Actio negotiorum gestio – Azione ex
art. 2028 c.c. – Esperibilità nei confronti della
pubblica amministrazione per mancato esercizio delle sue
funzioni – Non sussiste - Esperibilità nei confronti
della pubblica amministrazione per mancato esercizio di
attività di diritto privato – Ammissibilità –
Presupposti - Limiti
Il generale divieto di ingerenza
del privato nell’esercizio dell’attività funzionale
della pubblica amministrazione, non può ritenersi
operante nel settore dell’attività di carattere
privatistico, nel quale, infatti, si ritiene
tendenzialmente ammissibile l’espletamento da parte di
privati di attività di pertinenza dell’amministrazione.
Affinché, tuttavia, sia configurabile il diritto del
gestore al rimborso delle spese sostenute, così come
l’obbligo della P.A. di adempiere alle obbligazioni
assunte in suo nome, nonché quello di tenere indenne il
privato di quelle assunte in nome proprio, è necessario
che ricorrano tutti i presupposti cui il codice civile
subordina l’actio negotiorum gestorum, vale a dire: la
mancanza di una prohibitio domini specificamente
espressa dall’amministrazione, l’utiliter coeptum, ossia
il riconoscimento esplicito od implicito che la gestione
dell’affare sia stata utilmente iniziata e, infine, l’absentia
domini, ossia l’impossibilità, sia pure temporanea, del
dominus di provvedere ai suoi affari.
Il fatto
Il Tribunale amministrativo
partenopeo dirime una controversia insorta tra una
società di gestione del servizio ferroviario ed un
comune campano, originata dal mancato rimborso delle
spese sostenute dalla prima per il transennamento di un
passaggio a livello, nonché per la sostituzione delle
semibarriere ivi installate con delle barriere complete,
dalla medesima realizzati in attuazione degli articoli
44, comma 2, e 234, comma 4, del nuovo Codice della
Strada, a seguito dell’inerzia dell’ente locale tenuto e
rispetto al quale riteneva, dunque, configurabile un
rapporto di negotiorum gestio, di cui all’art. 2028
c.c., con tutte le conseguenze economiche del caso.
Domanda di rivalsa che, tuttavia,
il Collegio rigetta, pur ritenuta tanto la
giurisdizione, peraltro esclusiva, trattandosi di
rapporto di gestione di servizio pubblico, quanto
l’astratta ammissibilità dell’actio negotiorum gestio in
caso di attività di diritto privato della pubblica
amministrazione, in ragione dell’inesistenza nel caso
concreto dei presupposti richiesti dall’art. 2028 c.c.
per l’esistenza del diritto, avendo, per un verso, il
comune espressamente denegato i lavori di adeguamento,
ritenuti non consoni alla particolare conformazione dei
luoghi, e, per l’altro verso, rientrando le opere di
installazione di che trattasi, tra gli obblighi del
medesimo gestore della rete ferroviaria.
La questione
Nella categoria degli “altri
fatti”, diversi da quelli illeciti, che l’art. 1173
c.c. individua come fonti di obbligazioni, si colloca
la gestione di affari altrui di cui all’art. 2028 c.c.
che, infatti, costituisce un fatto e non un atto
giuridico, secondo il consolidato orientamento della
dottrina civilistica (ex multis: F. Galgano, Trattato di
diritto civile, Cedam, II), posto in essere da un
soggetto, consapevolmente e senza esservi obbligato,
allo scopo di curare l’interesse a cui il titolare non
può provvedere, spendendone (c.d. gestione
rappresentativa) o meno il nome (c.d. gestione non
rappresentativa).
Istituto, quello di che trattasi,
rispondente ad un principio di solidarietà sociale, già
noto al diritto romano, di cui l’attuale versione mutua
i tradizionali caratteri, quali, come di qui a poco
funditus: la spontaneità dell’azione gestoria (sine
mandato);l’assenza dell’interessato (absentia domini);
l’utilità della gestione intrapresa dal terzo (utiliter
coeptum) a prescindere, tuttavia, dall’effettivo esito
finale (etsi effectum non habuit negotium); l’alienità
dell’affare (aliena negotia); la consapevolezza di
gestire un affare altrui (animus aliena negotia
gerendi); l’inesistenza di una proibizione del soggetto
interessato (non proibente domiuns).
