Avv. Paolo Nesta


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Corte di Giustizia Ue

Lavoro nell'Ue e legge applicabile al contratto-Rossella Schiavone –Ipsoa.it

 

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  1. Convenzione di Roma
  2. Regolamento Ce n. 593/2008
  3. Convenzione di Bruxelles e Regolamento Ce n. 44/2001
  4. Il caso
  5. Soluzione della Corte di Giustizia Ue
  6. Conclusioni

La Corte di Giustizia dell'Unione europea ha chiarito che, qualora un lavoratore svolga la propria attività in più Stati membri e le parti non abbiano scelto la legge applicabile al contratto di lavoro, per dirimere una controversia relativa a quel contratto, si applica la legge dello Stato dove si è svolta abitualmente la prestazione

Convenzione di Roma

La Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali nelle situazioni che implicano un conflitto di leggi (1), aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 e per questo conosciuta come Convenzione di Roma, prevede innanzitutto la libertà di scelta dei contraenti.

In effetti l’art. 3 della stessa, precisa che il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti che deve essere espressa o comunque risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizione del contratto o dalle circostanze, fermo restando la possibilità di designare la legge applicabile a tutto il contratto ovvero ad una sola parte di esso.

Con riferimento al contratto individuale di lavoro, l’art. 6 della Convenzione chiarisce che la legge applicabile ad opera delle parti non può privare il lavoratore dalla protezione assicuratagli dalle norme imperative di legge che regolerebbero il contratto in mancanza di scelta.

Per cui, in carenza di scelta, ai sensi del punto 2 dell’art. 6, il contratto di lavoro è regolato:

a) dalla legge del Paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato temporaneamente in un altro Paese,

oppure

b) dalla legge del Paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso Paese.

Tuttavia, se dall’insieme delle circostanze risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro Paese, allora in questo caso si applica la legge di quest’altro Paese.


 

(1) Convenzione di Roma, art. 1, comma 1, Campo di applicazione.

Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

12/04/2011

Regolamento Ce n. 593/2008

Il Regolamento Ce n. 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), è applicabile ai contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009 (2) e sostituisce la Convenzione di Roma negli Stati membri così come stabilito dall’art. 24 dello stesso regolamento il quale precisa, tra l’altro, che ogni riferimento alla Convenzione di Roma si deve intendere fatta al Regolamento Ce n. 593/2008.

Innanzitutto occorre chiarire che, in quanto regolamento, ci troviamo dinanzi ad un atto che ha efficacia immediata per i paesi dell’Unione, vincolante per gli Stati membri.

Il Regolamento in questione conferma la libertà di scelta dei contraenti in merito alla legge applicabile al contratto (3) sulla scorta della constatazione che tale libertà dovrebbe costituire una delle pietre angolari del sistema delle regole di conflitto in materia di obbligazioni contrattuali (4).

L’articolo relativo ai contratti individuali di lavoro è il n. 8 ed è supportato da alcuni considerando che vale la pena analizzare.

Innanzitutto è interessante il considerando n. 34per cui la norma sul contratto individuale di lavoro non dovrebbe pregiudicare l’applicazione delle norme di applicazione necessaria del paese di  distacco, prevista dalla direttiva 96/71/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi.

Si segnalano altresì i successivi considerando n. 35 e 36 in virtù dei quali:

· il lavoratore non dovrebbe essere privato della protezione accordatagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente o alle quali si può derogare soltanto a beneficio del lavoratore medesimo;

· per quanto riguarda i contratti di lavoro individuali, il lavoro eseguito in un altro Paese dovrebbe essere considerato temporaneo se il lavoratore deve riprendere il suo lavoro nel paese d’origine dopo l’esecuzione del suo compito all’estero. La conclusione di un nuovo contratto di lavoro con il datore di lavoro originario o con un datore di lavoro appartenente allo stesso gruppo di società del datore di lavoro originario non dovrebbe escludere che il lavoratore esegua il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo.

Posto quanto sopra, l’art. 8 del Reg. Ce 593/2008 conferma che un contratto individuale di lavoro deve essere disciplinato dalla legge scelta dalle parti anche se tale scelta non può privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata  applicabile.

L’obiettivo di tale norma è, come in passato, il voler assicurare al lavoratore una tutela adeguata in quanto parte contraente più debole.

La principale novità rispetto al passato - e cioè alla Convenzione di Roma - è costituita dal punto 2 il quale afferma che qualora «la legge applicabile al contratto individuale di lavoro non sia stata scelta dalle parti, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro».

