Avv. Paolo Nesta


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IL RIFIUTO DI MANSIONI DA PARTE DEL LAVORATORE PUO' ESSERE RITENUTO LEGITTIMO - Nel caso che la loro esecuzione possa recare pregiudizio alla salute o alla professionalità (Cassazione Sezione Lavoro n. 16780 del 29 luglio 2011, Pres. Miani Canevari, Rel. Tria).-Legge e giustizia.it

 

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Nel caso in cui il datore di lavoro non adotti, a norma dell'art. 2087 cod. civ., tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e le condizioni di salute dei prestatori di lavoro, il lavoratore ha - in linea di principio - la facoltà di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute; conseguentemente, se il lavoratore prova la sussistenza di tale presupposto, è illegittimo il licenziamento disciplinare intimato a causa del rifiuto del lavoratore di continuare a svolgere tali mansioni (Cass. 18 maggio 2006, n. 11664). In ipotesi di licenziamento irrogato, ai sensi dell'art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604, per il rifiuto del lavoratore di svolgere le mansioni assegnategli e di giustificazione di tale rifiuto con la diversità delle nuove mansioni rispetto alle precedenti o con la non corrispondenza di esse al proprio livello professionale, il datore di lavoro, essendo gravato, ai sensi dell'art. 5 della stessa legge, dell'onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, deve dimostrare che le nuove mansioni equivalgono a quelle precedenti o rientrano in quelle proprie del livello professionale del lavoratore; ma ciò non esclude l'applicabilità, anche nell'ipotesi suddetta, del principio secondo cui il giudice del merito può utilizzare, ai fini della formazione del proprio convincimento, gli elementi probatori comunque acquisiti al processo e da qualunque parte forniti.

 

 

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