Diritto e processo.it
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il
30 giugno 2006 C.A.M. evocava, dinanzi al Tribunale di
Lodi, B.A. , CO.An. e CO.Sa. , R.D. e R.S.A. , quali
eredi di B.L. , deceduto l'(omissis), chiedendo di
accertare il diritto di usufrutto vitalizio in suo
favore sull'immobile sito in (omissis) , di proprietà
del de cuius, nonché il diritto al riconoscimento di una
somma non inferiore ad Euro 150.000,00 per l'assistenza
affettiva, morale e materiale prestata allo stesso B.L.
in 20 anni di convivenza more uxorio. L'attrice
precisava che con testamento olografo del 4.10.2001 il
de cuius le aveva assegnato un legato di L. 50.000.000
ed aveva costituito in suo favore un usufrutto vitalizio
sulla casa di (omissis) , da lui successivamente venduta
per trasferirsi, insieme a lei, nella villa bifamiliare
di (omissis) , sostenendo che costituiva volontà del
defunto trasferire l'usufrutto sulla nuova abitazione.
Instaurato il contraddittorio,
costituiti i convenuti i quali contestavano le domande
attoree e in riconvenzionale chiedevano di accertare che
l'occupazione dell'immobile da parte dell'attrice era
privo di titolo, ordinandole di riconsegnarlo con i
relativi arredi, oltre a condannarla al risarcimento del
danno e alla restituzione di Euro 18.900,00
indebitamente prelevati nel c/c n. (omissis) della Banca
Popolare Italiana cointestato con il de cuius, il
Tribunale di Lodi, rigettava la domanda attorea e in
accoglimento di quella riconvenzionale, condannava la C.
al rilascio dell'abitazione e alla restituzione di Euro
18.900,00.
In virtù di rituale appello
interposto dalla C. , con il quale chiedeva accertarsi
l'esistenza del diritto di usufrutto sia in forza del
testamento sia dell'art. 2 D.P.R. n. 136/1958, art. 138
T.U. n. 645/1958, art. 6 L. n. 405/1975, sia del diritto
di abitazione di cui agli artt. 1022, 1023 e 1026 c.c.,
nonché il diritto all'attribuzione di una somma per
l'assistenza prestata al de cuius e non dovuta la cifra
per l'uso del c/c comune, in subordine chiedendo di
rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per la
declaratoria di illegittimità costituzionale del diverso
trattamento riservato al convivente con riferimento
all'art. 3 Cost., la Corte di appello di Milano, nella
resistenza degli appellati che proponevano anche appello
incidentale circa il mancato accoglimento della domanda
di risarcimento dei danni da mancato guadagno e di
rimborso della quota parte di spese di successione,
rigettava entrambi i gravami.
A sostegno dell'adottata sentenza,
la corte territoriale affermava di condividere
l'interpretazione del testamento olografo offerta dal
giudice di prime cure, stante il tenore letterale dello
stesso, che per il principio generale in claris non fit
interpretatio, non poteva dare luogo ad una diversa
volontà del de cuius, anche in considerazione della
cronologia degli eventi, tempo del testamento (2001) ed
epoca dell'acquisto del nuovo immobile (2004).
Aggiungeva che era incomprensibile
l'eccezione di incostituzionalità, ragione per la quale
non era stata esaminata dal giudice di prime cure, e
comunque anche a richiamare la giurisprudenza della
corte delle leggi, sentenza n. 310/1989, questa pur
riconoscendo dignità al rapporto more uxorio, aveva
attribuito una superiore dignità alla famiglia legittima
per i caratteri dì stabilità e certezza, reciprocità e
corrispettività di diritti e doveri, nascenti solo dal
matrimonio, con conseguente inapplicabilità dell'art.
1022 c.c. al convivente, rientrando nella
discrezionalità del legislatore la determinazione delle
categorie dei successibili, con il solo vincolo
derivante dall'art. 30 Cost..
Confermava, altresì, la decisione
del giudice di prime cure circa il rigetto dei mezzi di
prova articolati dalla ricorrente (capi 8 e 9 della
memoria 8.6.2007), nonché quanto alla qualifica di
adempimento di obbligazione naturale posta a base del
non accoglimento della richiesta di liquidazione di Euro
150.000,00, correttamente omesso l'esame del diritto di
abitazione, in mancanza di una domanda in tal senso da
parte della C. .
Infine, la corte di merito
respingeva anche l'appello incidentale in assenza di
prova di avere richiesto alla C. la restituzione
dell'immobile in epoca anteriore all'introduzione del
presente giudizio, tardivamente proposta la richiesta di
rimborso pro quota delle spese di successione.
Avverso indicata sentenza della
Corte di Appello di Milano ha proposto ricorso per
cassazione la C. , che risulta articolato in sei motivi
(erroneamente dichiarati n. 7 motivi), al quale hanno
resistito B.A. , CO.An. e CO.Sa. , R.D. e R.S.A. con
controricorso.
La ricorrente ha presentato memoria
illustrativa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente
lamenta la violazione degli artt. 558 e 1362 c.c. non
avendo i giudici di merito valutato la volontà
effettivamente manifestata da B.L. nel testamento
olografo in ordine al suo intento di assicurare alla
propria convivente un usufrutto abitativo vitalizio in
caso di premorienza, non essendo stata svolta alcuna
indagine interpretativa in tal senso.
Con il secondo motivo viene
denunciata la violazione o falsa applicazione dell'art.
12 delle preleggi, degli artt. 1362 - 1367 e 143 c.c. in
relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 per omesso esame
del testamento alla luce dei criteri sistematico o
logico sistematico e storico e ciò avrebbe impedito di
interpretare il testamento, univocamente inteso come
contratto tipico e atipico, con analisi della effettiva
volontà del de cuius, tant'è che la corte di merito si
sarebbe limitata ad una interpretazione letterale.
Con il terzo motivo viene censurata
la ulteriore violazione dell'art. 1362 c.c. e la omessa
o insufficiente motivazione per non avere i giudici di
merito effettuato "una più penetrante ricerca al di là
della mera dichiarazione della volontà del testatore".
I tre motivi, da esaminare
congiuntamente per la sostanziale connessione degli
argomenti e per esigenza di coordinata esposizione,
denunziando la ricorrente la violazione delle norme in
tema di accertamento della effettiva volontà del
testatore, sono fondati.
Occorre evidenziare che in tema
d'interpretazione dei contratti, regole prioritarie per
la ricerca della comune intenzione delle parti siano
l'utilizzazione dei criteri ermeneutici soggettivi
(artt. 1362-1365 c.c.), anzi di ricorrere a quelli
oggettivi sussidiari (artt. 1366-1370 C.C.) e di
chiusura (art. 1371 C.C), e, nell'ambito dei primi, il
desumere, anzitutto, la volontà negoziale dal tenore
letterale delle espressioni utilizzate dalle parti per
manifestarla (art. 1362, comma 1, c.c.), queste non
possano, tuttavia, salvo ne risulti una manifestazione
inequivoca a tal punto da essere incompatibile con
qualsiasi altro significato, essere prese in
considerazione singolarmente o, comunque, nel ristretto
ambito di ciascuna clausola della quale costituiscono
l'esternazione, sebbene debbano essere valutate e
verificate in relazione tanto alle altre clausole quanto
all'intero contesto della dichiarazione negoziale nella
quale sono inserite, onde se ne possa intendere l'esatto
significato (art. 1363 c.c.).
Invero, la soluzione di ogni
controversia che s'incentri sull'interpretazione di un
contratto, come l'accertamento di ogni situazione
soggettiva che si affermi in ragione della vigenza di
una regola convenzionale, non può prescindere dalla
necessaria integrazione del dato testuale con quello
logico-ricostruttivo, questa risultando legittimata, ed
al contempo imposta, dall'espressa disciplina normativa
del coordinato disposto desumibile dalle affermazioni
dell'insufficienza del solo senso letterale delle parole
del testo, di cui al primo comma dell'art. 1362 c.c., e
dell'esigenza dell'esame comparativo delle singole
clausole e complessivo dell'atto, di cui all'art. 1363
c.c.; per il che l'interpretazione non può limitarsi ad
una considerazione atomistica delle singole espressioni
o clausole, pur ove le une e le altre possano apparire
rappresentative d'una manifestazione di volontà di senso
compiuto, ma deve procedere secondo un iter che,
partendo dall'accertamento del senso letterale di
ciascuna, questo poi verifichi nel confronto reciproco
ed, infine, razionalmente armonizzi nella valutazione
unitaria dell'atto.
La predisposizione normativa del
rapporto d'interdipendenza necessaria tra il primo comma
dell'art. 1362 c.c. ed il successivo art. 1363 c.c. ai
fini dell'accertamento della comune volontà delle parti
quale desumibile dal testo contrattuale è stata, nel
senso sopra indicato, ripetutamente evidenziata nelle
pronunzie di questa Corte (e pluribus Cass. 27 giugno
1998 n. 6389; Cass. 28 giugno 2000 n. 8791) che ha,
d'altronde, del pari più volte evidenziato come il nomen
iuris dato al negozio dalle parti e le espressioni
tecniche o pseudo tali utilizzate dalle stesse od anche
dal rogante non vincolino l'interprete che ne ravvisi la
incompatibilità con l'effettiva volontà risultante dalla
disamina dell'atto compiuta mediante gli strumenti
ermeneutici predisposti dal legislatore (Cass. 29 marzo
2004 n. 6233; Cass. 8 marzo 2007 n. 5287; Cass. 4 maggio
2011 n. 9755). Aggiungasi che, in particolare,
l'interpretazione del testamento, cui in linea di
principio sono applicabili le regole d'ermeneutica
dettate dal codice in tema di contratti, con la sola
eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto
unilaterale non recettizio del negozio mortis causa, è
caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da un
più penetrante ricerca, al di là della dichiarazione,
della volontà del testatore, la quale, alla stregua
dell'art. 1362 c.c., va individuata con riferimento ad
elementi intrinseci alla scheda testamentaria sulla base
dell'esame globale della scheda stessa e non di ciascuna
singola disposizione ed, in via sussidiaria, id est ove
da! testo dell'atto non emergano con certezza
l'effettiva intenzione del de cuius e la portata della
disposizione, con il ricorso ad elementi estrinseci al
testamento, se pur sempre riferibili al testatore, quali
la personalità, la mentalità, la cultura, la condizione
sociale, l'ambiente di vita, i rapporti pregressi con i
soggetti menzionati nella scheda, ecc. (v. Cass. 5
maggio 2004 n. 8495; Cass. 7 luglio 2004 n. 12477; Cass.
22 luglio 2004 n. 13785; Cass. 22 ottobre 2004 n.
20604). Il giudice del merito, di conseguenza,
nell'interpretazione del testamento, la quale si risolve
in un accertamento di fatto insindacabile in sede di
legittimità se immune da vizi logici e giuridici, può
attribuire alle espressioni adoperate nell'atto un
significato diverso da quello tecnico o letterale,
purché non contrastante o antitetico, quando, valutando
la scheda nel suo complesso e tenendo conto dei sopra
indicati elementi di giudizio propri alla persona del de
cuius, tale diverso significato si presti ad esprimere
in modo più adeguato e coerente la reale intenzione
dello stesso.
Ebbene, nella specie,
l'apprezzamento che ha condotto la Corte milanese in
ordine alla natura della disposizione con la quale il de
cuius ha effettuato attribuzioni alla convivente risulta
affetto da evidenti vizi motivazionali.
Come condivisibilmente rilevato
dalla ricorrente, la corte distrettuale - confermando la
decisione del giudice di primo grado - non ha tenuto
sufficientemente conto della circostanza, già
evidenziata nel giudizio di appello, che il de cujus non
avesse espressamente revocato la disposizione con la
quale, con il testamento olografo del 4.10.2001, ha
attribuito alla C. il diritto di abitazione
relativamente all'appartamento nel quale convivevano al
momento della disposizione, in (omissis) , e che la
mancata revoca di detto riconoscimento in capo alla
convivente è indicativa della sua volontà di garantire
alla stessa, attraverso il diritto di abitazione
dell'alloggio in cui vivevano, il godimento del bene in
cui ella aveva sempre abitato sin dall'epoca
dell'acquisto, con la intenzione inequivocabile che,
alla morte di lei, il bene dovesse rientrare nella
disponibilità degli eredi B. .