In disparte, per il momento, la
disamina dell’aspetto soggettivo del rapporto,
involgendo esso la questione, centrale in parte qua,
dell’insorgenza o meno del rapporto anche in capo ad una
pubblica amministrazione e volendo approfondire dapprima
i restanti elementi della fattispecie, occorre muovere
dall’oggetto della gestione che è costituito da
qualsiasi attività, giuridica o materiale,
obiettivamente utile per il patrimonio o la persona del
titolare.
Profilo oggettivo che, pertanto,
presenta analogie con quello del mandato, ex art. 2030
c.c., distinguendosene per la più ampia portata, atteso
che la ratio di solidarietà sociale e di tutela della
posizione giuridica altrui giustificata da particolari
circostanze, che sottende la negotiorum gestio consente
di includervi non solo gli affari giuridici di ordinaria
amministrazione, come nel mandato, bensì pure, a
differenza di questo, quelli di straordinaria
amministrazione e quelli materiali.
Presupposti della gestione d’affari
altrui sono, in primis, l’impedimento dell’interessato
(c.d. absentia domini) a provvedere al proprio
interesse, atteso che, di norma, la mancanza di uno
specifico conferimento di tale potere di disporre
dell’altrui sfera di interesse da parte del titolare
configurerebbe un’ipotesi di indebita ingerenza lesiva
dell’autonomia privata, che, come noto, si spinge anche
sino all’incuria o all’abdicazione dei propri diritti
patrimoniali.
Impedimento che, tuttavia, la
dottrina e la giurisprudenza civilistiche non ritengono
debba sfociare nell’assoluta ed oggettiva impossibilità,
bensì possa sostanziarsi anche nella più blanda ipotesi
di incapacità contingente e soggettiva del titolare a
provvedere alla cura del proprio affare, e finanche
nella sua mera tolleranza o non opposizione
all’intervento del terzo, quante volte egli ne sia
cosciente e non intervenga ad impedirne l’iniziativa o
la prosecuzione dell’azione.
Ulteriore requisito, quello della
consapevolezza del terzo di star curando un affare o un
interesse di cui non è titolare.
Caratteristica che rinviene il
fondamento proprio nella ratio solidaristica
dell’istituto, atteso che chi gestisce un affare di
altri credendo erroneamente che sia il proprio realizza
un’interferenza nella sfera giuridica altrui, che è
estranea alla causa della negotiorum gestio e che non
obbliga, pertanto, né il soggetto ad interessarsi
ulteriormente di ciò che non gli compete, né il titolare
ad indennizzarlo ai sensi dell’art. 2028 c.c., trovando
semmai applicazione l’azione residuale e sussidiaria di
cui all’art. 2041 c.c., per l’indebito arricchimento,
nei limiti in cui ne ricorrano gli elementi costitutivi.
Terzo presupposto, quello della
spontaneità dell’intervento del terzo, ossia l’assenza
di un suo obbligo specifico alla cura dell’altrui
interesse, che lo farebbe debordare nell’adempimento
contrattuale esigibile dal titolare della posizione
giuridica gestita (ad esempio, del mandato).
La gestione deve rispondere, quanto
meno inizialmente, al carattere dell’utilità (cd.
utiliter coeptum), altra espressione delle finalità
solidaristiche dell’istituto, essendo evidente che,
intanto l’ordinamento può giustificare l’ingerenza nella
sfera giuridica privata altrui, in quanto non solo il
titolare sia impedito alla cura della medesima, ma in
quanto l’intervento dell’estraneo si presenti
oggettivamente vantaggiosa per il bene patrimoniale
coinvolto, in termini di potenziale incremento o di
conservazione da un probabile pregiudizio.
