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LE ONORANZE FUNEBRI PAGANO UNA MANCIA PER AGGIUDICARSI IL MORTO: CONCUSSIONE?Cassazione, sez. VI, 12 luglio 2011, n. 27151-Diritto e processo.it

 

 

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(Pres. Mannino – Rel. Lanza)

 

 

 

 

 

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

 

T.S., M.V. e Me.Li. ricorrono, a mezzo del loro difensori, avverso la sentenza 10 maggio 2010 della Corte di appello di Firenze, che ha confermato la sentenza 2 luglio 2008 del Tribunale di Pistoia (che aveva condannato i primi due per il reato continuato di concussione del capo sub A e, la terza, per il reato di falso ideologico del capo sub C), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati,

 

1.) le conformi decisioni dei giudici di merito in punto di responsabilità degli accusati.

 

Con sentenza 2 luglio 2008 del Tribunale di Pistoia T.S., M.V., C.R., e M.L. venivano giudicati responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti e condannati ciascuno alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, i primi tre per il delitto di concussione, commesso sino all'aprile del 1998, la quarta, per il delitto di falso in relazione alla redazione di un certificato di morte contenente dati falsi.

 

Per gli imputati T., M., C. e Ca. inoltre vi è stata pronuncia di non doversi procedere per essere estinto per prescrizione il fatto del capo sub B) qualificato come corruzione, originariamente loro contestato come concussione.

 

Per i giudici di merito i fatti nascono da indagini della Polizia di Stato di Pistoia presso l'Ospedale di Pistoia riguardo alla gestione dei servizi dell'Obitorio, effettuate mediante intercettazioni telefoniche ed ambientali nei locali dell'obitorio stesso.

 

In particolare, il 17 aprile 1998, personale della Squadra Mobile assisteva alla consegna di danaro da parte di P.L., collaboratore della impresa di onoranze funebri" C. di R. G. & C. s.n.c. nelle mani del necroforo C.R..

 

Il P. aveva avvertito la Polizia Giudiziaria della operazione e, pertanto, all'arresto del C., seguiva una perquisizione presso i locali dell'Obitorio; sempre il 17.4.1998, la perquisizione consentiva di evidenziare che nel registro dei deceduti l'ultima registrazione risultava essere quella di C.A., il cui decesso era avvenuto alle 5,20 del (omissis), ma per la quale risultavano la visita necroscopica e la certificazione della morte come eseguite il (omissis) alle ore 6,50.

 

Per questo episodio veniva denunciata la Dott.ssa Me., che aveva redatto il certificato di morte, attestando un'ora che ancora doveva raggiungersi.

 

Al momento dell'arresto del C., con la consegna della busta contenente L. 900.000 si rinveniva altro danaro ed un foglio manoscritto con l'indicazione di varie cifre. L'ultima annotazione recava - 900.000/135.000.

 

Nell'ulteriore corso del procedimento, nell'interrogatorio di garanzia il C. ammetteva che effettivamente vi era l'abitudine da parte delle imprese di onoranze funebri di elargire mance ai necrofori per L. 50.000 o L. 100.000, abitudine che valeva anche per i suoi colleghi T. e M..

 

Per il primo giudice anche le intercettazioni telefoniche confermavano le dichiarazioni del P., che avevano avuto sostegno anche dalla testimonianza del direttore sanitario dell'Ospedale di Pistoia, Dott. D..

 

I fatti raccontati dal P., inoltre erano stati confermati dalle dichiarazioni del teste R., titolare delle onoranze funebri. Egli evidenziava come ad ulteriore riprova dell'atteggiamento ostruzionistico la circostanza della mancanza del saluto con il M. ed il T.. Egli stesso, in passato, aveva consegnato danaro a costoro sia prima che dopo il sistema della turnazione. La pretestuosità delle difficoltà allorquando erano cessati i pagamenti era stata evidente allorquando ripreso il sistema delle mance, le difficoltà erano cessate.

 

Il Tribunale rilevava come le dichiarazioni dei testi R. e P. erano state concordanti, avevano evidenziato quale fosse il clima dentro all'Obitorio e le condizioni a cui erano costretti tutti a cedere per continuare a lavorare e le intercettazioni ambientali confermavano questa situazione.

 

Da ciò la declaratoria di responsabilità dei tre necrofori e la dichiarazione di colpevolezza per il reato di falso per la dr.ssa Me..

 

Appellata la sentenza del Tribunale di Pistola, la Corte di appello con la sentenza oggi impugnata confermava la decisione del primo giudice, rilevando che il reato di falso addebitato alla dr.ssa Me. non era estinto per prescrizione.

 

2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

 

Tutti i condannati, ad esclusione di C.R. hanno proposto ricorso per cassazione.