A fronte della evidenziata
circostanza, nessun argomento significativo la Corte
territoriale ha addotto a sostegno del proprio
convincimento, tale non potendosi ritenere né il rilievo
che la volontà del testatore essendo nel senso di
costituire in favore della C. l'usufrutto vitalizio
"sulla casa di mia proprietà in (omissis) ", in base al
dato testuale, non vi fosse spazio per ritenere che
avesse voluto costituirlo sul diverso immobile di
(omissis) da lui acquistato dopo avere venduto la
predetta casa; né l'altro, secondo il quale, tenuto
conto della cronologia degli eventi, in particolare del
fatto che la vendita e l'acquisto degli immobili fossero
intervenuti nell'aprile 2004, due anni prima della
morte, il testatore ben avrebbe potuto costituire un
nuovo usufrutto vitalizio in favore della C. con atto
tra vivi contestualmente o meno all'acquisto della
villetta in (omissis) ovvero con un nuovo testamento (v.
pagine 4 e 5 della decisione), elemento che non sarebbe
valorizzabile per escludere la mancata revoca del
testamento olografo.
A ciò deve aggiungersi che la Corte
di merito nell'interpretazione del negozio mortis causa
- giova ribadirlo, atto sempre revocabile e modificabile
dall'autore - a fronte di una dichiarazione di volontà
non eseguibile nei termini testuali, ha utilizzato il
solo criterio letterale per accertare la volontà del
testatore.
Di converso, il giudice di secondo
grado avrebbe dovuto valutare, alla luce della
revocabilità dell'atto, gli effetti acquisitivi della
disposizione testamentaria correlati a detto
comportamento omissivo, e, cioè, pronunciarsi sul punto
se il descritto comportamento del de cuius dovesse
qualificarsi come confermativo del lascito in favore
della detenzione del bene, per uso abitativo, da parte
della convivente, come sostenuto dalla ricorrente ovvero
come modifica di detta disposizione.
In altri termini, la motivazione
dell'impugnata sentenza si rivela gravemente
insufficiente rispetto all'esigenza interpretativa che
il giudice d'appello era chiamato a soddisfare e che
consisteva nell'accertare se in favore della ricorrente
il testatore avesse voluto, con l'attribuzione a lei del
diritto di abitazione dell'appartamento sito in
(omissis) , attribuire detto diritto solo con
riferimento all'appartamento ivi indicato, ovvero se il
diritto attribuito alla C. consistesse nel diritto di
usufrutto della loro abitazione comune in generale, la
cui nuda proprietà era immediatamente assegnata agli
eredi del B. . La verifica della ricorrenza della prima
di dette ipotesi interpretative esigeva dall'interprete
un'indagine condotta sull'intero contesto delle
disposizioni dettate da B.L. sia in favore della C. sia
degli eredi del de cuius, per verificare non solo la
natura del diritto attribuito alla ricorrente, ma
soprattutto se lo stesso diritto sul bene fosse stato
conferito tout court agli eredi ovvero secondo un ordine
successivo, per cui risulta evidente l'assoluta
insufficienza di un'interpretazione, come quella data
dalla Corte d'appello, che si affidi esclusivamente alla
valorizzazione della locuzione "sulla casa di mia
proprietà in (omissis) " adoperata dal testatore con
riferimento ad una delle disposizioni a favore della C.
. La non univocità di tale espressione, con riferimento
alle vicende successive (vendita di detto immobile ed
acquisto, nell'immediato, della villetta in (omissis)
ove il B. con la ricorrente aveva stabilito la nuova
residenza) e rispetto all'esigenza interpretativa de
qua, avrebbe richiesto un esame complessivo di tutte le
espressioni usate dal testatore per verificare se detta
locuzione, anziché segnare l'attribuzione di un diritto
di abitazione con riguardo ad un determinato bene,
valesse, insieme ad altre, a rimarcare il momento della
operatività della disposizione a favore della C. con
riferimento alla loro ultima abitazione.