D’altra parte il venire meno
dell’utilità determina la necessità per il terzo di
astenersi dalla prosecuzione dell’esercizio
dell’attività intrapresa in favore del terzo.
Terzo che, come già anticipato, non
deve averne proibito l’intervento, atteso che
l’eventuale divieto inferirebbe sull’illegittimità
della gestione (c.d. non proibente dominus), esprimendo
comunque la volontà del dominus di curare da sé il
proprio interesse.
Divieto che la dottrina ritiene
debba essere specifico, atteso che la conoscenza e la
mera tolleranza dell’altrui intervento è idoneo a
legittimarlo.
Dalla negotiorum gestio discende,
per il gestore, ex art. 2030 c.c., l’obbligo di
proseguirla finché il titolare non possa provvedervi da
sé, ovvero finché non porti a compimento l’operazione
ovvero finché questa risulti utile al titolare,
rispondendo dei danni cagionati per colpa grave, secondo
il paradigma delle obbligazioni a titolo gratuito e
dovendo restituire quanto ricavato dall’affare medesimo.
Per l’interessato, viceversa,
discende l’obbligo, ai sensi dell’art. 2031 c.c., di
rimborsare il gestore delle spese, necessarie o comunque
utili, sostenute nell’espletamento dell’attività,
corrispondendogli altresì gli interessi a far data dagli
esborsi ed assumendosi in via diretta la responsabilità
dell’adempimento degli eventuali negozi conclusi a suo
nome, secondo le regole della rappresentanza diretta.
Fermi i presupposti e gli effetti
innanzi esposti, l’actio negotiorum gestio assume
particolari connotati qualora il titolare della
posizione giuridica sia una pubblica amministrazione.
Esclusa l’ammissibilità
dell’ingerenza dei terzi riguardo alle sue attività
funzionali, stante il principio di stretta legalità che
permea il diritto amministrativo e che si atteggia come
una generale prohibitio domini che non tollera ingerenze
private, la giurisprudenza è ormai pacificamente
orientata, entro certi limiti, a riconoscere
l’espletamento sostitutivo dei privati nelle attività di
diritto privato della pubblica amministrazione, con la
conseguente applicazione dell’art. 2028 c.c. (ex
plurimis: T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I, dec. n.
1630, del 6 febbraio 2006, conf. Consiglio di Stato –
Sez. V, dec. n. 5929, del 24 agosto 2010).
Affinché, tuttavia, sia
configurabile il diritto del gestore al rimborso delle
spese sostenute, così come l’obbligo della pubblica
amministrazione di adempiere alle obbligazioni assunte
in suo nome, nonché quello di tenere indenne il privato
di quelle assunte in nome proprio, è necessario che
ricorrano tutti i prefati presupposti cui il codice
civile subordina l’actio negotiorum gestorum, vale a
dire: la mancanza di una prohibitio domini
specificamente espressa dall’amministrazione, l’absentia
domini, ossia l’impossibilità, sia pure temporanea, del
dominus di provvedere ai suoi affari e l’utiliter
coeptum.
In particolare, in ordine al
penultimo requisito dell’absentia domini, il Giudice di
legittimità ha da tempo chiarito che non può essere
considerato ricorrente solamente a causa dei modi e dei
tempi di deliberare e di operare della pubblica
amministrazione, anche se ciò può comportare ritardi e
disfunzioni nello svolgimento di talune attività (così
Corte di Cassazione – Sezione Civile, dec. n. 11061, del
9 novembre 1993, in Giust. Civ. Mass., 1993, f, 11, che
ha sancito il principio secondo cui <<non costituisce
gestione di affari, ai fini dell’art. 2028 c.c.,
l’attività che un privato svolga per anticipare gli
effetti di provvidenze economiche disposte in suo favore
dalla pubblica amministrazione e non pervenute alla fase
di attuazione, non essendo ancora eseguibile l’obbligo
assunto dall’amministrazione e non potendosi considerare
inerzia, né impedimento a provvedere (cd. absentia
domini) il particolare modo di deliberare e di operare
delle persone giuridiche pubbliche, pur se suscettibile
di causare ritardi contrastanti con le aspettative del
beneficiario>>).
