Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

LA NECESSITA' DI RIDURRE IL PERSONALE MEDIANTE UN LICENZIAMENTO PUO' ESSERE ESCLUSA NEL CASO CHE L'AZIENDA ABBIA EFFETTUATO IN PRECEDENZA L'ASSUNZIONE DI UN DIPENDENTE - In base all'art. 3 L. n. 604 del 1966 (Cassazione Sezione Lavoro n. 16925 del 3 agosto 2011, Pres. Vidiri, Rel. Zappia).-Legge e giustizia.it

 

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

 

 

 

Andrea M. dipendente della S.r.l. Centro Ingrosso Detersivi è stato licenziato nel febbraio del 2003 con motivazione riferita a crisi aziendale. Egli ha  chiesto al Tribunale di Palermo di dichiarare la nullità del licenziamento perché intimatogli per ritorsione alla sua richiesta di pagamento di lavoro straordinario. Il Tribunale ha dichiarato la nullità del licenziamento ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società al risarcimento del danno. Questa decisione è stata confermata in grado di appello dalla Corte di Palermo, che ha ritenuto insussistente la dedotta esigenza di riduzione del personale ed ha rilevato che poco prima del licenziamento di Andrea M. la S.r.l. C.I.D. aveva assunto un altro dipendente. Da tale circostanza la Corte ha, tra l'altro, desunto la mancanza di prova della impossibilità di adibire il lavoratore licenziato ad altri compiti. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Palermo per vizi di motivazione e violazione di legge.

 

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 16925 del 3 agosto 2011, Pres. Vidiri, Rel. Zappia) ha rigettato il ricorso. Secondo una consolidata giurisprudenza - ha ricordato la  Corte - il motivo oggettivo di  licenziamento determinato da  ragioni  inerenti all'attività produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966) deve essere valutato dal datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, poiché tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione. Al giudice spetta invece il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore, attraverso un apprezzamento delle prove che è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Di conseguenza non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto di lavoro cui era addetto il dipendente licenziato, anche se la riorganizzazione sia attuata per la più economica gestione dell'impresa, e senza che la necessaria verifica dell'effettività delle scelte comporti un'indagine in ordine ai margini di convenienza e di onerosità dei costi connessi alla suddetta riorganizzazione, con il solo limite del controllo della reale sussistenza delle ragioni poste dall'imprenditore a fondamento delle proprie scelte e della effettività e non pretestuosità del riassetto organizzativo operato. È stato altresì precisato che in caso di licenziamento per soppressione del posto di lavoro, ai fini della configurabilità del giustificato motivo oggettivo, grava sul datore di lavoro l'onere della prova relativa all'impossibilità dì impiego del dipendente licenziato nell'ambito dell'organizzazione aziendale, con la precisazione che siffatto onere, concernendo un fatto negativo, deve essere assolto mediante la dimostrazione di correlativi fatti positivi, come il fatto che i residui posti di lavoro relativi a mansioni equivalenti fossero, al tempo del recesso, stabilmente occupati, o il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo lasso di tempo non sia stata effettuata alcuna assunzione nella stessa qualifica (Cass. sez. lav., 13.10.2008 n. 25043; Cass. sez. lav., 16.5.2003 n. 7717). Nella specie - ha osservato la Cassazione - il giudice del gravame ha fatto corretta applicazione di tali principi, sicché le censure che il ricorrente muove alla sentenza impugnata per violazione della legge n. 604 del 1966 sono manifestamente infondate. Invero la Corte territoriale ha rilevato la pretestuosità del dedotto riassetto organizzativo reso necessario, secondo l'assunto datoriale, dalla crisi economica derivante dalla contrazione degli ordini, evidenziando come siffatta argomentazione si poneva in stridente contrasto con l'assunzione di altro dipendente, avvenuta pochi mesi prima del licenziamento del Messina, adibito in larga parte alle medesime incombenze cui era addetto il ricorrente. La motivazione si appalesa corretta - ha osservato la Cassazione -ove si osservi che la dedotta situazione di crisi aziendale non può essere portata a giustificazione dell'operato licenziamento laddove, in costanza della stessa situazione di crisi, la società aveva appena proceduto alla assunzione di altro dipendente destinato allo svolgimento, in gran parte, degli stessi compiti attribuiti al dipendente licenziato.

 

La Corte ha anche osservato che l'onere della prova della impossibilità di utilizzazione del lavoratore licenziato in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale, sotto il profilo che i residui posti di lavoro erano al tempo del licenziamento occupati da altri lavoratori, non può certamente essere eluso mediante l'assunzione, a breve distanza di tempo prima del licenziamento, di altro lavoratore con assegnazione allo stesso, in maniera prevalente, degli stessi compiti del lavoratore successivamente licenziato.

 

Per quanto concerne la ritenuta natura ritorsiva del licenziamento la Corte ha rilevato che il licenziamento discriminatorio, sancito dall'art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall'art. 15 della legge n. 300 del 1970 e dall'art. 3 della legge n. 108 del 1990, è suscettibile di interpretazione estensiva sicché l'area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, attuati a seguito di comportamenti risultati sgraditi all'imprenditore, che costituisce cioè l'ingiusta ed arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essenzialmente quindi di natura vendicativa (Cass. sez. lav., 18.3.2011 n. 6282). A ciò si è pervenuto sia attraverso una estensione dell'area dei singoli moventi vietati dall'art. 4 della citata legge n. 604 del 1966, sia consentendo la verifica del motivo illecito, che abbia avuto efficacia esclusiva nella determinazione della volontà del recedente (Cass. sez. lav., 3.5.1997 n. 3837).

 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici