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LE RACCOMANDAZIONI DELL’EBA IN UN SISTEMA INCOMPLETO DI SUPERVISIONE SULLA FINANZA EUROPEA di Concetta Brescia Morra

 

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Le recenti raccomandazioni dell’European Banking Authority (EBA) che hanno invitato le banche europee a procedere a ricapitalizzazioni hanno prodotto reazioni critiche, soprattutto nel nostro Paese. In questa nota non discutiamo il contenuto tecnico delle raccomandazioni. Le iniziative dell’EBA devono essere valutate alla luce del complessivo disegno normativo della supervisione pubblica sulla finanza europea; quest’ultimo è incompleto e ambiguo.

 

Poco più di un anno fa il Parlamento europeo procedeva con grande enfasi all’approvazione di un nuovo sistema di supervisione pubblica sulla finanza in Europa. Con i provvedimenti di ottobre 2010 sono nate quattro nuove autorità: l’European Sistemic Risk Bord (ESRB) con finalità e poteri di carattere sistemico (macro-prudenziale) e l’European System of Financial Supervision (ESFS) costituito da un network di tre autorità dedicate alla vigilanza micro-prudenziale; per il settore bancario l’European Banking Authority (EBA), per il settore dei mercati mobiliari, l’European Securities and Markets Authority (ESMA) e per il settore delle assicurazioni e dei fondi pensione, l’European Insurance and Occupational Pension Authority (EIOPA).

Questo sistema rappresenta un compromesso fra le proposte di accentramento delle competenze di vigilanza sugli intermediari presso organi e autorità europee e quelle di lasciare le competenze alle autorità nazionali, aumentando il coordinamento fra le stesse. La soluzione finale è piuttosto ambigua, come mostra l’analisi dei poteri dell’EBA, l’autorità che fino a ora ha avuto il ruolo più importante in concreto, a causa della crisi dei debiti sovrani e delle difficoltà conseguenti di raccolta di fondi da parte delle banche europee. L’EBA non ha potestà di controllo diretto su singole istituzioni, neppure su quelle di dimensioni europee. Leggendo nelle pieghe della riforma si possono individuare alcuni punti interessanti. L’EBA, infatti, oltre al compito di uniformare le regole al fine di arrivare a un effettivo single rule book, può intervenire per limitare le carenze emerse nel lavoro dei collegi dei supervisori costituiti dalle autorità nazionali e coordina il lavoro degli stessi per concordare interventi su grandi intermediari in difficoltà. L’EBA, inoltre, può vietare alcune attività, specie quelle più innovative, nell’ottica di protezione dei consumatori e di salvaguardia e integrità del buon funzionamento dei mercati. Il potere più incisivo della nuova autorità bancaria europea, peraltro, si è rivelato quello di monitoraggio dei rischi e di analisi che danno luogo a stress test sul sistema bancario per verificare la solidità di singoli intermediari e la stabilità del sistema nel suo insieme. Questi ultimi compiti sono svolti dall’EBA in stretto raccordo con l’ESRB, soprattutto per individuare gli strumenti che possono essere utilizzati in funzione anticiclica per limitare l’accumulazione di rischi eccessivi. In questa prospettiva, l’autorità europea ha emanato alcune “raccomandazioni” in favore dell’innalzamento complessivo dei livelli di capitalizzazione delle banche europee durante la crisi recente (ottobre 2011).

Il breve elenco delle potestà dell’EBA mostra chiaramente un punto critico. L’assetto dei sistemi di vigilanza pubblica sulle banche può assumere diverse modalità organizzative concrete. Nei paesi a economia avanzata la supervisione pubblica sulla finanza si inserisce in un ordinamento complesso, in cui i poteri delle autorità si giustificano in funzione della circostanza che le conseguenze del fallimento dell’intermediario, specie se di grandi dimensioni, ricadono sui risparmiatori e, in ultima analisi sui contribuenti. Lo Stato, di norma, in caso di conseguenze di carattere sistemico, interviene con un salvataggio dell’intermediario in difficoltà. La teoria che ha supportato l’utilizzo del coefficiente di solvibilità, ossia l’esigenza di imporre alla banche un determinato rapporto tra patrimonio e attività, spiega che questo strumento, limitando il moral hazard delle banche, tutela l’interesse pubblico che giustifica i sistemi di garanzia dei depositi, ovvero gli interventi di salvataggio pubblico in caso di crisi. Il coefficiente rappresenta uno dei tasselli della regolamentazione bancaria che tende a effettuare una ripartizione del rischio tra depositanti, azionisti delle banche e organi pubblici. Nel sistema europeo attuale il costo del fallimento di un intermediario ricade sui contribuenti del singolo Stato in cui è insediata la banca in crisi. In questo contesto, affidare a una autorità europea poteri di vigilanza discrezionale, come la definizione del livello di capitale ottimale per cercare di fronteggiare i rischi, rende questi poteri naturalmente “deboli”. La circostanza che le raccomandazioni dell’EBA sul rafforzamento patrimoniale siano state assunte nell’ambito di un pacchetto di misure che ha ricevuto una legittimazione di carattere politico, essendo stato approvato dal Consiglio europeo e dall’Ecofin, non risolve il problema. L’accordo politico su misure di tipo tecnico non puntella il sistema, ma rende ancora più evidente le sue ambiguità.

La mancanza di un sistema di gestione accentrata in Europa di interventi in caso di crisi rende molto difficile l’operato dell’EBA. Per rafforzare la supervisione pubblica europea è urgente accelerare le iniziative in sede comunitaria per la gestione della crisi di banche. L’armonizzazione di procedure di gestione delle crisi di banche e le modifiche ai sistemi di garanzia dei depositi nazionali (queste ultime già approvate) non bastano. Bisognerebbe fare passi avanti nella individuazione di una formula adeguata per “i fondi di risoluzione”, già previsti in un documento della Commissione UE del 2010. Se permangono difficoltà per dar vita a un fondo pan-europeo, bisognerebbe cercare di realizzare almeno la proposta di costituire una rete di fondi nazionali legati a disposizioni coordinate di gestione delle crisi.

 

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