Quanto all’ultimo presupposto
dell’utiliter coeptum, nel mentre la dottrina
civilistica maggioritaria ritiene che, basandosi
l’apprezzamento della vantaggiosità su un accertamento
obiettivo, deve escludersi l’esercizio di una
particolare prerogativa discrezionale della pubblica
amministrazione nel suo riconoscimento, esplicito o
implicito, la giurisprudenza tanto di legittimità,
quanto di merito ed amministrativa, ritiene che
<<condizione essenziale per la proposizione dell’actio
negotiorum gestorum e dell’azione di indebito
arricchimento contro la pubblica amministrazione è il
riconoscimento, esplicito o implicito, da parte di
questa, rispettivamente, o dell’utiliter gestum o della
utilità ritratta dalla prestazione altrui, poiché
altrimenti si verrebbe ad invadere, da parte del giudice
ordinario, il campo discrezionale dell’amministrazione
medesima in merito ai criteri ed alle modalità che
avrebbero informato la sua condotta nel provvedere a
finalità di pubblico interesse>> (Corte di Cassazione,
Sez. Civ. I, dec. n. 416, del 23 febbraio 1950, in CED
Cass. Rv. 880152; conf. id., dec. n. 2500, del 24 luglio
1953, nonché Tribunale di Napoli – Sez. Civ. III, G.U.
dott. Magliulo, dec. n. 2149, del 19 febbraio 2009).
Impedimento che, peraltro, risponde
ad esigenze di corretta gestione della res publica,
oltre che di contenimento e programmazione della spesa,
onde evitare di esporre la pubblica amministrazione a
richieste di rimborso indiscriminate e derivanti da
scelte gestionali non condivise secondo il suo
discrezionale apprezzamento.
Argomenti che trovano
corrispondenza nell’analoga fattispecie dell’actio de in
rem verso, di cui all’art. 2043 c.c., inesperibile nei
confronti della pubblica amministrazione, in via
sussidiaria, quante volte non sia direttamente
applicabile quella della gestione di affari altrui,
difettandone i requisiti, laddove essa non abbia
comunque riconosciuto esplicitamente o per facta
concludentia l’utiliter coeptum (per un approfondimento
sia consentito rinviare ad un contributo della
scrivente, Actio de in rem verso e prerogative
intangibili della P.A. locale, IL Merito, 7 settembre
2009). REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1668 del 2002,
proposto da:
Fe. Al. e Be. - Na. S.r.l., rappresentato e difeso dagli
avv. Ga. Ca., Fr. Ca., con domicilio eletto presso E.
Ia. in Na., via Gi., n. (...);
contro
Comune di Ro., rappresentato e difeso dall'avv. En. Ma.
Ma., con domicilio eletto presso A. Pa. in Na., via C.
Po., n. (...);
per il riconoscimento
- del diritto di rivalsa delle spese sostenute per il
servizio di transennamento del passaggio a livello Km
24+048 della linea ferroviaria Ca. - Be., nonché per la
sostituzione delle semibarriere ivi installate con le
barriere complete, intervenuti nell'anno 1996 in
attuazione degli articoli 44, comma 2, e 234, comma 4,
del nuovo Codice della Strada e per la conseguente
liquidazione degli importi erogati a tal titolo dalla
società ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di
Ro.;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre
2011 il dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Me. No. s.r.l. (già Fe. Al. e Be.-Na. s.r.l.) ha
proposto ricorso ai fini del riconoscimento del diritto
di rivalsa delle spese sostenute per il servizio di
transennamento del passaggio a livello Km 24+048 della
linea ferroviaria Ca. - Be., nonché per la sostituzione
delle semibarriere ivi installate con le barriere
complete, intervenuti nell'anno 1996 in attuazione degli
articoli 44, comma 2, e 234, comma 4, del nuovo Codice
della Strada e per la conseguente liquidazione degli
importi erogati a tal titolo dalla società ricorrente,
il tutto sulla base del presupposto della configurazione
del rapporto giuridico in essere tra ricorrente ed il
Comune intimato in termini di negotiorum gestio.
