Per il reato di omesso o
intempestivo versamento delle ritenute previdenziali e
assistenziali è sufficiente il dolo generico. Per cui la
semplice coscienza e volontà della omissione o della
tardività nei pagamenti, configurano un comportamento
penalmente rilevante, senza la necessità di dover
provare una specifica volontà fraudolenta. Lo ha
chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n.
35895/2011, confermando la condanna emessa dalla Corte
di appello di Roma nei confronti di un imprenditore che
per circa un anno non aveva adempiuto agli obblighi di
legge.
Per i giudici di Piazza Cavour,
infatti, per la sussistenza del reato rilevano soltanto
il pagamento della retribuzione e la scadenza dei
termini per i versamenti all’Inps. Non è necessaria
dunque alcun altra indagine circa l’esistenza o meno del
dolo specifico. Mentre per la prova della condotta
illecita è sufficiente la testimonianza dell’ispettore
del lavoro il quale abbia verificato telematicamente, e
dunque anche senza una visita ispettiva, i ritardi o le
omissioni nei versamenti.
Del resto, chiarisce la Suprema
corte, il processo penale è caratterizzato dalla non
tassatività dei mezzi di prova e dal libero
convincimento del giudice, il quale può, dunque, come in
questo caso, “trarre elementi di convincimento in ordine
alla omissione del versamento anche dalla successiva
domanda di sanatoria”. Del resto, anche logicamente,
argomentano i giudici, tale istanza segue normalmente la
volontà di regolarizzare precedenti mancanze.
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