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Risposte ai quesiti più frequenti in materia di locazioni

Qual è la durata minima di un contratto di locazione ad uso commerciale? E ad uso abitativo?

Va subito premesso che, ai sensi dell'art.27 della L.392/78, la durata legale minima delle locazioni, aventi ad oggetto immobili non adibiti ad uso abitativo è, inderogabilmente, stabilita in anni sei, il che significa che la clausola contente un durata minima differente è nulla.

Ciò tuttavia non determina la nullità dell'intero contratto, il quale rimane valido ma la sua durata si prorogherà automaticamente sino al termine legale. A tale riguardo si richiama la seguente sentenza:

"in tema di locazione, la nullità della clausola che limita la durata di un contratto soggetto alle disposizioni dell'art. 27, legge 392/78 ad un tempo inferiore al termine minimo stabilito dalla legge determina l'automatica eterointegrazione del contratto, ai sensi del secondo comma dell'art.1419 c.c., , con conseguente applicazione della durata legale prevista dal quarto comma del su citato art. 27. È, viceversa, consentito alle parti convenire una locazione per periodi più lunghi di quello minimo previsto dalla legge, in quanto l'art. 27 Legge 392/78 considera inderogabile la sola durata minima senza porre limiti a quella massima (Cass. civ. Sez. III, 26-04-2004, n. 7927)

Occorre aggiungere, inoltre, che in virtù dell'art.28  della medesima legge sopra menzionata, il contratto, alla scadenza, si rinnova tacitamente di altri sei anni, salvo che venga inviata disdetta nei termini ivi previsti, ovvero dodici mesi prima della scadenza. 

Quando invece si parli di un contratto di locazione ad uso abitativo, la durata minima prevista dagli artt. 1 e seguenti della legge n. 431/98 è di anni 4, prorogabile tacitamente di ulteriori quattro, in mancanza di una tempestiva disdetta da far pervenire entro sei mesi prima della scadenza. Anche in questo caso la previsione di una durata inferiore comporterà in ogni caso l'applicazione della durata legale minima di quattro anni, contrariamente alla previsione delle parti.

Due anni fa si è rinnovato tacitamente per la prima volta un contratto di locazione ad uso commerciale di un fondo di mia proprietà. Pochi giorni orsono ho ricevuto la lettera dell’inquilino che dichiara di voler recedere dal contratto a far data dal prossimo 30 giugno per la sussistenza di gravi motivi. La sua richiesta è legittima?

 

Oltre che entro un anno dalla prima scadenza di un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, il conduttore può recedere da tale impegno contrattuale solo in presenza di gravi motivi, ai sensi dell'art. 27, comma 8, della legge n. 392/78.

Sul punto si precisa che per gravi motivi deve intendersi non la soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dallo stesso conduttore in ordine all'opportunità o meno di continuare ad occupare l'immobile locato, poiché, in tal caso, si ipotizzerebbe la facoltà di un recesso sostanzialmente arbitrario, contrario all'interpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma. Al contrario, i gravi motivi, che legittimano il recesso del conduttore da una locazione non abitativa, devono sostanziarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto ed, inoltre, devono essere tali da rendere oltremodo gravosa per lo stesso conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo. (in tal senso, Cass. civ. Sez. III, sent. 08-03-2007, n. 5328)

Lo sporadico utilizzo dell'immobile, ad esempio, costituisce certamente il risultato di una scelta unilaterale e non un fattore estraneo alla volontà del conduttore idoneo a giustificare il recesso.

In ogni caso, quand'anche si voglia condividere la sussistenza di gravi motivi, il recesso avrà efficacia, per espressa previsione di legge, solo dopo il decorso di sei mesi dalla data della comunicazione.

A tale riguardo si richiama una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui, "..... qualora le parti abbiano previsto, ai sensi dell'art. 27 della legge 392/78 la facoltà del conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione, l'avviso di recesso diretto dal conduttore al locatore, che indichi un termine inferiore a quello convenzionalmente stabilito dalle parti stesse o inferiore a quello minimo fissato dalla legge, conserva validità ed efficacia ma il termine di esecuzione deve essere ricondotto a quello convenzionalmente pattuito o a quello minimo semestrale fissato dalla legge. (Cass. civ. Sez. III, 16-01-2007, n. 831).

