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DECRETO INGIUNTIVO: LEGITTIMA L’OPPOSIZIONE SE L’INGIUNZIONE È EMESSA SENZA PARERE DELL’ORDINE E SULLA BASE DI UNA FATTURA CON IL TIMBRO “PAGATO” COME QUIETANZA?Cassazione, sez. II, 31 ottobre 2011, n. 22655-Diritto e processo.it

 

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1. È noto che, in base al combinato disposto degli artt. 633 e 636 c.p.c. la domanda monitoria relativa a crediti per prestazioni professionali deve essere accompagnata dalla parcella delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale. Nel caso di specie, pertanto, stante la mancata produzione di tale documentazione, il decreto ingiuntivo non avrebbe potuto essere emesso.

 

2. Il rilascio della quietanza non richiede forme particolari, sicché essa può essere contenuta anche nella fattura che il creditore invii al proprio debitore in ottemperanza alle norme fiscali e risultare da qualsiasi, non equivoca attestazione dell'adempimento dell'obbligazione, come l'annotazione "pagato" o altra equivalente, apposta sulla fattura, che riveli sia l'ammontare della somma pagata, sia il titolo per il quale il pagamento è avvenuto, sempreché tale annotazione sia sottoscritta dal soggetto da cui essa proviene, solo in tal modo potendo rivestire l'efficacia probatoria privilegiata propria della scrittura privata, a norma dell'art. 2702 c.c.

 

3. Non si richiede affatto che la dichiarazione di quietanza annotata sulla fattura sia autografa; sicché la stessa può essere costituita, come nella specie, anche da un timbro dattiloscritto con la dicitura "pagato". Affinché un documento possa assumere forza di scrittura privata, infatti, è necessaria l'autografia della sottoscrizione; mentre non è affatto richiesta l'autografia del testo, che può anche essere stampato, dattiloscritto o scritto a penna da terzi.

 

 

 

 

 

Cassazione, sez. II, 31 ottobre 2011, n. 22655

 

(Pres. Oddo – Rel. Matera)

 

 

 

 

 

Svolgimento del processo

 

Con atto di citazione notificato il 3-4-2000 l'A. P.s.a.s. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Torre Annunziata, con il quale, ad istanza del rag. D.D.R., le era stato intimato il pagamento della somma di lire 2.448.000, oltre interessi legali dal 30-12-1998, per prestazioni professionali di consulenza fiscale.

 

Con sentenza depositata il 4-3-2003 il giudice adito rigettava l'opposizione.

 

Con sentenza depositata il 17-10-2005 il Tribunale di Torre Annunziata rigettava l'appello proposto dall'opponente avverso la predetta decisione.

 

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l'A. P.s.a.s., sulla base di quattro motivi, chiedendo altresì la restituzione della somma versata in esecuzione della sentenza di primo grado.

 

Il D.D. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1) Con il primo motivo la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 633 n. 3, 636 c.p.c e 2697 c.c., nonché la falsa applicazione dell'art. 634 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha disatteso il primo motivo di appello, con cui si contestava la legittimità del decreto ingiuntivo opposto, emesso per un credito relativo a prestazioni professionali, nonostante la mancata produzione della parcella corredata dal parere dell'Ordine.

 

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2702 e 2708 c.c., 214, 215, 115, 116 e 345 c.p.c.. Deduce che il Tribunale ha errato nel non attribuire al timbro "pagato" apposto sulla fattura rilasciata dal D.D. valore probatorio dell'avvenuto pagamento. Rileva che la fattura munita dell'annotazione di pagamento debitamente sottoscritta dall'opposto non è stata disconosciuta tempestivamente, avendo il D.D. dedotto solo con la comparsa di costituzione in appello che "il timbro con la dicitura pagato era stato apposto successivamente ed arbitrariamente dalla società debitrice". Deduce, pertanto, che, dovendo la scrittura privata, ai sensi dell’art. 215 n. 2 c.p.c., considerarsi come riconosciuta, l'annotazione di pagamento debitamente sottoscritta dal D.D. fa piena prova del pagamento della fattura e, quindi, dell'estinzione del credito vantato dall'opposto.

