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Le elezioni del Consiglio dell’Ordine degli avvocati- (Antonino Ciavola)

 

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Sommario

1. Premessa

2. Convocazione, elettorato attivo e passivo

3. Modalità di voto e di scrutinio

4. La scheda elettorale

5. Quorum ed elezione

6. L’interpretazione del voto e il caso di parità

7. Il reclamo avverso i risultati

8. Le elezioni suppletive e le più recenti decisioni

9. Conclusioni

 

1. Premessa

 

La normativa in materia di elezione dei consigli degli Ordini forensi sarà presto riformata in esecuzione dell’art. 3 del Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito in Legge 14 settembre 2011, n. 148; ma le elezioni che si avvicinano saranno ancora regolate dalle antiche norme che qui commentiamo.

 

L’argomento è ancor oggi regolato dal D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 382 (norme sui consigli degli ordini e collegi e sui consigli nazionali), integrato dal D.Lgs. 26 febbraio 1948, n. 174.

 

Quest’ultima norma, rispetto alla precedente, stabilisce in modo diverso – rispetto alle altre professioni – il numero di componenti di ogni consiglio forense: cinque se gli iscritti negli albi non superano i cinquanta; sette se superano i cinquanta e non i cento; nove se superano i cento e non i cinquecento; quindici se superano i cinquecento.

 

Per il resto, le elezioni forensi seguono le regole stabilite nel 1944 e la loro interpretazione giurisprudenziale, a parte alcune modifiche di dettaglio.

 

L’esame della normativa che andiamo a condurre ne dimostrerà l’inadeguatezza rispetto alle più moderne esigenze e potrà forse essere utile per la redazione della attesa riforma.

 

2. Convocazione, elettorato attivo e passivo

 

I componenti dei Consigli dell’Ordine degli avvocati sono eletti nel mese di gennaio, restano in carica due anni e scadono il 31 dicembre dell’anno successivo a quello dell’elezione; rimangono in prorogatio fino all’insediamento del nuovo consiglio.

 

L’elezione, a norma dell’art. 3 del D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944 n. 382, è strutturata in assemblea piuttosto che tramite seggi elettorali veri e propri, e ciò comporta caratteristiche peculiari e disparità di trattamento che appaiono incompatibili con la moderna concezione delle elezioni.

 

I termini da rispettare per la convocazione sono i seguenti:

 

Ø essa deve avvenire nei 15 giorni anteriori alla scadenza del Consiglio, cioè tra il 17 e il 31 dicembre;

 

Ø l’avviso deve essere inviato almeno dieci giorni prima della assemblea iniziale, e deve essere anche affisso nelle sale di udienza; il primo adempimento può essere sostituito dalla doppia pubblicazione su un giornale; occorre altresì, come diremo tra breve, una pubblicazione sul sito internet del CNF;

 

Ø la seconda convocazione per il primo turno deve avvenire almeno tre giorni dopo la prima;

 

Ø il ballottaggio si può svolgere anche subito dopo il primo scrutinio, ma previa convocazione.

 

Sarà quindi indispensabile che la delibera di indizione delle elezioni preveda la data della prima convocazione, quella della seconda e quella del ballottaggio, nel rispetto dei termini di legge.

 

La locuzione nei quindici giorni precedenti va intesa nel senso che nei 15 giorni occorre convocare l’assemblea, mentre le elezioni si svolgono in seguito[i], e comunque non oltre il mese di gennaio.

 

Ciò, per le elezioni forensi, è espressamente previsto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 174/48.

 

Il CNF ha comunque stabilito, con decisione n. 118 del 6 dicembre 1990, che il termine per la convocazione dell’assemblea elettorale ha carattere ordinatorio e non è prescritto a pena di nullità.

 

Per l’affissione dell’avviso nelle sale di udienza, la dicitura normativa è intesa in senso lato e quindi è sufficiente che l’avviso sia affisso nei corridoi degli uffici giudiziari, nelle apposite bacheche e più in generale nei luoghi frequentati dagli avvocati per l’esercizio della professione[ii].

 

L’art. 5 del D.Lgs. Lgt. n. 382/44, nel prevedere la necessità della maggioranza assoluta per l’elezione, fa espresso riferimento ai “candidati”.

 

Tuttavia, in questo particolare tipo di elezione non esiste una candidatura in senso tecnico, ma tutti gli iscritti all’albo sono eleggibili[iii], salve le precisazioni che illustreremo tra breve.

 

Ciò deriva dalla struttura assembleare della votazione, nella quale in teoria tutti gli iscritti dovrebbero discutere i problemi del foro locale ed insieme scegliere i loro rappresentanti.

 

Malgrado ciò sia superato dai tempi e dal notevole numero degli iscritti, resta fermo il principio per cui tutti gli iscritti negli albi e nell’elenco speciale hanno diritto all’elettorato passivo e possono essere votati anche se non hanno manifestato la volontà di candidarsi.

 

Alcuni regolamenti locali prevedono la possibilità di presentare una candidatura ufficiale, ma ciò avviene a solo scopo divulgativo, per far cioè conoscere (anche tramite appositi manifesti da affiggere all’ingresso dei locali in cui si vota) la propria disponibilità ed evitare inutili dispersioni di voti.

