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La Corte di Cassazione 15 settembre
2011 n. 18853 ha affermato che, data la natura giuridica
dei doveri coniugali, non sussiste alcun rapporto di
pregiudizialità tra la domanda di addebito e quella di
risarcimento dei danni.
La violazione dei doveri coniugali
può, infatti, ledere diritti costituzionalmente protetti
qualora si dimostri che la condotta illecita -nella
specie l’infedeltà- abbia dato vita ad una lesione
dell’integrità psicofisica, oppure si sia concretizzata
in atti specificamente lesivi della dignità della
persona.
Ai fini del risarcimento del danno
intrafamiliare a nulla rileverebbe, dunque, l’eventuale
rinuncia alla pronuncia di addebito da parte del coniuge
tradito, né il fatto che tra le parti sia intervenuta
una separazione consensuale, anziché giudiziale.
I doveri che derivano ai coniugi
dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro
violazione non trova necessariamente sanzione unicamente
nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia,
quale l’addebito della separazione, discendendo dalla
natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa
violazione, ove cagioni la lesione di diritti
costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi
dell’illecito civile e dare luogo al risarcimento dei
danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 del
c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in
sede di separazione sia preclusiva dell’azione di
risarcimento relativa a detti danni.
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Corte di Cassazione Sez. Prima Civ.
- Sent. del 15.09.2011, n. 18853
Svolgimento del processo
1. La sig.ra (…) con citazione del
22 giugno 2001 convenne dinanzi al tribunale di Savona
il marito
chiedendone la condanna al
risarcimento dei danni (biologico ed esistenziale)
causatile dalla violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio e, in particolare, dall’obbligo di fedeltà,
avvenuto con modalità per lei particolarmente
frustranti, stante la notorietà della relazione da lui
intrattenuta con altra donna, anch’essa sposata. Il
convenuto si costituì chiedendo che la domanda fosse
dichiarata inammissibile, trovando la violazione dei
doveri coniugali tutela unicamente attraverso il
procedimento di separazione
personale, e comunque infondata. Istruita la causa anche
con Ctu sulle condizioni di salute dell’attrice, il
tribunale respinse la domanda. L’attrice propose appello
e il convenuto propose appello incidentale relativamente
alla compensazione delle spese di primo grado. La Corte
di Appello di Genova, con sentenza depositata il 20
maggio 2006, rigettò entrambi gli appelli. La sig.ra (…)
ha proposto ricorso per Cassazione con atto notificato
il 29 giugno 2007 alla controparte, formulando due
motivi, ai quali il sig. (…) resiste con coritroricorso
notificato il 4 settembre 2007, entrambe le parti hanno
depositato memorie.
Motivi della decisione
1. All’esame dei motivi va premessa
la reiezione delle eccezioni di inammissibilità del
ricorso nel suo insieme prospettate dal controricorrente
risultando, contrariamente a quanto dedotto con esse, il
ricorso autosufficiente, essendo chiaramente indicate
nei motivi le ragioni della decisione impugnata che
s’intendono censurare ed i necessari riferimenti agli
atti del processo, mentre del tutto irrilevante ai fini
della eccepita inammissibilità è la citazione (in
memoria) di sentenze di merito (di alcuni tribunali)
conformi alla decisione impugnata
2. Con il primo motivo si denuncia
insufficiente e/o illogica e/o contraddittoria
motivazione su fatto controverso e decisivo per il
giudizio. Si deduce al riguardo che la Corte di appello,
dopo avere affermato di condividere la tesi secondo la
quale le regole che disciplinano la materia familiare
non costituiscono un sistema chiuso che impedisca alla
violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio
l’applicabilità delle norme generali in tema di
responsabilità aquiliana, ha poi affermato che, nel caso
di specie mancherebbe il presupposto per il diritto al
risarcimento. Tale mancanza emergerebbe dall’avere la
ricorrente in un primo tempo proposto domanda di
separazione con addebito, successivamente abbandonando
la procedura per addivenire alla separazione
consensuale. Secondo la ricorrente detta motivazione
sarebbe incongrua, non comprendendosi in che cosa
consista quel “presupposto”, né perché mancherebbe la
prova di esso. Con il secondo motivo si denuncia la
violazione o falsa applicazione di norme di diritto
(artt. 2043 - 2059 - 151 cod. civ.), Si deduce al
riguardo che la Corte d’appello avrebbe errato nel
ritenere non risarcibile il danno ove non vi sia, come
nella specie, una pronuncia di addebito in sede di
separazione. Il diritto al risarcimento, infatti, trova
fondamento nel caso di specie nella violazione di un
diritto costituzionalmente protetto e sarebbe
indipendente dalla pronuncia di addebito in sede di
separazione personale. Avrebbe pertanto errato la Corte
d’appello nel ritenere che l’abbandono della domanda di
addebito presupporrebbe la volontà, da parte dei
coniugi, di non accertare la causa della crisi coniugale
“così erroneamente trasponendo in un giudizio
risarcitorio le regole e i limiti specificamente, ad
altro fine dettati dall’art. 151 cod. civ.” . Regole e
limiti validi per la pronuncia di separazione con
addebito e comportanti il divieto di mutamento del
titolo, ma non la proponibilità di una domanda di
risarcimento, come quella proposta dalla ricorrente.
