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Actio negotiorum gestio: esperibilità nei confornti della P.A.-Tar Campania, sezione I n. 5126 del 4 novembre 2011-Paola Cosmai, Avvocato (Lex24)

 

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Actio negotiorum gestio – Azione ex art. 2028 c.c. – Esperibilità nei confronti della pubblica amministrazione per mancato esercizio delle sue funzioni – Non sussiste - Esperibilità nei confronti della pubblica amministrazione per mancato esercizio di attività di diritto privato – Ammissibilità – Presupposti - Limiti

 

 

 

Il generale divieto di ingerenza del privato nell’esercizio dell’attività funzionale della pubblica amministrazione, non può ritenersi operante nel settore dell’attività di carattere privatistico, nel quale, infatti, si ritiene tendenzialmente ammissibile l’espletamento da parte di privati di attività di pertinenza dell’amministrazione. Affinché, tuttavia, sia configurabile il diritto del gestore al rimborso delle spese sostenute, così come l’obbligo della P.A. di adempiere alle obbligazioni assunte in suo nome, nonché quello di tenere indenne il privato di quelle assunte in nome proprio, è necessario che ricorrano tutti i presupposti cui il codice civile subordina l’actio negotiorum gestorum, vale a dire: la mancanza di una prohibitio domini specificamente espressa dall’amministrazione, l’utiliter coeptum, ossia il riconoscimento esplicito od implicito che la gestione dell’affare sia stata utilmente iniziata e, infine, l’absentia domini, ossia l’impossibilità, sia pure temporanea, del dominus di provvedere ai suoi affari.

 

Il fatto

Il Tribunale amministrativo partenopeo dirime una controversia insorta tra una società di gestione del servizio ferroviario ed un comune campano, originata dal mancato rimborso delle spese sostenute dalla prima per il transennamento di un passaggio a livello, nonché per la sostituzione delle semibarriere ivi installate con delle barriere complete, dalla medesima realizzati in attuazione degli articoli 44, comma 2, e 234, comma 4, del nuovo Codice della Strada, a seguito dell’inerzia dell’ente locale tenuto e rispetto al quale riteneva, dunque, configurabile un rapporto di negotiorum gestio, di cui all’art. 2028 c.c., con tutte le conseguenze economiche del caso.

Domanda di rivalsa che, tuttavia, il Collegio rigetta, pur ritenuta tanto la giurisdizione, peraltro esclusiva, trattandosi di rapporto di gestione di servizio pubblico, quanto l’astratta ammissibilità dell’actio negotiorum gestio in caso di attività di diritto privato della pubblica amministrazione, in ragione dell’inesistenza nel caso concreto dei presupposti richiesti dall’art. 2028 c.c. per l’esistenza del diritto, avendo, per un verso, il comune espressamente denegato i lavori di adeguamento, ritenuti non consoni alla particolare conformazione dei luoghi, e, per l’altro verso, rientrando le opere di installazione di che trattasi, tra gli obblighi del medesimo gestore della rete ferroviaria.

La questione

Nella  categoria degli  “altri fatti”, diversi  da  quelli  illeciti, che  l’art. 1173 c.c.  individua come fonti di obbligazioni, si colloca la gestione di affari altrui di cui all’art. 2028 c.c. che, infatti, costituisce un fatto e non un atto giuridico, secondo il consolidato orientamento della dottrina civilistica (ex multis: F. Galgano, Trattato di diritto civile, Cedam, II), posto in essere da un soggetto, consapevolmente e senza esservi obbligato, allo scopo di curare l’interesse a cui il titolare non può provvedere, spendendone (c.d. gestione rappresentativa) o meno il nome (c.d. gestione non rappresentativa).

Istituto, quello di che trattasi, rispondente ad un principio di solidarietà sociale, già noto al diritto romano, di cui l’attuale versione mutua i tradizionali caratteri, quali, come di qui a poco funditus: la spontaneità dell’azione gestoria (sine mandato);l’assenza dell’interessato (absentia domini); l’utilità della gestione intrapresa dal terzo (utiliter coeptum) a prescindere, tuttavia, dall’effettivo esito finale (etsi effectum non habuit negotium); l’alienità dell’affare (aliena negotia); la consapevolezza di gestire un affare altrui (animus aliena negotia gerendi); l’inesistenza di una proibizione del soggetto interessato (non proibente domiuns).

In disparte, per il momento, la disamina dell’aspetto soggettivo del rapporto, involgendo esso la questione, centrale in parte qua, dell’insorgenza o meno del rapporto anche in capo ad una pubblica amministrazione e volendo approfondire dapprima i restanti elementi della fattispecie, occorre muovere dall’oggetto della gestione che è costituito da qualsiasi attività, giuridica o materiale, obiettivamente utile per il patrimonio o la persona del titolare.