 

Sono ammessi a votare (e possono essere votati) tutti gli iscritti in albi, ancorchè versino in situazione di incompatibilità non ancora accertata ufficialmente, ma non (anche se questo è dubbio) gli avvocati colpiti da provvedimenti disciplinari di sospensione.

 

Il requisito, infatti, è solo quello dell’iscrizione nell’albo che viene meno soltanto con la cancellazione e la radiazione; tutti gli iscritti sono quindi elettori ed eleggibili, compresi coloro che dopo l’iscrizione non abbiano ancora prestato giuramento.

 

Anche la pendenza di un procedimento di cancellazione non influisce sui diritti elettorali (CNF 15 marzo 1968).

 

La consolidata regola per cui qualunque avvocato iscritto può essere eletto prevede un’eccezione introdotta dalla legge che ha riformato l’esame per l’accesso alla professione.

 

Infatti, a norma della Legge 18 luglio 2003, n. 180, che ha convertito con modifiche il D.L. 21 maggio 2003, n. 112, non possono essere designati a componenti della commissione e delle sottocommissioni avvocati che siano membri dei consigli dell'ordine o rappresentanti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. Gli avvocati componenti della commissione e delle sottocommissioni non possono candidarsi ai rispettivi consigli dell'ordine e alla carica di rappresentanti della Cassa alle elezioni immediatamente successive all'incarico ricoperto.

 

La norma è imprecisa poichè, come abbiamo visto, non è necessaria una formale candidatura; è certo, però, che è stata introdotta una speciale forma di ineleggibilità per i membri delle commissioni e sottocommissioni dell’esame di avvocato.

 

La ratio è quella di creare una “separazione funzionale intesa ad impedire possibili commistioni di attribuzioni reputate non opportune, secondo una prospettiva di efficienza gestionale perfettamente in linea con i valori espressi al riguardo dalla Carta fondamentale”[iv].

 

In coerenza, il divieto di candidarsi si applica “indifferentemente a quanti abbiano partecipato, anche per breve tempo, a commissioni i cui lavori siano terminati prima dell'elezione ed a coloro che partecipino o abbiano partecipato a commissioni d'esame ancora operative al momento della consultazione elettorale” (CNF 24 novembre 2008, n. 153; CNF 20 maggio 2004, n. 140). E riguarda la successiva tornata elettorale sia della Cassa che del Consiglio dell’Ordine, e non soltanto la prima delle due in ordine cronologico[v].

 

Conseguenza dell’eventuale elezione in violazione del divieto è “la sola nullità originaria della candidatura del soggetto non candidabile e del voto dato allo stesso, con conseguente invalidità originaria della sua elezione, senza incidere sul risultato complessivo della tornata elettorale, che resta valido ed efficace, così come i voti validamente espressi agli iscritti eleggibili”[vi].

 

Altra novità è stata introdotta dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 che ha convertito, con modifiche, il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35 (c.d. competitività), stabilendo espressamente che gli iscritti che versino in stato di sospensione non devono essere convocati in assemblea, e quindi (si deduce che) non hanno diritto di voto, nè attivo nè passivo.

 

Il nuovo testo normativo recita così:

 

“L’assemblea per l’elezione del Consiglio deve essere convocata nei quindici giorni precedenti a quello in cui esso scade. La convocazione si effettua mediante avviso spedito per posta almeno dieci giorni prima a tutti gli iscritti, esclusi i sospesi dall’esercizio della professione, per posta prioritaria, per telefax o a mezzo di posta elettronica certificata. Della convocazione deve essere dato altresì avviso mediante annuncio, entro il predetto termine, sul sito Internet dell’Ordine nazionale. È posto a carico dell’ordine l’onere di dare prova solo dell’effettivo invio delle comunicazioni. Ove il numero degli iscritti superi i cinquecento, può tenere luogo dell’avviso spedito per posta, la notizia della convocazione pubblicata almeno in un giornale per due volte consecutive. L’avviso e la notizia di cui ai commi precedenti contengono l’indicazione dell’oggetto dell’adunanza e stabiliscono il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza stessa in prima

convocazione ed, occorrendo, in seconda, nonché il luogo, il giorno e l’ora per l’eventuale votazione di ballottaggio. L’assemblea è valida in prima convocazione se interviene una metà almeno degli iscritti, ed in seconda convocazione, che deve aver luogo almeno tre giorni dopo la prima, se interviene almeno un quarto degli iscritti medesimi”.

 

Con circolare n. 32-C-2005 del 27 dicembre 2005 il CNF ha comunicato, sul proprio sito internet, l’attivazione dell’area nella quale raccogliere tutti gli avvisi di convocazione.

 

Malgrado il chiaro testo (deve essere dato altresì avviso...) il CNF ha deciso che “la pubblicazione sul sito internet dell'Ordine nazionale non costituisce adempimento la cui omissione determina la nullità o l'annullamento delle operazioni elettorali”[vii].

 

3. Modalità di voto e di scrutinio

 

L’art. 4 del D.Lgs. Lgt. n. 382/44 prevede che nell’assemblea in questione si proceda alla chiamata nominativa di tutti gli iscritti nonchè ad una successiva chiamata, un’ora dopo il primo appello, di quelli che non risposero alla prima.

