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(Estratto da Diritto e Processo
formazione n. 12/2011)
QUAESTIO IURIS
Nell’ambito dell’ampia tematica del
danno patrimoniale e non patrimoniale, da sempre
dibattuta è la questione riguardante il danno da
uccisione di un proprio congiunto. La problematicità è
correlata al fatto che qui si intrecciano una serie di
profili, riguardanti, in particolare, il risarcimento
del danno biologico iure ereditario, nonché il relativo
criterio di liquidazione.
In linea generale, giova ricordare
che la Corte Costituzionale, con una nota pronuncia
(sentenza n. 372/1994), aveva seguito una concezione
restrittiva del risarcimento, affermando, con
riferimento al profilo iure ereditario, che il
risarcimento del danno biologico patito dal defunto e,
dunque, trasmissibile agli eredi, sussiste solo quando
la morte non è istantanea ed intercorre un apprezzabile
lasso di tempo tra la lesione e la morte. Ciò sulla
considerazione che in caso di morte subitanea non c’è la
possibilità di percepire la lesione alla salute che
faccia maturare un diritto risarcibile.
In seguito, la giurisprudenza ha
cercato di tradurre in termini monetari il pregiudizio
discendente da lesioni alla salute con esito mortale,
puntando l’attenzione, soprattutto, alla valorizzazione
del danno sofferto nell’apprezzabile lasso di tempo che
intercorre tra la lesione e la morte.
Precisamente, secondo la Corte di
Cassazione (si veda tra le tante, Cass. n. 11003/2003)
la valutazione di questo tipo di danno va fatta
considerando le peculiarità che la lesione ha sulla
salute, posto che, in tale ipotesi, la compromissione
dell’integrità psico-fisica è soggetta ad un
aggravamento che porta inesorabilmente alla morte. Di
conseguenza, non possono trovare applicazione i valori
tabellari adottati di solito per la lesione del danno
biologico da invalidità temporanea o permanente, validi
per quei soggetti che sopravvivono all’evento dannoso,
ma la liquidazione del danno terminale deve essere
personalizzata e, dunque, opportunamente adeguata al
caso specifico (si veda Cass. n. 21497/2009).
I termini del problema sono stati
affrontati nuovamente dalla Corte di Cassazione con la
recente pronuncia del 29 novembre 2011, n. 25215.
In questa occasione, i giudici di
Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso presentato dai
parenti di un giovane assistente capo della Polizia di
Stato, che era morto il giorno dopo essere stato
raggiunto da un colpo esploso accidentalmente dalla
pistola di un collega e confermato la decisione della
Corte d’Appello che aveva ridimensionato l'importo del
risarcimento del danno biologico iure hereditatis
riconosciuto ai familiari, rilevando che la morte del
giovane era sopravvenuta solo dopo un giorno dall’evento
lesivo.
In sostanza, per la Cassazione la
liquidazione del danno biologico iure ereditario deve
essere valutata tenendo conto delle peculiarità del caso
concreto, dando, così, continuità a quell’indirizzo
secondo il quale la pretesa risarcitoria deve essere
quantificata in relazione all'effettiva vita residua
goduta dal de cuius e non già sulla base di un calcolo
del tutto astratto dell'aspettativa di vita media.
Inoltre, non vi era prova
dell’esistenza di un danno patrimoniale subito dai
congiunti.
Sul punto, la Corte ha ritenuto
che, nel caso di specie, mancavano i presupposti di
fatto sui quali fondare l’aspettativa di un aiuto
economico alla famiglia. Invero, lo stipendio che il
giovane percepiva era appena sufficiente per il
soddisfacimento dei suoi bisogni e, quindi, non vi era
alcuna certezza che egli in futuro potesse offrire un
contributo economico ai familiari, né vi era prova che
lo stesso intendesse continuare l’attività lavorativa
dei genitori.
LA SOLUZIONE di Cassazione 29
novembre 2011 n. 25215
Alla luce delle suesposte
argomentazioni, i giudici di legittimità precisano che:
1. Con motivazione adeguata i
giudici di appello hanno riconosciuto la risarcibilità
del danno biologico iure ereditario, ridimensionando il
risarcimento liquidato dal primo giudice da Euro
516.457,00 ad Euro 25.000,00.
La Corte territoriale ha tenuto
conto del fatto che tra l'evento lesivo e la morte era
intercorso meno di un giorno ed ha fatto applicazione di
un criterio equitativo che considerava la peculiarità
del caso concreto, mediante la personalizzazione dei
criteri tabellari utilizzati per la inabilità
temporanea.
La decisione impugnata non si
discosta dall'orientamento consolidato di questa Corte.
Le censure formulate sul punto
sono, pertanto, destituite di ogni fondamento.
2. Per quanto riguarda il mancato
riconoscimento del danno patrimoniale, i giudici di
appello hanno spiegato le ragioni per le quali il motivo
di appello incidentale doveva essere ritenuto
inammissibile.
La Corte territoriale non si è
sottratta, comunque, ad un esame del materiale
probatorio acquisito (anche se tale indagine sarebbe
stata del tutto superflua in ragione della
inammissibilità del gravame, appena dichiarata). Ed ha
rilevato che lo stipendio che il giovane riceveva era
appena sufficiente per il soddisfacimento dei suoi
bisogni, e che non vi era alcuna certezza che egli in
futuro potesse offrire un contributo economico alla
famiglia.
Sul punto, con motivazione
insindacabile in questa sede, i giudici di appello hanno
rilevato le argomentazioni poste a fondamento della
domanda dagli originari attori si risolvevano in mere
supposizioni, non suffragate da riscontri oggettivi
prospettati al giudice di prime cure e modificate in
grado di appello
Cassazione, sez. III, 29 novembre
2011, n. 25215
(Pres. Morelli – Rel. Filadoro)
Svolgimento del processo
Con sentenza del 2 aprile 8 maggio
2009 la Corte di appello di Ancona accoglieva in parte 1
appello del Ministero Interno riducendo l'importo del
risarcimento del danno biologico iure hereditatis
riconosciuto dal primo giudice ai genitori ed al
fratello del giovane morto nell'incidente del (omissis)
all'interno della caserma della polizia stradale di
Ascoli Piceno (portandolo da 516.457,00 a 25.000,00 in
considerazione del fatto che il giovane, assistente capo
della polizia di Stato, era stato raggiunto da un colpo
di pistola esploso da un collega di lavoro, era deceduto
il giorno dopo il ferimento).
Rigettava l'appello incidentale dei
parenti della vittima, rilevando che non vi era prova
della esistenza di un danno patrimoniale dagli stessi
subito.
Il giovane era in servizio di leva
prolungata ed il suo inserimento definitivo nella
amministrazione era subordinato ad una valutazione
discrezionale insindacabile sulla idoneità dello stesso
alla ulteriore frequenza del corso per l'ingresso in
pianta stabile ed al superamento del corso con il
conseguimento del diploma.
Non vi era prova che lo steso
intendesse continuare la attività dei genitori (pur
avendo frequentato un corso di orafo). I certificati
medici prodotti non dimostravano la esistenza di una
malattia psichica conseguente della morte del parente.
Avverso tale decisione il fratello
ed i genitori di Fr.De.Ri.Al. hanno proposto ricorso per
cassazione, sorretto da nove motivi, illustrati da
memoria. Vi è controricorso del Ministero Interno.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce
violazione o falsa applicazione degli articoli 2043 e
2059 c.c. con esso si chiede se il danno non
patrimoniale da perdita della vita sia danno risarcibile
e trasmissibile agli eredi, ovvero se sia legittima la
qualificazione di mero danno alla salute (danno
biologico) ritenuto insussistente nel caso di specie dal
Ministero e dalla Corte di appello.
Il secondo motivo riguarda la
violazione o falsa applicazione degli articoli 2059 c.c.
185 c.p. ad avviso dei tre ricorrenti sarebbe del tutto
incomprensibile il criterio di liquidazione adottato.
Il terzo motivo sottolinea la
contraddittorietà della motivazione in ordine alla
sussistenza del danno "iure ereditario".
Il quarto motivo deduce la omessa
motivazione in ordine alla congruità della liquidazione
di 25.000,00 riferita a inabilità temporanea.
La violazione dell'art. 2909 c.c.
forma oggetto del quinto motivo, nel quale si sostiene
che la decisione del Tribunale su danno morale non era
stata impugnata in appello, con la conseguenza che la
stessa dovrebbe considerarsi passata in giudicato la
condanna al pagamento della somma di Euro 77.469,00 per
tale titolo. Erroneamente la Corte territoriale aveva
ritenuto che tale voce di danno coincidesse con la
provvisionale liquidata in sede penale di
centocinquantamilioni di lire.
Con il sesto motivo si denuncia la
omessa pronuncia su inammissibilità appello per 342 cpc.