Profilo oggettivo che, pertanto, presenta analogie con quello del mandato, ex art. 2030 c.c., distinguendosene per la più ampia portata, atteso che la ratio di solidarietà sociale e di tutela della posizione giuridica altrui giustificata da particolari circostanze, che sottende la negotiorum gestio consente di includervi non solo gli affari giuridici di ordinaria amministrazione, come nel mandato, bensì pure, a differenza di questo, quelli di straordinaria amministrazione e quelli materiali.

Presupposti della gestione d’affari altrui sono, in primis, l’impedimento dell’interessato (c.d. absentia domini) a provvedere al proprio interesse, atteso che, di norma, la mancanza di uno specifico conferimento di tale potere di disporre dell’altrui sfera di interesse da parte del titolare configurerebbe un’ipotesi di indebita ingerenza lesiva dell’autonomia privata, che, come noto, si spinge anche sino all’incuria o all’abdicazione dei propri diritti patrimoniali.

Impedimento che, tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza civilistiche non ritengono debba sfociare nell’assoluta ed oggettiva impossibilità, bensì possa sostanziarsi anche nella più blanda ipotesi di incapacità contingente e soggettiva del titolare a provvedere alla cura del proprio affare, e finanche nella sua mera tolleranza o non opposizione all’intervento del terzo, quante volte egli ne sia cosciente e non intervenga ad impedirne l’iniziativa o la prosecuzione dell’azione.

Ulteriore requisito, quello della consapevolezza del terzo di star curando un affare o un interesse di cui non è titolare.

Caratteristica che rinviene il fondamento proprio nella ratio solidaristica dell’istituto, atteso che chi gestisce un affare di altri credendo erroneamente che sia il proprio realizza un’interferenza nella sfera giuridica altrui, che è estranea alla causa della negotiorum gestio e che non obbliga, pertanto, né il soggetto ad interessarsi ulteriormente di ciò che non gli compete, né il titolare ad indennizzarlo ai sensi dell’art. 2028 c.c., trovando semmai applicazione l’azione residuale e sussidiaria di cui all’art. 2041 c.c., per l’indebito arricchimento, nei limiti in cui ne ricorrano gli elementi costitutivi.

Terzo presupposto, quello della spontaneità dell’intervento del terzo, ossia l’assenza di un suo obbligo specifico alla cura dell’altrui interesse, che lo farebbe debordare nell’adempimento contrattuale esigibile dal titolare della posizione giuridica gestita (ad esempio, del mandato).

La gestione deve rispondere, quanto meno inizialmente, al carattere dell’utilità (cd. utiliter coeptum), altra espressione delle finalità solidaristiche dell’istituto, essendo evidente che, intanto l’ordinamento può giustificare l’ingerenza nella sfera giuridica privata altrui, in quanto non solo il titolare sia impedito alla cura della medesima, ma in quanto l’intervento dell’estraneo si presenti oggettivamente vantaggiosa per il bene patrimoniale coinvolto, in termini di potenziale incremento o di conservazione da un probabile pregiudizio.

D’altra parte il venire meno dell’utilità determina la necessità per il terzo di astenersi dalla prosecuzione dell’esercizio dell’attività intrapresa in favore del terzo.

Terzo che, come già anticipato, non deve averne proibito l’intervento, atteso che l’eventuale   divieto  inferirebbe  sull’illegittimità  della  gestione (c.d. non proibente dominus), esprimendo comunque la volontà del dominus di curare da sé il proprio interesse.

Divieto che la dottrina ritiene debba essere specifico, atteso che la conoscenza e la mera tolleranza dell’altrui intervento è idoneo a legittimarlo.

Dalla negotiorum gestio discende, per il gestore, ex art. 2030 c.c., l’obbligo di proseguirla finché il titolare non possa provvedervi da sé, ovvero finché non porti a compimento l’operazione ovvero finché questa risulti utile al titolare, rispondendo dei danni cagionati per colpa grave, secondo il paradigma delle obbligazioni a titolo gratuito e dovendo restituire quanto ricavato dall’affare medesimo.

Per l’interessato, viceversa, discende l’obbligo, ai sensi dell’art. 2031 c.c., di rimborsare il gestore delle spese, necessarie o comunque utili, sostenute nell’espletamento dell’attività, corrispondendogli altresì gli interessi a far data dagli esborsi ed assumendosi in via diretta la responsabilità dell’adempimento degli eventuali negozi conclusi a suo nome, secondo le regole della rappresentanza diretta.

Fermi i presupposti e gli effetti innanzi esposti, l’actio negotiorum gestio assume particolari connotati qualora il titolare della posizione giuridica sia una pubblica amministrazione.

Esclusa l’ammissibilità dell’ingerenza dei terzi riguardo alle sue attività funzionali, stante il principio di stretta legalità che permea il diritto amministrativo e che si atteggia come una generale prohibitio domini che non tollera ingerenze private, la giurisprudenza è ormai pacificamente orientata, entro certi limiti, a riconoscere l’espletamento sostitutivo dei privati nelle attività di diritto privato della pubblica amministrazione, con la conseguente applicazione dell’art. 2028 c.c. (ex plurimis: T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I, dec. n. 1630, del 6 febbraio 2006, conf. Consiglio di Stato – Sez. V, dec. n. 5929, del 24 agosto 2010).

Affinché, tuttavia, sia configurabile il diritto del gestore al rimborso delle spese sostenute, così come l’obbligo della pubblica amministrazione di adempiere alle obbligazioni assunte in suo nome, nonché quello di tenere indenne il privato di quelle assunte in nome proprio, è necessario che ricorrano tutti i prefati presupposti cui il codice civile subordina l’actio negotiorum gestorum, vale a dire: la mancanza di una prohibitio domini specificamente espressa dall’amministrazione, l’absentia domini, ossia l’impossibilità, sia pure temporanea, del dominus di provvedere ai suoi affari e l’utiliter coeptum.

In particolare, in ordine al penultimo requisito dell’absentia domini, il Giudice di legittimità ha da tempo chiarito che non può essere considerato ricorrente solamente a causa dei modi e dei tempi di deliberare e di operare della pubblica amministrazione, anche se ciò può comportare ritardi e disfunzioni nello svolgimento di talune attività (così Corte di Cassazione – Sezione Civile, dec. n. 11061, del 9 novembre 1993, in Giust. Civ. Mass., 1993, f, 11, che ha sancito il principio secondo cui <<non costituisce gestione di affari, ai fini dell’art. 2028 c.c., l’attività che un privato svolga per anticipare gli effetti di provvidenze economiche disposte in suo favore dalla pubblica amministrazione e non pervenute alla fase di attuazione, non essendo ancora eseguibile l’obbligo assunto dall’amministrazione e non potendosi considerare inerzia, né impedimento a provvedere (cd. absentia domini) il particolare modo di deliberare e di operare delle persone giuridiche pubbliche, pur se suscettibile di causare ritardi contrastanti con le aspettative del beneficiario>>).

Quanto all’ultimo presupposto dell’utiliter coeptum, nel mentre la dottrina civilistica maggioritaria ritiene che, basandosi l’apprezzamento della vantaggiosità su un accertamento obiettivo, deve escludersi l’esercizio di una particolare prerogativa discrezionale della pubblica amministrazione nel suo riconoscimento, esplicito o implicito,  la giurisprudenza tanto di legittimità, quanto di merito ed amministrativa, ritiene che <<condizione essenziale per la proposizione dell’actio negotiorum gestorum e dell’azione di indebito arricchimento contro la pubblica amministrazione è il riconoscimento, esplicito o implicito, da parte di questa, rispettivamente, o dell’utiliter gestum o della utilità ritratta dalla prestazione altrui, poiché altrimenti si verrebbe ad invadere, da parte del giudice ordinario, il campo discrezionale dell’amministrazione medesima in merito ai criteri ed alle modalità che avrebbero informato la sua condotta nel provvedere a finalità di pubblico interesse>> (Corte di Cassazione, Sez. Civ. I, dec. n. 416, del 23 febbraio 1950, in CED Cass. Rv. 880152; conf. id., dec. n. 2500, del 24 luglio 1953, nonché Tribunale di Napoli – Sez. Civ. III, G.U. dott. Magliulo, dec. n. 2149, del 19 febbraio 2009).

Impedimento che, peraltro, risponde ad esigenze di corretta gestione della res publica, oltre che di contenimento e programmazione della spesa, onde evitare di esporre la pubblica amministrazione a richieste di rimborso indiscriminate e derivanti da scelte gestionali non condivise secondo il suo discrezionale apprezzamento.

