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Inesatta informazione previdenziale: il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
(Sentenza 21 luglio 2011, n. 15992) –La previdenza.it

 

 

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In primo luogo, non sussiste il nesso causale tra le informazioni errate fornite dal Comune al S. il 12 ottobre 1993 e le sue successive dimissioni volontarie dall'Enasarco - presentate senza aver maturato il diritto a pensione - dovendosi ricondurre tale scelta ad una decisione autonoma del lavoratore. Infatti, il S. si era dimesso dal Comune in data 22 ottobre 1973 e il successivo 23 ottobre aveva iniziato il servizio all'ENASARCO. In data 8 marzo 1974 il Comune gli aveva notificato la delibera di accettazione delle dimissioni, decorrenti dal 22 ottobre 1973. Conseguentemente, nel dicembre 1973 non poteva continuare a percepire i contributi previdenziali del Comune (come risultava dalla comunicazione errata fornita dal Comune nel 1993); avendo precisa cognizione della successione temporale dei due rapporti di lavoro, e, a fronte dell'erronea comunicazione del Comune, avrebbe potuto verificare la propria posizione contributiva presso l'INPDAP. In secondo luogo, non è ravvisabile un comportamento colposo in capo al Comune, non sussistendo un obbligo giuridico di comunicare la posizione contributiva dei propri dipendenti; obbligo che, invece, sussiste, sulla base della L. n. 88 del 1989, in capo agli enti previdenziali in caso di richiesta dell'interessato.
2. I primi tre motivi di ricorso proposto dal S. concernono l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto dal Comune rispetto al D.B., avanzata dal S. in quella sede e ritenuta superata dalla Corte di merito; possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione. Con il primo si deduce omessa motivazione nella parte in cui la sentenza non spiegherebbe perchè: prima la Corte ha disposto la rinnovazione ex art. 291 cod. proc. civ.; poi - a fronte della richiesta del Comune di nuovo termine per la rinnovazione - ha rinviato per la precisazione delle conclusioni; quindi ha ritenuto sussistente una precedente rituale notifica al D.B. Con il secondo si deduce la violazione dell'art. 291 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto valida la precedente notifica, effettuata al D.B. ai sensi dell'art. 139 cod. proc. civ., dopo che, disponendo la rinnovazione della stessa ex art. 291 cod. proc. civ., aveva ritenuto l'irregolare costituzione del contraddittorio. Con il terzo si deduce la violazione dell'art. 139 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto rituale la notifica in assenza della cartolina attestante la ricezione da parte del D.B. della raccomandata, spedita dall'ufficiale giudiziario per avvisare il destinatario della consegna dell'atto al vicino; in assenza di costituzione dell'appellato; in assenza di rinnovo della notifica....

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 21 luglio 2011, n. 15992

 

Svolgimento del processo

 

1. S.P. - prima dipendente del Comune di Roma, poi, dopo le dimissioni volontarie dal Comune, dipendente ENASARCO - conveniva in giudizio (nel 1998) il Comune, e i funzionari B. B. e D.B.S., per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti per effetto delle dimissioni dall'impiego presso l'ENASARCO, prima di maturare il diritto alla pensione di invalidità; dimissioni alle quali si era determinato sulla base di errate informazioni rilasciategli dall'amministrazione comunale.

 

Il Tribunale, nel contraddittorio con il Comune e il B., condannava in solido il Comune e il D.B. (circa Euro 85.000,00) e rigettava la domanda nei confronti del B.

 

2. La Corte di appello di Roma, adita dal Comune, rigettava la domanda di risarcimento del danno del S., nella contumacia di B. e D.B.S. (sentenza dei 21 aprile 2008).

 

3. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione il S., con sei motivi, corredati da quesiti ed esplicati da memoria. Resiste con controricorso il Comune. B. e D. B., ritualmente intimati, non si sono difesi.

 

Motivi della decisione

 

1. La decisione impugnata si fonda sulle seguenti essenziali argomentazioni.

 

1.1. L'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto dal Comune -sollevata dal S., sostenendo l'omessa rinnovazione da parte del Comune della notifica dell'atto di appello nei confronti del D. B., autorizzata dalla Corte, - è "superata", stante "la prova" della preesistente rituale notifica in data 4 febbraio 2004, mediante consegna del plico al vicino di casa, che ha sottoscritto la relata, e successiva comunicazione al destinatario mediante lettera raccomandata attestata dall'ufficiale giudiziario.

 

1.2. Nel merito, la domanda va rigettata.

 

In primo luogo, non sussiste il nesso causale tra le informazioni errate fornite dal Comune al S. il 12 ottobre 1993 e le sue successive dimissioni volontarie dall'Enasarco - presentate senza aver maturato il diritto a pensione - dovendosi ricondurre tale scelta ad una decisione autonoma del lavoratore. Infatti, il S. si era dimesso dal Comune in data 22 ottobre 1973 e il successivo 23 ottobre aveva iniziato il servizio all'ENASARCO. In data 8 marzo 1974 il Comune gli aveva notificato la delibera di accettazione delle dimissioni, decorrenti dal 22 ottobre 1973.

 

Conseguentemente, nel dicembre 1973 non poteva continuare a percepire i contributi previdenziali del Comune (come risultava dalla comunicazione errata fornita dal Comune nel 1993); avendo precisa cognizione della successione temporale dei due rapporti di lavoro, e, a fronte dell'erronea comunicazione del Comune, avrebbe potuto verificare la propria posizione contributiva presso l'INPDAP. In secondo luogo, non è ravvisabile un comportamento colposo in capo al Comune, non sussistendo un obbligo giuridico di comunicare la posizione contributiva dei propri dipendenti; obbligo che, invece, sussiste, sulla base della L. n. 88 del 1989, in capo agli enti previdenziali in caso di richiesta dell'interessato.

 

2. I primi tre motivi di ricorso proposto dal S. concernono l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto dal Comune rispetto al D.B., avanzata dal S. in quella sede e ritenuta superata dalla Corte di merito; possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione.

 

Con il primo si deduce omessa motivazione nella parte in cui la sentenza non spiegherebbe perchè: prima la Corte ha disposto la rinnovazione ex art. 291 cod. proc. civ.; poi - a fronte della richiesta del Comune di nuovo termine per la rinnovazione - ha rinviato per la precisazione delle conclusioni; quindi ha ritenuto sussistente una precedente rituale notifica al D.B.

 

Con il secondo si deduce la violazione dell'art. 291 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto valida la precedente notifica, effettuata al D.B. ai sensi dell'art. 139 cod. proc. civ., dopo che, disponendo la rinnovazione della stessa ex art. 291 cod. proc. civ., aveva ritenuto l'irregolare costituzione del contraddittorio.

 

Con il terzo si deduce la violazione dell'art. 139 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto rituale la notifica in assenza della cartolina attestante la ricezione da parte del D.B. della raccomandata, spedita dall'ufficiale giudiziario per avvisare il destinatario della consegna dell'atto al vicino; in assenza di costituzione dell'appellato; in assenza di rinnovo della notifica.

 

2.1. Tutti i motivi, concernenti l'unica questione della ritualità della citazione in appello del D.B., sono inammissibili per carenza di interesse.

 

Trattandosi di obbligazioni solidali, con conseguente litisconsorzio facoltativo e scindibilità delle cause, gli ipotizzati vizi della notificazione dell'atto di appello, proposto da un condannato in solido (il Comune) rispetto all'altro condannato obbligato in solido (il D.B.), nei confronti del quale non era stata esercitata nel processo alcuna domanda attinente ai rapporti interni, non inficiano la rituale proposizione dell'appello nei confronti del danneggiato (il S.). Con seguente mente, il S. non ha alcun interesse a far valere tali pretesi vizi. Vizi, di cui si sarebbe potuto dolere il D.B., che, invece, ritualmente intimato nel presente giudizio, non ha svolto difese. 3. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. e art. 2727 cod. civ., nella parte in cui il giudice deduce presuntivamente dalla comunicazione della delibera di accettazione delle dimissioni dal Comune, con la relativa decorrenza, la conoscenza del S. della propria posizione contributiva.

