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Il sistema sanzionatorio tributario tra favor rei e abolitio criminis-(Giancarlo Marzo)

 

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Sommario

1. Premessa

2. Principi ispiratori della riforma del sistema sanzionatorio tributario

3. Disapplicazione delle sanzioni tributarie - Abolitio criminis - Favor rei

 

 

 

1. Premessa

 

Il sistema sanzionatorio tributario ha lo scopo di assicurare l’osservanza dei precetti e degli obblighi che la normativa fiscale pone a carico dei contribuenti.

 

La norma giuridica prevede il sorgere di determinate situazioni passive al verificarsi dei cd. presupposti d’imposta, fatti e circostanze che attivano il meccanismo di applicazione del tributo.

 

Con riferimento alle principali fattispecie impositive, il cd. sistema della denuncia verificata comporta l’obbligo per ogni contribuente di provvedere autonomamente e periodicamente alla presentazione della dichiarazione anche allorché dalla stessa non consegua alcun debito d’imposta. La sanzione tributaria, in quest’ottica, svolge da un lato funzione preventiva e deterrente e, dall’altro, funzione repressiva, addebitando al responsabile della violazione un onere maggiore di quello previsto dalla norma violata. L’attuale sistema sanzionatorio tributario si pone dunque l’obiettivo di punire l’autore dell’illecito, allontanandosi in tal modo dal precedente modello risarcitorio e avvicinandosi a un modello personalistico o penalistico. Nel nuovo sistema sanzionatorio tributario, configura dunque illecito qualunque fatto o comportamento che, contrastando con l’attività finanziaria dello Stato, lede il corretto svolgimento del rapporto impositivo. Il rapporto d’imposta consiste non solo nell’obbligo di adempiere le prescrizioni della normativa fiscale ma anche in una serie di altri obblighi strumentali al corretto assolvimento dell’obbligazione tributaria ovvero a rendere possibile l’attività di verifica dell’Amministrazione finanziaria. Per molto tempo l’intera normativa delle sanzioni tributarie è stata disciplinata esclusivamente dalla Legge n. 4 del 7 gennaio 1929. Il Sistema delineato da tale legge operava una netta distinzione delle sanzioni tributarie in penali e amministrative. In relazione alla condotta posta in essere dal contribuente ed della gravità della lesione del bene pubblico tutelato si configuravano illeciti amministrativi ovvero penali. Erano previste due sanzioni amministrative non penali: la pena pecuniaria, fissata a priori dalla legge che consisteva nella prestazione di una somma di denaro allo Stato e la sopratassa che consisteva in una somma di denaro determinata in percentuale fissa, inflitta dall’organo accertatore. Il legislatore aveva poi tipizzato una serie di circostanze esimenti che consentivano la non punibilità dell’illecito tributario. Con il passare del tempo questa normativa ha subito una serie di modifiche sostanziali che hanno condotto alla complessiva riforma del sistema.

 

In attuazione della delega di cui all’art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, la riforma delle sanzioni tributarie non penali ha fissato una serie di principi generali che hanno organicamente rinnovato l’ordinamento giuridico previgente. I tre decreti del 1997 (numeri 471, 472 e 473) hanno ridisegnato l’impianto normativo con un’impostazione che ricalca quella del codice penale e allineando il sistema sanzionatorio tributario al dettato della Legge n. 689/81 sulle depenalizzazioni. Venuta a mancare l’iniziale impronta risarcitoria della sanzione, la riforma ne ha riconosciuta la natura eminentemente afflittiva, ispirata a criteri penalistici e dunque riferibili esclusivamente all’autore della violazione. Le sanzioni penali, invece, sono state riformate con il D.Lgs. n. 74/2000.

 

Atteso il carattere afflittivo sia della sanzione penale sia quella amministrativa non potranno essere applicate contemporaneamente: per il principio di specialità o “ne bis in idem sostanziale”, con riferimento ad un determinato comportamento finalizzato a violare le norme tributarie si applicherà la sola disposizione speciale, che prevale dunque su quella generale.