 

2.1) l'impugnazione di T.S. e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

 

Con un articolato unico motivo di impugnazione il T. deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo che la decisione della corte distrettuale ha dedicato una sola pagina alla valutazione dei motivi di appello, ignorando le precise deduzioni dell'atto d'appello del T. e concernenti: a) il concorso fra i coimputati; b) la individualità delle dazioni di denaro; l'individualità dei rapporti; il rapporto fra dazioni e segnalazione di decessi; c) il divieto di frequentazione dell'obitorio; d) la segnalazione da parte dei necrofori e, in particolare, del T.S. ; e) la destinazione delle somme (£.900.000) consegnate, e poi sequestrate, al C. ; f) i motivi dell'interruzione dei rapporti fra il T. ed il R.; g) i presunti pagamenti da parte anche della m.; h) il periodo di entrata in funzione delle cappelle del commiato e l'asserito impedimento all'uso delle stesse; i) il rilascio delle salme attraverso l'uso dell'ECG; l) l'asserito ritardo nella consegna dei documenti; m) la qualificazione del reato in relazione alle condotte tenute dal ricorrente; n) sulla inutilizzabilità delle dichiarazioni del C..

 

Tutti questi temi critici - sostiene il ricorrente - sono stati completamente pretermessi nella sentenza della Corte d'Appello con la conseguenza che non esiste una motivazione, avendo di fatto la Corte avallato acriticamente la sentenza di primo grado, senza confrontarsi con i motivi di appello, plurimi e decisivi anche in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti.

 

In ogni caso, le dazioni di denaro non erano frutto di concussione bensì conseguenza della preoccupazione di resistere e sopravvivere commercialmente, in un quadro nel quale i necrofori svolgevano la funzione di procacciatori di affari dietro compenso per ogni decesso segnalato e "aggiudicato".

 

Il motivo unico di ricorso del T., che è comune al primo motivo di ricorso del M., è fondato.

 

Invero, come questa Corte ha avuto modo di ribadire in tema di motivazione della sentenza, le esigenze di una esaustiva argomentazione sono soddisfatte anche da una succinta esposizione dei motivi di fatto e di diritto, a nulla rilevando il numero o la lunghezza delle proposizioni destinate a tale scopo, quanto, invece, il contenuto, la chiarezza e la validità argomentativa delle stesse, derivante dalla logicità delle connessioni e delle inferenze valutative (cfr in termini: Cass. pen. sez. 6, 14407/ 2009, r.v. 243266).

 

Peraltro nella specie tale risultato di giustificazione è stato si espresso in modo sintetico in una sola pagina di motivazione, ma senza alcun riferimento alle plurime e specifiche censure degli atti d'appello sia dell'imputato T. che del M..

 

Sussiste infatti il vizio di mancanza di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., non solo quando vi sia un difetto grafico della stessa, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall'interessato con i motivi d'appello e dotate del requisito della decisività (Cass. pen. sez. 6, 35918/2009 Rv. 244763. Massime precedenti Conformi: N. 4830 del 1995 Rv. 201268, N. 6945 del 2000 Rv. 216765).

 

Nella specie invero, non solo la corte distrettuale nella sua motivazione non ha neppure richiamato per sintesi la sentenza di primo grado, ma ha prospettato lo schema di giustificazione della sua deliberazione (le 26 righe di pag.10) nella totale indifferenza delle doglianze, anche risolutive, in punto di responsabilità e qualificazione delle condotte, nei termini evidenziati in modo specifico negli appelli del T. e del M., e con le quali la decisione impugnata non si è affatto confrontata.

 

Dalla suindicata invalidità della motivazione consegue l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio in ordine al reato di concussione (capo A dell'imputazione), la quale, nella piena libertà delle valutazioni di merito di competenza, dovrà porre rimedio all'accertato deficit argomentativo.

 

3.2) l'impugnazione di M.V. e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

 

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo della insufficiente e inadeguata motivazione della decisione di condanna, non essendovi stata nella specie una disamina critica delle dichiarazioni dei testi P. e R., ed una corretta valutazione della qualificazione giuridica dei fatti, da derubricarsi in corruzione, nonché una risposta alle doglianze sulla ricorrenza dell'elemento psicologico del reato del capo B.

 

Con un secondo motivo si lamenta l'omessa valutazione della testimonianza di B.R. idonea a disarticolare la deposizione del dr. R..

 

Con un terzo motivo si prospetta violazione dell'art. 513 c.p.p. in quanto le dichiarazioni rese dall'imputato C., oggi non ricorrente, avanti al G.I.P. in sede di convalida dell'arresto, non potevano essere utilizzate nei confronti del M., a fronte dell'esercizio da parte dello stesso della facoltà di non rendere esame in dibattimento, dato che il difensore del C. non aveva prestato alcun consenso. Al contrario i giudici di merito hanno "indirettamente usato" dette affermazioni come termine di paragone per validare le testimonianze di R. e P..

 

I primi due motivi del M. vanno accolti, nei termini dianzi spiegati per la posizione del T., attese le evidenti gravi carenze motivazionali, ed il terzo motivo rimane assorbito dall'annullamento con rinvio.

 

Con un quarto motivo si evidenzia ancora vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alle disposizioni degli artt. 498 (esame diretto e controesame dei testimoni), 499 (regole per l'esame testimoniale), 500 (contestazioni nell'esame testimoniale) e 111 comma 2 Costituzione (norme sulla giurisdizione).

