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AVVOCATURA: TRA LIBERALIZZAZIONE E TUTELA DEI DIRITTI" - Marcello Adriano MAZZOLA

 

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1. Il neo “decreto sulle liberalizzazioni”. - Il “decreto sulle liberalizzazioni” approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 20 gennaio 2012 interviene anche sulla professione forense, abrogando le tariffe ed imponendo il preventivo per iscritto col cliente, consentendo di fare tirocinio durante l’ultimo biennio dell’università, auspicando l’assicurazione professionale. Gli scopi dichiarati sono di agevolare i giovani, incrementare il Pil, abbattere le restrizioni nel mercato.

In particolare nel testo del decreto, nel CAPO III (SERVIZI PROFESSIONALI) così statuisce all’art. 10 (Disposizioni sulle tariffe professionali):

1. Sono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime, comprese quelle di cui al capo V, titolo III, della legge 16 febbraio 1913, n. 89.

2. Al primo comma dell’articolo 2233 del codice civile, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole “le tariffe o” sono soppresse;

b) le parole “sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene.” sono sostituite dalle seguenti “secondo equità.” .

3. Al primo comma dell’articolo 636 del codice procedura civile, le parole da “e corredata da” fino a “in base a tariffe obbligatorie” sono soppresse.

4. Alla legge 16 febbraio 1913, n.89 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 2 dell’articolo 74 è soppresso;

b) all’articolo 79: la parola “379” è sostituita dalla parola “636”; le parole da “al pretore” fino a “competenza per valore” sono sostituite dalle seguenti: “al giudice competente che decide ai sensi dell’articolo 2233 del codice civile”; l’ultimo periodo è soppresso.

Quanto poi al preventivo, l’art. 11 (Obbligo di comunicazione del preventivo) sancisce che:

1. Tutti i professionisti concordano in forma scritta con il cliente il preventivo per la prestazione richiesta. La redazione del preventivo è un obbligo deontologico e l’inottemperanza costituisce illecito disciplinare.

2. Nell’atto di determinazione del preventivo il professionista indica l’esistenza di una copertura assicurativa, se stipulata, per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale, la sua durata e il suo massimale.

3. Il presente articolo non si applica all’esercizio delle professioni reso nell’ambito del servizio sanitario nazionale o in rapporto di convenzione con lo stesso.

4. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge i codici deontologici si adeguano alle previsioni del presente articolo.

Ed infine l’art. 12 (Accesso dei giovani all’esercizio delle professioni) così prevede:

1. All’articolo 6 della legge 9 maggio 1989, n.168, dopo il comma 3, è inserito il seguente:

“3 bis. Le università possono prevedere nei rispettivi statuti e regolamenti che il tirocinio ovvero la pratica, finalizzati all’iscrizione negli albi professionali, siano svolti nell’ultimo biennio di studi per il conseguimento del diploma di laurea specialistica o magistrale; il tirocinio ovvero la pratica così svolti sono equiparati a ogni effetto di legge a quelli previsti nelle singole leggi professionali per l’iscrizione negli albi. Sono esclusi dalla presente disposizione i tirocini per l’esercizio delle professioni mediche o sanitarie. Resta ferma la durata massima dei tirocini prevista dall’articolo 33, comma 2 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214”.

Per fare ciò si è seguito un metodo veramente singolare: a) nessuna concertazione con le parti interessate; b) tecnica legislativa gretta, poiché si introducono norme senza armonizzarle con l’esistente e senza porsi le gravi conseguenze che produrranno (tra le tante: il potere del giudice di liquidare le parcelle sulla base di parametri ministeriali allo stato inesistenti, e comunque una sorta di tariffe di ritorno, ed anche in difformità al preventivo pattuito col cliente; l’imposizione di un preventivo dinanzi ad una attività giurisdizionale aleatoria anche nei tempi e nelle modalità così accollando il rischio economico soprattutto sull’avvocato, etc.); c) si invocano da tempo e anche di recente alibi surreali, quali “l’Europa ce lo chiede” e abbiamo il placet del Forum giovani, anzi di un componente del Forum giovani (cfr. discorso del premier del 20.1.12; mentre invece non è stato consultato il presidente dell’A.I.G.A. che comunque rappresenta il 50% dell’avvocatura, costituita da giovani avvocati infra 45enni).