 

Con il terzo motivo l'A. P.s.a.s. in liquidazione denuncia vizi di motivazione della sentenza impugnata, sia nella parte in cui ha ritenuto non provato il pagamento per il fatto che rassegno di lire 2.000.000 era stato incassato dal D.D. sei mesi prima dell'emissione della fattura, sia nella parte in cui ha ravvisato una contraddittorietà tra le tesi sostenute dall'opponente in relazione al versamento della ritenuta d'acconto.

 

Con il quarto motivo, infine, la ricorrente, dolendosi della violazione degli artt. 2315 e 2266 c.c. e della falsa applicazione dell'art. 214 c.p.c., nonché dell'insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito valore di riconoscimento del debito alla dichiarazione resa da C.G., socio non legale rappresentante della A. Planet.

 

2) Il primo motivo è fondato.

 

È noto che, in base al combinato disposto degli artt. 633 e 636 c.p.c. la domanda monitoria relativa a crediti per prestazioni professionali deve essere accompagnata dalla parcella delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere della competente associazione professionale.

 

Nel caso di specie, pertanto, stante la mancata produzione di tale documentazione, il decreto ingiuntivo non avrebbe potuto essere emesso.

 

Il Tribunale, nel disattendere le doglianze mosse dall'appellante circa l'illegittimità dell'emissione del decreto ingiuntivo, ha fatto implicitamente proprie le argomentazioni svolte dal giudice di pace, il quale, nel respingere l'opposizione, aveva ritenuto idonea prova scritta, ai sensi dell'art. 634 c.p.c., la fattura e la copia autentica del registro IVA. Ma è evidente che la norma da ultimo citata non può trovare applicazione nella fattispecie in esame, relativa a un credito per prestazioni professionali, riferendosi alle diversa ipotesi dei crediti per somministrazione di merci o di denaro ovvero per prestazioni di servizi.

 

A torto, d'altro canto, il giudice di appello ha ritenuto che la questione posta dall'appellante doveva considerarsi "superata" dalla "circostanza che il credito era esistente e dall'ulteriore assunto dell'appellante secondo il quale il menzionato credito era stato pagato per tempo". Gli esposti rilievi, infatti, possono assumere valore solo al fine della prova della sussistenza del credito nel giudizio di merito instauratosi a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla A. P.s.a.s. in liquidazione; ma non valgono a sopperire alla mancanza di un titolo idoneo per la richiesta e la concessione del provvedimento monitorio, ai sensi del menzionato art. 636 c.p.c..

 

Va osservato, in proposito, che l'opposizione a decreto ingiuntivo, anche quando è proposta allo scopo di sostenere l'illegittimità del ricorso alla procedura monitoria, instaura comunque un giudizio di merito sul credito vantato e fatto valere dal ricorrente con la richiesta - che assume veste di domanda - del decreto di ingiunzione, ed il relativo giudizio, anche quando il decreto sia revocato sul presupposto che non poteva essere concesso, si conclude con una pronuncia di merito sulla dedotta pretesa (Cass. Sez. 2, 10-9-2009 n. 19560). Il giudice dell'opposizione, pertanto, è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l'eventuale domanda riconvenzionale dell'opponente), ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio, e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso (Cass. Sez. 3, 12-5-2003 n. 7188; Sez. 2, 4-12-1997 n. 12311). Ciò non toglie, peraltro, che, anche ove accerti la sussistenza del credito azionato e accolga la domanda, il giudice dell'opposizione, nel rilevare l'eventuale mancanza delle condizioni che legittimavano l'emanazione del decreto ingiuntivo, deve revocare tale provvedimento, anche in considerazione dell'incidenza di tale statuizione sulla regolamentazione delle spese della fase monitoria, che nell'ipotesi considerata non possono essere poste a carico dell'opponente.

 

2) Anche il secondo motivo è meritevole di accoglimento.

