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R.C.A. E DANNO ALLA PERSONA di Patrizia Ziviz

 

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1. RAPPORTO TRA R.C.A. E SISTEMA GENERALE

La questione del risarcimento del danno alla persona ha rappresentato e rappresenta anche attualmente, nel sistema aquiliano, uno dei settori più discussi e assoggettati a continue evoluzioni interpretative. In che rapporto con tali evoluzioni debba porsi il sistema RCA è domanda che dovrebbe trovare risposta univoca: il sistema assicurativo non può prescindere da quelle trasformazioni e necessariamente deve adeguarsi alle stesse. A suffragare una conclusione del genere basta constatare come, nel tempo, le evoluzioni generali della r.c. abbiano sempre trovato riscontro nell’ambito del settore dei sinistri stradali. Senza dover risalire all’introduzione del danno biologico nel sistema, basta rammentare il caso della risarcibilità del danno morale, che sulla base di un orientamento mutato nel 2003, scatta anche quando il responsabile risponda in applicazione dell’art. 2054 c.c. e non già in base ad una colpa concretamente accertata: mutamenti, questi, dei quali si è preso atto al momento in cui il risarcimento del danno sia effettuato dall’assicuratore, a fornte di un incidente stradale.

Il costante aggiornamento del settore dei sinistri stradali dev’essere necessariamente perseguito anche nel momento presente, per quanto concerne le evoluzioni che hanno interessato il danno alla persona: e ciò sia in ordine alla strutturazione delle voci di danno risarcibile, sia in ordine alla relativa quantificazione. A complicare la questione interviene, però, il fatto che nel sistema assicurativo sono state, in passato, inserite alcune previsioni a livello normativo riguardanti la liquidazione del danno biologico: le quali: (a) si rifanno a una sistemazione concettuale del sistema risarcitorio la quale, successivamente, è stata assoggettata ad ulteriori cambiamenti; (b) prevedono, sul piano della quantificazione, uno scollamento rispetto ai valori usualmente applicati dalla giurisprudenza; (c) individuano dei tetti invalicabili con riguardo all’esercizio della discrezionalità equitativa del giudice. Resta il fatto che è comunque indispensabile raccordare le previsioni normative con il quadro complessivo esistente in materia di risarcimento del danno alla persona, alla luce della considerazione generale che la r.c.auto dev’essere governata da regole che si armonizzano con quelle previste per il sistema aquiliano nel suo complesso. Non si può qui applicare la stessa logica che governa i rapporti tra sistema infortunistico e sistema aquiliano; questi ultimi appaiono, infatti, quali istituti aventi differenti finalità, i quali si prestano ad essere governati da regole non necessariamente omogenee (salva restando la necessità di individuare un raccordo tra i due sistemi per quanto riguarda il piano operativo). Diversamente, la fattispecie del danno prodotto da circolazione di veicoli non si differenzia, sul piano strutturale, dalle altre fattispecie di responsabilità; il vincolo rappresentato dall’obbligatorietà dell’assicurazione non determina, infatti, la sottrazione di tale figura all’alveo aquiliano, e non può essere tale da snaturare la funzione dalla stessa assolta.

E’ alla luce di tale indicazione generale di armonizzazione tra sistema r.c.a. e disciplina generale aquiliana che vanno, allora, affrontate due recenti novità registrare sul fronte del danno alla persona, vale a dire:

(a)          Le sentenze di giugno della Cassazione che hanno imposto l’omogeneità valutativa a livello nazionale del danno da lesione della salute, attraverso l’applicazione delle tabelle milanesi;

(b)          Lo schema di dpr emanato dal consiglio dei ministri in agosto, relativo alle tabelle nazionali assicurative per le invalidità dal 10% al 100%.

 

 2. LA VALENZA NAZIONALE DELLE TABELLE MILANESI

Sostanziose novità sono emerse da parte del formante giurisprudenziale nel mese di giugno, con due pronunce della Cassazione (Cass. 7 giugno 2011, n. 12408 e Cass. 30 giugno 2011, n. 14402) tramite le quali i giudici di legittimità puntano ad imporre un sistema di valutazione uniforme su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda il pregiudizio derivante alla lesione alla salute.