Secondo la tesi attorea, scaduto il termine del
31.12.1995 per l'adeguamento dei passaggi a livello alla
nuova normativa, l'inadempimento da parte
dell'amministrazione intimata rappresenta il titolo
pubblicistico di dichiarare il diritto della società
ricorrenteal rimborso delle somme, sostenute - in luogo
dell'Ente proprietario della strada rimasto inoperoso -
per il servizio di transennamento manuale dei passaggi a
livello, nonché per la sostituzione delle semibarriere
preesistenti con barriere automatiche ivi installate,
con corrispondente condanna dell'Ente proprietario a
corrispondere le somme sostenute a tale titolo per un
importo complessivo pari ad euro 73.061,44, oltre
interessi e rivalutazione come per legge dalla data dei
pagamenti e fino all'effettivo soddisfo.
Si è costituita il Comune di Ro., che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
In vista dell'udienza di discussione le parti hanno
depositato memorie illustrative, ribadendo il contenuto
delle proprie tesi difensive ed insistendo per
l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate nei
rispettivi atti.
Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2011 la causa è
stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
In punto di giurisdizione giova osservare che, vertendo
la questione su di un rapporto prettamente pubblicistico
che in termini generali attiene alla gestione del
servizio pubblico, viene in rilievo l'assolvimento di un
compito inerente, appunto, alla sicurezza del servizio
che la norma primaria qualifica in termini di obbligo di
natura pubblicistica.
Si tratta, allora, non già di un'ipotesi gestoria,
configurabile unicamente con riferimento ad attività
negoziali, ma di una vicenda che - in tesi -
concreterebbe una sostituzione nell'adempimento di tale
obbligo e, come tale, sicuramente rientrante nella
giurisdizione amministrativa.
Inoltre, non vi è dubbio che l'adempimento imposto dal
codice della strada, ossia l'adeguamento e la messa in
sicurezza dei passaggi a livello con semibarriere, è
qualificabile come attività di manutenzione delle strade
pubbliche in funzione della salvaguardia della loro
funzionalità e quindi come servizio pubblico; la
controversia, avendo ad oggetto un rapporto tra soggetti
pubblici, implicante sia una valutazione di legittimità
della sostituzione operata dal ricorrente, sia la
fondatezza di una pretesa di natura indennitaria
presenta proprio quella situazione di intreccio tra
posizione di diritto ed interesse che configura una
ipotesi di giurisdizione esclusiva.
Nel merito, il ricorso è infondato.
Sul punto non vi sono ragioni per discostarsi
dall'orientamento espresso da questa Sezione (sentenza
n. 1630 del 2006), integralmente confermato in sede di
appello (C.d.S. n. 5929 del 2010).
A norma dell'articolo 44 del Codice della strada,
infatti, la sostituzione delle semibarriere con le
barriere nei passaggi a livello sprovvisti di
spartitraffico, così come l'apposizione di dispositivi
di luce rossa fissa volta a segnalare l'arrivo dei
treni, spetta ai gestori delle ferrovie.
Tanto alla costruzione dello spartitraffico quanto
all'attività di transennamento prescritta dal nuovo
Codice della strada la società esercente la tratta
ferroviaria in discorso ha provveduto, dunque, del tutto
unilateralmente, in assenza di un atto
dell'amministrazione provinciale che l'autorizzasse,
appaltando a una società esterna i lavori di
potenziamento dei passaggi a livello.
A tale riguardo, occorre premettere in ordine alla
vexata quaestio della esperibilità dell'azione ex art.
2028 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione,
che, com'è noto, il problema va risolto tenendo conto
della differenza fra attività di carattere
pubblicistico, nello svolgimento delle quali non sono
ammesse ingerenze da parte degli amministrati, ed
attività di carattere privatistico, nell'espletamento
delle quali la giurisprudenza tende, entro certi limiti,
ad ammettere che il cittadino si possa sostituire
all'amministrazione, acquisendo il diritto ad essere
rimborsato delle spese sostenute.