 

Con il quinto motivo si deduce la violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. e art. 2727 cod. civ., in riferimento al documento del Comune (del 12 ottobre 1993, rilasciato a richiesta dell'interessato) contenente le attestazioni, riconosciute erronee anche dal Comune, attinenti alla posizione contributiva, ritenuto dalla Corte di merito neutrale, rispetto alla determinazione del S. di presentare le dimissioni dall'Enasarco nella certezza di aver raggiunto i requisiti previdenziali richiesti per la pensione, nonostante la riconosciuta erroneità, ammessa anche dal Comune, con conseguente insufficienza e contraddittorietà nella motivazione.

 

Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 1175 e 1176 cod. civ. e della L. n. 241 del 1990, art. 1, laddove il giudice di merito ritiene l'assenza di colpa in capo al Comune in mancanza di uno specifico obbligo giuridico di fornire informazioni sulla posizione previdenziale. In particolare deduce la responsabilità da contatto sociale, particolarmente qualificata in capo all'amministrazione.

 

4. I motivi, strettamene connessi, vanno esaminati unitariamente e meritano di essere accolti.

 

4.1. Nessun pregio ha l'eccezione, sollevata nel controricorso dal Comune, secondo la quale sarebbe inammissibile il sesto motivo, in quanto prospettante una questione nuova. Nel giudizio di merito, come riconosce lo stesso controricorrente, si è discusso di responsabilità contrattuale e extracontrattuale del Comune e, comunque, sempre in riferimento agli stessi fatti. Non può, quindi, ritenersi nuova la deduzione, per la prima volta in cassazione, della responsabilità da contatto sociale.

 

4.2. Per meglio comprendere i vizi in cui è incorsa la sentenza impugnata è opportuna una breve premessa sulla successione degli eventi e della relativa documentazione; dati pacifici tra le parti.

 

Il S. si dimise dall'impiego comunale in data 22 ottobre 1973 e iniziò il rapporto di lavoro con l'ENASARCO il successivo 23 ottobre. In data 8 marzo 1974 il Comune gli notificò la Delib. 20 dicembre 1973 con la quale venivano accettate le dimissioni, con decorrenza dal 22 ottobre 1973.

 

Nel settembre 1993 il S. chiese al Comune di conoscere la propria posizione contributiva in riferimento al periodo in cui aveva prestato servizio presso l'ente.

 

Con la certificazione rilasciata il 12 ottobre successivo, il Comune, dopo aver ripercorso i diversi periodi di servizio prestati con diverse qualifiche, individua la data delle dimissioni volontarie in quella della delibera di accettazione delle stesse (20 dicembre 1973) invece di quella reale (il 22 ottobre 1973), da cui le dimissioni erano decorse, secondo quanto attestato dalla suddetta delibera.

 

Inoltre, certifica che al medesimo S. era stato riconosciuto, ai soli fini previdenziali, il servizio prestato dal 10 novembre 1965 (invece che dal 19 novembre 1965) al 31 dicembre 1965; contributi figurativi antecedenti al rapporto di lavoro, iniziato, secondo quanto risulta dal certificato, il 1 gennaio 1966.

 

Con decorrenza dal 1 settembre 1995, il S. si dimetteva dall'ENASARCO. La domanda di pensione veniva respinta dall'INPDAP -al quale aveva presentato domanda di ricongiungimento dei contributi - per aver il S. prestato servizio presso il Comune per un periodo inferiore agli otto anni richiesti dalla L. n. 274 del 1991, art. 9. 5. La sentenza impugnata è viziata nella parte in cui nega il nesso causale tra le errate informazioni fornite dal Comune al S. e le dimissioni del S. dall'ENASARCO; dimissioni presentate, secondo la prospettazione attorea, nella convinzione di essere in possesso degli otto anni di servizio presso il Comune, necessari ai fini del ricongiungimento dei contributi e del diritto a pensione.

 

Infatti, la Corte di merito trae dalla avvenuta comunicazione della delibera comunale contenente l'accettazione delle dimissioni dal Comune la conoscenza da parte del S. della esatta data delle dimissioni, con conseguente assenza di posizione contributiva in assenza di posizione lavorativa e conseguente irrilevanza della circostanza che nel certificato rilasciato dal Comune nel 1993 tale data fosse errata, perchè successiva a quella reale.