Tale principio si applica anche in caso di spostamento temporaneo ed infatti è espressamente previsto che «il paese in cui il lavoro è abitualmente svolto non è ritenuto cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro paese in modo temporaneo».

Qualora, nonostante tutto quanto detto la legge applicabile non possa essere determinata, il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale si trova la sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore.
Infine, se dall'insieme delle circostanze risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un paese diverso, si applica la legge di tale diverso paese.

(2) Reg. Ce n. 593/2008, art. 28, Applicazione nel tempo.

(3) Reg. Ce n. 593/2008, art. 3, Libertà di scelta.

(4) Reg. Ce n. 593/2008, Considerando n. 11.

Convenzione di Bruxelles e Regolamento Ce n. 44/2001

La Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale all’art. 5 prevede che il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente:

- in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita; 
- in materia di contratto individuale di lavoro, il luogo è quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività; 
- qualora il lavoratore non svolga abitualmente la propria attività in un solo paese, il datore di lavoro può essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui è situato o era situato lo stabilimento presso il quale è stato assunto.

Il Regolamento Ce n. 44/2001, del 22 dicembre 2000, ha sostituito la Convenzione di Bruxelles ed il suo art. 19 stabilisce che il datore di lavoro domiciliato nel territorio di uno Stato membro può essere convenuto:

1) davanti ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato o

2) in un altro Stato membro:

a) davanti al giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente, o

b) qualora il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo paese, davanti al giudice del luogo in cui è o era situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto.

Il caso

Un autotrasportatore, il sig. K., residente in Germania, nel 1998 è stato assunto da un’impresa di autotrasporti internazionali con sede in Lussemburgo che si occupava di trasportare fiori e piante dalla Danimarca verso diverse destinazioni europee ma con una netta prevalenza verso la Germania.

Gli autocarri erano immatricolati in Lussemburgo e stazionavano in Germania ma in tale Stato la società non aveva né sede sociale né tanto meno uffici, mentre i conducenti beneficiavano della previdenza sociale lussemburghese.

In seguito all’annuncio di ristrutturazione e riduzione dei trasporti in partenza dalla Germania, i dipendenti hanno creato in Germania un Consiglio aziendale di cui il lavoratore in questione è stato eletto membro supplente.

Purtroppo la ristrutturazione e la riduzione dei trasporti annunciata c’è stata effettivamente e la società ha risolto nel 2001 il contratto con il sig. K. il quale ha impugnato il suo licenziamento in Germania.

Tuttavia, il Tribunale tedesco si è dichiarato incompetente ratione loci ed allora il lavoratore, dopo che anche il suo appello è stato respinto, ha citato l’azienda dinanzi al Tribunale di Lussemburgo chiedendo il risarcimento dei danni per il licenziamento illegittimo, il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e gli arretrati dello stipendio.

Le sue richieste si sono fondate sull’analisi delle norme applicabili al caso di specie, ritenendo per l’appunto che, nonostante il diritto lussemburghese sia lex contractus, in base alla Convenzione di Roma, art. 6, n. 1, alla controversia dovrebbe, invece, essere applicabile il diritto tedesco in mancanza di scelta operata tra le parti, il quale, a sua volta tutela i membri dei Consigli aziendali.

In virtù di quanto sopra, il licenziamento sarebbe illegittimo perché la legge tedesca, per l’appunto, vieta il licenziamento di membri del Consiglio aziendale e, per giurisprudenza, tale divieto si estenderebbe anche ai membri supplenti.

Nonostante tutto il Tribunale di Lussemburgo e la Corte di Appello hanno ritenuto che la controversia fosse soggetta solo al diritto lussemburghese.

A questo punto il lavoratore ha presentato ricorso contro il Granducato di Lussemburgo per violazione della Convenzione di Roma da parte degli organi giudiziari, chiedendo un risarcimento sulla base della legge lussemburghese sulla responsabilità civile dello Stato e degli Enti pubblici.

La Corte di Appello di Lussemburgo ha deciso di sospendere il giudizio ed ha sottoposto alla Corte di Giustizia Ue la seguente questione pregiudiziale:

«Se la norma di diritto internazionale privato definita (...) all’art. 6, n. 2, lett. a), [della Convenzione di Roma], che enuncia che il contratto di lavoro è disciplinato dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro, debba essere interpretata nel senso che, nell’ipotesi in cui il lavoratore esegua la prestazione lavorativa in diversi paesi, ma ritorni sistematicamente in uno di essi, questo paese deve essere considerato come quello in cui il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro».