 

Si tratta di una norma che la prassi costringe a disattendere, giacchè nei fori medio – grandi è necessario allestire veri e propri seggi e stabilire un periodo molto ampio, anche nell’arco di più giorni, per consentire la partecipazione di un sufficiente numero di iscritti.

 

Nella prassi, l’assemblea di prima convocazione va deserta, poiché occorrerebbe per la sua validità la partecipazione di almeno metà degli iscritti, e la votazione avviene in seconda convocazione, nella quale è sufficiente la presenza di un quarto degli iscritti.

 

Sempre a norma dell’art. 4, effettuata la doppia chiamata il presidente dichiara chiusa la votazione ed assistito da due scrutatori da lui scelti tra i presenti procede immediatamente e pubblicamente allo scrutinio.

 

Tale modalità è lo specchio di tempi ormai trascorsi, nei quali l’elezione si svolgeva effettivamente a seguito di un dibattito pubblico e non vi erano quasi mai contestazioni; tuttavia, al giorno d’oggi, appare certamente singolare la previsione di un presidente che a sua volta è candidato alle elezioni e che procede allo scrutinio da solo, assistito da due scrutatori da lui stesso scelti.

 

La giurisprudenza ha affermato che tutte le circostanze apparentemente in contrasto con i più elementari principi di democrazia e trasparenza sono in realtà irrilevanti.

 

Così, è stato deciso che la presenza come scrutatore di un candidato non costituisce irregolarità determinante nullità[viii]; nessuna irregolarità si ravvisa nella circostanza che il presidente ancora in carica presieda l’assemblea ed effettui lo spoglio, essendo tale compito a lui espressamente affidato dalla legge; e le funzioni di componente del seggio possono essere affidate a qualunque iscritto, anche se consigliere uscente[ix] e candidato.

 

Appare quindi eccessivamente formalista quella giurisprudenza che stabilisce la nullità delle operazioni elettorali quando non si sia proceduto al secondo appello, espressamente previsto dall’art. 4. Questo principio è stabilito in giurisprudenza antica (CNF 25 febbraio 1972) e più recente (CNF 19 dicembre 1995, n. 158); è stato altresì statuito che il mancato rispetto del termine di un’ora tra la prima e la seconda chiamata comporta la nullità delle elezioni (CNF 3 dicembre 1998, n. 190), ma non mancano decisioni più sagge che escludono ogni nullità nell’ipotesi in cui sia stata garantita la più ampia partecipazione, come nel caso in cui la possibilità di votare sia stata distribuita in un’intera giornata o in più giorni con orari prefissati.

 

Infatti, secondo autorevole dottrina[x], confortata da giurisprudenza del CNF, il sistema della legge che prevede un primo appello, l’attesa di un’ora e un secondo appello diventa non vincolante nel caso in cui le disposizioni in concreto adottate abbiano reso possibile il comodo esercizio del diritto di voto.

 

L’idea che in un grande Foro si possa fare l’appello degli iscritti per ben due volte suona assai strana: eppure la necessità della seconda chiamata, dopo un’ora dalla prima, è stata statuita con riferimento alle elezioni di Milano[xi]!

 

Più recentemente però il CNF, appunto con la citata sentenza n. 173/2002, ha statuito che “la omessa chiamata per appello nominale degli iscritti all’ordine per l’esercizio del diritto di voto non determina la nullità del procedimento elettorale per le elezioni di ordini aventi un numero elevato di iscritti, che si svolgano in più ore e in più giornate e vedano una massiccia partecipazione di elettori”; è un’interpretazione pratica, condivisibile e conforme alla migliore dottrina, ma formalmente discutibile, atteso che la norma generale dovrebbe essere interpretata in modo uniforme e non con correttivi legati alla situazione peculiare.

 

Tornando alla significativa questione che potremmo definire del conflitto d’interessi tra candidato e componente del seggio, esigenze di maggiore trasparenza hanno indotto numerosi consigli dell’ordine a dotarsi di regolamenti che contemperano questa sorta di “potere assoluto”: si prevede così che la lettura delle schede possa avvenire a cura di altro avvocato scelto dal presidente e che comunque i singoli candidati possano esaminare le schede scrutinate.

 

Quest’ultimo aspetto è stato trattato da una decisione del CNF, che ha affermato l’insussistenza del diritto di ogni elettore di esaminare personalmente le schede scrutinate[xii]; se ne deduce che il diritto spetta a chi abbia un interesse diretto, cioè al candidato in competizione.

 

Ancora, nella prassi corrente in molti ordini ogni candidato ha due scrutatori (per consentire un controllo incrociato) e dei due uno è di fiducia dello scrutatore mentre l’altro è nominato dalla presidenza.

 

Questi accorgimenti ed altri simili, individuati dalla prassi, servono ad evitare contestazioni, o almeno a favorirne la rapida composizione nell’immediatezza dello spoglio.

 

Le vetuste norme che regolano l’argomento hanno però provocato dubbi interpretativi; il più importante sembra oggi chiaramente risolto, come andiamo a esaminare.