L'interpretazione della scheda - come già detto - va
effettuata con una più penetrante ricerca, che al di là
della dichiarazione, accerti la volontà del testatore,
individuata, alla stregua dell'art. 1362 c.c., con
riferimento ad elementi intrinseci alla stessa scheda
testamentaria, sulla base dell'esame globale del
testamento e non già di ciascuna singola disposizione,
e, in via sussidiaria, ove cioè dal testo dell'atto non
emerga con certezza l'effettiva intenzione del de cuius
e la portata della disposizione, con il ricorso ad
elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre
riferibili al testatore, quali ad esempio la personalità
dello stesso, la sua mentalità, cultura, condizione
sociale, ambiente di vita.
Viene, all'uopo, in rilievo proprio
l'omessa revoca della disposizione da parte del
testatore, che, specie se raffrontata con la esigenza di
tutela di colei che era stata affettivamente al suo
fianco negli ultimi venti anni, avrebbe potuto conferire
all'indagine interpretativa una diversa prospettiva ed
un diverso esito.
I tre motivi meritano, dunque,
accoglimento.
Con il quarto motivo viene dedotto
il vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 2
D.P.R. 31.1.1958 n. 136, dell'art. 138 T.U. n. 645/1958,
dell'art. 6 legge n. 365/1958, della legge n. 405/1975
per essersi fa corte di merito limitata a dichiarare che
i predetti parametri legislativi si riferivano a
specifiche materie, ingiustificate nella specie, mentre
andava colta una chiara invasione nella famiglia di
fatto e nel caso di convivenza more uxorio.
Insisteva, in ipotesi di non
applicabilità degli istituti alla fattispecie in esame,
nel sollevare eccezione di incostituzionalità per
violazione degli artt. 2 e 3 Cost..
Con un quinto motivo (erroneamente
definito sesto) viene denunciata la violazione dell'art.
1022 c.c. relativamente al diritto di abitazione, anche
per insufficienza e contraddittorietà della motivazione,
per non avere la corte di merito - qualificandola
erroneamente come nuova - configurato nell'ipotesi in
esame detta fattispecie.
L'esame delle predette censure
resta assorbito dall'accoglimento dei primi tre motivi
del ricorso, nei quali vengono affrontate questioni
pregiudiziali alle ulteriori doglianze.
Con il sesto ed ultimo motivo
(erroneamente definito settimo) la ricorrente denuncia
la violazione del diritto alla retribuzione sancito
dalla Costituzione e dal diritto del lavoro, anche per
insufficiente motivazione, con riferimento al mancato
riconoscimento del diritto della C. ad effettuare il
prelievo di Euro 18.900,00 per affrontare le spese
ordinarie della vita familiare. La censura viene
riferita anche alla mancata ammissione della istruttoria
per le somme dovute per l'assistenza per oltre venti
anni.
Il motivo è infondato avendo fatto
la sentenza impugnata corretta applicazione dei principi
affermati da questa corte in materia di arricchimento
senza causa. Infatti nel caso in cui venga lamentato
l'arricchimento da parte di un convivente more uxorio
nei confronti dell'altro, sono state ritenute
indennizzabili le sole prestazioni che esulino dal mero
adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di
convivenza (v. da ultimo, Cass. 15 maggio 2009 n.
11330).
In conclusione, vanno accolti i
primi tre motivi di ricorso, assorbiti il quarto ed il
quinto, rigettato il sesto.
Conseguentemente, la sentenza
impugnata va cassata, con rinvio della causa ad altra
sezione della Corte d'appello di Milano, la quale, nel
riesaminare il punto della controversia relativo alle
censure accolte, si atterrà ai principi ed ai rilievi
sopra enunciati ed esposti. Il giudice di rinvio
provvedere anche in ordine al regolamento delle spese di
questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo, il
secondo ed il terzo motivo di ricorso, assorbiti il
quarto ed il quinto, rigettato il sesto;
cassa la sentenza impugnata per
quanto in motivazione e rinvia ad altra sezione della
Corte di appello di Milano, anche per la liquidazione
delle spese di questo grado di giudizio.
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