L’addebito, infatti, comporta conseguenze del tutto
peculiari e limitate, e in certi casi può essere anche
privo di conseguenze pratiche, come lo sarebbe stato nel
caso di specie per la ricorrente la quale, rinunciando
al giudizio di separazione, non aveva espresso alcuna
rinuncia al diritto al risarcimento dei danni, l’azione
di risarcimento pertanto, secondo la ricorrente, era
comunque esercitabile, in relazione ad una condotta
dell’altro coniuge posta in essere nella consapevolezza
della sua attitudine a recarle pregiudizio, in quanto
contraria ai doveri nascenti dal matrimonio e produttiva
di un danno ingiusto. Ciò troverebbe conferma sia nei
principi affermati da questa Corte nella sentenza n 9801
del 2005, circa la concorrente rilevanza di determinati
comportamenti sia ai fini della separazione o della
cessazione del vincolo coniugale e delle pertinenti
statuizioni di natura patrimoniale, sia quale fatto
generatore di responsabilità aquiliana; sia nella
dottrina la quale ha evidenziato la frequente
sussistenza, nella disciplina codicistica e della
legislazione speciale, di
tutele concorrenti con l’azione
risarcitoria. Il motivo si conclude con il seguente
quesito : “Posto che la ricorrente ha proposto domanda
giudiziale nei confronti del coniuge al fine di ottenere
il risarcimento dei danni subiti per effetto dei di lui
comportamenti violativi dei doveri nascenti
dal matrimonio e lesivi di diritti
assoluti e costituzionalmente protetti (salute,
immagine, riservatezza, relazioni sociali, dignità del
coniuge, ecc.) affermi la Corte il principio che la
mancanza di addebito in sede di separazione per mutuo
consenso non è preclusiva di separata azione per il
risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei
doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti
costituzionalmente protetti”.
2.2. Deve premettersi che la
“ratio” della decisione impugnata va ravvisata nella
statuizione in essa contenuta secondo la quale la
domanda di risarcimento proposta in relazione alla
violazione di un dovere nascente dal matrimonio “non può
trovare accoglimento” in mancanza della pronuncia di
addebito in sede di giudizio di separazione. In
relazione a tale “ratio” va esaminato con precedenza il
secondo motivo.
2.3. In proposito deve muoversi dai
principi già affermati da questa Corte nella sentenza
quali la stessa sentenza 10 maggio
2005 n. 9801, ai quali la stessa sentenza impugnata si
richiama condividendoli. Secondo quella sentenza i
doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio
non sono di carattere
esclusivamente morale ma hanno natura giuridica, come si
desume dal riferimento contenuto nell’art. 143 cod. civ.
alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto e
dall’espresso riconoscimento
nell’art. 160 cod. civ. della loro inderogabilità,
nonché dalle conseguenze di ordine giuridico che
l’ordinamento fa derivare dalla loro violazione,
cosicché deve ritenersi che l’interesse di ciascun
coniuge nei confronti dell’altro alla loro osservanza
abbia valenza di diritto soggettivo. Ne deriva che la
violazione di quei doveri non trova necessariamente la
propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal
diritto di famiglia, quali la sospensione del diritto
all’assistenza morale e materiale nel caso di
allontanamento senza giusta causa dalla residenza
familiare ai sensi dell’art. 146 cod. civ., l’addebito
della separazione, con i suoi riflessi in tema di
perdita del diritto all’assegno e dei diritti
successori, il divorzio e il relativo assegno, con
gl’istituti connessi. Discende infatti dalla natura
giuridica degli obblighi su detti che il comportamento
di un coniuge non soltanto può costituire una causa di
separazione o di divorzio, ma può anche, ove ne
sussistano tutti i presupposti secondo le regole
generali, integrare gli estremi di un illecito civile.