 

4. La scheda elettorale

 

L’art. 2 del D.Lgs. Lgt. n. 382/44 si limita ad affermare che l’elezione avviene a maggioranza assoluta di voti segreti per mezzo di schede contenenti un numero di nomi uguale a quello dei componenti da eleggersi.

 

Questa sintetica norma è stata interpretata in modo assai singolare dalla Cassazione in una controversia relativa alle elezioni del Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri; poichè la norma interpretata è la stessa, il principio è stato applicato anche alle elezioni forensi.

 

Secondo la Suprema Corte a sezioni unite, 19 dicembre 1991, n. 13714, la norma sopra riportata deve intendersi nel senso dell’obbligatorietà per l’elettore di indicare un numero di nomi esattamente uguale a quello dei membri da eleggersi e quindi, nel caso di specie, occorreva indicare quindici nominativi su quindici sotto pena di nullità della scheda.

 

Nella motivazione, la Cassazione affermava che la necessità di indicare tutti i nomi deriva da quella di comporre interamente il collegio: se l’elettore avesse la possibilità di indicare meno nominativi, vi sarebbe il rischio di non arrivare all’elezione di tutti i consiglieri necessari.

 

La sentenza della Suprema Corte era viziata da numerosi errori.

 

Per meglio comprendere la ragione della formulazione normativa conviene riportare un passo tratto da autorevole dottrina[xiii], che si riporta anche alla sentenza del CNF del 25 febbraio 1972:

 

“l’elettore deve indicare, se la votazione avviene con schede non recanti i nomi dei candidati, coloro che intende votare – in numero non superiore a quello dei consiglieri da eleggere – mentre, in caso di schede compilate a stampa con l’elenco di tutti i candidati o distinti in liste separate, può manifestare la sua volontà con un segno tracciato in corrispondenza dei nominativi dei candidati prescelti, ovvero cancellando i nomi prestampati di coloro ai quali non vuole attribuire il suo voto. Poichè, però,...tutti gli iscritti sono eleggibili l’elenco unitario o le distinte liste contenuti nelle schede non sono vincolanti per l’elettore, il quale può anche sostituire i nominativi prestampati con altri di sua scelta, nel numero massimo degli eligendi”.

 

Le frasi sopra riportate ci ricordano la modalità di elezione “bulgara” che era in uso in quasi tutti i Fori fino a una ventina di anni addietro: la scheda elettorale era già precompilata con i nomi dei consiglieri uscenti e l’elettore, se intendeva confermare il consiglio in carica, poteva imbucarla così com’era, oppure era libero di cancellare e sostituire alcuni o tutti i nominativi indicati, purchè non superasse il numero massimo degli eligendi.

 

I candidati non prescelti venivano quindi cancellati dall’elettore, e da questa attività deriva l’espressione gergale, molto in uso nell’ambiente elettorale forense, tagliamo Tizio.

 

Ovviamente, una simile modalità di voto tende a favorire il Consiglio uscente, poiché induce l’elettore a votare la scheda precompilata, ovvero a modificarla solo in parte, lasciandone però inalterati diversi nomi; per tale ragione, in quasi tutti i Fori questa antica modalità è stata eliminata (ma non in tutti; da qualche parte si vota ancora così, come si legge in CNF, 5 ottobre 2010, n. 77!) ed il voto è espresso tramite schede bianche che l’elettore deve compilare.

 

Orbene, anche con il vecchio sistema non era obbligatoria l’indicazione di tutti i nomi, essendo l’elettore libero, come abbiamo visto, di “tagliarne” alcuni; però questo spiega la lettera della legge: un numero di nomi uguale a quello dei componenti da eleggersi è quello contenuto nella scheda precompilata, ma ciò non significa che vi sia un obbligo di votare tutti i nomi possibili.

 

Se così fosse il nostro sistema elettorale potrebbe definirsi maggioritario, plurinominale, a preferenza multipla obbligatoria.

 

Che sia maggioritario, non c’è dubbio: vince chi conquista più voti, intesi come voti singoli, mentre l’accorpamento dei candidati in “liste” ha il solo scopo di mostrare una condivisione di intenti e di programmi, ma non vincola l’elettore che può “pescare” i suoi prescelti tra liste diverse o tra candidati singoli (e, come abbiamo detto, anche tra i non candidati).

 

Ma sulla preferenza multipla obbligatoria, chi scrive manifesta da anni profondo dissenso segnalando che il testo di legge ha la spiegazione storica sopra indicata; e che la tesi suddetta contrasta con il principio – certamente di rango superiore rispetto alla legge del 1944 – di libertà del voto. Analogo dissenso è stato espresso da autorevole dottrina[xiv].

 

Qualunque regola elettorale conosciuta e comunemente applicata prevede la possibilità di indicare più nomi, mai l’obbligo; anzi, con la preferenza unica si va in direzione esattamente opposta, nel senso di limitare la scelta piuttosto che ampliarla con costrizione.

 

Inoltre, per il principio di conservazione del voto, si potrebbe ipotizzare una nullità parziale della scheda (nella parte in cui non contiene alcuni nomi) ma non l’intera nullità, travolgente anche i pochi nomi espressi.