La sentenza n. 12408/2011 elabora una complessa serie di argomentazioni al riguardo. I giudici di legittimità partono dalla constatazione che, presso la giurisprudenza di merito, esistono marcate differenze non solo dei valori adottati per la liquidazione, ma anche in relazione al metodo utilizzato ai fini della stessa, determinandosi divergenze di trattamento assai accentuate tra le vittime di identiche lesioni. Un fenomeno del genere, osserva la S.C., “vulnera elementari principi di eguaglianza, mina la fiducia dei cittadini nell’amministrazione della giustizia, lede la certezza del diritto, affida in larga misura al caso l’entità dell’aspettativa risarcitoria, ostacola le conciliazioni e le composizioni transattive in sede stragiudiziale, alimenta per converso le liti”.

A fronte di tale situazione, la Cassazione assume essere “suo specifico compito, al fine di garantire l’uniforme interpretazione del diritto (che contempla anche l’art. 1226 cod. civ., relativo alla valutazione equitativa del danno) fornire ai giudici di merito l’indicazione di un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona, quale che sia la latitudine in cui si radica la controversia”. Al momento di scegliere tra i divergenti criteri adottati dalla giurisprudenza, la S.C. opta per le tabelle milanesi, le quali hanno trovato larga applicazione anche presso altri tribunali, manifestando perciò una vocazione nazionale [Va, perlatro, rammentato che - al fine di tamponare l’effetto dirompente che simili indicazioni potrebbero rivestire a livello del contenzioso attualmente in atto -  i giudici di legittimità specificano che non sarà possibile il ricorso in cassazione, per violazione di legge, verso le sentenze d’appello “per il solo fatto che non sia stata applicata la tabella di Milano e che la liquidazione sarebbe stata di maggiore entità se fosse stata effettuata sulla base dei valori da quella indicati”, ma  “occorrerà che il ricorrente si sia specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano; e che, inoltre, nei giudizi svoltisi in luoghi diversi da quelli nei quali le tabelle milanesi sono comunemente adottate, quelle tabelle abbia anche versato in atti”.]

La sentenza n. 14402/2011 conferma simili indicazioni, pronunciandosi con riguardo ad un caso in cui la vittima di un incidente stradale si doleva del rigido automatismo applicato dal giudice di merito, il quale (nel rifarsi alle tabelle del tribunale di Brescia) approdava a una valutazione notevolmente inferiore in termini quantitativi rispetto a quella ricavabile tramite l’applicazione delle tabelle milanesi. Con riguardo a queste ultime, la S.C. ribadisce come le stesse “risultino essere quelle statisticamente maggiormente testate, e pertanto le più idonee ad essere assunte quale criterio generale di valutazione”, ciò in quanto “recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto di equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali – ingiustificate disparità di trattamento”. Secondo la Cassazione “tali parametri sono allora da prendersi necessariamente a riferimento ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella, di ammontare come nella specie inferiore, cui il giudice di merito sia diversamente pervenuto”. Dovranno essere adeguatamente motivate le ragioni che abbiano spinto il giudice di merito a liquidare una somma sproporzionata rispetto a quella cui si perviene attraverso l’applicazione delle tabelle milanesi.

Dalle due pronunce della Cassazione possono trarsi indicazioni estremamente importanti per quanto riguarda il settore dei sinistri stradali:

(a)          Parità di trattamento nella valutazione equitativa: la S.C. stabilisce che il concetto di equità racchiude in sé due caratteristiche: (1) si tratta di uno strumento di adattamento della legge al caso concreto; (2) esso ha “la funzione di garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale, o viceversa”, rappresentando perciò uno strumento attuativo del precetto di cui all’art. 3 Cost. La conclusione è che, nel caso di danno non patrimoniale, “solo un’uniformità pecuniaria di base può valere ad assicurare una tendenziale uguaglianza di trattamento, ad un tempo sintomo e garanzia dell’adeguatezza della regola equitativa applicata nel singolo caso”.

(b)          Necessaria flessibilità: l’equità si fonda sulla compresenza di uniformità e flessibilità, essendo necessario adottare “sistemi di liquidazione che associno all’uniformità pecuniaria di base del risarcimento ampi poteri equitativi del giudice, eventualmente entro limiti minimi e massimi, necessari al fine di adattare la misura del risarcimento alle circostanze del caso concreto”. Viene confermata, quindi, la necessità di conservare uno spazio per l’intervento del giudice.