 

Invece, il lungo tempo trascorso tra le dimissioni dal Comune (avvenute nel 1973, con accettazione comunicata nel 1974) e il certificato contenente la data errata (rilasciato nel 1993) non legittimano tale presunzione di esatta conoscenza da parte dell'uomo medio; tanto più se si considera il breve scarto temporale tra la data reale e la data indicata nel certificato (22 ottobre e non 20 dicembre dello stesso anno).

 

Inoltre, la Corte di merito presume la conoscenza della esatta posizione contributiva da parte del S. desumendola dalla circostanza che si trattava del suo rapporto di lavoro, con conseguente irrilevanza della erronea ricostruzione nel certificato rilasciato dal Comune. Non considera, però, il contenuto del certificato nella parte in cui attesta (erroneamente) il periodo di contribuzione figurativa.

 

Anche ad ammettere che sia legittimo presumere che la parte interessata sappia se un periodo del proprio rapporto di lavoro gode della contribuzione figurativa, certo non può presumersi che sia a conoscenza delle date esatte di decorrenza di tale contribuzione;

 

tanto più quando, come nella specie, il certificato attesti una contribuzione figurativa differente per pochi giorni da quella reale (10 novembre 1965 invece di 19 novembre 1965).

 

Nè tali conclusioni sono messe in discussione dalla circostanza che il S. avrebbe potuto chiedere la verifica della propria posizione contributiva presso l'INPDAP prima di presentare le dimissioni, come rileva il giudice del merito, il quale presuppone che il S. avrebbe potuto accorgersi dell'errore contenuto nel certificato trattandosi di questioni relative al proprio rapporto di lavoro che avrebbe dovuto sapere. Per quanto chiarito sopra, tale presunzione di conoscenza in capo al S. non può ritenersi configurata.

 

5.1. Premesso che è pacifica la sussistenza dei suddetti errori nel certificato rilasciato dal Comune e che è evidente la rilevanza degli stessi nel far apparire esistente un periodo più lungo di servizio, così come non è in discussione la rilevanza dell'apparente maggiore periodo rispetto al godimento della pensione chiesta dal S. (dopo aver presentato le dimissioni dall'ENASARCO), deve riconoscersi l'esistenza del nesso causale tra l'erroneo certificato rilasciato dal Comune e le dimissioni del S. dall'ENASARCO; dimissioni che non gli hanno consentito di godere della pensione nel periodo immediatamente successivo.

 

Secondo la regola l'id quod plerumque accidit, non può dubitarsi del nesso causale tra quanto affermato dal Comune nel certificato e il conseguente comportamento del S. che, facendo affidamento sulla pensione anticipata in presenza di un periodo contributivo di otto anni presso il Comune, presentò le dimissioni dall'ENASARCO. Nè può ipotizzarsi una concorrenza causale del danneggiato, non rilevando, alla luce del consolidato criterio della cosiddetta causalità adeguata - secondo il quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono, secondo una valutazione ex ante, del tutto inverosimili - l'omessa richiesta di verifica all'INPDAP. Infatti, sarebbe inverosimile ipotizzare che, in presenza di un certificato proveniente dal proprio (ex nella specie) datore di lavoro il comportamento dell'uomo medio, avrebbe potuto essere più accorto e richiedere la verifica.

 

6. Si tratta ora di stabilire a che titolo il S. chiede il risarcimento del danno subito in conseguenza dell'errore compiuto dall'amministrazione Comunale.

 

6.1. Correttamente, la Corte di merito ha escluso che l'obbligo di fornire le informazioni previdenziali derivi dalla L. 9 marzo 1989, n. 88.

