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MURI PERIMETRALI CONDOMINIALI L’APERTURA DI VARCHI LEGITTIMA L’AZIONE DI MANUTENZIONE DEL POSSESSO-(Cassazione, sez. VI, 5 aprile 2011, n. 7748-Diritto e processo.it

 

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Emanuele Natale

 

(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 5/2011)

 

 

 

 

 

QUAESTIO IURIS

 

La Suprema Corte con la pronuncia in esame (Cassazione, sez. VI, 5 aprile 2011, n. 7748) ha affrontato la materia inerente ai beni comuni condominiali, analizzando, in tal modo, il “compossesso” di parti comuni dell’edificio e i conseguenti limiti che gravano sulla libertà di agire dei singoli condomini. Costituiscono corollario della disamina anche argomentazioni di natura processuale quali i presupposti per l’esperimento dell’azione di manutenzione nel possesso e i requisiti per l’opponibilità dell’eccezione feci sed iure feci.

 

Il Giudice delle Leggi viene adito dal proprietario di una unità immobiliare che, nella qualità di condomino, agiva in giudizio dinanzi al Pretore tramite azione di manutenzione nel possesso affinché l’Autorità Giudiziaria ordinasse la chiusura di un varco insistente sul muro perimetrale dell’edificio condominiale. L’apertura veniva creata da un altro condomino, all’interno della sua proprietà, per favorire il collegamento con l’adiacente edificio non condominiale. Nel merito, entrambi i gradi di giudizio rigettavano le pretese avanzate ritenendo le doglianze infondate in quanto l’apertura del varco non determinava un indebolimento funzionale delle strutture condominiali, né un apprezzabile aggravio nell’uso delle parti comuni o un danno economico ai condomini.

 

La questio iuris verte sulla legittimità o meno, per il comproprietario, di creare aperture o varchi nel muro perimetrale di un edificio condominiale onde permettere di porre in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, situato nello stesso fabbricato, con un altro vano, facente parte di un edificio adiacente, di sua proprietà ma estraneo al condominio.

 

L’art. 1170 c.c. rubricato “azione di manutenzione” legittima ad agire colui che subisce molestie o atti di turbativa che impediscono l’esercizio del potere di fatto sul bene o comunque ne rendono l’esercizio stesso più difficoltoso o meno comodo andando quindi a ledere quello status giuridico presupposto  che è il possesso. Si deve sottolineare che l’azione di manutenzione presuppone nel soggetto passivo della molestia un possesso in senso tecnico, come definito dall’art. 1140, cioè un potere di fatto sulla cosa che si manifesti in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Sono pertanto irrilevanti, ai fini della tutela apprestata dalle azioni possessorie, la frequenza e le modalità di esercizio del possesso; ciò che conta è la presenza dei caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale.

 

La Corte affronta preliminarmente l’aspetto relativo alla legittimazione passiva e precisa che lo spoglio e la turbativa costituiscono fatti illeciti e determinano la responsabilità individuale dei singoli autori degli stessi; ne segue che nei giudizi possessori e enunciatori, quando il fatto lesivo del possesso sia riferibile a diversi soggetti, l’uno quale esecutore materiale e l’altro quale autore morale (ed è tale anche il soggetto che dell’atto lesivo si giovi), sussiste la legittimazione passiva di entrambi, ma non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo la pretesa essere coltivata anche nei confronti di uno solo dei responsabili. Viene così rigettata la prima delle due censure mosse dal ricorrente, costituenti primo motivo di ricorso, che lamentava la violazione del contraddittorio, non essendo stato convenuto in giudizio il proprietario del vano ubicato nell’edificio adiacente messo in comunicazione con l’apertura praticata.

 

La seconda doglianza sollevata dal ricorrente ha rappresentato il punto cardine dell’impugnazione della sentenza di merito e riguarda la ritenuta illegittimità dell’apertura del varco così come precedentemente descritta. A tal proposito il Collegio si esprime richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto e precisa che in tema di condominio è illegittima l'apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell'edificio condominiale dal comproprietario per mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva ubicato nel medesimo fabbricato con altro immobile, pure di sua proprietà, estraneo al condominio; infatti, tale utilizzazione, comportando la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di un bene comune, ne altera la destinazione, giacché in tal modo viene imposto un peso sul muro perimetrale che da luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio. Tale massima, opportunamente sottolineata dall’adita Corte, rappresenta chiaramente un’affermazione del principio della parità di godimento tra tutti i condomini in relazione alla regolamentazione dell’uso della cosa comune. In tema di condominio negli edifici, l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Chiarito questo aspetto, si può agevolmente comprendere come integri gli estremi dell’abuso del bene comune quella condotta del condomino che apra un varco nel muro perimetrale del fabbricato condominiale per i motivi anzidetti, creando così una servitù di passaggio gravante su un bene condominiale, con conseguente mutamento di destinazione d’uso dello stesso e, tra l’altro, senza il necessario consenso dell’unanimità dei condomini ed in violazione dei concorrenti diritti degli stessi.