Ho convissuto per alcuni anni con il mio compagno in un appartamento condotto in locazione, il cui contratto era intestato a lui soltanto. Egli è deceduto purtroppo un paio di mesi fa. Il proprietario mi intima da allora di lasciare libero l'appartamento, minacciando di adire le vie legali. Come devo comportarmi?

In deroga a quanto stabilito dall'art. 1614 c.c., l'art. 6 della Legge n. 392/78, mantenuto in vigore anche dalla successiva Legge n. 431/98 in materia di locazioni ad uso abitativo, prevede che, in caso di morte dell'inquilino, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti e affini con lui abitualmente conviventi. Le condizioni affinché operi la successione nel contratto intestato al conduttore defunto sono pertanto due e debbono ricorrere entrambe: in primo luogo la "abituale convivenza" con il defunto di colui che intenda succedergli nel contratto stesso e, quindi, la qualità di coniuge o di erede, sia legittimo che testamentario, o di parente o affine.

A tali categorie di soggetti deve tuttavia essere aggiunto, a seguito dell'epocale sentenza n. 404/88 della Corte Costituzionale, il convivente more uxorio, a cui la Consulta ha appunto riconosciuto il diritto di succedere nella locazione al conduttore defunto, a prescindere dalla situazione familiare del titolare del contratto e dalla presenza di eredi legittimi. E' stata questa una delle prime fattispecie in cui i giudici italiani hanno attribuito rilevanza giuridica alla condizione della famiglia di fatto, che tuttavia rimane tuttora sprovvista di una tutela su un piano generale.

Lei ha pertanto pieno diritto di rispondere al proprietario di casa con una raccomandata a/r, nella quale faccia valere il Suo diritto a permanere nell'appartamento, nei medesimi termini ed alle medesime condizioni già accettate dal Suo compagno, in base alla normativa innanzi illustrata.

Quali spese condominiali gravano sul proprietario e quali sull’inquilino?

Per rispondere a tale domanda, occorre fare riferimento ad una serie di norme, quali l'art. 1576 c.c., l'art. 9 della legge n. 392/78 sull'equo canone, le decisioni giurisprudenziali e gli accordi intervenuti tra rappresentanti  dei conduttori da un lato e dei locatori dall'altro. Dal complesso di fonti ora indicato è possibile desumere il principio generale, secondo il quale, quando il bene locato è inserito in un contesto condominiale, le spese sono da suddividere tra locatore e conduttore nel senso di porre, in linea generale, a carico del primo gli esborsi relativi ad interventi di straordinaria manutenzione e di far gravare, invece, sul secondo le spese attinenti ad opere di ordinaria amministrazione.

In applicazione di tale principio, a titolo esemplificativo, risultano dunque dover essere sostenute dal proprietario le spese inerenti l'amministrazione del condominio in generale, l'installazione e la straordinaria manutenzione dell'antenna TV centralizzata, così come dell'ascensore e dell'impianto citofonico e videocitofonico, la sostituzione e la riparazione di grondaie e tubi pluviali, la realizzazione di opere murarie di riparazione alle strutture dello stabile, mentre il conduttore si ritiene obbligato a sostenere le spese di manutenzione e di esercizio dell'ascensore, nonchè a pagare le tasse per l'occupazione del suolo pubblico e per lo smaltimento dei rifiuti ed a sopportare i costi della fornitura dell'acqua e dell'energia elettrica.

Ho intenzione di vendere a terzi un appartamento di mia proprietà attualmente occupato da un inquilino. Come devo comportarmi nei confronti di quest’ultimo?

