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L'AVVERTIMENTO DELLA BCE di Angelo Baglioni –La voce.info

 

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L'aumento del tasso di interesse deciso dalla Bce è un avvertimento a banche e governi: la stampella monetaria sta per finire. Le banche non potranno più ottenere prestiti in quantità illimitata dalla Bce. Devono perciò mettere ordine nei bilanci e raggiungere un livello di capitalizzazione adeguato per accedere ai mercati finanziari. I governi devono avviare un aggiustamento delle finanze pubbliche e ripristinare la sostenibilità del debito nel lungo periodo. Nel frattempo, la crisi del debito sovrano di alcuni paesi va gestita con interventi tempestivi di Efsf e Esm.

L’aumento dall’1 all’1,25 per cento del tasso d’interesse da parte della Bce va visto come un segnale ai governi e ai sistemi bancari europei: la Banca centrale europea è sempre meno disposta a svolgere un ruolo di supplenza, garantendo senza limiti la liquidità delle banche e intervenendo a sostegno degli stati in difficoltà nel reperire finanziamenti sul mercato. Avvertimenti verbali ce n’erano già stati, ma ora siamo passati ai fatti.

LA STAMPELLA MONETARIA

Facciamo un passo indietro. Nell’ottobre 2008, all’indomani del collasso di Lehman Brothers e nel pieno della tempesta finanziaria, la Bce iniziò una serie di riduzioni del tasso di policy, portandolo gradualmente dal 4,25 all’1 per cento, dove è rimasto fino a giovedì scorso. Allo stesso tempo, modificò il modo con cui venivano effettuate le operazioni di politica monetaria. Fino ad allora, queste avvenivano mettendo all’asta tra le banche un certo ammontare di prestiti, predefinito ogni settimana dalla Bce. Ciò garantiva alla Bce il controllo dell’offerta di “base monetaria” (le riserve detenute dalle banche presso la banca centrale) e in ultima analisi della moneta in circolazione nel sistema economico. Governando l’offerta di base monetaria, la Bce controllava i tassi d’interesse sul mercato monetario, mantenendoli assai prossimi al tasso di policy. Dall’ottobre 2008, per sopperire al malfunzionamento del mercato monetario, la Bce ha deciso di passare a un’altra modalità di finanziamento: prestiti a tasso fisso e in quantità illimitata (le cosiddette operazioni “a rubinetto”). Da quel momento, la banca centrale ha perso il controllo della quantità di moneta, che è determinata dalla domanda di riserve delle banche, in presenza di un’offerta potenzialmente infinita. Prova ne sia che i tassi d’interesse del mercato monetario si sono spesso collocati ben al di sotto di quello di policy
Ma non è finita. Nel luglio scorso, la Bce ha iniziato una serie di acquisti di titoli del debito pubblico di paesi europei “periferici”, quali Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna posti sotto pressione dai mercati finanziari per i loro problemi di sostenibilità delle finanze pubbliche, con la finalità di sostenere il loro mercato dei titoli. Si è rotto così un “tabù”, cioè il divieto di finanziamento del Tesoro in base monetaria: quando acquista un titolo di stato, infatti, la banca centrale lo paga con una sua passività, la base monetaria appunto, contribuendo così alla creazione di altra moneta. Ufficialmente, questi acquisti di titoli sono “sterilizzati”: la Bce raccoglie depositi dalle banche in modo da ritirare dal mercato la base monetaria creata nel momento in cui acquista i titoli pubblici. Tuttavia, la “sterilizzazione” convince poco, in presenza di operazioni di politica monetaria con quantità illimitate: infatti le banche possono prendere a prestito dalla Bce tutta la liquidità che poi ri-depositano presso la Bce stessa nelle operazioni di sterilizzazione. (1) In parole povere: la Bce presta alle banche con la mano destra i soldi che ritira con la mano sinistra.