 

In effetti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, nell'ipotesi in cui l'INPS abbia fornito all'assicurato un'indicazione erronea in ordine al numero dei contributi versati, il danno subito dal lavoratore è riconducibile a responsabilità contrattuale dell'istituto, in quanto derivante dalla inosservanza del generale obbligo dell'ente previdenziale, L. n. 88 del 1989, ex art. 54 di informare l'interessato sulla sua posizione assicurativa e pensionistica, ove questi ne faccia richiesta (Cass. 10 novembre 2008, n. 26925; Cass. 8 aprile 2002, n. 5002). Obbligo, cui corrisponde un diritto dell'assicurato alla corretta informazione circa la consistenza del credito contributivo in corso, con riconoscimento, anche a prescindere dal pensionamento (Cass. 21 giugno 2002, n. 9125). Obbligo, derivante dalla legge solo a carico di INPS e INAIL, ed espressamente escluso rispetto ad altri enti previdenziali (Cass. 17 maggio 2003, n. 7743).

 

6.2. Naturalmente, non può ipotizzarsi la responsabilità contrattuale derivante dal rapporto di lavoro con il Comune, visto che, nella specie, la richiesta di informazioni sul proprio stato contributivo proveniva da un ex dipendente (per un'ipotesi di responsabilità contrattuale dell'ente pubblico per aver indotto in errore il dipendente, e per il rilievo dell'affidamento in esso riposto dall'amministrato, Cass. 14 novembre 2008, n. 27154; la specificazione della responsabilità contrattuale si trova in motivazione).

 

6.2.1. Alla luce degli approdi della giurisprudenza e della dottrina in ordine ai rapporti tra cittadino e amministrazione, potrebbe ipotizzarsi, invece, la generale responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ.

 

Tuttavia, ritiene il Collegio, che prima ancora del generale principio del neminem ledere, valevole per tutti i cittadini nei confronti dell'amministrazione pubblica, rilevi quella responsabilità che giurisprudenza e dottrina qualificano da "contatto sociale", venendo in rilievo una richiesta di informazioni che, in quanto rivolta da un ex dipendente ad un ex datore di lavoro, si connota per una vicinanza qualificata giuridicamente da obblighi e aspettative che trovano la loro origine nel pregresso vincolo contrattuale.

 

6.3. La responsabilità da contatto sociale - elaborata sul terreno civilistico dalla dottrina, sulla scorta di quella tedesca, e fatta propria da oltre un decennio dalla giurisprudenza di legittimità - si caratterizza come responsabilità per inadempimento senza obblighi di prestazione contrattualmente assunti, in fattispecie di danno di difficile inquadramento sistematico, "ai confini tra contratto e torto". Vengono ricondotte ipotesi in cui la responsabilità extracontrattuale appare insufficiente, in quanto generica responsabilità del "chiunque", e nelle quali manca il fulcro del rapporto obbligatorio, costituito dalla prestazione vincolante. Fonte della prestazione risarcitoria non è nè la violazione del principio del neminem ledere, nè l'inadempimento della prestazione contrattualmente assunta, ma la lesione di obblighi di protezione, di comportamento, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. Il rapporto che scaturisce dal "contatto" è ricondotto allo schema della obbligazione da contratto.

 

6.3.1. La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato responsabilità da contatto sociale: in capo al medico, dipendente da struttura sanitaria, nei confronti del paziente; nel caso dell'insegnante, dipendente dall'istituto scolastico, nei confronti dello studente, per il danno cagionato dall'alunno a se stesso. Il dato caratterizzante, comune alle due fattispecie, (rispetto alle quali l'applicazione del principio è costante, a partire, rispettivamente, da Cass. 22 gennaio 1999, n. 589 e da Sez, Un. 27 giugno 2002, n. 9346) è, oltre all'assenza di un contratto tra presunto danneggiante e danneggiato, la particolare "qualità dell'attività" svolta dal possibile danneggiante; potrebbe dirsi, proprio per gli echi pubblicistici legati alla destinazione dell'attività, la "qualità della funzione" svolta dal danneggiate, alla quale l'ordinamento giuridico collega obblighi di comportamento, anche a tutela di valori costituzionali (artt. 32, 33 e 34 Cost.). Da un lato, l'esercizio di una professione cosiddetta protetta, per aver bisogno di una speciale abilitazione all'esercizio, con obblighi di comportamento nei confronti di chi su tale professionalità ha fatto affidamento, entrando in contatto con lui. Dall'altro, il complessivo obbligo di istruire ed educare dell'insegnante, cui si collega lo specifico obbligo di protezione e vigilanza del discente per evitare che si procuri da solo un danno alla persona.

