A supporto della sentenza n.
26/2012 del Tar del Lazio , che abbiamo pubblicato il
02.01.2012, presentiamo la Sentenza n. 30785/2011,
emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Il
caso in esame riguarda una commercialista, cui il
Consiglio dell’Ordine dei dottori commercialisti, ha
inflitto la sanzione della sospensione, per tre mesi,
dall’esercizio della professione per violazione del
codice deontologico. La commercialista aveva preteso un
compenso per un incarico collegiale conferito dal
Tribunale di Roma in relazione a una operazione di
fusione per incorporazione di società. La decisione,
impugnata dall’interessata, è stata annullata dal
Consiglio Nazionale dell’Ordine. Il Consiglio
dell’Ordine territoriale ha chiesto l’annullamento di
tale ultima decisione al Tribunale di Roma e, con
ricorso anche al Tribunale Amministrativo Regionale del
Lazio.
La commercialista, con ricorso per
Cassazione, ha proposto regolamento preventivo di
giurisdizione in entrambi i giudizi, chiedendo
l’affermazione della giurisdizione del giudice
ordinario. La ricorrente rileva che il D.Lgs. 28 giugno
2005, n. 139, art. 32, che regola il procedimento
disciplinare dei dottori commercialisti e degli esperti
contabili non prevede nulla in ordine all’eventuale
reclamo avverso il provvedimento emesso dal Consiglio
Nazionale in materia disciplinare. Tuttavia, ad avviso
della ricorrente, è corretto ritenere che tali
provvedimenti siano impugnabili innanzi al giudice
ordinario, in quanto il provvedimento disciplinare
incide direttamente sul diritto soggettivo all’esercizio
dell’attività professionale. In particolare, nel caso di
irrogazione della sospensione, il professionista, pur
continuando a essere iscritto all’albo, non può
esercitare la professione per tutta la durata della
sanzione. Per la tutela del richiamato diritto
soggettivo deve essere sempre data la possibilità di
adire un giudice, non essendo sufficiente un rimedio
meramente amministrativo quale quello indicato dal
citato D.Lgs. n. 139 del 2005, art. 29, il quale
stabilisce che il Consiglio Nazionale dei dottori
commercialisti, tra le altre attribuzioni, decide in via
amministrativa sui ricorsi avverso le deliberazioni dei
Consigli dell’Ordine in materia disciplinare. Ora,
poiché nell’ordinamento vigente la ripartizione della
giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo si
basa essenzialmente sulla natura della situazione
giuridica soggettiva dedotta in giudizio, spettando, in
generale, al primo la tutela dei diritti soggettivi e al
secondo quella degli interessi legittimi, sarebbe
consequenziale che avverso i provvedimenti disciplinari
che importano la perdita o la sospensione del diritto
soggettivo all’esercizio delle “professioni protette” la
tutela giurisdizionale sia offerta dal giudice
ordinario, in mancanza di una norma di legge che la
attribuisca ad un diverso giudice. Di avviso contrario
il Consiglio Nazionale dell’Ordine. La giurisdizione
sarebbe del giudice amministrativo, stante che
l’ordinamento non riconosce, ai fini della tutela
giurisdizionale, la posizione giuridica soggettiva di
organi di giustizia amministrativa di primo grado, nel
caso di specie, l’Ordine territoriale, che lamentino
l’illegittimità della decisione dell’organo di giustizia
amministrativa di secondo grado, ovvero, il Consiglio
Nazionale, che ne abbia riformato una decisione in
materia disciplinare. Sarebbe singolare che l’organo che
ha emesso il provvedimento di prime cure in materia
disciplinare possa impugnare la decisione emessa
dall’organo che per legge ha il potere di sindacarlo. In
subordine, l’interesse fatto valere dal Consiglio
territoriale nel giudizio è quello all’annullamento
dell’atto amministrativo che assume viziato, con
conseguente giurisdizione del giudice amministrativo. La
Corte ha osservato che, ferma la natura di diritti
soggettivi delle situazioni coinvolte nella materia de
qua e la esclusione, per la evidente esigenza di tutela
giurisdizionale dei diritti garantita dalla
Costituzione, della soluzione del difetto di
giurisdizione, patrocinata dal Consiglio Nazionale
dell’Ordine controricorrente, deve ritenersi che, in
coerenza con la natura e con i principi generali che
governano il riparto di giurisdizione, la normativa di
cui al decreto legislativo citato, non ha cambiato il
precedente assetto di impugnativa innanzi al Tribunale
ordinario, essendo di regola le posizioni di diritto
soggettivo perfetto sottratte a discrezionalità
amministrativa.
