Fallita la riconciliazione, non
rileva il comportamento pregresso della moglie, e la
mancanza di prove sulla prosecuzione della relazione
extra coniugale, nonché sulla causalità di tale
circostanza con la nuova crisi e l’intollerabilità della
convivenza, preclude l’accoglimento dell’istanza di
addebito di colpa.
Mentre, il mantenimento dei minori
presuppone la considerazione della situazione personale
ed economica dei genitori, correlata alle esigenze di
vita degli aventi diritto, posto che le loro prospettive
di vita risentono necessariamente dell’ambiente
economico – sociale in cui si collocano le figure dei
genitori.
La moglie, invece, ha diritto, in
mancanza di mezzi adeguati, ad un assegno commisurato
alle circostanze, ai redditi e alle sostanze
dell’obbligato, in modo da mantenere, tendenzialmente,
un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di
matrimonio”.
Questi i principi espressi dalla
Corte di Cassazione I sezione civile con la sentenza n.
18618 del 12 settembre 2011.
Nel caso di specie, fallita la
riconciliazione tra due coniugi, il Tribunale
pronunciava la separazione personale, assegnando alla
moglie la casa coniugale e stabilendo a carico del
marito l'obbligo di mantenimento dell'ex coniuge e delle
tre figlie, non accogliendo però le reciproche istanze
di addebito.
Avverso tale sentenza, la moglie
proponeva appello chiedendo un aumento dell’assegno per
sé e per le figlie.
La Corte d'Appello accoglieva le
istanze formulate dalla ex coniuge e i n seguito il
marito ricorreva in Cassazione, sottolineando che la
moglie non aveva mai cessato, anche dopo la prima
riconciliazione, la pregressa relazione extraconiugale.
I Giudici di piazza Cavour,
chiamati ad esprimersi, dichiarano: e «Dopo la
riconciliazione l’amante passato non rileva se non ci
sono le prove del persistere della relazione».volgimento
del processo
Con ricorso depositato in data
20/1/2004, B.L. chiedeva dichiararsi separazione
personale dal coniuge R.R., con addebito a quest’ultimo;
chiedeva altresì l’affidamento delle figlie minori,
l’assegnazione della casa coniugale ed un assegno
mensile per sé e per le figlie.
Costituitosi
regolarmente il contraddittorio, il R. chiedeva
l’addebito alla moglie, dichiarandosi disponibile a
corrispondere assegno di Euro 1.200,00 mensili per le
figlie.
Il
Presidente del Tribunale di Rimini autorizzava i coniugi
a vivere separati, affidava le figlie minori alla madre,
cui assegnava la casa coniugale; disponeva a carico del
R. assegno di mantenimento a favore delle tre figlie per
l’importo di Euro 516,00 per ciascuna di esse, nonché un
assegno di mantenimento per la moglie per l’importo di
Euro 70,00 mensili.
Con
sentenza del 7/10/2008, il Tribunale di Rimini
determinava assegno mensile a carico del R. per le
figlie in misura di Euro 600,00 per ciascuna e quello
per la moglie in Euro 800,00 mensili.
B.L.
interponeva appello avverso la predetta sentenza, con
ricorso depositato in data 20/5/2009, chiedendo elevarsi
l’assegno per sé e per le figlie.
Costituitosi
il contraddittorio, il R. chiedeva rigettarsi l’appello
e, in via incidentale, ridursi l’assegno per le figlie
ad Euro 400,00 per ciascuna, escludendosi quello per la
moglie.
La
Corte d’Appello di Bologna, con sentenza 26/6 –
9/7/2009, in parziale accoglimento dell’appello
principale, elevava l’assegno per le figlie all’importo
di Euro 1.000,00 per ciascuna, nonché quello per la
moglie all’importo di Euro 1.200,00 mensili.
Ricorre
per Cassazione il R. sulla base di 7 motivi.
Resiste,
con controricorso, la B..
Entrambe
le parti hanno depositato memorie per l’udienza.
Motivi della decisione
Per ragioni sistematiche si
esaminerà dapprima il motivo inerente l’addebito e
successivamente quelli relativi all’assegno per le
figlie e per la moglie.
Con
il quarto motivo, il ricorrente lamenta vizio di
motivazione circa l’esclusione dell’addebito della
separazione alla moglie, essendovi la prova che la B.
non aveva mai cessato, dopo la riconciliazione, una
pregressa relazione extraconiugale, mentre la nuova
convivenza non avrebbe integrato l’effettiva
riconciliazione.