 

La Suprema Corte evidenzia anche che nel caso di specie è indubbia la presenza dei requisiti di legge necessari al fine di poter esperire l’azione possessoria, infatti, premessa e appurata l’illegittimità della condotta, affinché un soggetto possa essere considerato legittimato ad agire con azione di manutenzione, è richiesta l’attualità del possesso al momento della turbativa e l’azione deve essere esercitata entro l’anno dalla turbativa. Nel caso di muri dell'edificio condominiale, l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano, e soltanto per traslato il proprietario, trae da tali utilità. Ciò giustifica che il ricorrente, in qualità di condomino compossessore del bene comune, ha tutto il diritto di agire in giudizio per salvaguardare la situazione di fatto preesistente alla turbativa. E’ opportuno ricordare che in tema di condominio, e con riferimento alle parti comuni dell’edificio (art. 1117 c.c.), il godimento insito nel compossesso designa due differenti realtà, quella della utilizzazione obiettiva della res, e quella del suo godimento soggettivo in senso proprio, con la prima intendendosi l’utilità prodotta (indipendentemente da qualsiasi attività umana) in favore delle unità immobiliari dall’unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, la seconda concretantesi, invece, nell’uso delle parti comuni quale effetto dell’attività personale dei titolari dei piani o porzioni di piano.

 

Anche sul profilo processuale, per quanto riguarda l’eccezione feci sed iure feci, la Corte fa chiarezza sul punto. Il convenuto, nel cercare di difendere la propria posizione, solleva la questione in ordine alla sussistenza del suo diritto di collegamento tra i due edifici, riconosciuto sin dall’inizio dall’originario proprietario dell’intero fabbricato e poi trasfuso nei singoli contratti di acquisto per essere poi accettato dal ricorrente. Tale eccezione non è opponibile in quanto, come giustamente rileva la Corte, l’oggetto del giudizio possessorio è costituito dallo ius possessionis e non dallo ius possidendi, cioè il diritto di possedere del convenuto. Ciò vuol significare che l’eccezione feci sed iure feci, per non alterare il carattere del giudizio possessorio, deve essere sollevata al sol fine di determinare i limiti del possesso dell’attore in concomitanza con l’eventuale diritto del convenuto, a titolo di compossesso. L’indagine non può essere quindi diretta ad accertare il diritto di possedere del convenuto. Nel procedimento possessorio è consentita l’eccezione de quo sol quando si venga a negare la preesistenza di un possesso altrui sulla cosa stessa, facendo quindi venir meno la sussistenza di un attentato a tale possesso. Gli Ermellini rigettano l’eccezione sollevata dal convenuto statuendo che questa è opponibile solo quando l'attività del condomino non sia in contrasto con l'esercizio attuale o potenziale di analoga attività di altro condomino, non limitandone i poteri corrispondenti ai diritti spettanti sulle cose condominiali. Nel caso in esame invece, il convenuto aveva praticato il varco nel muro condominiale, in tal modo riconoscendo l'esistenza di un compossesso attuale del bene comune da parte del condomino ricorrente, che era stato per l'appunto leso dalla condotta posta in essere dal resistente in contrasto con tale esercizio. Viene pertanto riconosciuta, in capo al convenuto, la sussistenza dell’animus turbandi inteso come coscienza e volontarietà del fatto compiuto a detrimento dell’altrui possesso, che pertanto si presume esistente ove la turbativa sia oggettivamente dimostrata, a nulla rilevando anche l’eventuale convincimento di esercitare un proprio diritto.

 

 

 

La SOLUZIONE di Cassazione, Sez VI, 5 aprile 2011, n. 7748

 

In base a quanto argomentato e motivato, secondo Cassazione, sez. VI, 5 aprile 2011, n. 7748 la sentenza impugnata merita di essere censurata. Ai fini della tutela possessoria ex. art. 1170 c.c. e 703 c.p.c., l’accertamento dell’illiceità della condotta posta come turbativa del possesso, prescinde dalla verifica in concreto dell’indebolimento funzionale o di un aggravio della struttura condominiale, non rilevando neanche la sussistenza o meno di un danno economico. Ciò che interessa,  al fine del thema decidendum, è la lesione del possesso di un bene comune, quindi l’accertata compromissione del godimento di una situazione di fatto preesistente alla turbativa. L’azione di manutenzione del possesso nel caso di specie è fondata e ammissibile meritando pertanto accoglimento alla luce del primo motivo di ricorso in quanto l’apertura di un varco nel muro perimetrale di un edificio condominiale è illegittima.

 

Il ricorso viene accolto con cassazione della sentenza impugnata e si rinvia, anche per le spese di giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello.

 

Afferma il Collegio che:

 

1-       E' illegittima l'apertura di un varco effettuato nel muro perimetrale dell'edificio condominiale dal comproprietario per porre in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva situato nello stesso fabbricato con un altro immobile sempre di sua proprietà estraneo al condominio: tale uso, comportando la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di un bene comune ne altera la destinazione: al muro perimetrale è imposto un peso che dà luogo a una servitù per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio.

 

2-       I beni condominiali - che, come i muri perimetrali, sono obiettivamente destinati a dare utilità alle singole unità immobiliari alle quali sono collegate materialmente non occorrendo a tal fine l'attività dei singoli condomini come invece nel caso di beni utili soggettivamente - sono oggetto di compossesso che consiste nel beneficio che il piano o porzione di piano trae da tali utilità sicché l'eccezione feci sed iure feci è opponibile solo quando l'attività del condomino non sia in contrasto con l'esercizio attuale o potenziale di analoga attività di altro condomino, non limitandone i poteri corrispondenti ai diritti spettanti sulle cose condominiali

 

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