Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

GENERALIZZAZIONE DELL’ART. 18 VS INDENNITÀ TRANSATTIVA QUANDO IL LICENZIAMENTO HA RAGIONI ECONOMICHE di Marcello Pedrazzoli

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

 Nel merito.it

 

Propongo una combinazione imposta alla luce della legislazione comparata e che credo virtuosa: la generalizzazione del principio dell’art. 18, Statuto e, come contraltare in caso di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, la previsione di un diritto che il lavoratore a sua scelta può esercitare.

 

Premetto motivazioni minime della proposta. La «tabuizzazione» dell’art. 18 è ormai tanto profonda che bisogna imprimervi un segno positivo. Il riscontro offerto dai paesi europei paragonabili al nostro mostra che le legislazioni dei nostri vicini hanno a cuore, molto se non principalmente, il problema della calcolabilità dei costi del licenziamento e fanno di tutto per realizzarla.

 

In altri ordinamenti (segnalo Francia, Germania, Austria, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo), quando il giudice accerta l’illegittimità del licenziamento, ne consegue per legge o la reintegrazione, e/o l’indennizzo. Quale dei due rimedi debba essere adottato viene in concreto stabilito dal giudice, che tiene conto del tipo di motivo sottostante al licenziamento, delle risultanze processuali, del comportamento tenuto dalle parti nonché della situazione dell’azienda.

 

In Italia, quando il licenziamento si riferisce ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nelle unità al di sopra di una certa dimensione (semplificando, in quelle sopra i 15 addetti, la cd. area forte, costituita in Italia da circa la metà dei dipendenti, e cioè grosso modo da 9 milioni di lavoratori), la legge impone al giudice, quale che sia il tipo di motivo del licenziamento, di ordinare al datore la reintegrazione del lavoratore nel posto, nonché di condannare sempre il datore ad un risarcimento stabilito in una misura corrispondente alla retribuzione globale di fatto che l’illegittimamente licenziato avrebbe dovuto percepire. Poiché le cause di lavoro durano mediamente un anno e più nelle tre-quattro circoscrizioni di Tribunale più virtuose, ma anche più di quattro anni nelle peggiori (e questi tempi considerano solo il giudizio di primo grado), l’entità di tale risarcimento è incerta, dipendendo dalla micidiale e imprevedibile lunghezza del processo. Con la legge n. 109 del 1990 è stato poi consentito al lavoratore di «barattare» la reintegrazione con una ulteriore indennità - 15 mensilità che si aggiungono al risarcimento detto – per cui la reintegrazione è diventata da vent’anni la foglia di fico di una «monetizzazione» totale della perdita del posto. Con il risultato complessivo che, per fattori esogeni nell’area della cd. tutela forte non è più prevedibile in Italia, neppure alla lontana, a quali spese vada incontro l’imprenditore per gli effetti perversi dell’art. 18, se egli resta soccombente nel contenzioso sul licenziamento, tanto più in grado d’appello.

 

Nel mondo postindustriale e dell’economia globalizzata degli ultimi decenni i licenziamenti sono solo o quasi di tipo oggettivo (ovvero disposti per ragioni economiche, organizzative, aziendali, produttive). In Italia questa forza d’urto si infrange sull’art. 18, Statuto, che presenta un meccanismo remediale visibilmente sintonizzato sui licenziamenti per motivi soggettivi, quelli discriminatori e/o disciplinari, che non raggiungono l’uno per mille dei casi di licenziamento. Per evitare che il contenzioso comporti la imprevedibilità suaccennata dei costi anche per i licenziamenti di tipo oggettivo, da tempo in molti ordinamenti europei sono stabilite regole specifiche per essi, differenziate da quelle che presiedono ai licenziamenti per ragioni discriminatorie e disciplinari. Per un verso si sono ormai omogeneizzate in Europa, le discipline in materia di licenziamenti collettivi (che si imperniano anche da noi - l. n. 223 del 1991 – sugli obblighi di comunicazione alle controparti sindacali e agli organi amministrativi, in modo che le misure espulsive e il loro impatto sociale siano controllate ed attenuate). Ma pure le discipline sul licenziamento individuale dimostrano che il lavoratore licenziato per ragioni economiche può chiedere e ottenere - ad esempio in Germania, Austria, Spagna, Portogallo e finanche, in parte, in Gran Bretagna - un’indennità prefissata per legge; indennità che costituisce il prezzo a priori pagato dal datore se, nell’esercizio della libertà di impresa, dispone la soppressione di posti di lavoro e ha una valenza sociale. In tal modo, il lavoratore deprivato di un bene essenziale, fruisce almeno di un ammortizzatore, immediato e incontroverso, che preclude altresì, transattivamente, l’insorgere di una controversie sulla misura datoriale.