 

Dopo una iniziale adesione alla giurisprudenza della cassazione, il CNF ha mutato orientamento e, con sentenza 3 ottobre 1997, n. 109, ha statuito che l’indicazione di un numero di candidati pari a quello da eleggere non risponde “ad un interesse pubblico generale, nè a principi di ordine pubblico o di esigenze della collettività, non presenta il carattere della inderogabilità...”.

 

Pertanto, la volontà dell’elettore non può essere coartata ed egli può esprimere, fino al tetto massimo, “il numero di preferenze che crede dando il sostegno al candidato o ai candidati che ritiene maggiormente qualificati ad assumere la rappresentanza forense...”.

 

La scheda, pertanto, sarebbe nulla solo se contenesse un numero di preferenze superiore a quello massimo[xv], ma più recentemente anche questo tabù è stato superato, proprio accogliendo la tesi sopra accennata della nullità parziale, annullando solo quelle preferenze espresse in eccesso rispetto al numero massimo possibile[xvi].

 

La Suprema Corte, peraltro, affermava che le schede che contengono un numero di preferenze superiore a quello dei consiglieri da eleggere sono interamente nulle (Cass., sez. unite, 10 aprile 2003 n. 5618).

 

Il mutato orientamento del 1997 era confermato dalla sentenza del CNF 29 settembre 1998, n. 119; con un accenno di inversione di tendenza con la sentenza 17 ottobre 2002, n. 173.

 

Con quest’ultima decisione il CNF afferma la persistente nullità della scheda contenente un numero di preferenze inferiore a quello massimo, purchè la previsione dell’art. 2 del decreto n. 382/44, ritenuta derogabile, sia assorbita e contenuta nell’apposito regolamento elettorale adottato dal Consiglio dell’ordine locale.

 

La motivazione non convince: la norma di legge non può essere derogata da una fonte di rango inferiore, bensì interpretata; e se la sua corretta interpretazione è quella “libera” (così come ritenuto, in altre occasioni già citate, dallo stesso CNF), non può certo un regolamento introdurre una diversa, e più restrittiva, interpretazione.

 

Del resto, lo stesso CNF ha affermato, in più occasioni, che i regolamenti locali possono dettare regole autonome per facilitare le operazioni di voto e l’interpretazione delle schede, ma sempre nel rispetto dei principi normativamente fissati e pertanto inderogabili.

 

Ad esempio, è stato considerato legittimo il divieto di propaganda e di pubblicità nelle 24 ore precedenti la votazione, contenuto nel regolamento del Consiglio dell’Ordine di Milano[xvii].

 

Più specificamente una successiva sentenza riconosce ai singoli ordini territoriali il potere di darsi regolamenti elettorali autonomi per la suddivisione dei seggi, la designazione degli scrutatori, le modalità della propaganda e più in generale per le questioni organizzative, con esclusione dei principi inderogabili come l’elettorato attivo e passivo, la segretezza del voto, i quorum costitutivi e deliberativi e la congruità dei tempi fissati per le votazioni[xviii].

 

Ritenevamo che la validità o meno della scheda in relazione al numero di nomi votati non potesse essere stabilita in modo diverso da Consiglio a Consiglio poichè essa deriva dall’interpretazione di una precisa norma di legge; auspicavamo quindi un nuovo intervento della Cassazione a sezioni unite, che capovolgesse quello del 1991; finalmente è arrivato.

 

Con sentenza 4 agosto 2010, n. 18047, le sezioni unite hanno ribaltato motivatamente il vecchio indirizzo, tenendo conto del diritto vivente nelle realtà delle comunità professionali, delle mutate dimensioni degli Ordini, delle forti tensioni che al loro interno si dibattono.

 

La nuova sentenza, che parla anche di frazionamento ideologico, precisa che privilegiare la sostanza è miglior cosa che avallare ragioni di forma: e conclude che “la scheda conserva la sua validità anche nel caso in cui contenga un numero di nomi inferiore a quello dei componenti da eleggere”.

 

Il principio è stato poi confermato dalla citata Cass. sez. unite, 24 novembre 2011, n. 24812 e pertanto può dirsi consolidato.

 

5. Quorum ed elezione

 

Abbiamo già accennato alla definizione del sistema elettorale dei Consigli dell’Ordine come maggioritario e plurinominale.

 

Ciò determina la necessità di conteggiare alcuni quorum.

 

Al momento della costituzione dell’assemblea in prima convocazione, per la validità della stessa deve intervenire almeno la metà di tutti gli iscritti negli albi e nell’elenco speciale al momento della consultazione; nella prassi, questa prima convocazione va di solito deserta e la votazione è rinviata alla seconda convocazione, nella quale deve essere presente almeno un quarto degli iscritti.

 

Anche se la legge parla di due distinti appelli, di fatto sono realizzati i seggi elettorali e vengono segnati i nomi dei votanti man mano che essi si presentano.

 

Pertanto nella prassi, contrariamente alla previsione normativa e all’indicazione dottrinaria[xix], il quorum è raggiunto nel corso delle operazioni di voto e non è mai verificato al momento dell’apertura dell’assemblea (e se si verificasse, certamente mancherebbe).