 

I tre decreti vigenti dal primo aprile 1998, in particolare, disciplinano: - i principi generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie (D.Lgs. 472/1997); - le sanzioni amministrative per le violazioni in materia d’imposte dirette e Iva (D.Lgs. 471/1997); - la riforma delle sanzioni amministrative per le violazioni in materia di tributi sugli affari, sulla produzione e sui consumi e di altri tributi diretti (D.Lgs. 473/97). Tra i suddetti decreti, che hanno comportato una profonda innovazione di tutto l’impianto normativo previgente, il più significativo in termini di cambiamento è sicuramente il D.Lgs. n. 472, il quale, tra l’atro, ha sostituito alle pene pecuniarie e sopratasse le sanzioni pecuniarie[1] e quelle accessorie[2].

 

2. Principi ispiratori della riforma del sistema sanzionatorio tributario

 

Il legislatore ha attribuito al novellato sistema sanzionatorio tributario una struttura coerente e compatibile con i principi costituzionali vigenti in materia punitiva. Con l’art. 3 del D.Lgs. n. 472 è stata sancita l’applicabilità anche in materia di sanzioni tributarie del principio di legalità e di tutti i suoi corollari (principio della riserva di legge, principio di tassatività, divieto di analogia). A tenore del primo comma della richiamata disposizione, infatti, “nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Le leggi intervenute in seguito alla violazione sono dunque applicabili solo allorchè prevedano sanzioni favorevoli agli interessi del contribuente. Secondo la richiamata disposizione, inoltre, ove il fatto commesso non sia più qualificabile in termini d’illecito tributario a seguito dell’entrata in vigore di una norma successiva, le sanzioni non saranno più applicabili, salvo le stesse siano divenute definitive. Se invece la norma successiva punisce il fatto con una sanzione più mite, si applicherà quest’ultima, sempre a condizione che il provvedimento d’irrogazione non sia divenuto definitivo.

 

Il principio della riserva di legge garantisce che l’intero sistema sia regolato esclusivamente da una fonte di tipo primario. Il principio di tassatività impone al legislatore di descrivere in modo chiaro la violazione sanzionata, così da non lasciare alcuna discrezionalità nell’individuazione della condotta punibile dal Giudice. Il divieto di analogia, infine, è il meccanismo che impedisce l’applicazione a una determinata fattispecie non specificamente disciplinata normativamente, della normativa che disciplina casi simili (analogia legis) ovvero dei principi desumibili dall’ordinamento giuridico (analogia iuris). Ulteriori corollari del principio personalistico che ha informato la riforma sono il cd. principio d’imputabilità e quello di colpevolezza secondo i quali, ai fini dell’irrogazione della sanzione tributaria, è necessario, in primo luogo, che il soggetto trasgressore sia capace di intendere e di volere e, inoltre, che abbia commesso la violazione con dolo (intenzionalità) o colpa (negligenza, imprudenza o imperizia)[3]. Oltre all’autore della violazione risponde in solido della violazione commessa che il soggetto nell’interesse del quale ha agito l’autore della violazione.

 

In coerenza con quanto unanimemente sostenuto dalla dottrina e giurisprudenza di merito precedente alla riforma e con l’art. 7 della richiamata Legge n. 689/1981, con l’art. 8 D.Lgs. n. 472/1997 è stato altresì introdotto il principio della non trasmissibilità agli eredi della sanzione. Atteso il carattere personale delle nuove sanzioni amministrative, irrogabili esclusivamente al soggetto che ha concretamente commesso l’infrazione, le stesse non potranno per nessuna ragione essere trasmesse agli eredi. Ai sensi dell’articolo 12 del D.Lgs. n. 472/1997, inoltre, è stato previsto che in caso di concorso di più violazioni o di continuazione, risulterà applicabile esclusivamente la sanzione stabilita per la violazione più grave, aumentata secondo le previsioni di legge. Il rapporto tra Fisco e contribuenti, storicamente caratterizzato da reciproca diffidenza ed elevata conflittualità, ha prodotto nel corso degli anni notevoli inefficienze che hanno spinto il legislatore a valorizzare la collaborazione tra contribuenti e Amministrazione, incentivando la partecipazione attiva del contribuente al procedimento di controllo ed accertamento dei tributi. Il mezzo scelto dal legislatore per incentivare tale partecipazione consiste nel riconoscimento al contribuente collaborativo di un trattamento sanzionatorio tanto più favorevole quanto più questi si dimostri accondiscendente e mite circa la correttezza delle contestazioni mosse dall’Amministrazione. Con l’art. 13 del D. Lgs n. 472/1997[4] è stata riconosciuta al contribuente la possibilità di rimediare in modo del tutto spontaneo alle proprie omissioni di natura formale o sostanziale, beneficiando di una consistente riduzione delle sanzioni amministrative previste (cd. ravvedimento operoso). Il D.L. n. 98/2011 convertito nella Legge 15 luglio 2011, n. 111 (cd. manovra correttiva) ha inoltre affiancato al richiamato istituto quello del cd. mini ravvedimento (cfr. articolo 23, comma 31 del D.L. n. 98/2011), che consente al contribuente, in caso di pagamento tardivo effettuato entro i quattordici giorni successivi alla scadenza, di versare una sanzione dello 0,2% per ogni giorno di ritardo, fino ad un massimo del 2,80%[5]. Al medesimo fine di deflazionare il contenzioso tributario e favorire la collaborazione del soggetto accertato alla procedura di accertamento con un trattamento sanzionatorio più favorevole, è stata riconosciuta al contribuente la possibilità di: 1) definire gli atti di accertamento a seguito dai controlli automatici (cd. procedura di definizione degli avvisi bonari di cui agli artt. 2 e 3 D.Lgs. n. 462/1997); 2) aderire ai processi verbali di constatazione e agli inviti al contraddittorio previsti (art. 5, comma 1 bis del D.Lgs. 218/1997); 3) fare acquiescenza all’atto impositivo emesso dall’Ufficio (art. 15 D.Lgs. n. 218/1997); 4) definire le sole sanzioni irrogate (ex artt. 16 e 17 del D.Lgs. n. 472/1997); 5) procedere ad accertamento con adesione (artt. 1 e 13 del D.Lgs. 218/1997); 6) acconsentire o proporre all’Ufficio la conciliazione giudiziale della controversia (art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992).

 

3. Disapplicazione delle sanzioni tributarie - Abolitio criminis - Favor rei

 

Esaurita la rassegna del novellato sistema sanzionatorio tributario siano consentite talune brevi osservazioni su due dei più importanti principi introdotti a seguito della riforma, non sufficientemente approfonditi dagli operatori di settore: il principio del favor rei e quello dell’abolitio criminis.

 

Il tema della successione delle leggi nel tempo in ambito tributario, infatti, è stato radicalmente innovato ad opera dei richiamati decreti legislativi del ’97.

 

Il sistema previgente di cui alla L. n. 4/1929 (cfr. art. 20) era fondato principio di fissità e ultrattività: le norme fiscali non potevano essere abrogate o modificate da Leggi posteriori. La disposizione in parola, infatti, disciplinava la successione delle leggi nel tempo stabilendo: “le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposi­zioni erano in vigore, ancorché le disposizioni me­desime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione”[6].

 

Il principio, ben radi­cato nel nostro ordinamento, traeva origine da una risalente giurisprudenza Pretoria che si risolveva nell’ordinaria applicazione del criterio naturalistico del tempus regit actum[7]. Tale status quo è stato radicalmente innovato dalla riforma. Il richiamato art. 3 del D.Lgs. n. 472/97, infatti, ha esteso al sistema sanzionatorio tributario non solo il generale principio di legalità ma anche quello della cd. abolitio criminis, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non possa qualificarsi definitivo.

 

Recita testualmente il secondo comma della disposizione in parola: “Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato”. Il principio di irretroattività delle leggi è un corollario del principio di legalità che, già posto dall’art. 2 disp. prel. al codice civile, è stato esplicitamente riaffermato anche con riferimento alle sanzioni tributarie. L’illecito tributario, così come il reato, consiste nella violazione di un ordine che, necessariamente, non può essere successivo alla propria inosservanza. Il principio d’irretroattività, in particolare, comporta che: 1) le sanzioni tributarie devono essere previste da una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione; 2) salvo diversa previsione di legge, non può essere applicata una sanzione per un fatto che, successivamente all’entrata in vigore di una nuova legge, non costituisca più una violazione punibile; 3) se sussiste un contrasto tra la legge precedente e successiva circa il quantum della sanzione per il fatto commesso, si applica la legge più favorevole al contribuente, salvo che il provvedimento di irrogazione sia ormai divenuto definitivo. Tali regole valgono naturalmente per le sole norme sostanziali, essendo viceversa in ogni modo applicabile il principio del tempus regit actum con riferimento alla successione delle norme di natura processuale. In virtù del principio di retroattività, l’abolizione di un tributo, come ad esempio avvenuto con riferimento all’INVIM, costituisce un evento idoneo a determinare la non punibilità di tutti gli illeciti riferibili alla specifica forma impositiva, a prescindere dalla tipologia di violazione commessa.