 

Alla luce di questi riscontri e motivi propongo anzitutto di aggiungere all’art. 18, Statuto alcuni commi, nei quali viene regolato il diritto del lavoratore licenziato per ragioni economico-aziendali ad ottenere comunque un’indennità, invece di nulla e/o invece di essere costretto a inabissarsi in una ingorgata strada giudiziaria per invalidare licenziamenti che, nella stragrande maggioranza dei casi, conseguono all’esercizio legittimo di potere imprenditorile. Temperato e forse esorcizzato da una siffatta possibilità alternativa il dissesto causato dall’art. 18, non sarebbe più fuori luogo generalizzare il discusso principio stabilito in questa norma; di tal che la reintegrazione e la condanna al risarcimento corrispondente alle retribuzioni perdute trovino applicazione a tutti i rapporti di lavoro, a prescindere dalla dimensione aziendale. In tal modo verrebbe meno una profonda, troppo intensa, disparità di trattamento nell’area cd. debole; ma questo non sfavorirebbe le unità minori perché nel contempo la previsione di un indennizzo a priori nell’assolutamente prevalente licenziamento economico, indurrebbe il lavoratore colpito a richiedere l’indennità, evitando la fortunosa via giudiziaria. Se poi questa dovesse essere intrapresa, il processo viene nella proposta accelerato per un verso imponendo un termine di soli 90 giorni per introdurre l’azione dopo l’impugnazione del licenziamento; per un altro verso facendo gravare sullo stato il peso del risarcimento del danno a favore del lavoratore trascorsi due anni dalla sua estromissione illegittima dal posto.

Con sguardo conclusivo d’insieme, nella proposta viene quindi riaffermato per tutti i lavoratori il diritto inviolabile della persona (art. 2, Cost.), se e quando è lesa da una misura imprenditoriale illecita. Ma nel contempo si attua un ragionevole bilanciamento fra i beni tutelati negli artt. 4 e 41 Cost., in quanto alla libertà di impresa, seppur legittimamente esercitata, accede l’obbligo di indennizzare il lavoratore colpito con la perdita del posto.

[In nota si può leggere la proposta di articolato1]

 

 ARTICOLATO (BOZZA)

Art. 1

All’art. 18, Statuto dei lavoratori sono aggiunti i seguenti commi:

«11. Se il datore di lavoro adduce che il licenziamento è basato su un giustificato motivo oggettivo, giusta la definizione di cui all’art. 3, l. 15 luglio 1966, n. 604, e di quanto essa comporta, il lavoratore può chiedere, entro 30 giorni dalla comunicazione del licenziamento, che gli sia corrisposta un’indennità in virtù della quale lo stesso non può più essere oggetto di impugnazione e azione.

12. L’indennità transattiva predetta è stabilita nella misura di 3 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore. Tale indennità è aumentata nella misura di un terzo della retribuzione mensile, per ogni anno di anzianità aziendale ulteriore al quinto, fino a raggiungere nel massimo la misura di 7 mensilità se il lavoratore era occupato nell’azienda da 17 anni.

13. Il datore di lavoro deve corrispondere l’indennità di cui ai commi precedenti, o farne offerta reale, entro 15 giorni dalla richiesta del lavoratore.

14. Nella sentenza che dichiara illegittimo il licenziamento, il risarcimento del danno a cui il datore di lavoro viene condannato grava sullo stesso nella misura corrispondente alla retribuzione globale di fatto spettante nell’anno successivo al momento dell’estromissione del lavoratore dal posto. Per il periodo eccedente tale primo anno, il risarcimento del danno subito dal lavoratore illegittimamente licenziato grava sull’amministrazione della giustizia.

15. Nel contenzioso in materia di licenziamento è fatto obbligo ai rappresentanti e difensori di rendere edotte le parti sulla vincolatività della regola della soccombenza in punto a spese di lite.

Art. 2

La misura dell’indennità di cui ai commi da 11 a 13 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori è dimezzata se il licenziamento per ragioni oggettive si verifica nelle unità di lavoro a cui si applica l’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

Art. 3

L’espressione «entro il successivo termine di duecentosettanta giorni», di cui al secondo periodo del 1° comma dell’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, modificato 2

 

dall’art. 32, 1°comma della legge 4 novembre 2010, n. 183, viene sostituita, anche per gli effetti di cui al 2° comma del medesimo art. 32, dall’espressione «entro il successivo termine di novanta giorni». Il termine di decadenza dall’efficacia dell’impugnazione del licenziamento così ridotto è operativo per tutti i licenziamenti disposti a partire dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.

[Variante che completa la propopsta con la generalizzazione dell’art. 18]

Art. 1

I. I commi 1°, 2° e 3° dell’art. 18 Statuto sono sostituiti dal seguente.

1. Ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell’art. 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.

II. All’art. 18 … sono aggiunti ecc.

[Seguono i commi da 2 a 8, che corrispondono ai commi da 4 a 10 del testo ora vigente dell’art. 18, nonché, rinumerati da 9 a 12, i commi da 11 a 14 della novellazione che abbiamo presentata sopra. Va altresì aggiunto un ultimo comma, con il contenuto dell’art. 2 della proposta (che risulta così eliminato come articolo a sé), recante la piccola modifica seguente: «… a cui si applicava, prima della novellazione intervenuta con la presente legge, l’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604».

Trattandosi di una bozza, vanno ovviamente riservate analisi più attente su vari aspetti, in particolare sulle ripercussioni, in termini di abrogazioni di, e/o di coordinamenti con, altre norme interferite da quanto proposto].

Bologna, 7 dicembre 2011 M. P.

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici