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RICETTAZIONE, INCAUTO ACQUISTO, RAPPORTO CON L' ART 1 COMMA 7 LX 35/05" - Mirijam CONZUTTI

 

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Il delitto di ricettazione è un reato istantaneo ad effetti permanenti che si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente acquista, riceve, occulta le cose di illecita provenienza ovvero svolge l’attività di intermediazione e si accorda per l’acquisto, ricezione o occultamento, indipendentemente dalla materiale traditio e dal pagamento del prezzo. L’autore del reato deve essere consapevole della provenienza illecita del bene; a tal riguardo controversa è la compatibilità del reato di ricettazione con il dolo eventuale e i suoi rapporto con la contravvenzione dell’incauto acquisto. Parte della dottrina ritengono che il dubbio e la consapevolezza della provenienza delittuosa della cosa non siano equiparabili, perché nel primo caso si ha mancanza di conoscenza di ciò che realmente si è verificato, ne conseguirebbe che il delitto di cui all’art 648 c,p, sarebbe compatibile solo con il dolo diretto e ogni atteggiamento psicologico diverso comporterebbe la consumazione della fattispecie di cui all’art 712 c.p.

 

 

 

 

Secondo altro orientamento, invece, il dolo di ricettazione abbraccia anche il dolo eventuale per cui ricorre il delitto di cui all’art 648 c.p. anche nell’ipotesi in cui l’agente si sia posto il quesito circa la legittima provenienza della cosa e lo abbia risolto nel senso dell’indifferenza. Quindi, secondo questa impostazione, l’ipotesi di cui all’art 712 c.p. ricorrerebbe solo quando il soggetto abbia agito con negligenza, nel senso che, pur sussistendo oggettivamente il dovere di sospettare circa l’illecita provenienza dell’oggetto egli non si è posto il problema ed ha realizzato colposamente la condotta violata. La prova circa la sussistenza dell’elemento soggettivo può essere desunta da qualsiasi elemento, compreso il comportamento dell’imputato, purchè dall’insieme dei fatti si riesca ad evincere in maniera inequivoca la mala fede. In sintesi, agire con dolo eventuale significa acquistare una cosa non avendo la certezza ma sospettando che la stessa provenga da un delitto; l’acquisto di cose di sospetta provenienza è incriminato dall’art 712 c.p., quindi, se ne deve dedurre che le condotte sorrette da dolo eventuale rientrano nella contravvenzione e non nell’art 648 c.p.

 

La questione, volge tutta attorno ad un equivoco alimentato dalla rubrica dell’art 712 c.p.; la contravvenzione è intitolata “acquisto di cose di sospetta provenienza”. Esaminato con attenzione il contenuto della norma, non è difficile comprendere che l’art 712 c.p. non si riferisce a chi acquista una cosa sospettando effettivamente che questa provenga da reato, ma si riferisce a chi acquista avendo motivo di sospettare la provenienza illecita sulla base di diversi indici, quali la qualità della cosa, la condizione dell’offerente, il prezzo. L’incriminazione non richiede un atteggiamento di effettiva rappresentazione, ovvero il concreto sospetto, ma si fonda su un rimprovero di non aver sospettato, pur sussistendone i motivi di sospettare; si tratta, quindi, della cd sospettabilità oggettiva, ovvero superficialità del soggetto per aver agito non cogliendo i segnali della provenienza illecita della cosa. Diversi sono i casi, invece, in cui il soggetto si è concretamente rappresentato la possibilità o addirittura la probabilità che la cosa sia di origine delittuosa; secondo recente orientamento, in questo caso si è in presenza del dolo eventuale e, pertanto, non si rientra nella fattispecie di cui all’art 712 c.p. Certamente, non è sufficiente provare l’esistenza di motivi oggettivi di sospetto per desumere automaticamente la presenza del dolo eventuale, ma occorre una puntuale valutazione del caso concreto al fine di valutare se ci sono stati fattori che possono aver indotto a superare un ipotetico dubbio iniziale.

 

Fatte queste debite premesse strutturali, la problematica del delitto di ricettazione e quello della contravvenzione, deve essere collegata con la fattispecie di cui all’art 1 comma 7 della legge 35/05 che ha previsto la punibilità con la sola sanzione amministrativa l’acquisto o l’ accettazione, senza previo accertamento dell’illegittima provenienza dei beni o cose che per la loro qualità, condizione di chi la offre, prezzo, inducano a ritenere che siano state violate norme in materia di origine, provenienza di prodotti in materia di proprietà intellettuale. Si tratta di un’ ipotesi di depenalizzazione, che consente di scrutinare problematiche inerenti al concorso tra il delitto di ricettazione, ovvero quello di cui all’art 712 c.p., e l’art 1 comma 7, a sua volta costruito sulla falsariga della fattispecie di cui all’art 712 c.p.

 

Sul piano dogmatico il concorso tra le norme penali e le violazioni amministrative è disciplinato dall’art 9 della 689/81, in base al quale, se uno stesso fatto è punito nel contempo da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. Si tratta di una norma innovativa, perché prima dell’entrata in vigore della legge,vigeva il principio del concorso tra sanzione amministrativa e quella penale.

 

L’immediata osservazione induce a ritenere che si tratta di un concorso a natura eterogenea; la prima considerazione è che l’art 9 non prevede una clausola di riserva come quella di cui all’art 15 c.p., non precludendo comunque al Legislatore di prevedere ipotesi particolari di clausole di questo tipo . Altrettanto rilievo è dato dal fatto che all’art 9, invece di indicare la “stessa materia” si fa riferimento allo “stesso fatto”. Non si ritiene, però, che con questo il Legislatore abbia inteso fare riferimento alla specialità in concreto, dovendosi al contrario ritenere che il richiamo sia fatto alla fattispecie tipica prevista dalle norme che vengono in considerazione evitando la genericità dell’art 15 c.p. con il riferimento alla “stessa materia”.

 

Infatti, anche nel caso di concorso tra fattispecie penali e quelle amministrative, valgono le stesse considerazioni in tema rapporti tra fattispecie astratte; in altri termini, il riferimento al fatto punito, non può che riferirsi a quello astrattamente previsto come illecito dalla norma e non come fatto naturalistico. Tale orientamento è stato pronunciato dalla stessa Corte Costituzionale che con sentenza, proprio in tema di concorso tra fattispecie di reato e violazione di natura amministrativa, ebbe ad osservare che per risolvere il problema del concorso apparente vanno confrontate le astratte fattispecie che sembrano convergere su di un fatto naturalisticamente inteso.

 

Fatte tali premesse, occorre esaminare la struttura del reato e la violazione amministrativa del cui concorso si discute; il problema, infatti, nasce, proprio perché il concorso apparente richiede una previa verifica dell’esistenza di un’area comune nonchè sovrapponibile, tra condotte descritte nelle norme concorrenti. Si tratta, sostanzialmente, di dover verificare l’applicabilità o meno del principio di specialità, che è criterio di risoluzione delle ipotesi di concorso formale.

 

In linea generale, il criterio di specialità risolve ipotesi in cui si è in presenza di concorso di reati, ovvero di concorso solo apparente di norme, nel senso che solo una delle ipotesi di reato può essere ritenuta esistente evitando il rischio del ne bis in idem.

 

Preliminarmente, occorre delineare l’ambito di operatività del criterio di specialità. La specialità può, anzitutto, riguardare una soltanto delle fattispecie penalmente sanzionate; si parla in questo caso di specialità unilaterale che può assumere carattere di specificazione o di aggiunta; con la specialità per specificazione si specificano dei requisiti ( violenza sessuale rispetto all’art 610 c.p.); con la specialità per aggiunta si aggiungono elementi rispetto ad altra fattispecie ( sequestro di persona rispetto a sequestro a scopo di estorsione). La specialità unilaterale si caratterizza perché, se si elimina la specificazione dell’aggiunta, si ricade nell’ipotesi generale. Nelle ipotesi di specialità per specificazione l’ipotesi speciale è, addirittura, già ricompresa in quella generale per cui il fatto sarebbe punibile in base all’ipotesi generale; ma, anche nel caso di specificazione per aggiunta, laddove la condotta non era prevista dall’ipotesi generale, la stessa ricade in quella generale perché sono presenti tutti gli elementi della fattispecie tipica generale.

 

La specialità può essere anche bilaterale o reciproca e ciò si verifica quando l’aggiunta o la specificazione si hanno con riferimento sia all’ipotesi generale che a quella specifica. Nel caso della specialità bilaterale, c’e’ una maggiore difficoltà perché è necessario far riferimento al criterio di sussidiarietà o di consunzione per poter giustificare il rapporto tra le fattispecie. Di fatto la giurisprudenza riconduce i diversi criteri a quello indicato dalla dottrina tradizionale, ovvero quello della specialità. Tale criterio è codificato nell’art 15 c.p.

 

Sul piano dogmatico la norma fa riferimento alla “stessa materia” ma non chiarisce che cosa si intenda con l’uso di questa locuzione; come sopra sinteticamente enunciato, la dottrina e la giurisprudenza sono, comunque, addivenute ad una conclusione nel senso, che per stessa materia debba intendersi la stessa fattispecie astratta.

 

Ci si chiede, quindi, quando possa ricorrere identità di materia; l’identità della materia si ha sempre nella cd specialità unilaterale per specificazione, perché l’ipotesi speciale è ricompresa in quella generale; ciò si verifica anche nel caso di specialità per specificazione ed è compatibile con la specialità unilaterale per aggiunta, nonché con la specialità reciproca parte per specificazione parte per aggiunta ( esempio 641 c.p. e 218 legge fallimentare). E’, invece, da escludersi nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta nei casi in cui ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all’altra, un elemento eterogeneo, come la violenza sessuale rispetto all’incesto.

 

Una volta chiarito il significato della locuzione stessa materia, la giurisprudenza è passata ad esaminare la “specialità”. La soluzione, come sopra prospettato, pare agevole per la specialità unilaterale; in questo caso ci troviamo di fronte ad un concorso apparente di norme che richiede l’applicazione solo della fattispecie speciale. Però, affinchè, si possa ritenere applicabile l’art 15 è necessario che i reati abbiano la stessa obiettività giuridica nel senso che deve trattarsi di reati che devono disciplinare tutti la stessa materia e avere la stessa identità strutturale. Nei casi di specialità bilaterale, è spesso la legge ad indicare la specialità con il ricorso a clausole di riserva in modo determinato o anche indeterminato, del tipo “se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge”.

 

Il concorso di norme tra fattispecie penali e violazioni amministrative è, come sopra evidenziato, disciplinato dall’art 9 della legge 689.

 

La disposizione di cui all’art comma 7 legge 80/05 è costruita sulla falsariga dell’art 712 c.p. L’art 712 cp a sua volta deve essere rapportato con il delitto di cui all’art 648 c.p.; si ritiene che, salvo il fatto che costituisca altro reato, non si esclude la configurabilità del delitto di ricettazione ogni qual volta ne sussistano gli estremi oggettivi e soggettivi, ovvero quando l’acquirente è consapevole della provenienza da delitto del bene acquistato. Quindi, il rapporto di specialità è tra il reato di cui all’art 712 c.p. e l’art 1 comma 7. Il tutto deve essere rapportato alla normativa di cui all’art 9 che disciplina il concorso tra le disposizioni penali e amministrative. Secondo le coordinate sopra indicate, in applicazione del criterio di specialità, dovrebbe prevalere la normativa che ha degli elementi specializzanti rispetto a quella generale; il rapporto di specialità, quindi, dovrebbe essere correlato solo con riferimento alle disposizioni di cui all’art 712 c.p., essendo la disposizione amministrativa formata sulla falsariga della contravvenzione.

 

Quindi, l’inciso “ acquista a qualsiasi titolo cose che per la loro qualità o condizione di chi offre o il prezzo” sarebbe compatibile con la violazione di cui all’art 712 c.p. e non tanto con quella dell’art 648 c.p. che avrebbe un paradigma diverso rispetto alle precedenti, perché integra il reato di ricettazione la condotta di chi abbia la consapevolezza dell’apposizione sul bene di un falso segno distintivo.

 

A tale orientamento giuridico se ne oppone un altro di segno diametralmente opposto; si osserva, infatti, che l’ipotesi dell’applicabilità della fattispecie amministrativa sarebbe residuale, in quanto non è ragionevole ipotizzare che l’acquirente finale di un prodotto con segni falsi, acquistato da venditori ambulanti, non sia in grado di porsi il dubbio, ovvero non sia addirittura a conoscenza della circostanza che quel bene, proprio per il posto in cui viene offerto, prezzo, condizione, rappresenta una attività delittuosa rientrante nel 474 c.p.

 

Proprio in base a tale argomentazione, diversa tesi giuridica, prospetta il rapporto di specialità non solo con riferimento alla contravvenzione, ma anche con il reato di ricettazione, allorchè la provenienza delittuosa coincida con l’ipotesi che siano state violate norme in tema di origine e provenienza dei prodotti

 

            A suffragio di tale tesi, i sostenitori di questa diversa impostazione dogmatica, ritengono che la similitudine della norma in esame con quella che punisce l’incauto acquisto è solo apparente; infatti l’art 712 c.p. nella descrizione dello stato psicologico usa l’inciso “abbia motivo di sospettare”, mentre la norma che disciplina l’illecito amministrativo utilizza un’espressione diversa, ovvero “inducano a ritenere”. Tale espressione è, in definitiva, idonea a comprendere sia il mero sospetto che la piena consapevolezza.

 

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