12/04/2011

Soluzione della Corte di Giustizia Ue

La Corte di Giustizia Ue, analizzando la Convenzione di Roma e quella di Bruxelles ha evidenziato come già in altre occasioni aveva avuto modo di sottolineare che, qualora il lavoratore svolgesse le proprie attività professionali in più Stati contraenti, occorreva tenere in debito conto la necessità di garantirgli una tutela adeguata in quanto parte più debole del rapporto (sentenze Rutten e Pugliese).

In effetti, come sottolineato dall’Avvocato generale nelle sue conclusioni presentate il 16 dicembre 2010, la regola fondamentale stabilita dalla Convenzione di Roma per individuare la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali è data dalla libertà di scelta delle parti (art. 3 Convenzione) ma, in mancanza di scelta la legge applicabile è quella stabilita dall’art. 4 che prevede come criterio fondamentale l’applicazione della legge del paese con il quale il contratto presenta il collegamento più stretto.

Continuando nelle sue osservazioni, l’Avvocato generale ha sottolineato come, invece, l’art. 6 della Convenzione di Roma, che disciplina la legge applicabile al contratto di lavoro, sia lex specialis rispetto agli art. 3 e 4 della Convenzione di Roma.

Rifacendosi poi alla giurisprudenza della stessa Corte, è stato evidenziato come, con riferimento, invece, alla convenzione di Bruxelles, sia stato «affermato che i contratti di lavoro, rispetto agli altri contratti, anche quando questi riguardano prestazioni di servizi, hanno determinate particolarità, in quanto creano un nesso durevole che in qualche misura inserisce il lavoratore nell’ambito di una determinata organizzazione del datore di lavoro; il lavoratore è vincolato al luogo di esercizio dell’attività. Essa ha inoltre stabilito che nell’interpretare le disposizioni rilevanti della convenzione di Bruxelles è necessario tener conto della necessità di garantire un’adeguata tutela al lavoratore, quale parte contraente più debole».

In conclusione la Corte di Giustizia ha evidenziato come la sua giurisprudenza ha stabilito che “qualora le prestazioni lavorative siano eseguite in più di uno Stato membro, il criterio del paese dell’esecuzione abituale del lavoro deve formare oggetto di un’interpretazione ampia ed essere inteso nel senso che si riferisce al luogo in cui o a partire dal quale il lavoratore esercita effettivamente le proprie attività professionali e, in mancanza di un tale centro di affari, al luogo in cui il medesimo svolge la maggior parte delle sue attività”.

Una tale interpretazione ha l’indubbio vantaggio di essere anche conforme con le nuove norme di diritto internazionale privato relative ai contratti individuali di lavoro, introdotta dal regolamento Ce n. 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), ed in particolare all’art. 8 dello stesso Regolamento, relativo ai contratti di lavoro, le quali tuttavia non sono applicabili al caso di specie ratione temporis.

Inoltre, come la stessa Corte mette in rilevo, bisogna tener presente il “considerando” n. 23 del suddetto regolamento il quale, ispirandosi al principio del favor laboratoris, afferma che “per quanto riguarda i contratti conclusi da soggetti considerati deboli, è opportuno proteggere tali soggetti tramite regole di conflitto di leggi più favorevoli ai loro interessi di quanto non lo siano le norme generali”.

In definitiva, l’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione di Roma del 1980, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui il lavoratore svolga le sue attività in più di uno Stato contraente, il paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, ai sensi di tale disposizione, è quello in cui o a partire dal quale, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano detta attività, il lavoratore adempie la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro.

12/04/2011

Conclusioni

Conseguenza della decisione analizzata della Corte di Giustizia Ue è che nel caso di specie, tenendo conto della tipologia di lavoro svolto, il Giudice del rinvio dovrà stabilire in quale Stato si trovi il luogo a partire dal quale il lavoratore effettuava le sue missioni di trasporto, riceveva le istruzioni sulle sue missioni e organizzava il suo lavoro, nonché il luogo in cui si trovavano gli strumenti lavorativi.

Lo stesso dovrà anche verificare quali sono i luoghi in cui il trasporto è stato principalmente effettuato, i luoghi di scarico della merce nonché il luogo in cui il lavoratore ritornava dopo le sue missioni.

In definitiva stante l’interpretazione della Corte, il Giudice del rinvio dovrà risolvere la causa individuando il luogo abituale di lavoro del prestatore.

Tuttavia è d’obbligo evidenziare come la decisione della Corte di Giustizia Ue vincoli anche tutti gli altri Giudici dei Paesi membri ai quali verrà sottoposto un problema simile e quindi non solo con riferimento agli autotrasportatori ma anche con riferimento a tutti i lavoratori che svolgano la propria attività in diversi Paesi membri, cosa sempre più comune al giorno d’oggi.

 

 

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