Al momento di scegliere un criterio tra quelli adottati dalla giurisprudenza, al fine di attribuire allo stesso la valenza di guida per tutto il territorio nazionale, la Cassazione avalla la scelta (operata da oltre sessanta tribunali  collocati in varie zone del paese) di applicare “i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale”. La S.C. afferma che tali importi vengono ad incarnare “il valore da ritenersi ‘equo’, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l’entità”.

Sorge, allora, per l’interprete la domanda – ancor più attuale oggi che in passato – riguardante la compatabilità  costituzionale dell’applicazione, nel settore dei sinistri stradali, di criteri di quantificazione molto distanti, in termini quantitativi, da quelli ritenuti equi a tradurre in denaro il danno non patrimoniale patito dalla vittima di una lesione alla salute.

 

3. NOZIONE UNITARIA DI DANNO NON PATRIMONIALE

A conferma dell’opportunità di far capo ai criteri milanesi, la Cassazione sottolinea come gli stessi riflettano i principi enunciati dalle Sezioni Unite del 2008 in materia di unitarietà del ristoro del danno non patrimoniale. Viene, infatti, sottolineate l’avvenuta sostituzione – da parte del tribunale di Milano - della denominazione “Tabella per la liquidazione del danno biologico” con quella di “Tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica”, avendo i giudici meneghini ritenuto di dover assorbire il calcolo del danno morale nell’ambito della tabelle del danno biologico.

Oltre ad aver individuato valori uniformi sul territorio nazionale per la valutazione del danno biologico, la Cassazione viene così a confermare quell’opzione teorica secondo cui sarebbe necessario procedere all’accorpamento delle compromissioni di  carattere morale con le ripercussioni di carattere biologico, entro un’unica voce di danno. Una scelta del genere, perorata dalle sentenze delle Sezioni Unite del novembre 2008, è stata oggetto di vivaci critiche da parte della dottrina e non ha trovato unanime riscontro a livello giurisprudenziale. Numerosi giudici hanno avuto modo di sottolineare, successivamente, la sostanziale diversità intercorrente tra danno morale e danno biologico: la quale sarebbe, del resto, messa in luce dalla stessa genesi che contraddistingue quest’ultimo. La netta differenza intercorrente tra danno morale e biologico ha, peraltro, trovato recente conferma in sede normativa, all’interno dei d.p.r. 37/2009 e d.p.r. 181/2009: provvedimenti che prevedono una chiara distinzione della componente morale del danno (provocato dalla lesione alla salute) rispetto a quella di ordine biologico.

Per venire al settore dei sinistri stradali, la stessa nozione legislativa di danno biologico - dettata dal Codice delle Assicurazioni private, ma della quale le Sezioni Unite hanno riconosciuto la valenza generale -  esclude la considerazione di qualunque ripercussione di carattere emotivo: come conferma l’iter legislativo che ha portato a tale definizione. Ricordiamo che nella prima versione del progetto di legge riguardante le lesioni di lieve entità -  sfociato nell’art. 5 della legge 5 marzo 2001, n. 57 -  si ribadiva la netta distinzione tra danno biologico e danno morale, prevedendo una specifica disposizione con riguardo a quest’ultimo pregiudizio: la quale stabiliva che lo stesso fosse liquidato in una misura massima del 25% rispetto al danno biologico. Tale indicazione venne in seguito stralciata, con lo specifico intento di sopprimere in sede liquidatoria ogni limitazione con riguardo al patema d’animo, da risarcirsi quale posta autonoma sottratta a qualsiasi calcolo di carattere tabellare.

Tali considerazioni portano allora a concludere che esiste una differenza strutturale tra i due sistemi tabellari: mentre le tabelle applicate in sede giurisprudenziale sono costruite in maniera da riflettere la nozione unitaria del danno non patrimoniale, le tabelle normative relative al danno biologico non comprendono il danno morale. Di questo dato, quindi, deve tener conto il giudice quando procede alla liquidazione del danno alla persona nel settore dei sinistri stradali.

 

4. PERSONALIZZAZIONE DEL RISARCIMENTO

La Cassazione ha sottolineato che l’intervento di personalizzazione del risarcimento da parte del giudice di merito è posto a garanzia del rispetto quanto al principio di integralità del risarcimento.