Il settimo motivo investe la
questione dell'omesso riconoscimento del danno non
patrimoniale derivato a genitori e fratello convivente a
seguito della morte del figlio/fratello. Con esso si
deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli
2059 c.c. e degli articoli 112, 115, 116 c.p.c. 2697
c.c.; i parenti avevano chiesto di provare esistenza
rapporto parentale, la convivenza con il congiunto e il
dolore anche psichico subito in conseguenza della
perdita del loro congiunto. I giudici di appello avevano
negato ingresso alle relative istanze istruttorie. Con
l'ottavo motivo i ricorrenti denunciano violazione e
falsa applicazione degli articoli 2043 c.c., 112, 115 e
116 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c. la Corte territoriale
non aveva tenuto conto delle articolate difese degli
attori originari, respingendo l'appello incidentale
relativo al mancato riconoscimento del danno
patrimoniale, per difetto di specificità del relativo
motivo. Il giovane Fr. era in servizio di leva con
autorizzazione alla prolunga della ferma. Egli era in
possesso di diploma da orafo e dunque in caso di mancata
ammissione in ruolo nella Polizia di Stato ben avrebbe
potuto lavorare in uno dei due negozi di oreficeria di
famiglia. Le richieste di prova testimoniale su questo
punto erano state immotivatamente respinte dalla Corte
territoriale, la quale ha escluso che gli originari
attori avessero dato la dimostrazione di un contributo
economico e lavorativo prestato da Al..Fr. alla famiglia
fino all'evento morte.
L'ultimo (nono) motivo investe la
violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. la
richiesta di riconoscimento di un danno patrimoniale era
stata respinta dai giudici di appello, i quali avevano
ritenuto non sufficienti le argomentazioni svolte dagli
appellanti incidentali sul punto.
In particolare, ha osservato la
Corte anconetana, non era sufficiente la semplice
deduzione che il giudice di primo grado avrebbe errato
sul punto. A pena di inammissibilità della impugnazione,
occorreva invece indicare le ragioni concrete per le
quali si chiedeva il riesame anche su questo punto
specifico.
I motivi dal primo al quarto
possono essere esaminati congiuntamente in quanto
connessi tra di loro. Deve innanzi tutto rilevarsi che i
giudici di appello si sono limitati ad osservare che la
decisione del primo giudice - che aveva liquidato in
77.469.00 Euro il risarcimento del danno morale
spettante ai congiunti della vittima - non era stata
sottoposta a specifico gravame del Ministero
dell'interno.
Sicché la relativa statuizione
doveva ritenersi passata in giudicato.
Tale importo, ha segnalato la
stessa Corte, coincideva con quanto riconosciuto a
titolo di provvisionale dal Pretore penale di Ascoli
Piceno, ma non coincideva con questa.
Con motivazione adeguata i giudici
di appello hanno riconosciuto la risarcibilità del danno
biologico iure ereditario, ridimensionando il
risarcimento liquidato dal primo giudice da Euro
516.457,00 ad Euro 25.000,00.
La Corte territoriale ha tenuto
conto del fatto che tra l'evento lesivo e la morte era
intercorso meno di un giorno ed ha fatto applicazione di
un criterio equitativo che considerava la peculiarità
del caso concreto, mediante la personalizzazione dei
criteri tabellari utilizzati per la inabilità
temporanea.
La decisione impugnata non si
discosta dall'orientamento consolidato di questa Corte.
Le censure formulate sul punto
sono, pertanto, destituite di ogni fondamento.
Per quanto riguarda il mancato
riconoscimento del danno patrimoniale, i giudici di
appello hanno spiegato le ragioni per le quali il motivo
di appello incidentale doveva essere ritenuto
inammissibile.
La Corte territoriale non si è
sottratta, comunque, ad un esame del materiale
probatorio acquisito (anche se tale indagine sarebbe
stata del tutto superflua in ragione della
inammissibilità del gravame, appena dichiarata). Ed ha
rilevato che lo stipendio che il giovane riceveva era
appena sufficiente per il soddisfacimento dei suoi
bisogni, e che non vi era alcuna certezza che egli in
futuro potesse offrire un contributo economico alla
famiglia.
Sul punto, con motivazione
insindacabile in questa sede, i giudici di appello hanno
rilevato le argomentazioni poste a fondamento della
domanda dagli originari attori si risolvevano in mere
supposizioni, non suffragate da riscontri oggettivi
prospettati al giudice di prime cure e modificate in
grado di appello.
Conclusivamente il ricorso deve
essere rigettato. Sussistono giusti motivi, in relazione
alle questioni dibattute, per disporre la compensazione
integrale delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa le spese del giudizio di
cassazione |