 

La cd. “abolitio” dell’imposta ha dunque un effetto solutorio sostanzialmente integrale fatta eccezione per le ipotesi in cui il rapporto giuridico di riferimento sia già divenuto definitivo. La concreta applicabilità del principio in commento, nonostante la chiara formulazione letterale della norma, ha dato luogo a molteplici criticità interpretative, alimentate dagli orientamenti giurisprudenziali. Con la sentenza n. 8717/2003 la Suprema Corte ha escluso l’applicabilità del principio in parola sulla base della mera considerazione dell’avvenuta sostituzione dell’imposta abrogata con un’altra avente analoghi contenuti.

 

Con detta pronuncia la Cassazione ha rigettato il ricorso di un contribuente che pretendeva di far derivare la propria non punibilità per l’illecito d’infedele dichiarazione ai fini ILOR, de plano, dall’intervenuta abrogazione dell’ILOR stessa. La Suprema Corte, dopo aver riscontrato che all’abrogazione dell’imposta in parola era seguita l’istituzione di un’imposta omologa, l’IRAP, “la cui legge ha mantenuto ferma la previsione dell’illecito di dichiarazione infedele”, ha escluso l’applicabilità del principio dell’abolitio criminis e sancito la sanzionabilità dell’autore dell’illecito.

 

Ad analoghe conclusioni seppur in ragione di motivazioni differenti è giunta la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24991 del 24 novembre 2006. Nel caso di abrogazione dell’imposta a partire da una particolare data prevista dalla legge, in applicazione del principio tempus regit actum, non vi sarebbe abolitio delle violazioni relative ai periodi d’imposta antecedenti all’abrogazione.

 

Al contrario, con la sentenza n. 24559 del 26 novembre 2007, i Giudici di legittimità hanno ammesso l’applicabilità del principio in parola ed escluso la punibilità di un contribuente per infedele dichiarazione in materia d’imposta sul patrimonio netto delle imprese.

 

Si legge infatti testualmente nella parte motiva della sentenza Cassazione n. 24559 del 26 novembre 2007 (in senso conforme cfr. anche sent. n. 27760 del 2005): “Questa Corte, inoltre, ha avuto modo di pronunciarsi in materia esprimendo il principio di diritto secondo cui "In applicazione del principio del "favor rei" e di legalità, espresso in tema di sanzioni tributarie dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, - il quale statuisce che "salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile” -, il contribuente non può essere sottoposto a sanzione in relazione a qualunque fatto attinente ad un’imposta non più esistente (quale, nella specie, l’imposta sul patrimonio netto delle imprese, soppressa dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 36), tanto se si tratti di evasione della stessa, quanto se si tratti di omessa o infedele dichiarazione - fatto strettamente connesso con il tributo, essendo la dichiarazione finalizzata al pagamento dell’imposta soppressa -, con l’unica eccezione che il rapporto sia ormai definito”.

 

Secondo tale pronuncia, dunque, l’abolizione del tributo costituirebbe, di fatto, un evento tale da determinare la sopravvenuta non punibilità di tutti gli illeciti riferibili alla specifica forma impositiva e ciò a prescindere dalla tipologia di violazione commessa (omesso versamento, omissione di dichiarazione, infedeltà dichiarativa).

 

Ulteriore deroga al previgente principio di ultrattività previsto dall’art. 20 della Legge n. 4 del 7 gennaio 1929 consiste nell’estensione al sistema sanzionatorio tributario del principio penalistico del favor rei, operata dal terzo comma dell’art. 3 del decreto legislativo n. 472.

 

Recita testualmente la disposizione in parola: “Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”.

 

Come costantemente rilevato dalla giurisprudenza della Suprema Corte con la previsione in commento il legislatore ha voluto estendere il principio del favor rei anche al settore tributario, sancendone l’applicazione retroattiva, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non debba qualificarsi definitivo.

 

Con la sentenza n. 918 del 18 gennaio 2005 la Suprema Corte ha chiarito che in tema di sanzioni per violazione di norme tributarie, il Giudice tributario é tenuto all’applicazione d’ufficio, indipendentemente da una specifica richiesta di parte, della norma che prevede la sanzione più favorevole, anche se posteriore al momento in cui fu commessa la violazione.

