rendita, dalla quale decorrono i termini per le successive revisioni. Trascorsi 120 giorni dalla ricezione del predetto certificato medico,senza che si sia provveduto alla liquidazione,  sono dovuti gli interessi moratori.In caso di rendita provvisoria, infine, qualora vengano accertati postumi di grado non superore al minimo indennizzabile , la rendita provvisoria viene soppressa.La corresponsione della rendita cd. provvi-

 

soria non ha carattere vincolante nè per quanto concerne 1'entità del danno nè per quanto riguarda l’an debeatur, che può essere disconosciuto in sede di successivo accertamento tecnico, per il quale non è previsto dalla legge alcun termine finale. La rendita provvisoria non è suscettibile di revisione, essendo questa un istituto che riguarda esclusivamente la rendita definitiva.L'obbligo per l’lstituto assicuratore di procedere alla liquidazione della rendita prowisoria costituisce un'innovazione realizzata dal T.TJ. 1965 giacche in precedenza l'art. 42, III c, R.D. n. 200 del 1937 riconosceva un'ampia potesta discrezionale in materia .

QUOTE INTEGRATIVE

 

L’articolo  77 del TU 1124/1965 prevede che se l'infortunato ha moglie e figli, solo moglie o solo figli aventi requisiti di cui ai nn. 1 e 2 dell'art. 85 la rendita è aumentata di un ventesimo per la moglie e per ciascun figlio, indipendentemente dalla data di matrimonio e di nascita.

 

Tali quote integrative della rendita sono corrisposte anche nel caso in cui l'infortunio sia occorso ad una donna; a tale effetto, per quanto riguarda il coniuge, debbono ricorrere le condizioni di cui al secondo e terzo comma dei n. 1 dell'art. 85 .

 

Le quote integrative della rendita seguono le variazioni della rendita e cessano in ogni caso con questa, qualora non siano cessate prima per il decesso della persona per la quale furono costituite o per il raggiungimento del diciottesimo anno per i figli. Per i figli viventi a carico dei lavoratore infortunato dette quote sono corrisposte fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o professionale, e per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il ventesimo anno di età, se studenti universitari.

 

Le quote predette, che sono parte integrante della rendita liquidata all'infortunato, sono riferite per tutta la durata della rendita alla composizione della famiglia dell'infortunato stesso. La rendita è aumentata di 1/20 per il coniuge e per i figli fino a 18 anni, figli inabili, senza limiti di età, finché dura l’inabilità , figli viventi a carico fino a 21 anni e studenti di scuola media superiore e 26 anni se universitari.

 

Le quote integrative per i figli sono corrisposte fino al diciottesimo  anno di eta e, se inabili, senza alcun lirnite, anche se l'inabilita e posteriore alTevento lesivo . Se i figli sono studenti di scuola media o | professionale le quote spettano fino al raggiungimento del ventunesimo anno di eta; se studenti universitari per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno. In questi ultimi due casi, peraltro, e necessario fornire la prova della vivenza a carico del lavoratore infortunato, vivenza a carico che e invece presunta/iuris et dejure per la moglie e per i figli inabili o di eta non superiore ai diciotto anni. La Corte cost. 12 maggio 1988 n. 529  ha dichiarato l'illegittimita costituzionale dell’art. 77, II c, T.U. 1965 per violazione degli artt. 3 e 29 Cost. nella parte in cui, per il periodo di tempo anteriore all'entrata in vigore della L. 9 dicembre 1977, n. 903, riconosceva il diritto della moglie infortunata alla quota integrativa della rendita solo nell’ipotesi di riduzione dell’attitudine al lavoro del marito a meno di un terzo, anzichè per il semplice fatto della vivenza a carico della moglie, che e situa-zione considerata invece sufficiente per 1'ipotesi in cui 1'infortunato sia il marito.Le quote integrative hanno natura indennitaria e costituiscono parte integrante della rendita, giacche perseguono la funzione di risarcire i familiari dell’infortunato che, vivendo con quest'ultimo, risentono anch'essi della conseguenza dell'infortunio; pertanto, tali maggiorazioni non rappresentano un'erogazione assimilabile agli assegni familiari, e quindi, per essi non opera il divieto di cumulo sancito in generale dal1'art. 16,1 c, D.L. 2 marzo 1974 n. 30 fra i suddetti assegni e gli altri trattamenti di famiglia comunque denominati . Il tutto  purchè, per quanto concerne la moglie, non vi sia stata sentenza di separazione personale passata in giudicato e pronunciata per colpa di lei o di entrambi i coniugi.

PAGAMENTO

La periodicità del pagamento è mensile; la modalità è con accredito bancario o postale, oppure in contanti presso un ufficio postale la rivalutazione\rinnovo è su base annua.