Tutela di diritti soggettivi - Giurisdizione del giudice
ordinario
Corte di Cassazione Sez. Unite Civ. - Sent. del
30.12.2011, n. 30785
Svolgimento del processo
1. - La commercialista Dott. ssa S.D. fu sottoposta a
procedimento disciplinare per violazione delle regole di
deontologia professionale
Codice Deontologico Dottori Commercialisti n.d.r.)
in relazione alla richiesta di compenso per un incarico
collegiale conferito dal Tribunale di Roma ex art. 2501
sexies in relazione ad una operazione di fusione per
incorporazione di società. Il Consiglio dell’Ordine dei
dottori commercialisti e degli esperti contabili di Roma
e Velletri, con decisione del 4 maggio 2009, inflisse
alla commercialista la sanzione disciplinare della
sospensione dalla professione per tre mesi. La
decisione, impugnata dall’interessata, fu annullata dal
Consiglio Nazionale dell’Ordine in data 16 luglio 2009.
Il Consiglio dell’Ordine territoriale chiese
l’annullamento di tale ultima decisione al Tribunale di
Roma in data 7 ottobre 2009, e, con ricorso in data 2
novembre 2009, anche al Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio.
2. - La Dott.ssa S. ha proposto regolamento preventivo
di giurisdizione in entrambi i giudizi, chiedendo
l’affermazione della giurisdizione del giudice
ordinario. Resistono con controricorso il Consiglio
Nazionale dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli
esperti contabili ed il Consiglio dell’Ordine
territoriale.
Motivi della decisione
1. - Deve, preliminarmente, procedersi alla riunione dei
ricorsi per evidenti ragioni di connessione oggettiva e
soggettiva.
2. - La ricorrente rileva che il
D.Lgs. 28 giugno 2005, n. 139, art. 32, che regola
il procedimento disciplinare dei dottori commercialisti
e degli esperti contabili prevede che le deliberazioni
del Consiglio Nazionale in materia di iscrizione o di
cancellazione dall’Albo nonché quelle in materia di
eleggibilità a componente del Consiglio dell’Ordine
possono essere impugnate dall’interessato e dal pubblico
ministero dinanzi al tribunale del luogo ove ha sede il
Consiglio che ha emesso la deliberazione, mentre nulla
prevede in ordine all’eventuale reclamo avverso il
provvedimento emesso dal Consiglio Nazionale in materia
disciplinare. Tuttavia, secondo la ricorrente, è
corretto ritenere che tali provvedimenti siano
impugnabili innanzi al giudice ordinario, in quanto il
provvedimento disciplinare incide direttamente sul
diritto soggettivo all’esercizio dell’attività
professionale. In particolare, nel caso di irrogazione
della sospensione, il professionista, pur continuando ad
essere iscritto all’albo, non può esercitare la
professione per tutta la durata della sanzione. Per la
tutela del richiamato diritto soggettivo deve essere
sempre data la possibilità di adire un giudice, non
essendo sufficiente un rimedio meramente amministrativo
quale quello indicato dal citato D.Lgs. n. 139 del 2005,
art. 29, il quale stabilisce che il Consiglio Nazionale
dei dottori commercialisti, fra le altre attribuzioni,
decide in via amministrativa sui ricorsi avverso le
deliberazioni dei Consigli dell’Ordine in materia
disciplinare. E poiché nell’ordinamento vigente la
ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario
ed amministrativo si basa essenzialmente sulla natura
della situazione giuridica soggettiva dedotta in
giudizio, spettando, in generale, al primo la tutela dei
diritti soggettivi e al secondo quella degli interessi
legittimi, sarebbe consequenziale che avverso i
provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la
sospensione del diritto soggettivo all’esercizio delle
“professioni protette” la tutela giurisdizionale sia
offerta dal giudice ordinario, in mancanza di una norma
di legge che la attribuisca ad un diverso giudice.