I margini di intervento del giudice sono strettamente correlati al modo in cui risultano costruite le tabelle. Per quanto riguarda quelle milanesi, i relativi importi del punto di invalidità risultano individuati quali valori monetari medi: destinati, come tali, a tradurre in termini monetari gli effetti standard della lesione, vale a dire quelli frequentemente ricorrenti, sia per quel che concerne gli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia per i profili di sofferenza soggettiva. Ciò posto, la possibilità di procedere ad un aumento è ipotizzabile ove il caso concreto presenti peculiarità, che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato. L’intervento del giudice risulta ammesso nel limite di una percentuale massima, stabilita in seno alla tabella, salva restando la possibilità di procedere alla liquidazione “oltre i valori massimi in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti”.

Il ritocco è ammesso non soltanto tramite un aumento, ma anche attraverso una riduzione rispetto ai valori ottenuti dall’applicazione della tabella: possibilità di decurtazione che rappresenta una novità sostanziale rispetto al sistema tradizionale di liquidazione del danno biologico. Una personalizzazione declinata in termini riduttivi risulta giustificata dal fatto che le attuali tabelle milanesi traducono, nel valore del punto, non solo le ripercussioni di carattere biologico, ma anche quelle relative al versante morale (e relazionale). Ciò posto, la decurtazione risulta ammissibile esclusivamente laddove sia accertata l’assenza (o la limitata incidenza) di ripercussioni negative di ordine emotivo ovvero relazionale. Non sembra, invece, praticabile una riduzione la quale possa incidere sulla quota relativa alle menomazioni di carattere anatomo-funzionali corrispondenti ad una certa percentuale di invalidità: vale a dire quelle quantificate attraverso il valore del punto della vecchia tabella del danno biologico. Se così non fosse, verrebbe infatti violato il principio di integralità del risarcimento, quale strumento di traduzione in denaro di tutte le conseguenze non economiche della lesione. Per quanto riguarda le tabelle dettate dal legislatore nel settore dei sinistri stradali, la differenza strutturale delle stesse rispetto a quelle milanesi porta, invece, a concludere che il ritocco del giudice può operare esclusivamente al fine di un incremento del ristoro; le stesse quantificano infatti  esclusivamente il danno biologico, invidiando lo stesso quale valore minimo corrispondente alle sole ripercussioni anatomo-funzionali.

Sul versante dell’aumento dei valori risultanti dalla tabella, le tabelle milanesi stabiliscono che la percentuale di incremento venga a mutare in relazione ai vari livelli di invalidità; il margine di personalizzazione a disposizione del giudice appare inversamente proporzionale rispetto all’incremento che, nella costruzione delle tabelle, è stato apportato al valore del punto al fine di incorporare nello stesso le ripercussioni standard della lesione. Dal momento che la quota relativa al danno morale e alle ripercussioni relazionali è stata incrementata in misura crescente all’aumentare dell’invalidità, ciò si riflette in una riduzione proporzionale del margine di personalizzazione. Nelle tabelle assicurative – che riguardano esclusivamente le ripercussioni anatomo-funzionali, non si tratta invece di procedere alla personalizzazione di un valore medio, bensì di un valore minimo del pregiudizio.

Sotto al profilo della personalizzazione, importanti precisazioni provengono dalla sentenza 14402/2011. La vittima di una lesione alla salute lamentava il rigido automatismo applicato nel calcolo del danno biologico, alla luce del quale non si era tenuto conto delle ripercussioni dell’invalidità sull’intero ambito di esplicazione personale, relativamente al piano lavorativo, affettivo, sentimentale, sessuale, abitativo e di spostamento, essendo il danneggiato costretto a dipendere anche per le più elementari esigenze di vita dalla propria anziana madre. A tale proposito, la Cassazione rileva come sia indispensabile verificare se i parametri recati dalle tabelle tengano conto di tali profili concernenti la sfera esistenziale del pregiudizio “dovendo in caso contrario procedersi alla c.d. ‘personalizzazione’, riconsiderando i parametri recati dalle tabelle in ragione (anche) di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l’integralità del ristoro spettante al danneggiato”. Trasportando tali considerazioni sul piano dei sinistri stradali, si tratta di riconoscere che personalizzare significa adeguare l’importo ricavabile dalle tabelle tenendo conto di come la menomazione anatomo-funzionale si ripercuota sulle attività realizzatrici della persona, in considerazione della concreta situazione della vittima.