Il
motivo va rigettato, in quanto infondato.
Come
è noto, l’addebito nella separazione, previsto dall’art.
151 c.c., presuppone la violazione di doveri derivanti
dal matrimonio e il nesso di causalità tra tale
violazione e l'intollerabilità della convivenza, che
deve essere provato dal richiedente. Con motivazione
adeguata e non illogica (e sulla base di una valutazione
di fatto insuscettibile di controllo in questa sede), la
sentenza impugnata si riferisce alla riconciliazione tra
i coniugi, con ripresa della convivenza e rinnovata
comunione spirituale e fisica, durata da
settembre-ottobre 2001 ad aprile 2003; ne deriva
necessariamente l’irrilevanza dei comportamenti
pregressi, e in particolare della relazione
extraconiugale che il marito addebitava alla B.. Il R.
sosteneva che la moglie non aveva interrotto la
relazione, nonostante la ripresa della convivenza con
lui, ma - secondo il Giudice a quo - di ciò egli non ha
fornito prova, né si è offerto di fornirla,, articolando
le sue istanze istruttorie solo con riferimento al
periodo precedente la riconciliazione.
Con
il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli
artt. 147, 148, 155, 155 quater c.c., 30 Cost.: omessa
considerazione delle concrete esigenze delle tre figlie,
senza tener conto delle loro diversità per età e bisogni
di vita; determinazione del loro assegno di
mantenimento, sulla base della mera comparazione delle
posizioni economiche dei coniugi, senza applicare i
parametri indicati dall'art. 155 c.c.; omessa
considerazione circa la valenza economica
dell'assegnazione della casa, ai fini dell'assegno per
le figlie. Con il secondo motivo, vizio di motivazione
nel disporre l'aumento dell'assegno per le figlie, che,
sommato a quello per la moglie, sarebbe superiore al
reddito netto dell'obbligato, nonché sull'errata
statuizione di retroattività dei due assegni. Con il
terzo motivo, vizio di motivazione sulla determinazione
dei due assegni (per le figlie e per la moglie) in base
alle risultanze della C.T.U. sui redditi e sul
patrimonio dell'onerato, senza tener conto dei rilievi
svolti dal C.T. di parte.
I
motivi, che possono trattarsi congiuntamente in quanto
strettamente connessi, vanno rigettati, in quanto
infondati.
Correttamente
il Giudice a quo ha considerato la "situazione personale
ed economica dei genitori", correlando ad essa le
esigenze delle figlie, che aspirano ad un livello di
vita elevato, stante la "grande consistenza patrimoniale
paterna".
Come
precisa la giurisprudenza di questa Corte (tra le altre,
da ultimo, Cass. n. 11772 del 2010) le condizioni
economiche dei genitori hanno rilievo non soltanto per
indicare proporzionalmente il contributo per i figli, a
carico di ciascuno di essi, ma anche in funzione diretta
del soddisfacimento delle esigenze dei figli stessi,
posto che bisogni, aspirazioni e più in generale
prospettive di vita risentono necessariamente
dell'ambiente economico-sociale in cui si collocano le
figure del genitori. Vi sono quindi bisogni essenziali
sicuramente comuni a tutti i figli minori, altri
collegati all'ambiente cui essi appartengono, altri
ancora specifici ed individualizzati (così ad. es. un
minore disabile o malato che necessiti di cure, un altro
che abbia particolari capacità ed aspirazioni: sport,
musica, ecc... ): solo in tal caso il giudice del merito
dovrebbe analizzare e distinguere le singole posizioni.
E'
appena il caso di precisare che ai fini della
determinazione di un assegno periodico ex art. 155,
comma 4, novellato, il Giudice non deve necessariamente
esaminare e richiamare tutti i parametri indicati,
potendo in riferimento ad alcuni di essi, secondo le
circostanze e la fattispecie concreta. La sentenza
impugnata ha richiamato le risorse economiche dei
genitori (ampia disparità tra marito e moglie, e su tale
profilo si tornerà, trattando dell'assegno per la B.),
il tenore di vita goduto dalle figlie in costanza di
matrimonio, e attraverso esso le attuali esigenze delle
figlie stesse.
Va
altresì precisato che, ai sensi dell'art. 155 quater
c.c., l'assegnazione della casa coniugale, che viene
effettuata nell'interesse dei figli (minori o
maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente),
per evitare modifiche coattive e radicali del loro
ambiente di vita familiare e di relazione, assicurando
la continuità dell'habitat domestico, quale centro di
affetti, interessi e consuetudini di vita, può rilevare
solo nella comparazione dei rapporti economici tra i
coniugi (sul punto, Cass. n. 4520 del 2010). L'articolo
predetto testualmente recita: "dell'assegnazione il
giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti
economici tra i genitori", e di ciò è riprova la
circostanza che l'assegnazione della casa coniugale non
è inserita tra i parametri dell'assegno per i figli,
indicati dall'art. 155 comma quarto, c.c.. La sentenza
impugnata ha disposto l'aumento dell'assegno per le
figlie (ma pure per il coniuge) retroattivamente a far
data dal gennaio 2005: si censura, al riguardo, come si
è detto, vizio di motivazione.
Va
precisato che il giudice a quo non doveva fornire
specifiche motivazioni, avendo applicato regole
generali, confermate dalla giurisprudenza di questa
Corte (per tutte Cass. n. 13623 del 2010 n. 28987 del
2008, per figli; n. 6612 del 1994 per il coniuge), circa
la decorrenza dalla domanda dell'assegno alimentare, ai
sensi dell'art. 445 c.c. e la retroattività degli
effetti di ogni provvedimento giurisdizionale fino alla
domanda, considerata la necessità di conservazione del
contenuto reale del credito, fatto valere con la domanda
stessa. Solo l'assegno per il coniuge in sede di
divorzio, costituisce eccezione dettata dalla natura
costitutiva della pronuncia, ma anche in tal caso, come
è noto, il legislatore ha soddisfatto l'esigenza di far
retroagire la decorrenza, pur in assenza di specifica
domanda.
Sulla
quantificazione dell'assegno per le figlie (e per la
moglie) la sentenza impugnata fornisce motivazione
adeguata e non illogica, richiamando le risultanze della
consulenza tecnica: un patrimonio del R. ammontante ad
Euro 3.713.836,52 tra immobili, quote societarie,
depositi bancari e crediti. E' appena il caso di
precisare che i genitori devono adempiere all'obbligo di
mantenimento per i figli, ai sensi degli artt. 30 Cost.
e 148 c.c., in proporzione alle proprie sostanze e alle
capacità di lavoro professionale e casalingo, senza
limitazione alcuna al riguardo.
Per
l'assegno al coniuge - l’art. 156 c.c. precisa che
l'entità è commisurata alle circostanze e ai redditi
dell'obbligato, e la giurisprudenza di questa Corte ha
affermato che pure rilevano le "sostanze", oltre che i
redditi, sulla base del combinato disposto degli artt.
156 e 143 c.c., (tra le altre, Cass. 6773 del 1990; n.
17136 del 2004): in tal senso, ove i redditi
dell'obbligato fossero inferiori proporzionalmente
rispetto ad un cospicuo patrimonio (nella specie, il R.
afferma che le società, oggetto di partecipazione,
distribuiscono pochi utili o non ne distribuiscono per
ricapitalizzarli), l'assegno stesso dovrebbe
quantificarsi anche con riguardo a tale patrimonio, e
l'obbligato sarebbe tenuto alla corresponsione,
eventualmente liquidando una parte del patrimonio
stesso.
Giurisprudenza
consolidata di questa Corte (per tutte, da ultimo, Cass.
n. 10222 del 2009) precisa che non incorre in vizio di
motivazione il Giudice del merito che recepisca per
relationem le conclusioni e i passi salienti della
consulenza tecnica d'ufficio. Ove una parte richiami le
critiche mosse dal C.T. di parte (ciò che nella specie
era stato effettuato, come emerge dalla comparsa di
costituzione in appello dell'odierno ricorrente, alcuni
passi della quale sono stati riportati nel ricorso in
esame, soddisfacendo così il requisito
dell'autosufficienza di esso), il Giudice deve fornire
una risposta. Ma ciò ha fatto la sentenza impugnata,
precisando che anche se si fossero accolte le
osservazioni critiche del R. sulla consulenza, le sue
condizioni, quantomeno sotto il profilo patrimoniale,
resterebbero invariate. Con il quinto motivo, il
ricorrente lamenta violazione degli artt. 155 quater,
156 c.c., 5 L. n. 898 del 1970, precisando che è stato
elevato l'assegno di separazione, senza applicare i
parametri legali di quantificazione, si è omesso
l'accertamento del tenore di vita precedente e della
mancanza da parte della moglie di mezzi adeguati, si è
omessa la considerazione della valenza economica
dell'assegnazione della casa ai fini dell'assegno per la
moglie. Con il sesto, egli censura vizio di motivazione
sulla quantificazione dell'assegno alla moglie stessa,
anche in relazione alle sue potenzialità reddituali ed
alla disposta retroattività. Con il settimo, violazione
degli artt. 2697, 147, 148, 155 comma 4 c.c., 115 e 116
c.p.c., in ordine alla determinazione dei due assegni:
si precisa che la stessa B. aveva indicato nel corso del
giudizio come sufficiente una somma inferiore a quella
dell'importo liquidato; ancora si censura l'omessa
considerazione dei rilievi svolti dal C.T.U. sui redditi
del marito e sulle potenzialità della moglie.
I
motivi possono essere trattati congiuntamente, essendo
strettamente connessi, e vanno rigettati in quanto
infondati.
L'art.
156 c.c. precisa che il coniuge ha diritto al
mantenimento in quanto non abbia redditi adeguati, e
giurisprudenza costante di questa Corte (per tutte,
Cass. n. 2156 del 2010) precisa che anche per la
separazione l'inadeguatezza dei redditi viene valutata
in funzione dell'esigenza di conservare, almeno
tendenzialmente, il medesimo tenore di vita goduto
durante la convivenza matrimoniale. Giurisprudenza
parimenti costante (per tutte, da ultimo, Cass. n. 10222
del 2010) chiarisce che, in mancanza di prova sul
"tenore di vita", può sopperire l'ammontare complessivo
del patrimonio e dei redditi dei coniugi, dando esso
luogo ad una presunzione sul tenore di vita da essi
goduto durante il matrimonio. Con motivazione adeguata e
non illogica, il giudice a quo, come già si è detto, fa
proprie le risultanze della consulenza tecnica: a fronte
dell'imponente patrimonio del R., dei redditi da lui
percepiti e delle notevoli potenzialità reddituali, sta
l'assenza di reddito della B., proprietaria al 50%
dell'immobile adibito a casa familiare, di un'auto Fiat
Punto 60, di valore in sostanza irrilevante, e titolare
di un deposito di conto corrente di Euro 334,04. Essa -
così la sentenza impugnata - non ha mai lavorato durante
la convivenza matrimoniale, durata circa
vent'anni,sempre accudendo al coniuge e alle figlie:
dunque - secondo il giudice a quo, che esprime una
valutazione di fatto, insuscettibile di controllo in
questa sede - non ha redditi e possiede una capacità di
guadagno pressoché nulla.
E'
vero che l'assegnazione della casa coniugale può
incidere sull'importo dell'assegno per il coniuge ai
sensi dell'art. 155 quater c.c.. Anche se a tale profilo
la sentenza impugnata non si riferisce esplicitamente,
dal contesto motivazionale, tenuto conto della notevole
sproporzione delle condizioni economiche tra le parti,
emerge palesemente che di ciò il giudice a quo ha tenuto
conto nella quantificazione dell'assegno.
E'
appena il caso di precisare che la retroattività,
correttamente disposta, come si è detto, sulla base
delle regole generali in materia di assegno di
mantenimento e alimentare, non può certo incidere sulla
quantificazione dell'assegno stesso. Quanto
all'affermazione della B., che avrebbe indicato, in un
atto difensivo, come sufficiente per sé e per le figlie
una somma inferiore all'importo liquidato, va precisato
che, secondo giurisprudenza consolidata (per tutte,
Cass. n. 12411 del 2008), le dichiarazioni del difensore
in scritti processuali non hanno efficacia confessoria.
Utilizza il ricorrente la predetta argomentazione, per
avvalorare la sua tesi circa la violazione dell'art.
2697 c.c. sull'onere della prova. Ma, al contrario, come
già si è precisato, il giudice a quo fonda la pronuncia
sugli assegni e la loro quantificazione sulle risultanze
peritali, sull'imponente patrimonio dell'odierno
ricorrente e sull'assenza di reddito dell'odierna
resistente.
Conclusivamente,
il ricorso va rigettato. Le spese seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali del presente giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 4.000,00 e Euro 200.00 per esborsi,
oltre spese generali ed accessori di legge. |