In base al combinato disposto degli artt. 1406 c.c. e 1599 -1603 c.c. la vendita del bene già locato comporta anche la cessione del contratto di locazione. Ne deriva pertanto che, qualora le parti non abbiano raggiunto un diverso accordo, l'acquirente si sostituisce al venditore nella posizione del locatore, senza necessità del consenso del conduttore, con la conseguenza che quest'ultimo è tenuto, di regola, a pagare i canoni all'acquirente nuovo locatore, solo a decorrere dalla data in cui riceve la comunicazione della vendita dell'immobile in una qualsiasi forma idonea. Dunque nei rapporti con il conduttore la sostituzione nel rapporto non avviene automaticamente, ma presuppone che del trasferimento di proprietà sia dato avviso al conduttore, il quale, dal canto suo, adempirà correttamente il proprio obbligo di pagamento del canone effettuando il versamento in favore del precedente proprietario, fino al momento in cui egli non sia adeguatamente informato dell'intervenuta vendita. Di contro, si precisa invece che, nel caso di trasferimento di proprietà dell'immobile locato all'attuale conduttore, è evidente che il contratto di locazione cessa di avere qualsiasi efficacia, a partire dal momento in cui la compravendita si perfeziona.

Si rileva comunque, da ultimo, che, qualora la vendita avvenga alla scadenza del primo quadriennio di contratto, previa disdetta inviata a norma dell'art. 3 lett. g) della legge n. 431/98, ovvero motivata con l'intenzione di vendere l'immobile a terzi, in mancanza della proprietà in capo al locatore di altri immobili ad uso abitativo, oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione, sul territorio nazionale, al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione, a norma degli articoli 38 e 39 della legge 392/78. Ciò significa che all'inquilino deve essere notificato un atto contenente gli estremi della proposta di acquisto pervenuta al proprietario, comprensiva del prezzo, affinché l'inquilino stesso possa essere preferito ad altri potenziali acquirenti, a parità di condizioni.

Quando, invece, il proprietario manifesti la volontà di vendere in qualsiasi altra fase del rapporto di locazione, all'inquilino non è riconosciuto alcun diritto di prelazione.

Mia figlia ha stipulato alcuni mesi fa un contratto di locazione ad uso abitativo di un immobile, che ha ben presto rivelato problemi di umidità e formazione di muffe lungo le pareti. Come si può risolvere la situazione?