Le indicazioni formulate dalla sentenza 14402/2011, ipotizzano che il range di valori del punto ricavabile dalle tabelle milanesi possa non presentare sufficiente spazio per tradurre, sul piano liquidatorio, la complessità delle compromissioni esistenziali patite dalla vittima: soprattutto laddove lo sconvolgimento dell’esistenza determinato dalla lesione sia tale da sfuggire a qualunque proporzione con l’entità dell’invalidità subita. Viene, in casi del genere, considerata ammissibile una personalizzazione del danno non patrimoniale anche oltre i valori massimi individuati dalla tabella. Si deduce, allora, che il superamento dei limiti massimi -  ammesso esplicitamente dalle tabelle milanesi “in caso del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti” -  non andrebbe confinato in tale ristretto ambito, risultando sempre praticabile ove il giudice individui una motivata giustificazione sulla quale fondare lo scostamento. Su questo piano emerge, quindi, una discrasia con quanto previsto nel settore dei sinistri stradali, ove la personalizzazione è contenuta rigorosamente entro i limiti di legge.

Le vittime dei sinistri stradali vengono ulteriormente penalizzante, nell’ottica adottata dalle Cassazione 12208/2011, dall’affermazione (che emerge a livello di obter) secondo cui i tetti stabiliti a livello normativo per la personalizzazione del risarcimento riguardano non già la sola componente biologica del pregiudizio, ma le conseguenze non patrimoniali della lesione complessivamente intese: comprensive, quindi, delle sofferenze di carattere morale. I giudici di legittimità sostengono, infatti, che i pregiudizi morali potranno essere presi in considerazione entro i tetti previsti dalle tabelle. In verità, conclusioni del genere si pongono in contrasto con l’aperto riconoscimento – da parte dei giudici di legittimità – che le tabelle normative risultano costruite secondo “una concezione del danno biologico anteriore” a quella unitaria affermata dalle Sezioni Unite del 2008. Lo spazio limitato di personalizzazione concesso al giudice deve, di conseguenza, essere riferito soltanto alla componente biologica del danno, e non può valere a comprimere entro quel tetto le ripercussioni di ordine morale.

 

5. LE TABELLE NAZIONALI ASSICURATIVE

Nella scelta del criterio di valutazione da applicare su scala nazionale, la Cassazione sonda, nella sentenza 12408/2011,  l’opportunità di procedere all’applicazione analogica delle tabelle previste dall’art. 139 del Codice delle assicurazioni. La S.C. rammenta l’esistenza di tre differenti filoni interpretativi  (a) una prima indicazione si schiera a favore dell’applicazione analogica degli indici normativi, forte del rilievo che la differente fonte della lesione alla salute non rileva ai fini della valutazione del danno conseguente; (b) un secondo filone appare schierato contro l’applicazione analogica, in forza della collocazione della relativa norma, che manifesterebbe la valenza strettamente settoriale della stessa;  (c) un terzo indirizzo sottolinea che le indicazioni normative andrebbero riferite al solo danno biologico, restando estranea a tale valutazione la componente morale del pregiudizio, che andrebbe comunque riconosciuta attraverso l’attribuzione di una somma ulteriore. I giudici di legittimità propendono per attribuire valenza esclusivamente settoriale alle tabelle essendo il contenimento del danno alla persona previsto dalle tabelle di legge dettato dalla necessità di non incrementare i premi assicurativi.

Il settore dei sinistri stradali appare, a seguito delle pronunce del giugno 2011, governato dalle tabelle per quanto riguarda le micropermanenti, mentre per la macroinvalidità andrebbero applicate le tabelle milanesi, nelle more dell’emanazione della tabella legislativa. Questa realtà ha spinto il legislatore ad intervenire prontamente, approvando immediatamente lo schema del tanto invocato provvedimento attuativo dell’art. 138 del Codice delle assicurazioni (che reca le tabelle nazionali di valutazione del danno biologico cagionato da invalidità comprese tra il 10% e il 100%). Esso presenta, nella versione approvata dal Consiglio dei ministri  del 3 agosto 2011, valori del punto tali da determinare un deciso decremento del ristoro del danno alla persona, imponendo un calo dal 35% al 50% rispetto ai valori attualmente liquidati in sede giurisprudenziale.