In proposito si è rilevato che la separazione e il
divorzio costituiscono
strumenti accordati
dall’ordinamento per porre rimedio a situazioni di
impossibilità di prosecuzione della convivenza o di
definitiva dissoluzione del vincolo; che l’assegno di
separazione e di divorzio hanno funzione assistenziale e
non risarcitoria; che la perdita del diritto all’assegno
di separazione a causa dell’addebito può trovare
applicazione soltanto in via eventuale, in quanto
colpisce solo il coniuge che ne avrebbe diritto e non
quello che deve corrisponderlo.
La natura, la funzione ed i limiti
di ciascuno dei su detti istituti rendono evidente che
essi sono strutturalmente compatibili con la tutela
generale dei diritti, tanto più se costituzionalmente
garantiti, non escludendo la rilevanza che un
determinato comportamento può rivestire ai fini della
separazione o della cessazione del vincolo coniugale e
delle conseguenti statuizioni di natura patrimoniale. La
concorrente rilevanza dello stesso comportamento quale
fatto generatore di responsabilità aquiliana. Anche
nell’ambito della famiglia i diritti inviolabili della
persona rimangono infatti tali, cosicché la loro lesione
da parte di altro componente della famiglia può
costituire presupposto di responsabilità civile. Fermo
restando che, la mera violazione dei doveri
matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della
separazione, non possono di per sé ed automaticamente
integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in
particolare, quanto ai
danni non patrimoniali,
riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i
presupposti ai quali l’art. 2059 cod. civ riconnette
detta responsabilità, secondo i principi da ultimo
affermati nella sentenza 11 novembre 2008, n. 26972
delle Sezioni Unite, la quale ha ricondotto sotto la
categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali
tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico
e, quindi, entrambi i tipi di danno in relazione ai
quali è stata formulata la domanda dell’odierna
ricorrente.
2.4. Dovrà pertanto considerarsi al
riguardo - in conformità à quanto statuito in detta
sentenza delle
Sezioni Unite - che l’art 2059 cod.
civ. non prevede un’autonoma fattispecie di illecito,
distinta da quella di cui all’art. 2043, ma si limita a
disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità
dei pregiudizi non patrimoniali di ogni tipo, sul
presupposto della sussistenza di tutti gli elementi
costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 cod.
civ. e cioè la condotta illecita, l’ingiusta lesione di
diritti tutelati dall’ordinamento, il nesso causale tra
la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto
pregiudizio patito dal titolare dell’interesse leso.
L’unica differenza tra il danno non
patrimoniale e quello patrimoniale
consiste pertanto nel fatto che quest’ultimo è
risarcibile in tutti i casi in cui ricorrano gli
elementi di un fatto illecito, mentre il primo lo è nei
soli casi previsti dalla legge. Cioè, secondo
un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art
2059 cod, civ: a) quando il fatto illecito sia
astrattamente configurabile come reato: in tal caso la
vittima avrà diritto al risarcimento del danno non
patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi
interesse della persona tutelato dall’ordinamento,
ancorché privo di rilevanza costituzionale; b) quando
ricorra una delle fattispecie in cui la legge
espressamente consente il ristoro del danno non
patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato:
in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del
danno
non patrimoniale scaturente dalla
lesione dei soli interessi della persona che il
legislatore ha inteso
tutelare attraverso la norma
attributiva del diritto al risarcimento; c) quando, al
di fuori delle due ipotesi precedenti, il fatto illecito
abbia violato in modo grave diritti inviolabili della
persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in
tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del
danno non
patrimoniale scaturente dalla
lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime
due ipotesi, non sono individuati ex ante dalla legge,
ma dovranno essere selezionati, caso per caso, dal
giudice.
In tale ultima ipotesi il danno non
patrimoniale sarà risarcibile ove ricorrano
contestualmente le seguenti oondizioni: a) che
l’interesse leso (e non il pregiudizio sofferto) abbia
rilevanza costituzionale; b) che la lesione
dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi
una soglia minima di tollerabilità, come impone il
dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. o che il
danno non sia futile, ma abbia una consistenza che possa
considerarsi giuridicamente rilevante.