Il quesito da Lei sollevato impone di soffermarsi sulla disciplina dettata dal nostro ordinamento in materia di vizi dell'immobile concesso in locazione e della relativa responsabilità del proprietario, a norma degli artt. 1578 e seguenti c.c.
La norma citata prevede espressamente che se, al momento della consegna, la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare alternativamente, in base alle proprie esigenze, la risoluzione del contratto di locazione o una riduzione del canone convenuto, salvo che si tratti di vizi dallo stesso conosciuti al momento della stipula del contratto o comunque facilmente riconoscibili. Il locatore, inoltre, è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati dai vizi dell'immobile, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna.
Ciò premesso, è indubbio che l'ingente presenza di umidità e muffa sembra dipendere da difetti strutturali dell'immobile e, quindi, costituisce un vizio grave dell'immobile stesso, che lo rende inidoneo all'uso abitativo pattuito, oltrechè malsano, e per questo motivo legittima di per sè il conduttore a domandare la risoluzione del contratto ex art. 1578 c.c. In questo senso si è più volte espressa la stessa giurisprudenza che ha precisato che l'invasione dell'umidità per effetto di trasudo dalle pareti costituisce un "deterioramento rilevante", un "vizio" che incide sulla funzionalità strutturale dell'immobile impedendone il godimento; in presenza di tale vizio il conduttore può legittimamente invocare la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1578 c.c.
L'unica ipotesi in cui non potrebbe ottenersi tale tutela nei confronti del proprietario consisterebbe nella circostanza che tale massiccia presenza di umidità fosse già presente sulle pareti dell'appartamento nel momento in cui Sua figlia lo ha visionato prima di concludere il contratto di locazione e, pur avendola notata, Sua figlia abbia comunque accettato l'alloggio nello stato di fatto in cui esso si trovava, conoscendo la possibile inidonietà dell'appartamento stesso alla funzione abitativa cui essa intendeva adibirlo (in tal senso Cass. sent. n. 14659/02). Qualora, invece, ad esempio, al momento della visita, il proprietario avesse tinteggiato di fresco l'appartamento, così da occultare a Sua figlia il problema, ovvero Sua figlia, verificate le muffe sulle pareti, avesse manifestato le proprie rimostranze ed il locatore la avesse rassicurata circa l'eliminazione dell'umidità a seguito di una corretta aerazione del locale, (in questo caso, auspicabilmente, alla presenza di testimoni), vi sarebbero tutti i presupposti per richiedere al proprietario la risoluzione del contratto di locazione o una diminuzione del canone, oltre al risarcimento dei danni subiti (quali gli effetti di eventuali bronchiti, cibi andati a male, spesa per l'acquisto di un eventuale deumidificatore, ecc.). Qualora il proprietario non concordi in tal senso, sarà necessario esperire al riguardo un'azione giudiziale tesa alla pronuncia di una sentenza di condanna al risarcimento, oltrechè di declaratoria dell'avvenuta risoluzione, nei confronti del locatore.
Peraltro, anche qualora in realtà Sua figlia fosse stata fin da subito ben conscia del problema, per avere visto le macchie di umidità sulle pareti dell'abitazione, senza essere particolarmente rassicurata al riguardo dal proprietario, Le rimarrebbe da invocare l'art. 1580 c.c., secondo cui quando i vizi della cosa o di una parte notevole di essa espongono a serio pericolo la salute del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti, il conduttore può ottenere la risoluzione del contratto, anche se i vizi gli erano noti, nonostante qualunque rinuncia.
In tal caso, tuttavia, non è riconosciuto all'inquilino l'ulteriore rimedio del risarcimento del danno eventualmente subito in conseguenza dei vizi, ma solo la risoluzione, almeno secondo certa Giurisprudenza (Cass. sent. n. 3636/98, che riconosce all'art. 1580 c.c. natura di norma eccezionale, pertanto non applicabile al di fuori del suo tenore letterale) Un diverso orientamento, tuttavia (Cass. sent. n. 915/99), afferma che il locatore sia ugualmente tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore per effetto delle condizioni abitative dell'immobile locato, quand'anche tali condizioni fossero note all'inquilino al momento della conclusione del contratto, dovendosi ritenere che la tutela del diritto alla salute prevalga su qualsiasi accordo tra privati di esclusione o limitazione della responsabilità del locatore.   

 

Vivo in un alloggio in affitto da oltre vent’anni, durante i quali ho regolarmente versato il canone, ma non ho mai sottoscritto alcun contratto. Il proprietario può richiedere il rilascio dell’immobile in qualsiasi momento?

In base alle informazioni da Lei fornite, il rapporto tra Lei ed il proprietario dell'appartamento si è instaurato di fatto, non essendo mai stato stipulato un contratto scritto. Si precisa, tuttavia, che il contratto di locazione, ai sensi dell'art. 1350 c.c., non necessita, ai fini della validità, della forma scritta.

Sul punto si richiama la seguente sentenza, secondo cui "la forma scritta ad substantiam (ovvero a pena di nullità) è prevista dall'art.1350 c.c. soltanto per quei contratti che originariamente prevedono una locazione di durata superiore ai nove anni (Cass. civ. Sez. III,16-02-1998, n. 1633)". Nel Suo caso, non essendo stata prevista fin dall'inizio una durata del rapporto eccedente i nove anni, rimane valido il contratto di locazione concluso verbalmente con il proprietario. La mancanza di forma scritta rileva esclusivamente nel senso di rendere sicuramente più difficile dimostrare gli accordi intercorsi relativi ad es. all'ammontare del canone, alla scadenza etc.

In altri termini, in difetto di atto scritto, che provi i termini del rapporto, bisogna necessariamente ricorrere ad altre prove, in primo luogo alla prova testimoniale. Grazie alle deposizioni dei testimoni che si rendessero necessarie a fronte di un'azione giudiziale promossa dal locatore per il rilascio dell'immobile, sarebbe comunque possibile determinare l'inizio del contratto di locazione in oggetto, da far coincidere con la data in cui di fatto Lei cominciò a godere dell'appartamento, e quindi i successivi rinnovi taciti del contratto, di quattro anni in quattro anni, in mancanza di precedenti disdette.