 

Peraltro il CNF, adeguando la propria giurisprudenza ai tempi, con sentenza 17 ottobre 2002, n. 173 ha statuito che il quorum “ha natura rappresentativa e può pertanto essere accertato al termine delle operazioni elettorali”.

 

Per l’elezione al primo turno è necessario conseguire la maggioranza assoluta dei voti così come prevede l’art. 5 del Decreto n. 382/44.

 

Un problema assai dibattuto riguarda il computo del quorum: se si debba tener conto di tutti i voti o soltanto di quelli validi, con esclusione di schede bianche e nulle.

 

Secondo CNF, 8 novembre 2001, n. 226, dal conteggio devono essere escluse le schede nulle e quelle bianche.

 

Pochi mesi prima il CNF, con sentenza 15 dicembre 2000, n. 271, aveva affermato il principio esattamente opposto: “è necessario considerare tutti i voti, non solo i voti validi. Pertanto, i voti sui quali va calcolata la richiesta maggioranza assoluta sono quelli complessivamente espressi dall’assemblea, compresi i voti nulli”.

 

Con sentenza 14 ottobre 2008, n. 107 il CNF ha affermato che “ai fini della determinazione del quorum deliberativo deve tenersi conto non soltanto dei voti validamente espressi, ma anche di quelli nulli e delle schede bianche”.

 

Con sentenza 5 ottobre 2010, n. 76 il CNF è tornato al precedente del 2001: “non devono essere considerate le schede bianche e le schede nulle, ma soltanto i voti validi e/o validamente espressi”.

 

Con sentenza 5 ottobre 2010, n. 77 il CNF conferma, precisando: “non devono essere considerate le schede bianche e le schede nulle, ma soltanto i voti validi e/o validamente espressi. Tale opzione interpretativa deve ritenersi tanto più corretta quando, come nel caso di specie, il C.d.O. espressamente preveda con una propria ed incontestata delibera - il cui sindacato non rientra peraltro nella giurisdizione del C.N.F. - di determinare il quorum con esclusione dei voti nulli e delle schede bianche”.

 

Infine, con sentenza 21 febbraio 2011, n. 14, il CNF torna sui propri passi e afferma che “devono ritenersi computabili, ai fini del quorum deliberativo, anche i voti nulli e le schede bianche. Le norme regolatrici del sistema elettorale, d'alta parte, hanno carattere indicativo e non escludono che i singoli Consigli dell'Ordine territoriali possano darsi regolamenti autonomi, pur nel rispetto dei principi inderogabili normativamente fissati, quali quelli relativi all'elettorato attivo e passivo, alla segretezza del voto, ai quorum costitutivi e deliberativi, alla congruità dei tempi per l'elezione”.

 

Vi è pertanto un contrasto interno alla giurisprudenza del CNF, ma la tesi dell’autonomia regolamentare non convince, poichè porta a interpretazioni divergenti da Consiglio a Consiglio.

 

I regolamenti locali possono indicare i criteri di interpretazione dei singoli voti[xx] e, più in generale, disciplinare le relative operazioni; ma è dubbio che possano interpretare o addirittura variare i criteri di legge. In ogni caso detti regolamenti possono essere impugnati e il loro sindacato rientra nella giurisdizione del CNF (malgrado la sentenza n. 77 sopra citata affermi il contrario), come vedremo tra breve.

 

Il contrasto qui segnalato dovrebbe essere risolto, a parere di chi scrive, preferendo la prima tesi, in adesione a quanto espresso dal DANOVI che a sostegno indica un parere del Consiglio di Stato in data 4 febbraio 1997, n. 76/97 e le ulteriori sentenze del CNF 18 maggio 1999, n. 59 e 17 ottobre 2002, n. 173.

 

Secondo questa tesi le schede bianche e nulle, attesa la loro neutralità, non possono essere computate per il calcolo del quorum funzionale e cioè per determinare il numero minimo di voti necessario per l’elezione[xxi].

 

Nella successiva ed eventuale votazione di ballottaggio, non è necessario alcun quorum nè per la costituzione nè per l’elezione: pertanto non è necessario un numero minimo di presenti e risultano eletti, nell’ordine, coloro che hanno riportato il maggior numero di voti.

 

La caratteristica principale del ballottaggio è quella di avere un numero limitato di candidati.

 

Infatti, mentre al primo turno sono eleggibili tutti gli iscritti (tranne gli ex commissari d’esame e i sospesi), al ballottaggio possono essere eletti soltanto coloro che al primo turno abbiano riportato almeno un voto.

 

6. L’interpretazione del voto e il caso di parità

 

Durante lo spoglio delle schede si verifica frequentemente il caso di voti contestati perché i nominativi sono scritti con grafia poco chiara o addirittura con errori relativi alla esatta individuazione del candidato prescelto.

 

Il problema più ricorrente è quello dell’indicazione del solo cognome, nel caso in cui vi siano più avvocati che lo portino ma uno solo di essi sia effettivamente interessato all’elezione.

 

La presentazione della formale candidatura, o la rinuncia degli omonimi alla candidatura medesima non sono sufficienti ad attribuire il voto al candidato, e pertanto tutti i voti espressi con il solo cognome dovrebbero essere annullati.