2.5. Con specifico riferimento al
caso di specie, in cui la condotta illecita in relazione
alla quale è chiesto il risarcimento del danno è
costituita dalla violazione del dovere di fedeltà
nascente dal matrimonio, va specificamente osservato
quanto segue. Nel vigente diritto di famiglia,
contrassegnato dal diritto di ciascun coniuge, a
prescindere dalla volontà o da colpe dell’altro, di
separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto
individuale di libertà riconducibile all’art. 2 della
Costituzione, ciascun coniuge può
legittimamente far cessare il proprio obbligo di fedeltà
proponendo domanda di separazione, ovvero, ove ne
sussistano i presupposti, direttamente di divorzio. Con
il matrimonio, infatti, secondo la concezione
normativamente sancita del legislatore, i coniugi non si
concedono un irrevocabile, reciproco ed esclusivo “ius
in corpus” - da intendersi come comprensivo della
correlativa sfera affettiva valevole per tutta la vita,
al quale possa corrispondere un ‘diritto inviolabile” di
ognuno nei confronti dell’altro, potendo far cessare
ciascuno i doveri relativi in ogni momento con un atto
unilaterale di volontà espresso nelle forme di legge.
Nell’ottica di tale assetto
normativo, se l’obbligo di fedeltà viene violato in
costanza di convivenza matrimoniale, la sanzione tipica
prevista dall’ordinamento è costituita dall’addebito con
le relative conseguenze giuridiche, ove la relativa
violazione si ponga come causa determinante della
separazione fra i coniugi, non essendo detta violazione
idonea e sufficiente di per sé a integrare una
responsabilità risarcitoria del coniuge che l’abbia
compiuta, né tanto meno del terzo, che al su detto
obbligo è del tutto estraneo. In particolare, quanto
alla responsabilità per danni non patrimoniali, ai quali
è limitato il tema del decidere, sulla base dei principi
già sopra esposti, perché possa sussistere una
responsabilità risarcitoria, accertata la violazione del
dovere di fedeltà, al di fuori dell’ipotesi di reato
dovrà accertarsi anche la lesione, in conseguenza di
detta violazione, di un diritto costituzionalmente
protetto. Sarà inoltre necessaria la prova del nesso di
causalità fra detta violazione ed il danno, che per
essere a detto fine rilevante non può consistere nella
sola sofferenza psichica causata dall’infedeltà e dalla
percezione dell’offesa che ne deriva - obbiettivarnente
insita nella violazione dell’obbligo di fedeltà - di per
sé non risarcibile costituendo pregiudizio derivante da
violazione di legge ordinaria, ma deve concretizzarsi
nella compromissione di un interesse costituzionalmente
protetto. Evenienza che può verificarsi in casi e
contesti del tutto particolari, ove si dimostri che
l’infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla
specificità della fattispecie, abbia dato luogo a
lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà
essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di
causalità). Ovvero ove l’infedeltà per le sue modalità
abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i
limiti dell’offesa di per sé insita nella violazione
dell’obbligo in questione, si siano concretizzati in
atti specificamente lesivi della dignità della persona,
costituente bene costituzionalmente protetto.
2.6. In relazione ai su detti
principi deve darsi risposta positiva al quesito posto
dalla ricorrente, con il quale si è chiesto a questa
Corte di affermare che la mancanza di addebito della
separazione non è preclusiva di separata azione per il
risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei
doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti
costituzionalmente protetti.
Deve intatti ritenersi
incompatibile con i principi sopra enunciati
l’affermazione della sentenza impugnata (che ne
costituisce la “ratio decidendi”) censurata con il
motivo, secondo il quale la prova della colpevole
violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, ai fini
dell’esperibilltà dell’azione di risarcimento, sarebbe
preclusa ove i coniugi , come nel caso di specie, siano
addivenuti a separazione consensuale, rinunciando il
coniuge interessato alla pronuncia di addebito,
dovendosi tale rinuncia interpretare come rinuncia
all’accertamento delle cause della crisi del matrimonio,
in quanto giudizialmente accertabili solo nel giudizio
di separazione con specifica domanda di addebito.
Tale statuizione viene erroneamente
collegata alla giurisprudenza di questa Corte secondo la
quale la dichiarazione di addebito della separazione può
essere richiesta e adottata solo nell’ambito del
giudizio di separazione, dovendosi escludere
l’esperibilità di domande di addebito fuori da tale
giudizio (ex multis Cass. sez. un. 4 dicembre 2001, n.