L'INFLAZIONE SI RIACCENDE

La Bce sta quindi svolgendo da tempo un ruolo di supplenza su due fronti: banche e governi. Sul primo fronte, supplisce al cattivo funzionamento del mercato interbancario: le banche hanno poca fiducia reciproca e sono restie e prestarsi soldi; preferiscono mantenere una ampia riserva di liquidità presso la banca centrale. Alcune banche hanno molta difficoltà a finanziarsi sul mercato a causa di problemi specifici (esposizione verso il settore immobiliare o verso il rischio “sovrano”, scarsa capitalizzazione) e sono costrette a ricorre alla banca centrale. Sul secondo fronte, i governi di tre paesi (Grecia, Irlanda, Portogallo) hanno dovuto ricorrere all’aiuto dei partner europei e dell'Fmi, non essendo più in grado di finanziarsi sul mercato a tassi sostenibili nel tempo. Nelle fasi che hanno condotto alla definizione degli aiuti, la Bce è stata costretta a sostenere i sistemi bancari e il mercato del debito pubblico di quei paesi. I problemi di quei tre paesi sono tutt’altro che risolti, e potrebbero allargarsi a altri (Spagna e Italia). Tutto questo pone la Bce in una posizione molto difficile, in cui l’autonomia della politica monetaria è messa in pericolo. La banca ha spesso reso noto il proprio disagio, avvertendo che tutti sono chiamati a fare la loro parte: non si può contare all’infinito sulla accondiscendenza della banca centrale.
Finché l’inflazione non destava preoccupazioni, la Bce si era limitata agli avvertimenti verbali. Ma quando il prezzo del petrolio e delle altre materie prime, comprese quelle alimentari, aumenta e il tasso d’inflazione si porta al 2,6 per cento (sopra l’obiettivo del 2 per cento), si passa dalle parole ai fatti. Peraltro i fatti sono appena cominciati, non solo perché all’aumento del tasso d’interesse della scorsa settimana ne seguiranno probabilmente altri nel corso di quest’anno. Ma soprattutto perché l’aumento dei tassi d’interesse dovrà essere accompagnato dal ritorno al controllo della moneta. Affinché un aumento del tasso di policy sia effettivo, occorre che sia accompagnato da una restrizione dell’offerta di riserve bancarie. Ma per fare ciò, la Bce dovrà ritornare al metodo tradizionale di condurre le operazioni di politica monetaria: asta con quantità di prestiti predeterminata. (2)
Banche e governi sono quindi avvertiti: la “stampella monetaria” sta per finire. Verrà il momento in cui le banche non potranno più ottenere prestiti in quantità illimitata dalla Bce. (3) Dovranno quindi mettere ordine nei loro bilanci e raggiungere un livello di capitalizzazione adeguata per accedere ai mercati finanziari. I governi devono avviare percorsi di aggiustamento delle finanze pubbliche credibili e che ripristino la sostenibilità del debito pubblico nel lungo periodo. Nel frattempo, la crisi del debito sovrano di alcuni paesi va gestita con interventi tempestivi dei fondi di stabilizzazione previsti (Efsf e Esm). Se la dimensione o le modalità d’intervento di questi fondi si rivelerà insufficiente, bisognerà integrarli o renderli più flessibili; ad esempio, prevedendo che possano acquistare titoli pubblici sul mercato secondario.    

(1)Un particolare curioso per chi ama le technicalities: i depositi presso la Bce, frutto delle operazioni di sterilizzazione, possono essere usati come collaterale per ottenere prestiti dalla Bce stessa. Quindi una banca può finanziare il deposito con un prestito dalla Bce, senza avere neppure bisogno di reperire il collaterale. 
(2) Non a caso, la seconda frase del comunicato di giovedì scorso sottolinea la natura temporanea delle misure non-standard di politica monetaria, tra le quali le operazioni “a rubinetto”.
(3) In realtà potranno ancora averli, ma a tassi molto penalizzanti (e purché abbiano il collaterale). Il rifinanziamento marginale comporta attualmente una penalizzazione di 75 punti base, che potrebbero tornare a 100 se il “corridoio dei tassi” tornasse ad avere l’ampiezza che aveva prima della crisi finanziaria.

 

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