 

Tuttavia, qualora l’ipotesi di accreditamento del voto al candidato indicato con il solo cognome sia contemplata nel regolamento elettorale, ciò costituisce un preventivo criterio interpretativo[xxii].

 

In ogni caso, l’indicazione del solo cognome è ritenuta sufficiente nella votazione di ballottaggio, quando uno solo degli omonimi sia eleggibile per aver riportato voti al primo scrutinio[xxiii] e non vi sia pertanto equivoco nell’interpretazione della volontà dell’elettore.

 

Allo stesso modo, qualora vi siano due iscritti con lo stesso nome e cognome il voto non dovrebbe essere attribuito per assoluta impossibilità di identificazione, a nulla rilevando la differenza di età e di notorietà (CNF 26 marzo 1976); anche in questo caso, tuttavia, una diversa previsione regolamentare dovrebbe ritenersi valida.

 

La possibilità per i Consigli dell’Ordine di dotarsi di propri regolamenti elettorali è stata riconosciuta, oltre che dal CNF, anche dalla Suprema Corte con la sentenza, a sezioni unite, 20 giugno 2005, n. 13445.

 

Nella fattispecie è stato esaminato l’art. 10 del regolamento elettorale adottato dal Consiglio dell’Ordine di Catania in una ipotesi nella quale l’elettore aveva votato indicando correttamente il nome ma erroneamente il cognome.

 

La Suprema Corte ha affermato il principio generale del favor voti in materia di elezioni ed ha ritenuto valido il voto espresso con il nome corretto ed il cognome simile (così come previsto dal regolamento locale) o parzialmente coincidente (come affermava il CNF nella motivazione della sentenza confermata).

 

La sentenza in argomento ha anche precisato (difformemente da quanto aveva affermato il CNF) che i regolamenti elettorali locali possono essere impugnati innanzi allo stesso CNF in uno alle operazioni elettorali, poiché l’interesse all’impugnazione della regola interpretativa sorge nel momento in cui ne viene fatta applicazione lesiva, e il CNF può accertare incidentalmente la validità delle norme regolamentari.

 

L’attribuzione o meno di un singolo voto solitamente non è decisiva; però la giurisprudenza conosce alcuni casi nei quali due contendenti per l’ultimo posto utile hanno riportato la parità dei voti.

 

In questo caso, a norma dell’art. 5 del D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, è preferito il candidato più anziano per iscrizione nell’albo e, in caso di nuova parità, il maggiore di età.

 

Naturalmente in questa ipotesi la validità o meno del singolo voto è decisiva.

 

Il primo caso individuato riguarda la sentenza della Cassazione, sez. unite, 31 luglio 1962, n. 2298.

 

In quella ipotesi, due avvocati avevano ottenuto la parità di voti per l’ultimo posto utile e uno dei due aveva rinunziato alla candidatura.

 

In applicazione dell’art. 6 del Decreto n. 382, un altro professionista aveva proposto il reclamo tendente a far dichiarare l’invalidità della detta rinuncia e quindi a far proclamare proprio colui che aveva ceduto il posto al collega a pari voti.

 

Ciò conferma la ragionevolezza della norma che prevede la possibilità di impugnare le elezioni da parte di ogni singolo professionista iscritto, poiché vi è un interesse collettivo all’elezione dei rappresentanti istituzionali.

 

Purtroppo, la sentenza sopra citata ha deciso su una questione processuale ma non è entrata nel merito della validità della rinuncia.

 

In una seconda ipotesi[xxiv] era stato proclamato il candidato più anziano, ma uno dei voti era contestato perché accanto al nome del candidato era stato apposto un aggettivo ingiurioso.

 

Il CNF, con sentenza 28 marzo 1985, ha annullato quel voto essendo certa la volontà dell’elettore di non preferire il candidato che aveva ingiuriato.

 

Il terzo precedente è quello della già citata Cass. n. 13445/05, in una fattispecie nella quale l’elezione del candidato più anziano è stata revocata a seguito dell’attribuzione al candidato più giovane di un voto che il seggio non aveva attribuito.

 

Quest’ultima sentenza, come sopra detto, manifesta la necessità per i consigli dell’Ordine di dotarsi di regolamenti che individuino preventivamente e correttamente le regole interpretative da seguire nello scrutinio.

 

7. Il reclamo avverso i risultati

 

L’art. 6 del D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 382 prevede sinteticamente che ciascun professionista iscritto nell’albo può proporre reclamo contro i risultati dell’elezione, presentandolo nella sede del CNF entro 10 giorni dalla proclamazione.

 

La giurisdizione del Consiglio Nazionale si estende a qualunque controversia relativa alle elezioni, non potendosi ritenere che una parte di giurisdizione (ad esempio, sulla legittimità dei regolamenti elettorali dei singoli Ordini, o sulla modalità di convocazione) sia attribuita ad altro organo[xxv].

 

Non è valida la presentazione presso il Consiglio dell’Ordine locale[xxvi], mentre è valida la spedizione entro il termine a mezzo posta[xxvii].