LA CAPITALIZZAZIONE DELLE RENDITE

 

L’art. 75 del tu 1124/1965  prevede che qualora, dopo la scadenza del decennio dalla costituzione della rendita, il grado di inabilità permanente residuato all'infortunato risulti determinato in maniera definitiva nella misura superiore al dieci e inferiore al sedici per cento, è corrisposta, ad estinzione di ogni diritto, una somma pari al valore capitale, determinato in base alle tabelle di cui al primo comma dell'art. 39, dell'ulteriore rendita spettante, calcolata sul limite minimo di retribuzione annua ai sensi del terzo comma dell'articolo 116, applicabile al momento della liquidazione di tale somma. La Corte Cost.con decisione n. 93 del 9-4-1981 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale: 1) dell'articolo 75 del D.P.R. 30-6-1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui impone la capitalizzazione della rendita, calcolata nel minimo della retribuzione annua, e del combinato disposto degli artt. 75, 79 e 80 dello stesso D.P.R. nella parte in cui, per essere intervenuta la capitalizzazione relativamente al primo infortunio, esclude il diritto ad una rendita corrispondente al grado di invalidità derivata da due infortuni policroni, questione sollevata in rif. agli artt. 3, 35, 38 e 76 della Cost; 2) dell'art. 79 del D.P.R.- n. 1124/1965 e del combinato disposto dallo stesso articolo - con particolare riferimento all'inciso "o liquidati in capitale ai sensi dell'art. 75"- e dell'art 80 del medesimo D.P.R., questione sollevata in rif. agli artt. 3 e 38, 2° comma, della Cost.; 3) dell'art. 75 in relazione all'art. 212 dello stesso D.P.R., questione sollevata in rif. agli artt. 3, 35, 38 e 76 della Cost. (G.U. n. 165 del 17-6-1981). II provvedimento di capitalizzazione della rendita si fonda su tre presupposti: a) decorso del decennio dalla costituzione; b) esistenza di un grado invalidante superiore al 10 ed inferiore al 16%; c) stabilizzazione dell’invalidità che, risultando gia dagli atti in possesso dell’Istituto assicuratore, non richiedono particolari accertamenti. II decennio dalla costituzione della rendita decorre dal giorno successivo a quello della cessazione dell’inabilità temporanea assoluta.La giurisprudenza ha individuato questo momento nel provvedimento di riconoscimento e liquidazione della prestazione. II momento della liquidazione va individuato in quello nel quale si compiono le operazioni tecnico-contabili necessarie per la determina-zione quantitativa della somma in base ai criteri preventivamente enunciati o stabiliti e non in quello in cui aviene l’accertamento od il riconoscimento della relativa obbligazione.

 

In merito all’applicabilità dei termini di prescrizione l’Istituto con propria nota del 24 gennaio 2006 ha precisato che” l’art. 75 T.U., dopo aver indicato le condizioni in presenza delle quali trova applicazione l’istituto della liquidazione in capitale, dispone che, in presenza di dette condizioni, “è corrisposta, ad estinzione di ogni diritto, una somma pari al valore capitale …..dell’ulteriore rendita spettante”. Tale formulazione letterale rende palese che la liquidazione in capitale costituisce conseguenza giuridica necessaria del venire in essere delle condizioni normativamente previste. In altri termini, la liquidazione in capitale è una novazione ex lege dell’obbligazione dell’INAIL che, per effetto della norma, muta il suo oggetto, da prestazione periodica in forma di rendita a prestazione unica in forma di capitale. Da ciò consegue che la suddetta liquidazione:

 

•    costituisce per l’Istituto l’attuazione di un obbligo derivante dalla legge, come affermato anche dalla Corte di Cassazione (per tutte, sentenza n. 7142/2002);

 

•    non costituisce per il reddituario un diritto, ma piuttosto un obbligo a soggiacere al potere – dovere dell’Istituto di corrispondere il valore capitale “dell’ulteriore rendita spettante”.

 

