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Immobili,vendita,abitabilita',aliud pro alio- Cassazione II civile n. 17707 del 29 agosto 2011 -Commento alla fonte:Civile.it

 

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"la vendita di immobile destinato ad abitazione, privo del certificato di abitabilità, incidendo sull’attitudine del bene compravenduto ad assolvere la sua funzione economico-sociale, si risolve nella mancanza di un requisito giuridico essenziale ai fine del legittimo godimento del bene e della sua commerciabilità e, configurando un’ipotesi di vendita di “aliud pro alio”, legittima l’acquirente a domandare il risarcimento dei danni, per la ridotta commerciabilità del bene (Cfr. Cass. n. 2729/2002; n. 1701/2009)."

 

 

               

               

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE II

 

Svolgimento del processo

 

Con atto di citazione notificato il 13.4.93 S.A. e il figlio, M.A., convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Livorno, S.V. e A.S., esponendo di aver acquistato da questi ultimi, con atto 20.12.1985, ciascuno la porzione di un immobile di proprietà indivisa dei convenuti stessi ( M.A. era subentrato nella proprietà della quota del padre, M.E., che aveva originariamente acquistato in regime di comunione legale con la moglie A. S.);

 

gli attori, avevano, a loro volta, promesso in vendita a terzi l’intero immobile con atto del 4.4.1991; il 5.4.92, allorchè stava per scadere il termine per la stipula del definitivo, i promissari acquirenti avevano loro contestato che l’appartamento sito al pianterreno, era munito solo di licenza di agibilità, ma non di abitabilità; a seguito di una trattativa con i promissari acquirenti, della quale i convenuti erano stati tenuti al corrente, era stata conclusa una transazione che prevedeva la riduzione del prezzo di vendita, rispetto a quello già pattuito, di L. 23.000.000;

 

gli attori chiedevano, quindi, il rimborso di tale somma, nonchè degli oneri corrisposti per il condono, pari a L. 2.800.000, dei costi catastali e del compenso di L. 2.935.000 corrisposto al professionista. Si costituivano in giudizio i convenuti assumendo la loro buona fede avendo essi, a loro volta, acquistato i locali in questione come idonei alla destinazione di “civile abitazione”, dichiarati, probabilmente, come ripostigli dagli originari costruttori solo ai fini fiscali, per usufruire di una rendita catastale più bassa; eccepivano, comunque, la prescrizione quinquennale, ex art. 1490 c.c., assumendo che, essendo stata sanata l’irregolarità dell’immobile, avrebbero dovuto corrispondere solo il costo della sanatoria e non la riduzione del prezzo.

 

Con sentenza 12.3.2002 il Tribunale di Livorno accoglieva la domanda, condannando i convenuti al pagamento, in favore degli attori, a titolo risarcitorio, della somma complessiva di Euro 12.708,27, oltre interessi e rimborso delle spese di causa.

 

Avverso tale decisione S.V. e A.S. proponevano appello cui resistevano il M. e la S..

 

Con sentenza, in data 25.3.2005, la Corte d’Appello di Firenze, in totale accoglimento dell’appello, rigettava la domanda risarcitoria proposta dal M. e dalla S., condannando gli appellati al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

 

Rilevava la Corte territoriale che la vendita di immobile destinato ad uso abitativo, ma privo della licenza di abitabilità, integrava un’ipotesi di consegna di “aliud pro alio” solo “qualora risultino specifiche, anche se implicite, pattuizioni in ordine all’obbligo del venditore di richiedere tale licenza ovvero risulti che, per le modalità di costruzione dell’immobile, la licenza medesima non possa comunque essere rilasciata”;

 

nella specie, escluse tali specifiche pattuizioni e non essendo stato neppure allegato che le caratteristiche costruttive dell’immobile impedissero il cambio di destinazione e il conseguente rilascio del premesso di abitabilità anche per il futuro, secondo la disciplina ordinaria di cui alla L. 28.2.1985, n. 47, l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, circa l’impossibilità di ottenere detto permesso prima della L. 23 dicembre 1994, n. 724, era priva di fondamento e di prova; peraltro,pur avendo gli attori promosso il giudizio prima dell’entrata in vigore della legge stessa, non avevano fatto alcun riferimento all’impossibilità, in quel momento, di ottenere la regolarizzazione amministrativa del bene compravenduto, “avendo messo in campo solo i costi, per loro, di tale operazione”.