Argomenti che trovano corrispondenza nell’analoga fattispecie dell’actio de in rem verso, di cui all’art. 2043 c.c., inesperibile nei confronti della pubblica amministrazione, in via sussidiaria, quante volte non sia direttamente applicabile quella della gestione di affari altrui, difettandone i requisiti, laddove essa non abbia comunque riconosciuto esplicitamente o per facta concludentia l’utiliter coeptum (per un approfondimento sia consentito rinviare ad un contributo della scrivente, Actio de in rem verso e prerogative intangibili della P.A. locale, IL Merito, 7 settembre 2009). REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1668 del 2002, proposto da:

Fe. Al. e Be. - Na. S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Ga. Ca., Fr. Ca., con domicilio eletto presso E. Ia. in Na., via Gi., n. (...);

contro

Comune di Ro., rappresentato e difeso dall'avv. En. Ma. Ma., con domicilio eletto presso A. Pa. in Na., via C. Po., n. (...);

per il riconoscimento

- del diritto di rivalsa delle spese sostenute per il servizio di transennamento del passaggio a livello Km 24+048 della linea ferroviaria Ca. - Be., nonché per la sostituzione delle semibarriere ivi installate con le barriere complete, intervenuti nell'anno 1996 in attuazione degli articoli 44, comma 2, e 234, comma 4, del nuovo Codice della Strada e per la conseguente liquidazione degli importi erogati a tal titolo dalla società ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ro.;

Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2011 il dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Me. No. s.r.l. (già Fe. Al. e Be.-Na. s.r.l.) ha proposto ricorso ai fini del riconoscimento del diritto di rivalsa delle spese sostenute per il servizio di transennamento del passaggio a livello Km 24+048 della linea ferroviaria Ca. - Be., nonché per la sostituzione delle semibarriere ivi installate con le barriere complete, intervenuti nell'anno 1996 in attuazione degli articoli 44, comma 2, e 234, comma 4, del nuovo Codice della Strada e per la conseguente liquidazione degli importi erogati a tal titolo dalla società ricorrente, il tutto sulla base del presupposto della configurazione del rapporto giuridico in essere tra ricorrente ed il Comune intimato in termini di negotiorum gestio.

Secondo la tesi attorea, scaduto il termine del 31.12.1995 per l'adeguamento dei passaggi a livello alla nuova normativa, l'inadempimento da parte dell'amministrazione intimata rappresenta il titolo pubblicistico di dichiarare il diritto della società ricorrenteal rimborso delle somme, sostenute - in luogo dell'Ente proprietario della strada rimasto inoperoso - per il servizio di transennamento manuale dei passaggi a livello, nonché per la sostituzione delle semibarriere preesistenti con barriere automatiche ivi installate, con corrispondente condanna dell'Ente proprietario a corrispondere le somme sostenute a tale titolo per un importo complessivo pari ad euro 73.061,44, oltre interessi e rivalutazione come per legge dalla data dei pagamenti e fino all'effettivo soddisfo.

Si è costituita il Comune di Ro., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie illustrative, ribadendo il contenuto delle proprie tesi difensive ed insistendo per l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate nei rispettivi atti.

Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In punto di giurisdizione giova osservare che, vertendo la questione su di un rapporto prettamente pubblicistico che in termini generali attiene alla gestione del servizio pubblico, viene in rilievo l'assolvimento di un compito inerente, appunto, alla sicurezza del servizio che la norma primaria qualifica in termini di obbligo di natura pubblicistica.

Si tratta, allora, non già di un'ipotesi gestoria, configurabile unicamente con riferimento ad attività negoziali, ma di una vicenda che - in tesi - concreterebbe una sostituzione nell'adempimento di tale obbligo e, come tale, sicuramente rientrante nella giurisdizione amministrativa.

Inoltre, non vi è dubbio che l'adempimento imposto dal codice della strada, ossia l'adeguamento e la messa in sicurezza dei passaggi a livello con semibarriere, è qualificabile come attività di manutenzione delle strade pubbliche in funzione della salvaguardia della loro funzionalità e quindi come servizio pubblico; la controversia, avendo ad oggetto un rapporto tra soggetti pubblici, implicante sia una valutazione di legittimità della sostituzione operata dal ricorrente, sia la fondatezza di una pretesa di natura indennitaria presenta proprio quella situazione di intreccio tra posizione di diritto ed interesse che configura una ipotesi di giurisdizione esclusiva.

Nel merito, il ricorso è infondato.

Sul punto non vi sono ragioni per discostarsi dall'orientamento espresso da questa Sezione (sentenza n. 1630 del 2006), integralmente confermato in sede di appello (C.d.S. n. 5929 del 2010).

A norma dell'articolo 44 del Codice della strada, infatti, la sostituzione delle semibarriere con le barriere nei passaggi a livello sprovvisti di spartitraffico, così come l'apposizione di dispositivi di luce rossa fissa volta a segnalare l'arrivo dei treni, spetta ai gestori delle ferrovie.