L’assenza di ogni discrezionalità da parte dell’Istituto e del reddituario, e la circostanza che la liquidazione in capitale rappresenta un obbligo direttamente derivante dal dettato normativo, inducono a ritenere che l’istituto della prescrizione non sia applicabile alla fattispecie in esame. Pertanto, a rettifica delle direttive impartite con la lettera del 3 ottobre 2000, si fa presente che, ove per qualunque ragione non si sia provveduto a dare attuazione all’art. 75 T.U. alle scadenze previste dalla norma (e cioè al termine del periodo revisionale), la liquidazione in capitale può essere effettuata successivamente, in ogni momento, senza che a ciò osti alcun termine prescrizionale. Fermo restando quanto sopra, si precisa che, nei casi di tardiva liquidazione in capitale, i parametri per il calcolo del valore capitale (minimale retributivo, età dell’assicurato) devono essere assunti con riferimento al momento in cui il calcolo stesso viene effettuato, con contestuale cessazione della rendita e senza procedere, ovviamente, alla detrazione dei ratei nel frattempo corrisposti. Tanto è stato, da ultimo, ribadito dalla Suprema Corte con la citata sentenza n. 7142/2002, secondo la quale i criteri di calcolo dell’importo da liquidare in capitale “debbono essere riferiti al momento della liquidazione della somma, onde – quale che sia il momento della liquidazione - è illegittimo il riferimento a tempi anteriori”  giudici di legittimità hanno argomentato la decisione rilevando che “in caso di liquidazione compiuta molti anni dopo la scadenza del decennio, la retrodatazione del calcolo ossia il riferimento dei detti elementi al momento della scadenza, può portare ad un risultato, ossia ad un ammontare della somma capitalizzata detratte le rendite già pagate, così esiguo da annullarne l’utilità, ossia da annullare “l’ulteriore rendita” di cui all’art. 75”. Si ricorda, inoltre, che l’espletamento del procedimento revisionale non costituisce una condizione imprescindibile per la determinazione della capitalizzazione della rendita (Cassazione, sentenze nn. 876/1981, 6481/1985), con la conseguenza che la liquidazione in capitale, quando la revisione non sia più esperibile per scadenza dei termini, può essere effettuata sulla base delle risultanze degli atti di cui l’Istituto è in possesso, tenendo conto, in particolare, del grado di inabilità riconosciuto nell’ultimo accertamento medico – legale utile, sulla base del quale è stata calcolata la rendita che viene cessata. Si conferma, infine, che l’istituto della liquidazione in capitale non si applica alle “prestazioni particolari” erogate ai sensi dell’art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 38/2000, e successive modifiche. Ciò in quanto, come specificato nella lettera del 15 marzo 2000, le “rendite congelate in quanto non rettificabili” sono prestazioni “sui generis” non dovute ai sensi del testo unico, la cui conservazione è imposta dallo stesso art. 9. Si informa che sta per essere rilasciata, nella procedura informatica, una funzione che consentirà a ciascuna Sede di individuare i casi per i quali, pur ricorrendo le condizioni previste dall’art. 75 T.U., non si è ancora proceduto alla liquidazione in capitale.Tale funzione permetterà, altresì, di procedere alla liquidazione in capitale della rendita senza l’intervento dell’area medica.”

VARIAZIONI DELL’IMPORTO DELLA RENDITA

 

Gli importi della rendita possono subire delle modifiche dovute a variazioni del grado di inabilità; è possibile, infatti, che si abbia aumento, diminuzione o anche cessazione dell’indennità. . L'INAIL provvede direttamente dopo l'accertamento del grado di inabilità. Dopo la costituzione della rendita il danno di origine professionale può modificarsi nel tempo sia in maniera peggiorativa che in maniera migliorativa. Per poter garantire la costante corrispondenza tra il grado di invalidità ed il relativo indennizzo è previsto l'istituto della revisione periodica della misura della rendita. Tale revisione può essere attiva, se disposta dall'INAIL, o passiva, se richiesta dal reddituario. Questa può essere disposta o richiesta soltanto alle scadenze temporali appositamente previste ed entro un periodo massimo. È prevista, inoltre, la rivalutazione annuale a decorrere dal 1 luglio di ciascun anno, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo, stabilita con Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con quelli dell’Economia e delle Finanze, e della Salute. A tale tema verrà dedicato apposito contributo.

CASI DI INCUMULABILITA’E/O INCOMPATIBILITA

 

La rendita diretta e l'indennizzo per danno biologico possono generare forme di incompatibilità o incumulabilità  con le seguenti prestazioni previdenziali erogate dall'INPS:

 

assegno ordinario di invalidità (se riferito allo stesso evento o causa - art.1 comma 43, l. 335/95) Dal 1° settembre 1995 l'assegno di invalidità non è cumulabile con l'eventuale rendita vitalizia in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale, erogata dall'INAIL, se riferita allo stesso evento o causa. Se però la rendita INAIL è inferiore all'assegno INPS, il titolare riceve dall'INPS la differenza tra le due prestazioni. 43. Le pensioni di inabilità, di reversibilità o l’assegno ordinario di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, liquidati in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale, non sono cumulabili con la rendita vitalizia liquidata per lo stesso evento invalidante, a norma del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, fino a concorrenza della rendita stessa. Sono fatti salvi i trattamenti previdenziali più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge con riassorbimento sui futuri miglioramenti.Con l’art. 1, comma 2, del DL 24 novembre 2000, n. 346, è stato disposto che:“Per il periodo dal 1° luglio 2000 al 30 giugno 2001, il divieto di cumulo di cui all’art. 1, comma 43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non opera tra il trattamento di reversibilità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, nonché delle forme esclusive, esonerative e sostitutive della stessa, e la rendita ai superstiti erogata dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro spettante in caso di decesso del lavoratore conseguente ad infortunio sul lavoro e malattia professionale ai sensi dell’art. 85 del DPR 30 giugno 1965, n. 1124. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano alle rate di pensione di reversibilità successive alla data del 30 giugno 2000, anche se la pensione stessa è stata liquidata in data anteriore”, Con l’art. art. 73, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, è stato disposto che:

 

“A decorrere dal 1o luglio 2001, il divieto di cumulo di cui all’articolo 1, comma 43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non opera tra il trattamento di reversibilità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, nonché delle forme esclusive, esonerative e sostitutive della medesima, e la rendita ai superstiti erogata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) spettante in caso di decesso del lavoratore conseguente ad infortunio sul lavoro o malattia professionale ai sensi dell’articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano alle rate di pensione di reversibilità successive alla data del 30 giugno 2001, anche se la pensione stessa è stata liquidata in data anteriore”.Inoltre, con l’art. 78, comma 20 e comma 33, della stessa legge n. 338/2000, è stato stabilito che: “Per il periodo dal 1° gennaio 2001 al 30 giugno 2001, il divieto di cumulo di cui all’articolo 1, comma 43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non opera tra il trattamento di reversibilità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, nonché delle forme esclusive, esonerative e sostitutive della stessa, e la rendita ai superstiti erogata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro spettante in caso di decesso del lavoratore conseguente ad infortunio sul lavoro o malattia professionale ai sensi dell’articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, e successive modificazioni. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano alle rate di pensione di reversibilità successive alla data del 31 dicembre 2000, anche se la pensione stessa è stata liquidata in data anteriore” e che “Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del DL 24 novembre 2000, n. 346. La presente disposizione acquista efficacia a decorrere dal 27 gennaio 2001” ndr.La norma in questione incide solo sui trattamenti erogati dall'INPS, e non sulla rendita INAIL, che è assunta come parametro di riferimento per quantificare 1'entita della prestazione a carico del primo Istituto. Con l’art. 1, comma 43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, fu stabilito che le pensioni di inabilità, di reversibilità o l’assegno ordinario di invalidità, a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, liquidati in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale, non erano cumulabili con la rendita INAIL liquidata per lo stesso evento invalidante, fino a concorrenza della rendita stessa. La Corte di cassazione, chiamata a verificare l’applicabilità di tale divieto di cumulo alle pensioni ai superstiti, ha escluso che tale norma potesse riguardare la reversibilità delle pensioni di vecchiaia e di anzianità. L’INPS si è adeguata all’orientamento della Corte di cassazione e, con la Circolare n. 187 del 24 ottobre 2001, ha diramato le nuove disposizioni applicative del divieto di cumulo di cui all’art. 1, comma 43, della legge n. 335/1995. Con l’occasione l’INPS: - ha precisato che non rientra nel divieto di cumulo la “reversibilità” dell’assegno di invalidità in quanto, tale prestazione non è reversibile ai superstiti. I superstiti del titolare dell’assegno di invalidità, ricorrendone i requisiti, hanno diritto alla c.d. pensione indiretta; - ha ricordato che dal 1° luglio 2000 il divieto di cumulo di cui al ripetuto comma 43 dell’art. 1 della legge n. 335/1995, non è più operante per le pensioni di reversibilità per effetto dell’art. 1, comma 2, del DL 24 novembre 2000, n. 346, e dell’art. 73, comma 1, e dell’art. 78, commi 20 e 33, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 .

 

La Cass. civ., Sez. lav., 7 gennaio 2003 n. 30 ha,peraltro, precisato che il divieto di cumulo stabilito dalla norma succitata si riferisce alle sole ipotesi di concorrenza di trattamenti INPS e rendita INAIL derivanti dallo stesso evento invalidante, e non e applicabile in relazione a reversibilita di trattamenti di invalidita a carico dell'INPS originati da situazioni invalidanti diverse dall’infortunio o dalia malattia professionale determinativi della rendita INAIL in favore del lavoratore poi deceduto, in quanto la ratto del divieto di cumuloè quella di evitare 1'erogazione di prestazioni a carico di enti diversi, originate dal medeskno evento invalidante, liquidate in conseguenza di infortunio o malatria professionale. Pertanto, anche se l’infortunio indennizzato con rendita abbia per conseguenza la morte dell'assicurato, i superstiti possono cumulare il trattamento di reversibilita di vecchiaia con la rendita vitalizia a carico dell'INAIL.

 

Altro caso di incompatibilità è rappresentato dall’assegno mensile erogato dal Ministero dell’interno in favore degli invalidi civili parziali ex art. 13 della legge 30 marzo 1971 n. 118 dove, come chiaramente rappresentato nella circolare 54/1993 dell’Inail viene riconosciuta alll’interessato la facolta' di opzione per il trattamento piu' favorevole.

 

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