 

6.4. Nel caso di danno conseguente a inesatte informazioni (nella specie previdenziali), attinenti al rapporto di lavoro, fornite, a richiesta, dall'ex datore di lavoro al lavoratore, è assente il vincolo contrattuale attuale. E' presente, però, la particolare funzione qualificata svolta dal datore di lavoro, naturalmente riferibile ai propri dipendenti e non alla generalità, rispetto a informazioni in suo possesso attinenti al rapporto di lavoro che non sia più attuale. L'obbligo di comportamento trova il proprio fondamento nel pregresso rapporto contrattuale ed è a tutela dell'affidamento che l'ex dipendente ripone nell'ex datore di lavoro, quale detentore qualificato delle informazioni relative ad un rapporto contrattuale ormai concluso, in un contesto che ha sullo sfondo la tutela costituzionale apprestata al lavoro (art. 35 Cost.).

 

E' ravvisatole, quindi, la responsabilità da contatto, con il conseguente regime probatorio desumibile dall'art. 1218 cod. civ., secondo il quale, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato per effetto del contatto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa a sè non imputabile.

 

6.5. Resta da spiegare perchè non si sia percorsa la strada, pure astrattamente ipotizzabile nella specie, nella quale l'ex datore di lavoro è un'amministrazione pubblica, della risarcibilità del danno ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., ed, in particolare, della responsabilità dell'amministrazione per informazioni errate.

 

Infatti, mentre è rimasta inesplorata (perchè mai concretamente applicata dalla Corte di legittimità) l'ipotizzata responsabilità da contatto dell'amministrazione nei confronti del cittadino, per effetto degli obblighi procedi menta li (legge 7 agosto 1990, n. 241), che hanno reso specifico e differenziato tale rapporto (Cass. 10 gennaio 2003, n. 157; Cass. 26 settembre 2003, n. 14333) - tesi parallela a decisioni della giurisprudenza amministrativa che ravvisavano o ipotizzavano il cosiddetto "contatto procedimentale" - molto nutrito è, invece, il filone giurisprudenziale che si è snodato sul piano della responsabilità extracontrattuale, a partire da Sez. Un. 22 luglio 1999, n. 500, con il riconoscimento della risarcibilita anche dei cosiddetti interessi legittimi. Al di là delle innumerevole applicazioni, rispetto al caso di specie, rilevano quelle decisioni secondo le quali la responsabilità della P.A. per illecito extracontrattuale è astrattamente configurabile anche nella diffusione di informazioni inesatte, in quanto lesive della posizione (meritevole di tutela) del privato di affidamento nella stessa, tenuto conto che questa deve ispirare la propria azione a regole di correttezza, imparzialità e buon andamento ai sensi dell'art. 97 Cost. (Cass. 9 febbraio 2004, n. 2424; Cass. 5 giugno 2007, n. 13061).

 

6.5.1. La suddetta tutela del singolo nei confronti dell'amministrazione, proprio perchè accordata nell'ambito della responsabilità generale ex art. 2043 cod. civ., presuppone che tra danneggiate e danneggiato non preesista un rapporto giuridico o che, comunque, la pretesa risarcitoria sia formulata indipendentemente da tale rapporto (mentre, come si è visto prima, non è stata mai concretamente percorsa la strada di ravvisare una responsabilità "da contatto" dell'amministrazione nei confronti del cittadino).

 

Invece, nella specie all'attenzione della Corte, esisteva nei confronti de danneggiante un vero e proprio vincolo contrattuale e, cessato quello, obblighi di comportamento che nel primo trovano origine, connotando un contatto qualificato basato sull'affidamento, fonte di responsabilità. Tuttavia, è indubbio che la qualità pubblica del soggetto danneggiate è idonea a rafforzare tale affidamento.

 

6.6. In conclusione, il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso sono accolti e la causa va rinviata alla Corte di merito, che deciderà la domanda applicando i suddetti principi di diritto (p. 5.1 e 6,4.) e liquiderà anche le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso; che rigetta nel resto cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese processuali del giudizio di cassazione.

 

 

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