 

Allorchè dunque non sia ancora intervenuto un provvedimento definitivo, le più onerose sanzioni irrogate nei confronti del contribuente sono annullabili anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio. Sul punto si legge testualmente nella sentenza della Corte di Cassazione n. 9217 del 9 aprile 2008 “ … salvo il caso d'intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio - le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute devono essere applicate, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, pure in sede di legittimità, atteso che, nella valutazione del legislatore, in ogni altro caso, la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d'impugnazione. Ne consegue che - ove (come nel caso di specie), persistendo controversia sull’an della violazione tributaria, sussista ancora controversia sulla debenza delle sanzioni, di cui la violazione fiscale costituisce ineludibile presupposto - s'impone la necessità di applicare il sopravvenuto più favorevole regime”.

 

Ulteriore conferma implicita dell’applicabilità del principio in parola nel sistema sanzionatorio tributario è rinvenibile in un recente arresto della Corte di Cassazione a sezioni unite, che ha escluso l’applicabilità della disposizione ad una fattispecie di irrogazione di sanzioni relative al c.d. “lavoro sommerso”, sulla base esclusiva della mancata previsione, nella L. n. 689/1981, di un principio simile a quello contenuto nell’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997 in materia di sanzioni tributarie. Si legge infatti testualmente nella richiamata sentenza n. 356/2010: “La censura svolta e l’afferente quesito di diritto, infatti, non investono né contrastano l’affermazione posta dal giudice a quo a fondamento della sua decisione secondo cui la disciplina più favorevole invocata dal M. non può trovare applicazione perché “in materia di illecito amministrativo, vige il principio generale tempus regit actum”.

 

(Altalex, 12 gennaio 2012. Nota di Giancarlo Marzo)

 

 

______________

 

 

[1] La sanzione pecuniaria consiste nel pagamento di una somma di denaro improduttiva d’interessi ed è rivolta a chi ha commesso una violazione, anche in concorso con altre persone. Gli importi della sanzione possono essere aggiornati ogni tre anni in base ai dati ISTAT sul cambiamento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

 

 

 

 

[2] Esempio di sanzioni accessorie sono la sospensione dell'attività commerciale, nei casi di ripetuta violazione delle norme su ricevute e scontrini fiscali, ovvero l'interdizione dalla partecipazione a gare o dall'esercizio di cariche sociali.

 

 

 

[3] E’ altresì necessario che non sussista nessuna delle cause di esclusione tipizzate dalla legge: semplice violazione formale, imputabilità ad altrui comportamento, causa di forza maggiore, obbiettiva incertezza della norma quando la legge e’ poco chiara e di difficile applicazione.

 

 

 

 

[4] In seguito alle modifiche apportate dalla Finanziaria 2011, con riferimento alle violazioni commesse dal 1° febbraio 2011, l’adozione della procedura di ravvedimento comporta la riduzione della sanzione, rispettivamente: - ad un decimo del minimo in caso di regolarizzazione del mancato pagamento del tributo entro i trenta giorni successivi all’omissione; - ad un ottavo del minimo nel caso di regolarizzazione di errori ed omissioni, anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero entro un anno dall'omissione o dall’errore, quando non è prevista dichiarazione periodica; - ad un decimo del minimo di quella prevista per l’omissione della presentazione della dichiarazione nel caso in cui la stessa sia presentata entro novanta giorni.

 

 

 

 

[5] Dopo il quindicesimo giorno di ritardo e fino al trentesimo, secondo le regole generali, si applicherà la sanzione del 3% (un decimo del minimo) nonché, oltre il trentesimo giorno ma entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, quella del 3,75% (un ottavo del minimo).

 

 

 

[6] Tale regola, comune ai reati ed agli illeciti ammi­nistrativi tributari, si contrapponeva al tradizionale principio penalistico della retroattività della lex mitior, ex art. 2 c.p. (cui, peraltro, non fa riferi­mento alcuno l'art. 25 Cost.). La dottrina aveva sempre vivacemente contestato il principio di ultrattività in materia finanziaria, per i reati, così come per gli illeciti amministrativi, in quanto esso costituiva una irrazionale disparità di trattamento a sfavore dell'autore di un illecito tri­butario, rispetto all'autore di ogni altro tipo di ille­cito.

 

 

 

 

[7] Cfr. Gallo, Lo legge penale. Appunti di diritto penale, Torino, 1965, pag. 54.

 

 

 

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