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Condominio

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Condominio

In che modo deve essere approvato un regolamento condominiale? E in quale modo e misura può limitare i diritti dei singoli condomini?

Nel nostro ordinamento la disciplina in tema di regolamento condominiale è dettata dall'art. 1138 c.c., che, in primo luogo, stabilisce come la formazione di un regolamento sia obbligatoria ogniqualvolta nell'edificio vi siano più di dieci condomini. Inoltre la richiamata disposizione, insieme con la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte sul punto, assume un particolare interesse, distinguendo tra regolamento di natura regolamentare e di natura contrattuale.
Nell'ambito del regolamento condominiale, chiamato a regolare, tra l'altro, l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi facenti capo a ciascun condomino, hanno natura regolamentare e sono modificabili a maggioranza quelle clausole che coinvolgano interessi impersonali della collettività dei condomini, mentre hanno natura contrattuale e sono modificabili soltanto con il consenso unanime dei condomini quelle clausole che incidono direttamente sulla sfera soggettiva dei condomini stessi, ad esempio stabilendo i criteri di ripartizione delle spese oppure limitando i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni o attribuendo ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto agli altri (in tal senso, Cass. sent. n. 3733/87 e sent. n. 5626/02).
Quanto alle modalità di formazione del regolamento di condomino, occorre poi precisare che le clausole aventi natura contrattuale possono essere legittimamente approvate e vincolare così tutti i successivi proprietari delle unità immobiliari inserite nel medesimo condominio, sia che vengano approvate all'unanimità in sede assembleare, sia che vengano unilateralmente predisposte dal costruttore o, comunque, dall'originario proprietario dell'intero edificio e successivamente accettate dai singoli acquirenti nei rispettivi atti di acquisto. E' invece sufficiente la delibera assembleare adottata, in seconda convocazione, da una maggioranza pari ad un terzo dei partecipanti al condominio, che rappresenti almeno un terzo del valore complessivo dell'edificio, quando le clausole da modificare abbiano natura regolamentare.A titolo esemplificativo, una clausola contrattuale è quella che vieta ai condòmini di adibire l'abitazione di proprietà a determinate destinazioni diverse (esercizio pubblico, studio professionale, ecc.) oppure di tenere in casa cani e gatti; una clausola regolamentare è invece quella che disciplina gli orari di accensione dell'impianto di riscaldamento centralizzato. 

Mi interessa acquistare un locale comune situato all’interno del mio condominio e già adibito a portineria, prima della soppressione del relativo servizio comune. Come devo procedere?

A tale riguardo occorre prendere in considerazione quanto disposto dall'art. 1108 c.c., previsto dal legislatore in tema di comunione di diritti in generale, ma richiamato dal nostro codice civile anche all'art. 1139 c.c. in materia di condominio.
In base al tenore letterale del citato art. 1108 c.c., è richiesta una deliberazione della maggioranza dei partecipanti alla comunione che rappresenti almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune, affinchè si possano disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento, purché esse non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessivamente gravosa. La medesima maggioranza è altresì necessaria perchè possa ritenersi legittimo il compimento di altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, sempre che non risultino pregiudizievoli all'interesse di alcuno dei partecipanti.
E' invece espressamente prescritto il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni. Tale principio è stato peraltro recentemente ribadito dalla Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 4258/2006).Le converrà pertanto avvisare, mediante raccomandata a/r, l'amministratore dello stabile di inserire nell'ordine del giorno della prossima assemblea la Sua proposta di acquisto del suddetto locale comune, affinché venga sottoposta a discussione. Se la Sua intenzione rimane quella della compravendita, dovrà essere ottenuto il consenso di tutti gli altri condomini, se invece, come anticipato, Lei si accontentasse di prendere in locazione il medesimo fondo per un periodo inferiore ai nove anni, sarebbe sufficiente una maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresenti i due terzi del valore complessivo dell'edificio, espresso in millesimi.

el mio condominio per anni il ruolo di amministratore è stato assunto informalmente da uno dei condomini. Recentemente si è iniziato a parlare della nomina di un amministratore a tutti gli effetti di legge. Quando tale nomina è obbligatoria?

L'art. 1129 c.c. prevede che, quando i condomini sono più di quattro, è necessaria la nomina di un amministratore. Tale principio è inderogabile, tanto che, in caso di inerzia dell'assemblea dei condomini, ciascuno di essi potrà rivolgersi all'autorità giudiziaria, la quale procederà alla nomina, su istanza di parte, con provvedimento emesso in camera di consiglio, ovvero seguendo una procedura agile e snella.

L'assemblea, invece, se chiamata a deliberare in ordine alla nomina dell'amministratore, dovrà rispettare i quorum costitutivi e deliberativi previsti dall'art. 1136 c.c., secondo e quarto comma, secondo cui sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio da determinarsi in base alle tabelle millesimali.

L'amministratore dura in carica un anno, ma può essere revocato in ogni tempo dall'assemblea, oppure dall'autorità giudiziaria, su ricorso di un condomino, mediante decreto, nel caso in cui egli non renda il conto della sua gestione per due anni, o vi sia fondato sospetto di gravi irregolarità da parte sua.

La figura dell'amministratore, peraltro, deve essere considerata come quella di un mandatario dei compartecipi al condominio, i quali, dunque, mantengono il potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti, singoli e comuni, e rispondono solidalmente delle obbligazioni assunte dall'amministratore a nome e per conto del condominio.

 

Al fine di effettuare dei lavori di consolidamento del mio balcone, posto al primo piano dell’edificio condominiale in cui abito, sarebbe necessario che la ditta posizionasse una piattaforma mobile nel giardino pertinenziale all’appartamento sottostante, su cui affaccia il terrazzo in questione. Il proprietario del giardino, da me interpellato, ha però già detto di essere contrario. Posso costringerlo io a lasciar entrare gli operai, non avendo essi altra possibilità di intervento?

La norma di riferimento a tale riguardo è costituita dall'art. 843 c.c., il quale disciplina l' obbligo del proprietario di consentire al vicino l'accesso al fondo al fine di eseguire un' opera o recuperare un oggetto. A tale riguardo in giurisprudenza permane tuttora il dubbio sul fatto se l' obbligo di consentire l'accesso sia limitato alle ipotesi di impossibilità a transitare altrove o costituisca un limite della proprietà diretto anche al contemperamento di interessi contrapposti. La Suprema Corte, con la Sentenza n. 685 del 16/01/2006, è intervenuta sul tema, disponendo che, tra le diverse soluzioni possibili, sia necessario adottare quella che impone il minor sacrificio anche a favore di colui che richieda il passaggio, con ciò prediligendo l'orientamento meno restrittivo nell'applicazione della norma. Nella specie, era stato concesso il diritto di accedere alla terrazza comune di un edificio, per lavori, attraverso l'appartamento sottostante, evitando di costringere il condominio ad erigere costosi ponteggi. Il provvedimento riveste particolare rilevanza pratica, atteso che i contrasti relativi all' accesso al fondo (soprattutto giardini e lastrici) nel condominio sono tutt'altro che rari. Tuttavia il vicino, se non deve trarre alcun utile dall'accesso o dal passaggio (che debbono essere forniti gratuitamente) non deve neppure subire alcun pregiudizio patrimoniale e l'indennizzo deve corrispondere appunto al ristabilimento della situazione precedente l'accesso. Ma se questa è la finalità dell'indennizzo essa può essere utilmente conseguita anche se colui che entra nel fondo altrui e cagiona un inevitabile danno, ristabilisce con le necessarie opere la situazione esistente prima del suo ingresso. In tal caso, qualora il proprietario si ostini comunque ad impedire l'accesso per la realizzazione dell'opera necessaria, in una situazione, come quella da Lei prospettata, in cui, tra l'altro, non pare possibile alcuna soluzione alternativa, è possibile promuovere un'azione giudiziaria tesa al riconoscimento del diritto di accesso assicurato dal richiamato art. 843 c.c.

La palazzina in cui abito è composta da quattro piani, l’ultimo dei quali è occupato da due soli appartamenti, dotati di una terrazza ciascuno, che copre la colonna di abitazioni sottostante. Un condomino del terzo piano ha lamentato un’infiltrazione di acqua nel proprio appartamento dovuta ad un cedimento della guaina impermeabilizzante della terrazza. Come dovranno essere ripartite le spese da sostenere per il rifacimento del manto impermeabilizzante?

Il quesito sollevato impone di soffermarsi sulla disciplina dettata dal nostro ordinamento in materia di ripartizione delle spese inerenti la manutenzione e la conservazione di lastrici solari e terrazzi a livello, con particolare riferimento all'art. 1126 c.c.

Tale disposizione prevede espressamente che, quando l'uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire nella misura di un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico stesso, mentre gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo cui il lastrico serve, in proporzione al valore millesimale in cui si esprime la proprietà di ciascun condomino.
Una specifica responsabilità del condomino che usufruisca concretamente del lastrico, avendone diritto, potrà sussistere esclusivamente nel caso in cui venga provato che la necessità di provvedere alla riparazione o alla ricostruzione del suddetto lastrico sia sorta da un fatto, ovvero da una particolare condotta negligente, tenuta da tale condomino, il quale sarà allora obbligato a rispondere in via esclusiva dei danni cagionati ad altri condomini o a terzi, a norma dell'art. 2043 c.c.
In ogni caso, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, sono a completo carico dell'utente o proprietario esclusivo del lastrico, senza alcuna ripartizione tra gli altri condòmini, le spese attinenti a quelle parti del lastrico del tutto avulse dalla funzione di copertura (ad esempio le spese relative ai parapetti, alle ringhiere, ecc., collegate alla sicurezza del calpestio), mentre tutte le altre spese, siano esse di natura ordinaria o straordinaria, attinenti alle parti del lastrico solare svolgenti comunque funzione di copertura, vanno sempre suddivise tra l'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare ed i condomini proprietari degli appartamenti sottostanti, secondo le proporzioni indicate dal richiamato art. 1126 c.c. (in tal senso, tra l'altro, Cass., sent. n. 2726/02). La suddetta norma, inoltre, nel chiamare a partecipare alla spesa in questione, nella misura di due terzi, tutti i condomini dell'edificio o di quella parte di esso cui il lastrico serve, si riferisce a coloro a cui appartengono le porzioni immobiliari comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei condomini ai cui appartamenti il lastrico stesso non sia sovrapposto (così Cass., sent. n. 7472/01).
Infine, per quanto riguarda l'equiparabilità della nozione di lastrico solare a quella di terrazza a livello, si rinvia ancora una volta alla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui la terrazza a livello è destinata a dare un affaccio e ulteriori comodità all'appartamento cui è collegata e del quale rappresenta una proiezione verso l'esterno, ma quando assolve anche la funzione di copertura dell'edificio, può essere equiparata al lastrico solare e in questo caso si potrà richiedere al condominio la ripartizione delle spese di ristrutturazione nella misura stabilita dall'art. 1126 c.c. (così, tra l'altro, Cass., sent. n° 16067 del 21/12/2000). Alla luce di tali principi, pertanto, il condomino del terzo piano che utilizza in via esclusiva la terrazza in questione dovrà contribuire alla spesa complessiva nella misura di un terzo, mentre i restanti due terzi dovranno essere ripartiti soltanto tra quei condomini le cui unità immobiliari siano ubicate nella colonna sottostante la terrazza stessa, della cui copertura beneficiano. Ne deriva che i condomini abitanti nell'altra colonna dell'edificio non dovranno partecipare in alcuna misura a tale esborso.

Mia madre, che da alcuni mesi è costretta su una sedia a rotelle, vive al terzo piano in un condominio sprovvisto di ascensore. Noi familiari stavamo valutando la possibilità dell’installazione di un servoscala o di altra struttura analoga. Il condominio può impedirci di realizzarla?

La normativa di riferimento in tale materia è la Legge 9 gennaio 1989, n. 13, recante "Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati".
Tale disciplina, per quanto qui interessa, prevede che le modifiche alle parti comuni di un edificio residenziale privato con pluralità di proprietari, ovvero un Condominio, tendenti al superamento o all'eliminazione delle barriere architettoniche, potranno essere adottate, secondo quanto prescrive l'art. 2 comma 1 della suddetta legge, dall'assemblea condominiale secondo le modalità previste nell'art. 1136 commi 2 e 3 del Codice Civile, ossia, in prima convocazione, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore millesimale dell'edificio, e, in seconda convocazione, con un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio ed almeno un terzo del valore dell'edificio.
L'art. 2 comma 2 della citata legge n. 13/89 consente inoltre, nella ipotesi in cui il Condominio non approvi la innovazione prospettata o non si pronunzi su di essa entro tre mesi dalla stessa richiesta di modifica, effettuata per iscritto, che la persona con disabilità, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà, possa procedere autonomamente e a proprie spese alla messa in opera di particolari innovazioni sulle parti comuni o di uso comune dell'edificio, quali l'installazione di servoscala, o di altre strutture mobili e facilmente rimovibili, e la modifica dell'ampiezza delle porte di accesso.
Di contro le innovazioni, e non le mere modifiche, eseguibili ai sensi art. 2 comma 2 Legge n. 13/89, cioè quelle poste in essere dalla persona con disabilità (ovvero da chi ne esercita la tutela o potestà), a proprie spese, nell'ipotesi di rifiuto o mancata risposta da parte del Condominio, possono riguardare tassativamente soltanto gli interventi specificati nel comma stesso, quali, a titolo esemplificativo, il servoscala, la piattaforma mobile, i sistemi di apertura automatica di porte o cancelli, le carrozzelle elettriche montascale (ma non l'ascensore). Peraltro, se l'interessato è proprietario e le innovazioni da realizzare hanno ad oggetto parti comuni di un edificio condominiale, è necessario munirsi dell'autorizzazione del Condominio.
Se quindi l'Assemblea approva la modifica, con le maggioranze previste, la spesa sarà ripartita, secondo i criteri stabiliti nel Codice Civile, per quote millesimali (fermo restando la possibilità di ottenere il contributo di cui agli articoli 9 e seguenti della medesima legge dal Comune di residenza).
Se invece l'Assemblea non delibera l'innovazione (o comunque non si pronuncia entro tre mesi in merito ad essa), nell'ipotesi in cui le opere siano tra quelle comprese nell'elencazione formulata nel più volte citato art. 2 comma 2 e la persona con disabilità (o chi ne esercita la tutela o potestà) intenda avvalersi del diritto di farle eseguire ugualmente, le spese saranno a suo totale carico per l'espressa previsione contenuta nella medesima disposizione (sempre salvo il contributo di cui si è detto). Il condominio, pertanto, limitatamente alle tipologie di intervento sopra indicate (con esclusione, dunque, dell'impianto ascensore), non può opporre alcunché, qualora Lei e la Sua famiglia intendiate sostenere integralmente le spese che si renderanno necessarie.

Recentemente ho acquistato un appartamento in una località di villeggiatura in montagna, in cui l’impianto di riscaldamento è centralizzato. Considerato che io utilizzo l’immobile solo in maniera saltuaria, ho deciso di chiedere il distacco della mia proprietà dall’impianto comune. Come devo procedere nei confronti del condominio?

A tale riguardo occorre preliminarmente osservare che l'impianto centrale di riscaldamento è normalmente progettato, dimensionato e costruito in funzione dei complessivi volumi interni dell'edificio, cui deve assicurare un equilibrio termico di base.
Il passaggio di alcune unità abitative ad un impianto di riscaldamento autonomo comporta, ovviamente, il distacco delle diramazioni di tali unità dall'impianto centralizzato.
Orbene, tale distacco deve ritenersi vietato qualora incida negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, ovvero determini "uno squilibrio termico che può essere eliminato solo con un aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini che continuano a servirsi dell'impianto centralizzato" (Cass. N. 4023 del 1996).

Il distacco è invece consentito quando è autorizzato da una norma del regolamento di condominio o dall'unanimità dei partecipanti alla comunione oppure quando "il condomino interessato provi che da questo deriverà un'effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto centrale" (Cass. N. 1597 del 1995).
A titolo esemplificativo, dunque, può dirsi che, se le spese relative all'uso dell'impianto ammontano a 100 e 4 sono i condomini con uguali quote, il distacco di due condomini sarà legittimo soltanto qualora le spese di esercizio si riducano da 100 a 50. Ulteriore requisito richiesto è che l'impianto non subisca, in conseguenza del distacco, uno squilibrio che lo danneggi, ovvero è necessario che questo, costruito per servire 4 appartamenti, ne possa servire un numero inferiore senza subire alcun pregiudizio.
Anche nell'ipotesi in cui il distacco è consentito, peraltro, il passaggio all'impianto di riscaldamento autonomo delle unità abitative interessate deve essere autorizzato dall'assemblea condominiale con le maggioranze di cui all'art. 1136, comma 5, c.c. - ovvero con la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio -, in quanto il distacco delle derivazioni dall'impianto principale è da considerarsi "innovazione" ai sensi dell'art. 1120 c.c..
Strettamente connessa a quanto sopra esposto è poi la problematica relativa al concorso alle spese di esercizio, manutenzione e conservazione dell'impianto centralizzato da parte di coloro che abbiano distaccato il proprio impianto di riscaldamento da quello comune.
L'art. 1118, secondo comma, c.c. prevede che il condomino non può, rinunziando al proprio diritto sulle parti comuni dell'edificio, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione.
Parte della giurisprudenza, applicando estensivamente la suddetta disposizione legislativa, ha statuito che "il singolo condomino non può sottrarsi all'obbligo di concorrere, secondo la ripartizione risultante dalla tabelle millesimali, alle spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione immobiliare dal relativo impianto senza che rilevi in contrario la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi energetici" (Cass. N. 4278 del 1994).

Viceversa un orientamento giurisprudenziale più recente è dell'avviso che "autorizzato dall'assemblea dei condomini il distacco delle diramazioni di alcune unità immobiliari dall'impianto centrale di riscaldamento - sulla base della valutazione che dal distacco sarebbe derivata un'effettiva riduzione delle spese di esercizio e, per contro, non sarebbe stato determinato uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto - e venuta meno la possibilità che i medesimi locali fruiscano del riscaldamento, i proprietari di queste unità abitative non devono ritenersi tenuti a contribuire alle spese per un servizio che nei confronti dei loro immobili non viene prestato" (Cass. N. 129 del 1999 e N. 1597 del 1995).
Secondo il mio parere - suffragato da alcune decisioni della Suprema Corte di Cassazione, v. per es. sentenza n. 10214 del 20/11/96 - occorre distinguere tra spese necessarie alla conservazione del bene comune e spese relative all'uso del bene stesso.

Le prime devono essere sostenute da tutti i condomini in rapporto al valore della proprietà individuale; le spese necessarie per l'utilizzazione, viceversa, sono ripartite in proporzione all'uso e all'utilità che ciascun condomino può trarne. I condomini che si distaccano dall'impianto centralizzato sono, quindi, sempre obbligati per le spese di conservazione, essendo sempre questi comproprietari dell'impianto, mentre ben possono essere esonerati dalle spese di gestione dell'impianto (gasolio, etc.).

Nel momento in cui la Sua decisione di distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento diventerà definitiva, Le consiglio dunque di rivolgersi ad un tecnico abilitato che possa dichiarare in un'apposita relazione la piena idoneità dell'impianto in questione a funzionare regolarmente, senza pregiudizio alcuno per gli altri condomini, anche a seguito del distacco del Suo appartamento. Dopodiché dovrà informare l'amministratore della Sua decisione, affinché egli ponga la questione all'ordine del giorno della prossima assemblea condominiale, allegando già, ove in suo possesso, la relazione tecnica suddetta alla lettera di convocazione degli altri condomini. Ciò non sarà necessario se una clausola del regolamento condominiale autorizza già i singoli condomini a procedere al distacco.

Il bilancio consuntivo dell’anno 2007, inviato dall’amministratore condominiale contestualmente alla lettera di convocazione alla prossima assemblea ordinaria annuale, comprende voci poco chiare ed indica degli importi che ritengo spropositati rispetto al bilancio preventivo già approvato. Posso chiedere all’amministratore di visionare i singoli documenti contabili prima dell’assemblea?

La domanda formulata impone di soffermarsi sul diritto dei condòmini di accedere alla documentazione condominiale tenuta dall'amministratore, così come configurato dalla giurisprudenza della Cassazione, sulla base dell'appiglio testuale fornito dall'art. 1130, ultimo comma, c.c., secondo cui l'amministratore, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della propria gestione.

A lungo la Suprema Corte ha ritenuto a tale riguardo che il potere del singolo condomino di controllare la gestione dell'amministratore e la documentazione ad essa inerente sussistesse, normalmente, in sede di rendiconto annuale, nonchè di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea, mentre, all'infuori di tale sede, il diritto del condòmino di ottenere dall'amministratore l'esibizione di determinati documenti contabili può essere riconosciuto solo ove si deduca e dimostri uno specifico interesse in tal senso (così Cass. sent. n. 2220/84). In epoca più recente, invece, i giudici di legittimità hanno affermato il principio in base al quale ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere ed ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo, e non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea, e senza l'onere di specificare le ragioni della richiesta, finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, purché l'esercizio di tale facoltà non risulti di ostacolo all'attività di amministrazione, non sia contraria ai princìpi di correttezza e non si risolva in un onere economico per il condominio, dovendo i costi relativi alle operazioni compiute (copiatura, invio postale, ecc.) gravare esclusivamente sui condòmini richiedenti (in tal senso si vedano Cass. sent. n. 8460/98 e n. 15159/01).

Nel caso specifico da Lei prospettato, peraltro, la Sua richiesta è volta a consentirle un preciso controllo dell'operato dell'amministratore al termine della propria gestione annuale del Condominio, cosicché l'esibizione dei documenti contabili costituisce sotto ogni profilo un dovere dell'amministratore, ai sensi del richiamato art. 1130 c.c. Ne deriva che, se Lei vorrà attendere lo svolgimento dell'assemblea per effettuare tali controlli, in quella sede l'amministratore dovrà metterle a disposizione tutte le pezze giustificative del bilancio inviato a tutti i condomini; qualora, invece, Lei intenda compiere tale verifica prima della prossima assemblea, Le suggerisco di recarsi personalmente presso lo studio dell'amministratore, nel giorno e nell'ora che lui Le indicherà, così da poter consultare direttamente i documenti di Suo interesse.

Sono fortemente interessato all’acquisto di un appartamento inserito in un condominio in cui è stata recentemente ripristinata la facciata principale. Qualora l’attuale proprietario non avesse integralmente versato la propria quota, l’amministratore potrebbe pretendere da me la differenza?

Al riguardo, occorre fare riferimento alla disciplina dettata dal nostro ordinamento in tema di ripartizione delle spese condominiali, allorché un condomino trasferisca ad un terzo la proprietà di un'unità immobiliare inserita nell'edificio condominiale, ovvero all'art. 63 disp. att. cod. civ. Tale norma, che costituisce un'applicazione del principio generale contenuto nell'art. 1104 cod. civ., prevede che l'acquirente di un appartamento in condominio è tenuto a pagare le spese condominiali, seppure deliberate in assemblea dal suo dante causa, sia per l'anno di gestione in corso al momento dell'acquisto sia per l'anno precedente.

Rispetto ai terzi, infatti, il successore a titolo particolare si pone in una situazione di diritto-dovere, per cui sono trasferiti in favore della sua persona tutti i diritti (godimento e disponibilità della cosa) che i terzi devono rispettare, ma nel contempo gli sono trasferiti anche tutti gli oneri e gli obblighi inerenti l'unità immobiliare, ai quali egli non può sottrarsi. In particolare, quindi, in base a tale normativa, l'obbligo dell'acquirente di una unità condominiale sussiste anche relativamente alle spese approvate da una delibera precedente all'acquisto del proprio appartamento. In applicazione di tale principio, la quota parte relativa agli oneri per lavori di straordinaria manutenzione, pur deliberati prima del passaggio di proprietà, deve fare carico all'acquirente (in tal senso, tra le altre pronunce, Pret. Firenze, 26 febbraio 1991; Cass., sent. n. 981, 2 febbraio 1998, Sez. II). L'art. 63, comma 2, disp. att. cod. civ., innanzi illustrato, ha quindi lo scopo di fare sì che l'acquirente di un'unità immobiliare in condominio abbia cura, nel compiere l'acquisto, di accertarsi che il venditore abbia regolarmente pagato i contributi a suo carico, presumendosi altrimenti che nel prezzo di acquisto si siano tenuti nel debito conto i contributi ancora da pagare (così anche Pret. Bologna, 12 marzo 1994).

Ciò non toglie che in ogni caso il condomino subentrante, che abbia dovuto pagare i debiti condominiali lasciati dal suo dante causa o comunque derivanti da spese approvate dal proprio predecessore, ha diritto di rivalsa nei confronti di quest'ultimo.

Anche la Cassazione, infatti, ha chiarito che il cosiddetto principio dell'ambulatorietà passiva, che trova appunto riscontro nell'art. 63, comma 2 disp. att. cod. civ., comporta che l'acquirente di un'unità immobiliare condominiale possa essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali del suo dante causa, solidalmente con lui, ma non al suo posto, e opera nel rapporto fra il condominio ed i soggetti che si succedono nella proprietà di una singola unità immobiliare, non anche nel rapporto fra questi ultimi. In questo secondo rapporto, salvo che non sia diversamente convenuto tra le parti, è invece operante il principio generale della personalità delle obbligazioni condominiali, cosicché se, in virtù della regola innanzi richiamata, l'acquirente sia stato chiamato a rispondere delle obbligazioni sorte in epoca anteriore alla propria partecipazione al condominio, ha diritto a rivalersi nei confronti del venditore (Cass. civ., sent. n. 1956, 22 febbraio 2000, Sez. II).
Il preferibile orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione sul punto, peraltro, ritiene che l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese necessarie per la conservazione delle parti comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali sorga per effetto della delibera d'assemblea che approvi le spese stesse e non in seguito alla successiva delibera di ripartizione, volta solo a rendere liquido un debito preesistente e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, in base alle quali l'individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini è frutto di una semplice operazione matematica. Da tale principio la predetta giurisprudenza fa conseguire che, in caso di alienazione di un appartamento, obbligato al pagamento dei tributi risulti colui che sia proprietario al momento in cui la spesa viene deliberata (Cass. civ., sent. n. 9366, 26 ottobre 1996, Sez. II; Cass. civ., sent. n. 10370, 17 luglio 2002, Sez. III).

Ove Lei sia effettivamente interessato all'acquisto del suddetto appartamento, Le consiglio pertanto di verificare prima attentamente presso l'amministratore dello stabile se il venditore abbia fino ad oggi regolarmente corrisposto le spese condominiali di propria spettanza, cosicché non risultino pendenze al momento della vendita. Se così non dovesse essere, potrebbe pretendere che la posizione contabile del Suo dante causa venisse regolarizzata prima del passaggio di consegne, o almeno decurtarsi il corrispondente importo dal corrispettivo pattuito per l'acquisto. In questo modo eviterebbe di anticipare nei confronti del condominio delle somme, che potrebbe poi rivelarsi molto arduo recuperare successivamente nei confronti del precedente condomino.

Nel mio condominio uno dei proprietari dichiara di avere anticipato di tasca propria talune spese sostenute nell’interesse del condominio stesso, di cui ora chiede la restituzione. Egli, in particolare, avrebbe pagato l’intervento di una ditta specializzata su un impianto comune, avvertendo di ciò gli altri condomini solo oralmente. E’ giusto che venga rimborsato?

Una simile fattispecie è espressamente regolata nel nostro ordinamento dall'art. 1134 c.c., secondo cui il singolo condomino, il quale abbia sostenuto spese in relazione alle parti comuni dell'edificio in mancanza di un'autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea, non ha diritto ad alcun rimborso, salvo che dimostri che la spesa da lui affrontata avesse carattere urgente. 
La legge, dunque, detta un principio generale in base al quale nulla deve essere rimborsato al condomino quando sostiene una spesa senza l'autorizzazione da parte dell'amministratore o dell'assemblea. Solitamente, dunque, quand'anche ritenga necessario effettuare una spesa per lavori di manutenzione ordinaria o straordinaria, il singolo non può provvedervi senza aver prima ottenuto il benestare dell'amministratore, a sua volta legittimato a concederglielo solo dopo che l'assemblea abbia approvato i lavori e deliberato la relativa spesa.

Tuttavia, di fronte all'urgenza di intervenire per evitare maggiori danni alle parti comuni o anche a quelle di proprietà esclusiva, la legge autorizza il singolo condomino a fare eseguire il lavoro e, in deroga al principio generale, a richiedere il rimborso della spesa da lui sostenuta. Resta il problema di valutare l'urgenza dell'intervento, presupposto che deve essere esaminato con una certa elasticità, soprattutto considerando il particolare momento in cui la decisione è stata presa.
Deve prevalere la cosiddetta ragione del buon padre di famiglia, nel senso che va ritenuta urgente la spesa riguardante un intervento la cui esecuzione non può essere differita - senza danno o pregiudizio per le cose comuni o di proprietà esclusiva - al tempo in cui possa essere compiuto dall'amministratore, previo consenso dell'assemblea oppure dopo attenta valutazione circa l'indispensabilità dell'esecuzione da parte dell'amministratore stesso.