15279; 29 marzo 2005, n. 6625)
Quella giurisprudenza pone a
fondamento del su detto principio la statuizione
dell’art. 151, comma 2, cod. civ., che attribuisce
espressamente la cognizione della domanda di addebito al
giudice della separazione. Ma ai fini che qui
interessano va rilevato che l’art. 151 cod. civ.
attribuisce al giudice della separazione la cognizione
sulla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio
unicamente in relazione alla pronuncia sull’addebito,
che in essi trova la “causa petendi”. Cioè in relazione
a quello specifico “petiturn”, costituito dalle
conseguenze giuridiche che si collegano alla pronuncia
di addebito e che sono, per il coniuge a carico del
quale venga presa, l’esclusione del diritto al
mantenimento (con salvezza del solo credito alimentare
ove ne ricorrano i requisiti) e la perdita della qualità
di erede riservatario e di erede legittimo, con salvezza
del diritto ad un assegno vitalizio in caso di godimento
degli alimenti al momento dell’apertura della
successione (artt. 155, 549 e 585 cod. civ.). “Petitum”
al quale si può non avere interesse, avendo invece
interesse, sussistendone i presupposti, al diritto al
risarcimento.
Non essendo rinvenibile una norma
di diritto positivo, né essendo rinvenibili ragioni di
ordine sistematico che rendano la pronuncia
sull’addebito (inidonea di per sé a dare fondamento
all’azione di risarcimento) pregiudiziale rispetto alla
domanda di risarcimento, una volta affermato
- come sopra si è fatto - che la
violazione dei doveri nascenti dal matrimonio non trova
necessariamente la propria sanzione solo nelle misure
tipiche previste dal diritto di famiglia, ma, ove ne
sussistano i presupposti secondo le regole generali, può
integrare gli estremi di un illecito civile, la relativa
azione deve ritenersi del tutto autonoma rispetto alla
domanda di separazione e di addebito ed esperibile a
prescindere da dette domande, ben potendo la medesima
“causa petendi” dare luogo a una pluralità di azioni
autonome contrassegnate ciascuna da un diverso
“petitum”. Ne deriva, inoltre, che ove nel giudizio di
separazione non sia stato domandato l’addebito, o si sia
rinunciato alla pronuncia di addebito, il giudicato si
forma, coprendo il dedotto e il deducibile, unicamente
in relazione al “petitum” azionato e non sussiste
pertanto alcuna preclusione all’esperimento dell’azione
di risarcimento per violazione dei doveri nascenti dal
matrimonio, così come nessuna preclusione si forma in
caso di separazione consensuale.
Ciò trova ulteriore conferma
sistematica per un verso nella considerazione che, come
sopra si è osservato con specifico riferimento alla
violazione dell’obbligo di fedeltà, diverse sono anche
la rilevanza e le caratteristiche fattuali che tale
violazione può avere ai fini dell’addebitabilità della
separazione rispetto a quelle che deve avere per dare
fondamento ad un’azione di risarcimento. Per altro
verso, nella considerazione che sarebbe del tutto al di
fuori della logica del sistema
subordinare - risultato al quale
condurrebbe la “ratio” della decisione impugnata - alla
dichiarazione di addebito il risarcimento del danno per
violazione di obblighi nascenti dal matrimonio ove tale
violazione costituisca reato e abbia dato luogo a
condanna penale.
Il secondo motivo del ricorso va
pertanto accolto - dichiarandosi assorbito il primo - e
la sentenza va cassata con rinvio anche per le spese
alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione
che farà applicazione del principio secondo il quale: “I
doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno
natura giuridica e la loro violazione non trova
necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche
previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della
separazione, discendendo dalla natura giuridica degli
obblighi su detti che la relativa violazione, ove
cagioni la lesione di diritti costituzionalmente
protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito
civile e dare luogo al risarcimento dei danni non
patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. senza che
la mancanza di pronuncia di addebito in sede di
separazione sia preclusiva dell’azione di risarcimento
relativa a detti danni”.
P. Q. M.
La Corte di cassazione
Accoglie il secondo motivo.
Dichiara assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata
e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di
Genova in diversa composizione. In caso di diffusione
del presente provvedimento omettere il nome delle parti
e delle altre persone in esso indicate.
Depositata in Cancelleria il
15.09.2011
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