 

Per il ricorrente la violazione delle regole fissate dall'art. 500 c.p.p. da parte del Presidente del collegio di primo grado, il quale "faceva contestazioni guidando l'esame verso uno scopo determinato" determinerebbe la inutilizzabilità delle dichiarazioni espresse al di fuori dei limiti stabiliti dai commi 3, 4, 5, 6 e 7 del citato art. 500 c.p.p..

 

Il motivo non può essere accolto in quanto l'inosservanza delle formalità prescritte dalla legge, ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo, non è, di per sé, sufficiente a rendere quest'ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell'art. 191 c.p.p..

 

Ed invero, tale norma, se ha previsto l'inutilizzabilità come sanzione di carattere generale, applicabile alle prove acquisite in violazione ai divieti probatori, non ha, per questo, eliminato lo strumento della nullità, in quanto le categorie della nullità e dell'inutilizzabilità, pur operando nell'area della patologia della prova, restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti: la prima attenendo sempre e soltanto all'inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova - vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti - la seconda presupponendo, invece, la presenza di una prova "vietata" per la sua intrinseca illegittimità oggetti va, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta illegittimità lo pone certamente al di fuori del sistema processuale (Cass. pen. sez. Sez. U, 5021/1996 Rv. 204644).

 

In conclusione, a parte, la genericità del motivo e la sua non "autosufficienza", va ribadito che la violazione delle regole fissate dall'art. 500 c.p.p. da parte del Presidente del collegio di primo grado, il quale secondo l'assunto difensivo, “faceva contestazioni guidando l'esame verso uno scopo determinato" non produce l'inutilizzabilità dell'esito della prova stessa, né integra la sussistenza di una nullità in forza del principio della tassatività delle nullità stesse.

 

3.3) l'impugnazione di Me.Li. e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

 

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo dell'intervenuta prescrizione del reato, risalendo il fatto al 17 aprile 1998 e non essendo all'imputata applicabile l'effetto sospensivo di cui all'art. 159 n.3 c.p.p. che riguardava il difensore di uno dei tre imputati di concussione.

 

Con un secondo motivo si lamenta la mancata derubricazione del delitto nella violazione dell'art. 480 c.p..

 

Con un terzo motivo si prospetta vizio di motivazione e violazione di legge per mancato espletamento di una perizia grafologica sulla scrittura attinente alla data e all'ora della visita, dalla ricorrente non redatta ma lasciata in bianco all'atto della consegna del certificato di morte ai necrofori.

 

Con un quarto motivo si evidenzia che la declaratoria di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche riducendo la pena edittale, riconferma ulteriormente l'avvenuta prescrizione del reato contestato.

 

Con un quinto motivo si sostiene che la data e l'ora (false) risultanti dal certificato non hanno efficacia costitutiva che è limitata al solo fatto materiale della "visita" sicuramente avvenuta.

 

Con un sesto motivo si illustra vizio di motivazione in ordine all'omessa immotivata riduzione della sanzione irrogata in primo grado.

 

Tanto premesso va subito affermato che la sussistenza della condotta dr.ssa Me., e la sua qualificazione sotto il paradigma della violazione dell'art. 479 c.p. risultano del tutto corrette, considerato che il certificato di morte, rilasciato dal sanitario (in virtù del regolamento di polizia mortuaria e del regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, ex art. 74, d.p.r. n. 396 del 2000), è atto pubblico, ai sensi dell'art. 479 c.p., in quanto espressione della funzione attestatrice dell'accertamento diretto del sanitario stesso e, nel contempo, riveste funzione costitutiva perché preordinato al rilascio dell'autorizzazione alla sepoltura, autorizzazione che,a sua volta, è subordinata non solo all'accertamento della morte, ma anche alla verifica dell'inesistenza di condizioni che giustifichino interventi dell'Autorità sanitaria o giudiziaria (Cass. pen. sez. 5, 21837/2008 Rv. 240101).

 

Nella specie peraltro, il Tribunale e la Corte di appello, nel determinare la sanzione hanno erroneamente considerato l'ipotesi del capoverso dell'art. 476 c.p. come un'ipotesi autonoma di reato, cui hanno applicato la riduzione massima per effetto delle circostanze attenuanti generiche.

 

In realtà si tratta di un'aggravante speciale che in concreto è stata elisa e dichiarata subvalente rispetto alle riconosciute circostanze attenuanti generiche.

 

Tale fatto peraltro rileva favorevolmente agli effetti della individuazione de, termine massimo di compimento del tempo necessario a prescrivere, che nella specie, applicato il nuovo regime, risulta ampiamente maturato, essendo i fatti risalenti al 17 aprile 1998 e non ricorrendo in al all'art. 129 capoverso c.p.p..

 

Da ciò - come richiesto anche dal Procuratore generale in udienza - la necessaria pronuncia di annullamento senza rinvio della impugnata sentenza a carico della dr.ssa Me. per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.

 

 

 

P.Q.M.

 

 

 

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Me.Li. perché il reato è estinto per prescrizione.

 

Annulla la medesima sentenza nei confronti di T.S. e M.V. e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio in ordine al reato di concussione (capo A dell'imputazione).

 

 

 

 

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