3. - Il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili ha dedotto l’assenza di ogni
giurisdizione o, in subordine, la giurisdizione del
giudice amministrativo, rilevando che l’ordinamento non
riconosce, ai fini della tutela giurisdizionale, la
posizione giuridica soggettiva di organi di giustizia
amministrativa di primo grado - nella specie, l’Ordine
territoriale - che lamentino la illegittimità della
decisione dell’organo di giustizia amministrativa di
secondo grado - nella specie, il Consiglio Nazionale -
che ne abbia riformato una decisione in materia
disciplinare. L’Ordine è un organismo unitario al cui
interno i due organi che esercitano la funzione
disciplinare sono legati da un rapporto di gerarchia
impropria ad integrazione funzionale che vede al vertice
il Consiglio Nazionale. E, del resto, sarebbe singolare
che l’organo che ha emesso il provvedimento di prime
cure in materia disciplinare possa impugnare la
decisione emessa dall’organo che per legge ha il potere
di sindacarlo. In subordine, ha dedotto che l’interesse
fatto valere dal Consiglio territoriale nel giudizio è
quello all’annullamento dell’atto amministrativo che
assume viziato, con conseguente giurisdizione del
giudice amministrativo, tanto più ove si consideri che,
a differenza del previgente ordinamento di cui al
DPR_1067_1953 (art. 28), il nuovo ordinamento della
professione, di cui al D.Lgs. n. 139 del 2005 (art. 28),
non prevede la facoltà di impugnare i provvedimenti
disciplinari innanzi al Tribunale.
Il Consiglio territoriale ha, a sua volta, chiesto
dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo,
deducendo che, nella nuova disciplina della professione,
non si rinviene più alcun riferimento alla impugnabilità
al giudice ordinario delle decisioni del Consiglio
Nazionale in materia disciplinare, con conseguente
configurabilità della giurisdizione generale di
legittimità del giudice amministrativo, essendo gli atti
impugnati decisioni in via amministrativa.
4.1. - I ricorsi devono essere accolti.
4.2. - Deve anzitutto osservarsi che nel previgente
assetto normativo, gli ordinamenti professionali degli
Ordini, all’epoca separati, dei dottori commercialisti e
dei ragionieri e periti commerciali erano disciplinati
in base ai D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, e n. 1068.
L’art. 28 dei due testi prevedeva che le deliberazioni
del Consiglio Nazionale, che aveva la cognizione, tra
l’altro, sui provvedimenti disciplinari emessi
dall’Ordine territoriale, fossero impugnabili innanzi al
Tribunale.
Il quadro normativo di riferimento è mutato con la
emanazione, in attuazione della delega conferita dalla
L. 24 febbraio 2005, n. 34, che intendeva unificare i
due Ordini, del D.lgs. 28 giugno 2005, n. 139. L’art. 32
di tale D.Lgs. ha riprodotto la disposizione dell’art.
28 dei due testi previgenti, prevedendo la impugnabilità
innanzi al Tribunale delle deliberazioni in materia di
iscrizione o cancellazione dall’Albo e di eleggibilità
al Consiglio dell’Ordine, ma non ha ricompreso
nell’elenco degli atti impugnabili le delibere in
materia disciplinare. E l’art. 55, che prevede che
contro le decisioni dell’Ordine territoriale possa
essere proposto ricorso innanzi al Consiglio Nazionale,
non si pronuncia in merito alla impugnativa contro le
decisioni di quest’ultimo.
4.3. - Ferma la natura di diritti soggettivi delle
situazioni coinvolte nella materia de qua, e la
esclusione, per la evidente esigenza di tutela
giurisdizionale dei diritti garantita dalla
Costituzione, della soluzione del difetto di
giurisdizione, patrocinata dal Consiglio Nazionale
dell’Ordine controricorrente, deve ritenersi che, in
coerenza con detta natura e con i principi generali che
governano il riparto di giurisdizione, la descritta
manipolazione del previgente art. 28 non abbia mutato il
precedente assetto di impugnativa innanzi al Tribunale
ordinario, essendo di regola le posizioni di diritto
soggettivo perfetto sottratte a discrezionalità
amministrativa.
5. I ricorsi vanno quindi accolti, dovendosi dichiarare
la giurisdizione del giudice ordinario. In
considerazione della complessità della questione,
sussistono giusti motivi per compensare le spese del
giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie, dichiarando
la giurisdizione del giudice ordinario. Compensa le
spese del giudizio.
Anna Teresa Paciotti |