Questo può accadere, per esempio, durante il fatidico mese di agosto oppure in occasione di festività, quando, non riuscendo magari a contattare l'amministratore o non potendo comunque ottenere un tempestivo intervento di costui, il condomino si vede obbligato ad assumere una rapida decisione per evitare che, da un mancato pronto intervento, possano derivare seri pregiudizi per il condominio. Basti pensare all'improvvisa rottura di una tubazione condominiale o ad un allagamento delle parti comuni a seguito di un nubifragio, casi in cui un intervento immediato da parte del singolo condomino può evitare un maggior danno per l'intera collettività condominiale. Dunque, una volta accertata l'urgenza e la necessità improrogabile di eseguire un lavoro per evitare un maggior danno, il condomino, pur senza incarico da parte dell'amministratore o dell'assemblea, ha il dovere di procedere senza indugio all'esecuzione dell'opera occorrente, dopodiché è legittimato a chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate, che sia ovviamente in grado di documentare.

Sono proprietario di un appartamento sito in un Condominio e il mio inquilino, nonostante i continui richiami miei e degli altri condomini, continua a commettere infrazioni al regolamento condominiale. Posso essere considerato responsabile? Cosa posso fare per andare esente da responsabilità?

Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la mera qualità di locatore crea in capo allo stesso un diritto – dovere di vigilanza sull’operato del conduttore (Cass., 17 luglio 1973, n. 2093).

Ciò comporta che è preciso onere del locatore (il padrone di casa, per intenderci) verificare la corretta osservanza del regolamento condominiale da parte del conduttore (l’inquilino), posto che le norme regolamentari sono poste a tutela dei coesistenti diritti di tutti i condomini (così Cass., 29 agosto 1997, n. 8239).

Pertanto, qualora il locatore abbia notizia (perché, magari, informato dagli altri condomini o dall’amministratore), di violazioni del regolamento condominiale da parte del proprio conduttore, è tenuto a richiamare il conduttore stesso e a porre in essere tutte quelle misure e cautele necessarie volte a far cessare le violazioni predette.

Il locatore potrà andare esente da responsabilità solo nel caso in cui dimostri di aver adottato, in relazione alle circostanze, tutte le misure idonee, alla stregua del criterio generale di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., a far cessare gli abusi, ponendo in essere iniziative che possono arrivare fino alla richiesta di anticipata cessazione del rapporto di locazione (Cass., 16 maggio 2006, n. 11383).

Nel mio condominio un condomino, di propria iniziativa e senza consultare nessuno, ha modificato la canna fumaria. Siccome siamo sei condomini e non è stato nominato ancora un amministratore, se volessi agire in giudizio per far ripristinare la canna fumaria devo convenire in giudizio tutti i condomini?

Prima di affrontare il problema della canna fumaria, occorre prima ricordare come, ai sensi dell’art. 1129 c.c., qualora i condomini siano più di quattro, è necessaria la nomina di un amministratore; qualora l’Assemblea non provveda in tal senso, ciascun condomino può ricorrere all’Autorità Giudiziaria (il Tribunale), la quale provvederà a nominare un Amministratore di Condominio.

Per quanto attiene il problema in esame, essendo la canna fumaria un bene comune, un singolo condomino non può modificarla o compiere qualsiasi opera sulla stessa se ciò non è stato deliberato dall’Assemblea secondo le maggioranze di legge.

Pertanto, qualora vi sia una necessità di agire in giudizio (magari perché le modifiche apportate possono causare gravi danni alla canna fumaria, limitandone ad esempio il tiraggio) prima della nomina dell’Amministratore, il singolo condomino può, diversamente che in passato, convenire in giudizio solamente il condomino che ha effettuato le opere non autorizzate.

Infatti, la Corte di Cassazione, con pronuncia n. 19329 del 7 settembre 2009, modificando il precedente orientamento, ha stabilito che, nel giudizio diretto all’eliminazione di opere abusive compiute da altro condomino sulle parti comuni, non è necessario procedere all’integrazione del contraddittorio a tutti gli altri comproprietari condomini.

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