Dal momento che le restrizioni quantitative appaiono in tal modo destinate ad essere applicate su scala generale nel settore dei sinistri stradali, vengono meno la gran parte delle motivazioni spese al tempo dell’emanazione delle tabelle normative delle micropermanenti per giustificare il contenimento dei valori del punto:

(a)          si è sostenuto che l’adozione di valori del punto inferiori a quelli giurisprudenziali fosse giustificata in base alla constatazione della scarsa incidenza delle micropermanenti sulla vita del danneggiato;

(b)          è stato affermato che la valutazione contenuta delle micropermanenti avrebbe consentito di non togliere risorse alle macrolesioni;

(c)          è stato sottolineato che la gran parte dei risarcimenti gravanti sulle assicurazioni  per il ristoro del danno alla persona derivano da micropermanenti, e quindi il relativo contenimento avrebbe permesso di ridurre adeguatamente i premi assicurativi.

Oggi simili giustificazioni vengono meno, per cui gli interpreti favorevoli alla limitazione del risarcimento sottolineano che un simile sistema si fonderebbe sulla specificità legata all’obbligatorietà dell’assicurazione, evocandosi genericamente – come fa la Cassazione nella sentenza 12208/2011 - la necessità di non incrementare i premi assicurativi.

Tali motivazioni non possono essere condivise. Se il problema è quello della sostenibilità economica, la specificità della r.c.a dovrebbe essere fatta pesare prima di tutto sul danno a cose, piuttosto che su quello alla persona. In una logica del contenimento dei premi, il sacrificio imposto alla vittime andrebbe, in considerazione della gerarchia costituzionale dei valori colpiti,  fatto incidere prima sui pregiudizi che colpiscono il patrimonio, piuttosto che su quelli che ledono la sfera dell’individuo.

 

Bisogna, peraltro, constatare che il sacrificio del valore della persona imposto normativamente avviene in nome della protezione di interessi economici dei quali non appaiono titolari le vittime, le quali non sono necessariamente titolari di contratti di assicurazione r.c.a.: si pensi ai pedoni, ai ciclisti, ai trasportati. Anche dal punto di vista del vantaggio economico degli assicurati l’operazione messa in atto dal legislatore appare, del resto, estremamente discutibile. Se l’esigenza da soddisfare è quella di calmierare il mercato della r.c.a., dovrebbe essere imposto per legge un taglio non solo dei risarcimenti, ma anche dei premi assicurativi.

Resta da rilevare che il sistema derivante dall’applicazione delle tabelle assicurative ai danni alla persona provocati da sinistri stradali – messo a confronto con le indicazioni applicate nei confronti delle vittime di altri tipi di illecito -  si trasforma in un sistema di indennizzo e non già di risarcimento. Su aprono, allora, prospettive interpretative inedite: non ultima quella volta a consentire al danneggiato di agire nei confronti del responsabile del sinistro per ottenere  il danno differenziale quantitativo, in analogia a quanto avviene in ambito infortunistico nei confronti del datore di lavoro.

 

6. CONCLUSIONI

Si pone, in ogni caso, il problema della compatibilità costituzionale di una simile disciplina, tenuto conto della situazione deteriore che, sul piano risarcitorio, vengono a subire le vittime dei sinistri stradali e mancando un criterio ragionevole che consenta di giustificare la disparità di trattamento alla luce dell’art. 3 Cost.

Il rischio è che - per ovviare alla forbice quantitativa esistente tra il sistema generale della r.c. e quello dei sinistri stradali – si inneschi un gioco al ribasso. L’effetto delle tabelle assicurative potrebbe assumere portata generale, ove si consideri che la Cassazione 12408/2011 impone Il metodo liquidatorio delle tabelle milanesi a fronte della mancata attuazione dell’art. 138 cod. ass.: i giudici di legittimità evocano, infatti, tale necessità “nella perdurante mancanza di riferimenti normativi per le invalidità dal 10 al 100%”. Nulla esclude, allora, che – una volta emanate queste ultime tabelle – si pervenga ad affermare la necessità di applicare le stesse per tutti i tipi di illecito, in forza della parità di trattamento di tutte le vittime di lesioni analoghe.

Il risultato sarebbe sconfortante: oltre ad un taglio drastico del risarcimento, si assisterebbe alla definitiva scomparsa del danno morale, il quale - sebbene non compreso nelle tabelle assicurative - non potrebbe, in forza dell’adozione di una nozione unitaria di danno non patrimoniale, essere più oggetto di separata liquidazione.

 

Il presente scritto riproduce la relazione tenuta al Convegno intitolato “R:C.A.: questioni aperte e controverse”, tenutosi a Brescia il 21 ottobre 2011.

 

 

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