Anche in mancanza di forma scritta, dunque, il proprietario, per ottenere la liberazione dell'immobile, è tenuto ad inviarLe mediante raccomandata a/r la disdetta dal suddetto contratto, almeno sei mesi prima della prossima scadenza.

Gestisco un negozio di alimentari in un fondo in affitto; un paio di mesi fa ho ricevuto dai proprietari dei locali regolare e tempestiva disdetta dal contratto. Ho diritto ad una somma per ricompensarmi dell’avviamento commerciale che andrò a perdere, dovendo trasferire altrove la mia attività?

A tale riguardo trova applicazione l'istituto dell'indennità di avviamento commerciale, regolato dall'art. 34 della richiamata legge n. 392/78, nota anche come legge sull'equo canone. Tale disposizione prevede un deterrente alla cessazione dei rapporti di locazione commerciale, al fine di favorire il più possibile il radicamento delle attività produttive nel luogo in cui l'attività stessa si è avviata. In particolare, il legislatore stabilisce che, in caso di cessazione del rapporto che non sia dipesa da risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, dall'avvio, sempre nei confronti del conduttore, di una delle procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo, ecc.), oppure dalla volontà del conduttore stesso di rilasciare anticipatamente l'immobile a seguito dell'esercizio del diritto di recesso o mediante disdetta dal contratto, costui matura il diritto a conseguire dal locatore un'indennità pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto. Si può dunque sintetizzare che tale indennità non risulta dovuta ogniqualvolta il rapporto di locazione sia cessato per un fatto riconducibile al conduttore.
Il secondo comma del menzionato art. 34 sancisce poi il diritto del conduttore ad una ulteriore indennità, denominata aggiuntiva, pari all'importo della precedente, qualora l'immobile venga da chiunque adibito all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella stessa tabella merceologica che siano affini a quella esercitata dal conduttore uscente, qualora tale attività venga iniziata entro un anno dalla cessazione della precedente. Tale seconda indennità, tuttavia, condivide con la prima il medesimo presupposto, ovvero la circostanza che il rapporto locatizio sia venuto meno per una causa non imputabile al conduttore.    In ogni caso Lei, prima della restituzione del fondo al proprietario, avrà diritto a percepire un'indennità corrispondente a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto; se poi, entro l'anno successivo al rilascio, chiunque eserciti nel medesimo fondo l'attività di commercio di prodotti alimentari o similare, potrà pretendere un'ulteriore indennità dello stesso importo.

Ho appena preso in affitto un appartamento inserito in un condominio. Posso partecipare alle assemblee? E se sì, con quali poteri?
A tale riguardo la norma di riferimento è l'art. 10, commi 1 e 2, della Legge n. 392/78, tuttora in vigore sotto il profilo che qui interessa, la quale norma stabilisce che il conduttore ha il diritto di voto al posto del locatore nelle delibere dell'assemblea condominiale relative alle spese ed alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria. Egli può inoltre intervenire, anche se, in questo caso, senza diritto di voto, alle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni. Ad esempio, in base a tale principio, potrà essere chiesta la nullità delle delibere relative alle spese e alle modalità di gestione del riscaldamento centralizzato qualora l'inquilino non sia stato regolarmente convocato all'assemblea in cui una simile delibera sia stata adottata oppure il locatore voti al suo posto senza averne la delega. Occorre peraltro osservare che tale materia deve ritenersi comprendere l'insieme delle decisioni riguardanti l'acquisto dei combustibili, la manutenzione ordinaria dell'impianto, la data di inizio e di termine annuale del servizio, ecc., in sede di approvazione sia del preventivo sia del bilancio consuntivo di ogni esercizio.Infine, quando l'assemblea si trovi invece a deliberare in ordine ad eventuali modifiche da apportare ad altri servizi comuni del condominio, l' art. 10 vieta che le delibere così assunte trovino esecuzione se non sia stato preventivamente sentito, in sede assembleare, il parere non vincolante degli inquilini abitanti nell'edificio condominiale. 

 

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