 

Ne conseguiva la intervenuta prescrizione, ai sensi dell’art. 1495 c.c., del diritto fatto valere dagli attori. Il M. e la S. impugnavano tale decisione con ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

 

Non veniva proposto alcun controricorso

 

Motivi della decisione

 

I ricorrenti deducono:

 

l)violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1453, 1495 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

 

la Corte di merito, applicando erroneamente il disposto dell’art. 1495 c.c., aveva dichiarata prescritta l’azione proposta, non valutando lo stato di fatto dell’immobile al momento della stipulazione dell’atto pubblico di vendita e non motivando sul diverso indirizzo giurisprudenziale della S.C. che, in caso di vendita di immobili senza certificato di abitabilità, ravvisa un’ipotesi di “aliud pro alio” ed un inadempimento di carattere generale, comportante la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., fatto salvo il diritto al risarcimento del danno, soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale;

 

2) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 342 c.p.c. e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

 

la Corte di appello aveva violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, non avendo tenuto conto delle ragioni poste a fondamento dei motivi di appello, violando, inoltre, i principi in tema di onere probatorio; avendo gli attori provato il fatto dell’inadempimento contrattuale, ai sensi dell’art. 2697 c.c., spettava alla parte inadempiente l’onere di provare che l’inadempimento non era dipeso da fatto proprio mentre i convenuti avevano esposto solo “generiche lamentazioni”; la Corte di Appello aveva, poi, omesso di specificare la normativa secondo la quale era possibile la sanatoria del cambiamento di destinazione d’uso, ex L. n. 47 del 1985 e di indicare la corrispondenza tra le norme e le caratteristiche dell’immobile da sanare;

 

3) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.c., n. 5;

 

dalle massime citate nella sentenza impugnata la Corte di Appello aveva erroneamente desunto che, nel caso di specie, ricorresse non una vendita “di aliud pro alio”, per mancanza del permesso di abitabilità, ma un semplice vizio redibitorio, soggetto, come tale, al termine prescrizionale di cui all’art. 1495 c.c.; del tutto assente era, inoltre, la motivazione circa l’ignoranza o meno, da parte dei compratori M. – S., della inesistenza del permesso di abitabilità, certezza conseguita dagli stessi con la sottoscrizione della transazione conclusa con tale P. C., in data 29.6.1992; ne conseguiva, con riferimento gialla data di notificazione dell’atto di citazione di primo grado (13.4.1993), la mancata decorrenza del temine prescrizionale all’atto della denuncia dei vizi, quand’anche ritenuti meramente redibitoria considerato che, ex art. 2941 c.c., n. 8, la prescrizione rimane sospesa fino alla scoperta del vizio.

 

Il primo motivo di ricorso è fondato.

 

La Corte territoriale ha escluso la configurabilità della consegna di “aliud pro alio” in relazione al difetto del certificato di abitabilità dell’immobile, oggetto della vendita intercorsa fra le parti, applicando il disposto dell’art. 1495 c.c., in tema di vizi e mancanza di qualità della cosa venduta, fondando tale decisione sul difetto di una specifica pattuizione contrattuale in ordine all’obbligo del venditore di richiedere la licenza di abitabilità nonchè sul fatto che gli acquirenti, nella specie, non avevano neppure allegato “che le caratteristiche costruttive dell’immobile impedissero il cambio di destinazione ed il conseguente rilascio del permesso di abitabilità”.

 

Con tale motivazione i giudici di appello omettono, però, di dar conto dell’ indirizzo giurisprudenziale secondo cui la vendita di immobile destinato ad abitazione, privo del certificato di abitabilità, incidendo sull’attitudine del bene compravenduto ad assolvere la sua funzione economico-sociale, si risolve nella mancanza di un requisito giuridico essenziale ai fine del legittimo godimento del bene e della sua commerciabilità e, configurando un’ipotesi di vendita di “aliud pro alio”, legittima l’acquirente a domandare il risarcimento dei danni, per la ridotta commerciabilità del bene (Cfr. Cass. n. 2729/2002; n. 1701/2009).

 

Nel caso in esame, peraltro, la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare la rilevanza del rilascio del certificato di abitabilità, avvenuto nei confronti di terzi, aventi causa dagli acquirenti S. – M. e le ragioni del ritardo di tale rilascio rispetto all’atto di vendita intercorso fra le parti, posto che questa Corte ha avuto modo anche di affermare che la mancata consegna del certificato di abitabilità all’acquirente di un immobile costituisce un inadempimento del venditore la cui incidenza, sull’equilibrio delle reciproche prestazioni delle parti, va rapportata alla oggettiva attitudine del bene a soddisfare le aspettative dell’acquirente, con riferimento alla natura delle accertate violazioni della legge urbanistica (Cfr. Cass. n. 6548/2010).

 

Tanto comportava la necessità di un’indagine e di una motivazione sul punto, potendo l’omesso od il ritardato rilascio della licenza di abitabilità dipendere da varie cause, quali la necessità di interventi edilizi oppure l’esistenza di meri impedimenti o ritardi burocratici che non influiscono sulla oggettiva attitudine del bene ad assolvere la sua funzione economico- sociale con la conseguenza di una diversa connotazione dell’inadempimento del venditore quanto alla mancata consegna della licenza di abitabilità; doveva, pertanto, essere verificata, in concreto, l’importanza di tale omissione con riferimento al godimento ed alla commerciabilità dell’immobile (Cass. n. 3851/08; n. 24786/06).

 

L’accoglimento del primo motivo di ricorso, sotto i profili esposti, comporta l’assorbimento degli altri motivi di gravame.

 

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio ad una diversa sezione della Corte d’Appello di Firenze, che dovrà emendare dette lacune motivazionali, provvedendo alla statuizione anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

 

cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese di questo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.

 

 

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