E’ dunque lecito domandarsi se ora l’avvocatura italiana sarà più libera e se i cittadini saranno più tutelati e soprattutto se spenderanno di meno. Invero, se si supera la patina finto liberale che pervade questo governo di economisti-banchieri parrebbe proprio di no.

In premessa e in generale per vari motivi di carattere generale: a) intanto il “decreto sulle liberalizzazioni” non tocca i veri settori cruciali dell’economia (trasporti e ferrovie, autostrade e concessioni, banche, benzina e petrolieri, solo per citare quelle più rilevanti rimarcati dai giornali), dunque è già di per se ingannevole e tale da non smuovere alcun Pil come si pretende di far credere; b) quanto all’avvocatura il “legislatore” palesa una grave e inescusabile conoscenza di tale professione (di rilievo costituzionale e secondo pilastro della giustizia italiana); c) si denota una mancanza progettuale complessiva posto che l’avvocatura andrebbe riformata in un disegno di ristrutturazione della giustizia, poiché solo rendendo efficiente la “giustizia italiana” si aumenta il Pil (in quanto la tutela dei diritti diverrebbe effettiva e celere, inclusi i diritti di credito, e ciò restituirebbe fiducia a tutti gli investitori, nazionali e internazionali; oltre a comportare un risparmio di centinaia di milioni ogni anno, tra indennizzi ex lege Pinto e nuovi contenziosi; lo ripete ad ogni inaugurazione dell’anno giudiziario il primo Presidente della Corte di Cassazione, l’ha evidenziato di recente il Guardasigilli ma poi non consegue alcuna azione!).

2. La liberalizzazione dell’avvocatura. – Occorre innanzitutto ricordare necessariamente come l’avvocatura sia una professione intellettuale sui generis, paragonabile per certi versi alla ars medica, poiché mentre i medici gestiscono il bene prezioso della salute (e della vita) dei pazienti, gli avvocati gestiscono il bene altrettanto prezioso dei diritti dei pazienti-clienti. Il cui diritto più importante è la libertà. Senza tutela dei diritti non v’è uno Stato di diritto e viene meno la democrazia.

Infine l’avvocatura sorregge, insieme al primo pilastro della magistratura, il bene pubblico e preziosissimo della Giustizia.

Ciò impone quanto meno di non accorpare grettamente qualsivoglia riforma (finto liberalizzatrice) che interessi l’avvocatura a tutte le altre ma di ponderarle in un disegno più ampio di riforma della giustizia che sappia finalmente garantire a tutti noi alcuni punti fermi: a) una giustizia celere, snella ed efficiente; b) accessibile a tutti; c) dove vige la regola della responsabilità (chi sbagli paghi); d) fondata sul merito e nella quale operino dunque i migliori magistrati e i migliori avvocati possibili.

Nella fattispecie delle norme del decreto che hanno investito (e non meramente interessato, posto che le norme sono state imposte con grave malafede, come poi si sottolineerà) l’avvocatura, occorre forse partire da lontano per giungere a comprendere se tali novità siano realmente positive per tutti gli italiani.

Occorre ricordare le direttive comunitarie in materia di libere professioni, con cui in realtà si chiede solo di consentire l’accesso alla professione nei singoli Paesi (ossia da Paese a Paese) preservandone certo la qualità, autonomia e indipendenza, a tutela di tutti i cittadini comunitari. L’intento dunque, pregevole, è di assicurare comunque ai cittadini la massima qualità possibile delle libere professioni (intellettuali in primis). Non certo di agevolare il percorso ai singoli Paesi membri nella disgregazione dei principi fondanti le professioni intellettuali, con il risultato di farle scadere.

Da Bersani in poi, sino al Monti odierno, molte figure apicali hanno strumentalizzato tali direttive (“l’Europa ce lo chiede”) ed in mala fede hanno orientato e guidato lo Stato-legislatore, con l’irresponsabile avallo dell’Antitrust (Agcm italiana), verso la distruzione dei principi fondanti l’avvocatura quali appunto l’autonomia, l’indipendenza, ma anche la dignità, l’autorevolezza, l’etica.

Certo, occorre scriverlo forte e chiaro, come un tale percorso sia stato agevolato dal malgoverno dell’avvocatura stessa che negli ultimi 15 anni non ha saputo comprendere, anticipare e gestire i cambiamenti che la società pretendeva o che comunque avrebbe avallato. Soprattutto l’avvocatura non ha saputo cambiare la propria inamovibile classe dirigente. Ma questa è un’altra storia, che presto sarà affrontata, e che si inserisce nel malcostume italiano di impedire un rinnovamento (anche e soprattutto anagrafico) della classe dirigente, politica e non.

Tornando al tema prevalente, tale percorso è stato condotto in palese mala fede poiché in realtà occulta  un servigio reso a Confindustria, e all’Abi in particolare, che già a partire dall’l’introduzione del “socio di capitale” inserito nella c.d. legge di stabilità, potrà iniziare ad impossessarsi dell’avvocatura, minandone autonomia, indipendenza e ingenerando conflitti di interesse, in danno della collettività. Le dichiarazioni entusiastiche dei suoi rappresentanti sono solo la conferma di tale indirizzo.

L’autonomia e l’indipendenza dell’avvocatura non sono solo principi fini a se stessi, non sono solo l’impalcatura che sorreggono la deontologia (dunque il dna etico) dell’avvocatura. Sono un patrimonio di tutti. Disgregati i quali, vi saranno solo avvocati diretti da soci di capitali, putacaso rinvenibili nelle banche e assicurazioni.

Certo non tutto ciò che è stato imposto dall’alto è da buttare. Sarebbe sciocco pensarlo.

Le tariffe andavano quanto meno cambiate. Non abrogate. La cialtroneria di chi invoca “l’Europa ce lo chiede” trascura di ricordare come nel Paese più rappresentativo (la Germania) le tariffe esistano, anche se è possibile pattuire una parcella fissa, e come l’Europa, abusivamente invocata dagli stessi cialtroni, mai abbia proferito alcuna parola sulle tariffe, rimanendo a ciascun Paese la libertà di organizzarsi come meglio crede.

La pattuizione di un preventivo, oramai richiesta da anni dai clienti, è una buona prassi ma è limitativa nel momento in cui la causa assume modalità (fase istruttoria complicata e lunga) e tempi (rinvii per colpa dei giudici) gravosi.

L’auspicio dell’assicurazione per responsabilità professionale è cosa buona e giusta poiché i clienti devono essere messi nelle condizioni di essere realmente tutelati dagli errori del proprio difensore. Tuttavia potrà orientare (per i difensori coperti da maggiori polizze) le scelte dei consumatori, così ostacolando i giovani che potranno pagare premi più bassi verso l’acquisizione di una clientela di peso.

Il tirocinio consentito anche nell’ultimo biennio dell’università è cosa buona e giusta a condizione che le università siano di eccellente qualità (quante lo sono oggi?).

3. La dottrina del profitto. - Mi pare quindi evidente come “a monte del Monti” vi sia solo la logica del profitto, da egli ritenuto il faro per risanare l’Italia. Secondo tale dottrina, dopo avere sistemato i conti (ma incidentalmente aver distrutto la classe media), riacquistato fiducia dai mercati (i quali oramai, attraverso la regia delle agenzie di rating, hanno sostituito e esautorato alcune democrazie occidentali), liberalizzando qua e là (anzi facendo finta, poiché i settori nevralgici non sono stati toccati), il Pil crescerà e dunque tutto si sistemerà. Più profitto, più Pil e tutti a casa felici.

Consumatori tirati a lucido, pronti a drogare il Pil, secondo una logica perversa di modello di sviluppo, invece di pensare ad un nuovo modello di sviluppo fondato sulla “decrescita felice” (come elaborata da Serge Latouche). Parrebbe uno scenario di cittadini posti in stato vegetativo che però devono continuare a produrre Pil. 

4. La mistificazione delle liberalizzazioni dell’avvocatura. - Quale dunque il rapporto tra avvocatura, liberalizzazioni e Pil? A mio avviso nessuno ed anzi il teorema assurge a vera e propria mistificazione, che occorre presto e con vigore smascherare.

I liberi professionisti italiani (oltre 2 milioni) sono liberi proprio perché possono diventarlo senza incorrere in alcuna restrizione che non sia giustificata dal rilievo pubblico della professione (esame di Stato, controllo deontologico etc.). Essi producono già circa il 15% del Pil italiano e non godono di alcuna sovvenzione (diversamente dalle imprese). Anzi vengono assoggettati a sistemi fiscali iniqui quanto al sistema previdenziale garantito loro dalle Casse private (che sempre lo Stato-legislatore nell’ultima manovra finanziaria, ex art. 24, co. 24, ha inteso mettere in crisi, pretendendo in pochi mesi non più una sostenibilità tra entrate ed uscite, per i prossimi 30 anni ma per i prossimi 50 anni! Anche in tal caso con il malcelato intento forse di mettere mano su di un tesoretto di patrimonio di circa 42 miliardi di euro, pari a 2 manovre finanziarie).

L’avvocatura italiana è passata da circa 50.000 avvocati al numero esorbitante di 240.000 in circa 20 anni, ciò a conferma di quanto sia già “libera”. Essa contribuisce già a quel 15% di Pil dei liberi professionisti italiani, in modo significativo.

Si aggiunga poi come il legislatore negli ultimi anni abbia: a) eroso l’area professionale dell’avvocatura; b) non approvato la riforma dell’ordinamento forense presentata unitariamente dall’avvocatura 3 anni fa; c) raffazzonato la giustizia italiana con continui interventi schizofrenici del codice di rito e altri codici, senza saper-voler proporre un modello di giustizia efficiente, complessivo e definitivo, peraltro ingenerando un grave stato di incertezza del diritto; d) pagato (e paghi) ogni anno qualche decina di milioni di indennizzi ex lege Pinto per irragionevole durata del processo; e) contribuito con la grave inefficienza della Pubblica Amministrazione (giustizia in primis) ad aumentare in modo abnorme il carico giudiziario; f) non saputo progettare e inculcare alcuna cultura e/o modello di Adr (Alternative Dispute Resolution); g) rimosso reati, prodotto condoni, amnistie in favore di alcuni.

5. Alienazione della potestà “defensionale” dell’avvocatura. - Si legga tutto ciò sistematicamente e si giungerà ad un “legislatore” certamente imperito ma ancor più probabilmente in mala fede, in quanto mosso da un disegno ben preciso: l’alienazione della potestà effettiva “defensionale” dell’avvocatura. Tale alienazione non disturberà così oltremodo il “manovratore” (i veri centri di interesse economici e politici) e la tutela dei diritti sarà allentata, narcotizzata.

Ciò dimostra perché non si vuole e non si fa alcuna riforma della Giustizia. Perché chi governa economicamente questo Paese non ha interesse ad una tutela efficiente dei diritti.

Non penso sia un’ipotesi di fantapolitica e neppure intrisa di riflessioni dietrologiche. E’ sufficiente mettere in fila tutti i dati e le conclusioni vengono da se. L’avvocatura deve svelare questo misfatto, nell’interesse di tutti. L’avvocatura da anni chiede a gran voce una riforma della giustizia. Certo non contribuisce ad alimentarla, come molti vogliono far credere.  

Gli italiani quindi hanno bisogno di un’avvocatura di qualità, per avere la migliore difesa dei propri diritti (soprattutto contro i c.d. forti, banche in primis, che non esistono solo nelle favole dei fratelli Grimm ma esistono nella realtà e condizionano e prevaricano il nostro quotidiano vivere), o necessitano di avere l’avvocato low cost (quindi che ha investito di meno su di se e sulla preparazione)? La risposta mi pare ampiamente scontata.

In Italia l’avvocatura è già molto libera (abbiamo il più alto numero di avvocati in Europa). Forse sin troppo. Il tirocinio è un passaggio essenziale della professione poiché in quel periodo si forma un avvocato e dunque non lo si può ridurre e demandare in parte all’università senza garantire che esso sia di alta qualità.

L’esame di Stato è a presidio della qualità della professione, eppure non lo si vuole rendere più serio e oggettivo.

Lo Stato è contraddittorio poiché per agevolare i giovani avrebbe dovuto intervenire non demolendo i principi cardine dell’avvocatura ma bensì su altri profili: a) dettando un tirocinio rigoroso; b) riformando l’esame di Stato, unificandolo in un’unica sede e consentendo solo ai più meritevoli di superarlo; c) agevolando l’avviamento della professione, defiscalizzando ogni strumento, ivi inclusi quelli “previdenziali” e “assistenziali” consentendo alla Cassa previdenziale di predisporre un vero welfare; d) pretendendo una formazione costante e seria.

La dottrina Monti ignora tutto questo o finge di ignorarlo. Essa è priva di un disegno organico e sostituisce l’avvocatura, fondata necessariamente su qualità tecniche ed etiche, con l’abbietta logica del mercato, secondo cui la libera contrattazione dovrebbe regolamentare tutto il resto. Sed libera nos a malo!

 

 

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