Tanto alla costruzione dello spartitraffico quanto all'attività di transennamento prescritta dal nuovo Codice della strada la società esercente la tratta ferroviaria in discorso ha provveduto, dunque, del tutto unilateralmente, in assenza di un atto dell'amministrazione provinciale che l'autorizzasse, appaltando a una società esterna i lavori di potenziamento dei passaggi a livello.

A tale riguardo, occorre premettere in ordine alla vexata quaestio della esperibilità dell'azione ex art. 2028 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione, che, com'è noto, il problema va risolto tenendo conto della differenza fra attività di carattere pubblicistico, nello svolgimento delle quali non sono ammesse ingerenze da parte degli amministrati, ed attività di carattere privatistico, nell'espletamento delle quali la giurisprudenza tende, entro certi limiti, ad ammettere che il cittadino si possa sostituire all'amministrazione, acquisendo il diritto ad essere rimborsato delle spese sostenute.

Nel primo caso deve ritenersi carente uno dei presupposti cardine della gestione d'affari altrui, costituito dall'assenza della prohibitio domini. L'attività di carattere pubblicistico, infatti, è rigidamente riservata dall'ordinamento alla P.A. e deve pertanto riconoscersi un generale divieto, per i privati, di intraprendere qualsiasi affare in tali settori.

Nel settore dell'attività di carattere privatistico della P.A., invece, non può ritenersi operante tale divieto generale e, infatti, si ritiene tendenzialmente ammissibile l'espletamento da parte di privati di attività di pertinenza dell'amministrazione. Affinché, tuttavia, sia configurabile il diritto del gestore al rimborso delle spese sostenute, così come l'obbligo della P.A. di adempiere alle obbligazioni assunte in suo nome, nonché quello di tenere indenne il privato di quelle assunte in nome proprio, è necessario che ricorrano tutti i presupposti cui il codice civile subordina l'actio negotiorum gestorum, vale a dire: la mancanza di una prohibitio domini specificamente espressa dall'amministrazione, l'utiliter coeptum, ossia il riconoscimento esplicito od implicito che la gestione dell'affare sia stata utilmente iniziata e, infine, l'absentia domini, ossia l'impossibilità, sia pure temporanea, del dominus di provvedere ai suoi affari (la quale però non può essere considerata ricorrente solamente a causa dei modi e dei tempi di deliberare e di operare della P.A., anche se ciò può comportare ritardi e disfunzioni nello svolgimento di talune attività: cfr. Cass. Civ., 9 novembre 1993, n. 11061).

Nella specie, mancano gli estremi per poter configurare l'esperibilità dell'actio negotiorum gestorum nei confronti dell'amministrazione resistente.

L'assenza di un valido titolo autorizzativo è provata dalle numerose note del Comune di Ro., il quale diverse volte ha fatto notare alla Gestione Fe. Al. e di Be. l'illegittimità dell'attività compiuta per assenza di un atto che l'autorizzasse (prohibitio domini).

Anche laddove si ammettesse l'obbligo dell'Amministrazione locale alla costruzione dello spartitraffico, in nessun caso può poi accogliersi la tesi, perorata dal ricorrente, secondo cui a fronte dell'inerzia della Amministrazione e per preminenti ragioni di sicurezza stradale, la società esercente la ferrovia sia stata costretta a sostituirsi all'amministrazione nel compiere l'attività di sua precisa competenza.

Ed invero la cornice normativa, applicabile ratione materiae alla fattispecie che ne occupa, comprende anche una ulteriore parte dell'articolo 44 del codice della strada (evocato a sostegno della pretesa), secondo cui: "le semibarriere possono essere installate solo nel caso che la carreggiata sia divisa nei due sensi di marcia da spartitraffico invalicabile di adeguata lunghezza...".

Non può revocarsi in dubbio, allora, che la mancanza di tale spartitraffico invalicabile, che separi il doppio senso di marcia della carreggiata della strada provinciale, non consente più, secondo il dettato normativo, la permanenza delle semibarriere già in precedenza installate dal medesimo gestore della ferrovia.

Il Comune intimato, in sede di memoria difensiva, ha precisato che la sua netta posizione contraria agli interventi di adeguamento, così come intrapreso dall'ente gestore, deriva dalla presenza nelle vicinanze di un incrocio e dalla insussistenza di una larghezza minima della carreggiata nel caso di specie per l'apposizione di uno spartitraffico.

In base alle considerazioni esposte il ricorso va rigettato. La peculiarità della controversia induce alla integrale compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Antonio Guida, Presidente

Fabio Donadono, Consigliere

Michele Buonauro, Primo Referendario, Estensore

Depositata in segreteria il 04/11/2011.

 

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