 

Giova rammentare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il rilascio della quietanza non richiede forme particolari, sicché essa può essere contenuta anche nella fattura che il creditore invii al proprio debitore in ottemperanza alle norme fiscali e risultare da qualsiasi, non equivoca attestazione dell'adempimento dell'obbligazione, come l'annotazione "pagato" o altra equivalente, apposta sulla fattura, che riveli sia l'ammontare della somma pagata, sia il titolo per il quale il pagamento è avvenuto, sempreché tale annotazione sia sottoscritta dal soggetto da cui essa proviene, solo in tal modo potendo rivestire l'efficacia probatoria privilegiata propria della scrittura privata, a norma dell'art. 2702 c.c. (Cass. Sez. 2, 26-5-1993 n. 5919; Cass. Sez. 3, 31-7-2006 n. 17454).

 

Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, d'altro canto, non si richiede affatto che la dichiarazione di quietanza annotata sulla fattura sia autografa; sicché la stessa può essere costituita, come nella specie, anche da un timbro dattiloscritto con la dicitura "pagato". Affinché un documento possa assumere forza di scrittura privata, infatti, è necessaria l'autografia della sottoscrizione; mentre non è affatto richiesta l'autografia del testo, che può anche essere stampato, dattiloscritto o scritto a penna da terzi.

 

Tanto premesso, si osserva che in motivazione il Tribunale ha dato atto che la firma apposta dal D.D. nella fattura in questione non è stata disconosciuta dall'opposto; con la conseguenza che tale firma, a norma dell'art. 215 n. 2. c.p.c., deve aversi per riconosciuta.

 

È noto che il riconoscimento tacito, ex art. 215 c.p.c., della scrittura privata prodotta in giudizio, attribuisce a tale scrittura, secondo il disposto dell'art. 2702 c.c., valore di piena prova, fino a querela di falso, della provenienza della dichiarazione dal sottoscrittore. Ne consegue che, in mancanza di proposizione di querela di falso, il Tribunale non poteva negare la provenienza dal D.D. della dichiarazione di avvenuto pagamento risultante dal timbro "pagato" apposta nella fattura, avendo l'odierno resistente, con la sottoscrizione, assunto la paternità dell'intero testo del documento, comprensivo della predetta annotazione. Una simile assunzione di paternità non potrebbe di certo essere negata in base al rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui "la sigla non disconosciuta apposta dall'appellato è riportata in una parte della fattura deputata solo a raccogliere la firma e non anche a quietanzare la fattura". Non è possibile, infatti, scindere il contenuto di una scrittura privata sottoscritta, al fine di attribuire efficacia probatoria privilegiata solo ad una parte di esso.

 

Il Tribunale, pertanto, nell'ipotizzare che il timbro "pagato" potrebbe essere stato apposto successivamente e non in presenza del D.D., è incorso in una palese violazione di legge, non avendo tenuto conto dell'efficacia probatoria privilegiata attribuita dal citato art. 2702 c.c. alla scrittura privata riconosciuta o da ritenersi legalmente riconosciuta in base all'art. 215 c.p.c. Ove, infatti, avesse voluto sostenere che al documento da lui sottoscritto era stato aggiunto da terzi, abusivamente, il timbro "pagato", l'odierno resistente avrebbe dovuto impugnare il documento con querela di falso.

 

In mancanza, il giudice di merito non poteva esimersi dal ritenere la sussistenza della "piena prova" della provenienza della dichiarazione dal D.D. e, quindi, considerare vero, per prova "legale" - come tale non soggetta a valutazione discrezionale -, che il creditore aveva dichiarato, nei confronti della debitrice, di avere ricevuto l'importo della fattura; per poi passare a valutare, sul piano sostanziale, gli effetti derivanti da tale ammissione, di natura palesemente confessoria.

 

4) Per le ragioni esposte, in relazione ai primi due motivi di ricorso, s'impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice del Tribunale di Annunziata, il quale, nel procedere a nuovo giudizio, dovrà attenersi ai principi di diritto innanzi enunciati. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

Gli ulteriori motivi di ricorso restano assorbiti.

 

5) Nessuna pronuncia va adottata in ordine alla richiesta del ricorrente di restituzione della somma versata in esecuzione della sentenza di primo grado, trattandosi di domanda che, ai sensi dell'art. 389 c.p.c., va proposta al giudice di rinvio.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, assorbiti gli altri, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia per nuovo giudizio ad altro giudice del Tribunale di Torre Annunziata, anche per le spese del presente grado.

 

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