Nel primo caso deve ritenersi carente uno dei
presupposti cardine della gestione d'affari altrui,
costituito dall'assenza della prohibitio domini.
L'attività di carattere pubblicistico, infatti, è
rigidamente riservata dall'ordinamento alla P.A. e deve
pertanto riconoscersi un generale divieto, per i
privati, di intraprendere qualsiasi affare in tali
settori.
Nel settore dell'attività di carattere privatistico
della P.A., invece, non può ritenersi operante tale
divieto generale e, infatti, si ritiene tendenzialmente
ammissibile l'espletamento da parte di privati di
attività di pertinenza dell'amministrazione. Affinché,
tuttavia, sia configurabile il diritto del gestore al
rimborso delle spese sostenute, così come l'obbligo
della P.A. di adempiere alle obbligazioni assunte in suo
nome, nonché quello di tenere indenne il privato di
quelle assunte in nome proprio, è necessario che
ricorrano tutti i presupposti cui il codice civile
subordina l'actio negotiorum gestorum, vale a dire: la
mancanza di una prohibitio domini specificamente
espressa dall'amministrazione, l'utiliter coeptum, ossia
il riconoscimento esplicito od implicito che la gestione
dell'affare sia stata utilmente iniziata e, infine,
l'absentia domini, ossia l'impossibilità, sia pure
temporanea, del dominus di provvedere ai suoi affari (la
quale però non può essere considerata ricorrente
solamente a causa dei modi e dei tempi di deliberare e
di operare della P.A., anche se ciò può comportare
ritardi e disfunzioni nello svolgimento di talune
attività: cfr. Cass. Civ., 9 novembre 1993, n. 11061).
Nella specie, mancano gli estremi per poter configurare
l'esperibilità dell'actio negotiorum gestorum nei
confronti dell'amministrazione resistente.
L'assenza di un valido titolo autorizzativo è provata
dalle numerose note del Comune di Ro., il quale diverse
volte ha fatto notare alla Gestione Fe. Al. e di Be.
l'illegittimità dell'attività compiuta per assenza di un
atto che l'autorizzasse (prohibitio domini).
Anche laddove si ammettesse l'obbligo
dell'Amministrazione locale alla costruzione dello
spartitraffico, in nessun caso può poi accogliersi la
tesi, perorata dal ricorrente, secondo cui a fronte
dell'inerzia della Amministrazione e per preminenti
ragioni di sicurezza stradale, la società esercente la
ferrovia sia stata costretta a sostituirsi
all'amministrazione nel compiere l'attività di sua
precisa competenza.
Ed invero la cornice normativa, applicabile ratione
materiae alla fattispecie che ne occupa, comprende anche
una ulteriore parte dell'articolo 44 del codice della
strada (evocato a sostegno della pretesa), secondo cui:
"le semibarriere possono essere installate solo nel caso
che la carreggiata sia divisa nei due sensi di marcia da
spartitraffico invalicabile di adeguata lunghezza...".
Non può revocarsi in dubbio, allora, che la mancanza di
tale spartitraffico invalicabile, che separi il doppio
senso di marcia della carreggiata della strada
provinciale, non consente più, secondo il dettato
normativo, la permanenza delle semibarriere già in
precedenza installate dal medesimo gestore della
ferrovia.
Il Comune intimato, in sede di memoria difensiva, ha
precisato che la sua netta posizione contraria agli
interventi di adeguamento, così come intrapreso
dall'ente gestore, deriva dalla presenza nelle vicinanze
di un incrocio e dalla insussistenza di una larghezza
minima della carreggiata nel caso di specie per
l'apposizione di uno spartitraffico.
In base alle considerazioni esposte il ricorso va
rigettato. La peculiarità della controversia induce alla
integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese
compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del
giorno 26 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Guida, Presidente
Fabio Donadono, Consigliere
Michele Buonauro, Primo Referendario, Estensore
Depositata in segreteria il 04/11/2011. |