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Cassazione Civile: pignoramento in caso di cessione d’azienda-(Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 14 giugno 2011, n. 12965-Filodiritto.it

 

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Dott.ssa Ilaria Martinelli

L’esattore, ai sensi dell’art. 66, secondo comma, D.P.R. n. 602 del 1973, ha diritto a procedere al pignoramento mobiliare per il recupero dell’imposta locale sui redditi dovuta dalla società cedente, per l’anno anteriore a quello in cui avviene la cessione d’azienda. La società cessionaria, in estrema sintesi, deve rispondere dei debiti fiscali dell’azienda originaria.

La fattispecie in esame riguarda una società che, opponendosi alla procedura esecutiva causata da un debito d’imposta di altra impresa, si è scontrata con la presunzione di cessione d’azienda di cui all’art. 66, comma 4, DPR n. 602/73, in base al quale, appunto, la cessione si presume «quando nei medesimi locali o in parte di essi viene esercitata attività commerciale dello stesso genere di quella esercitata da precedenti titolari».

Per dimostrare la propria estraneità con l’azienda debitrice, la società opponente sosteneva di avere iniziato la locazione degli immobili in cui era esercitata l’attività del debitore esecutato non prima di tre mesi dalla cessazione di tale attività.

La società opponente evidenziava anche l’assenza di acquisti o cessioni dei beni appartenuti all’originario debitore di imposta, nei registri o nelle scritture contabili.

La Corte d’Appello di Brescia, con l’avallo della Cassazione, ha rilevato, invece che «- pacifica la identità delle attività esercitate nei medesimi locali dalle due imprese - la prova, fornita in causa, dell’inizio della locazione degli stessi locali prima utilizzati dalla (...) dal 2 febbraio 1985 (cioè tre mesi dopo la data di cessazione della attività da parte del debitore) non era sufficiente a vincere la presunzione di cui all’art. 66 citato, la quale prevede soltanto la identità della attività e l'esercizio nei medesimi locali, senza porre limiti temporali alla occupazione dei locali in cui prima era esercitata la attività del debitore esecutato.».
Concorrevano, anzi, a deporre per la presunzione di cessione d’azienda ex lege, ulteriori elementi presuntivi, quali la identità del socio nelle compagini sociali della presunta cedente e della presunta cessionaria e la circostanza che l’inizio della attività della presunta cessionaria aveva coinciso con il giorno successivo alla cessazione di attività della presunta cedente.

In relazione alla valutazione degli elementi che hanno contribuito sostenere la presunzione legale, inoltre, la società aveva proposto un quesito di diritto; questo è stato respinto dalla Corte poiché risulta insindacabile in sede di legittimità «l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricorrenza dei requisiti della precisione, gravità e concordanza, richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione», «qualora la motivazione adottata appaia, come nel caso di specie, logicamente coerente ed immune da errori di diritto».

Per altro verso la Corte osserva che anche nel caso in cui sussista la presunzione di cessione di azienda, l’ente impositore può soddisfarsi solo sui beni mobili e sulle merci che appartengono alla cedente.

Tuttavia, nel caso di specie, la società opponente non è riuscita a fornire la prova che i beni pignorati non appartengono al debitore. Infatti, l’art. 65 del D.P.R. n. 602 del 1973, ai fini della opponibilità della appartenenza dei beni mobili di fronte ad esecuzione mobiliare della esattoria, stabilisce «che l’esattore deve astenersi dal pignoramento quando sia dimostrato che i beni appartengono a persone diverse dal debitore, laddove tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante l’esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate di data anteriore all’anno a cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero di sentenze passate in giudicato, pronunciate su domande proposte anteriormente allo stesso anno».

La proprietà dei beni pignorati, dunque, non può essere provata mediante testimoni né attraverso le scritture contabili come, invece, pretendeva la società ricorrente (conformi le sentenze n. 539 del 18 gennaio 2002 e n. 4227 del 20 ottobre 1989).


Infine, la Suprema Corte ha tenuto a precisare che la società avrebbe dovuto proporre non tanto l’azione di opposizione di terzo, ex art. 619 c.p.c., quanto quella di opposizione di coobbligato nel debito tributario e ciò in quanto l'opposizione avverso l’esecuzione esattoriale è stata proposta «dal cessionario dell'azienda o dal concedente che sia subentrato all’affittuario nell'esercizio della medesima attività imprenditoriale - da considerarsi come cessionario dell'azienda e, come tale, solidalmente responsabile per il pagamento delle imposte sui redditi dovute dal precedente titolare -».


 

 

 

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