 

La proclamazione, pertanto, segnando il dies a quo per la presentazione dei ricorsi, rappresenta il momento ultimo della fase amministrativa e ciò ha fatto stabilire al CNF, con parere n. 8 del 19 aprile 1998, che dopo la proclamazione degli eletti non è più possibile procedere alla verifica in via amministrativa, da parte del Consiglio dell’Ordine o del seggio elettorale, delle preferenze accordate a un candidato.

 

Il parere sopra indicato omette di indicare un altro aspetto che conduce in ogni caso alla stessa soluzione: con la proclamazione degli eletti dopo il ballottaggio il seggio elettorale ha esaurito la propria funzione e si scioglie, perdendo così ogni potere sulla valutazione delle schede scrutinate.

 

Sarà quindi opportuno che ogni contestazione relativa al computo dei voti sia proposta prima della proclamazione, poichè dopo di essa l’unico rimedio è quello giurisdizionale, costituito dal reclamo in oggetto.

 

Sarà poi l’organo giurisdizionale a proclamare, in caso di esito favorevole del reclamo, il candidato eletto[xxviii].

 

Il reclamo può investire le modalità di espletamento delle operazioni elettorali, l’attribuzione ed il calcolo dei voti, l’eleggibilità, la validità dei regolamenti e, come sopra detto, ogni altro aspetto comunque relativo alle elezioni.

 

Ai fini del computo dei dieci giorni occorre rilevare che se la contestazione riguarda l’intero svolgimento delle operazioni e alcuni degli eletti abbiano conseguito la maggioranza assoluta al primo scrutinio, il termine per il deposito del reclamo decorre dalla data della proclamazione degli eletti nella prima fase[xxix].

 

Se invece l’impugnativa riguarda le sole operazioni di ballottaggio, il termine decorre dalla proclamazione finale[xxx].

 

La giurisprudenza è costante nel riconoscere natura giurisdizionale al procedimento di reclamo innanzi al CNF e nel riconoscere come parti necessarie in questa fase sia il Consiglio dell’Ordine che i consiglieri eletti.

 

Così, è stato più volte dichiarato inammissibile il ricorso depositato al CNF ma non notificato nè comunicato al Consiglio e agli eletti[xxxi].

 

La questione della legittimazione passiva al ricorso, in questi termini, sembra assai semplice; tuttavia anche in questo caso sono opportune alcune precisazioni.

 

Dando per scontato che il Consiglio dell’Ordine è contraddittore necessario, non è detto che tutti i consiglieri eletti abbiano interesse a resistere al ricorso, e quindi non appaiono condivisibili quelle decisioni che richiedono la necessaria notifica “ad almeno uno degli eletti”, come si esprime il CNF nelle decisioni 8 marzo 2001, n. 45 e 11 aprile 2001, n. 63.

 

Infatti, se alcuni consiglieri sono stati eletti al primo turno e l’impugnativa riguarda le sole operazioni di ballottaggio, i primi eletti non hanno alcun interesse a contraddire; se invece la contestazione riguarda le preferenze attribuite ad un candidato, del quale pertanto si contesta l’avvenuta proclamazione, solo quel candidato è contraddittore necessario unitamente al Consiglio dell’Ordine, ma non tutti gli altri eletti, la cui proclamazione non potrebbe essere scalfita dall’accoglimento del reclamo.

 

Sembra quindi più precisa la decisione del CNF 13 ottobre 1994, n. 90 che prevede la necessità di notificare il reclamo, oltre che al Consiglio dell’Ordine, a coloro il cui status viene contestato.

 

Vi è solo un caso in cui tutti gli eletti sono contraddittori necessari, ed è quello in cui il reclamante contesti la validità di tutte le operazioni elettorali; in questo caso l’accoglimento del reclamo travolgerebbe l’elezione di tutti, e pertanto il ricorso dovrà essere notificato a tutti gli eletti.

 

L’errata indicazione della necessaria notifica “almeno ad uno degli eletti” nasce da una precedente giurisprudenza del CNF che prevedeva l’obbligatorietà della notificazione del reclamo, seguita dal deposito presso il CNF, ed il tutto entro il termine perentorio di giorni dieci[xxxii].

 

Tale giurisprudenza era costante e addirittura in alcune sentenze[xxxiii] il CNF ha statuito che al ricorso elettorale si applica, in via analogica, il procedimento del ricorso giurisdizionale innanzi ai TAR.

 

In realtà però il variegato ordinamento processuale italiano conosce sia l’ipotesi di ricorsi che devono essere prima notificati e poi depositati (oltre al TAR, é anche tale il procedimento davanti alle commissioni tributarie), sia quella di ricorsi che devono essere soltanto depositati nel termine e solo in seguito notificati (è il caso del rito del lavoro).

 

L’equivoco relativo al rito, sorto dalla troppo sintetica disposizione normativa, è stato chiarito dalla Corte di Cassazione.

 

Con due sentenze[xxxiv] la Suprema Corte ha stabilito che il termine per il reclamo “è rispettato quando l’atto è depositato o presentato nella cancelleria del giudice dell’impugnazione prima della sua scadenza”, ed inoltre che tale deposito costituisce l’unico adempimento da compiere nei dieci giorni, poiché compete all’organo di giurisdizione domestica disporre che il contraddittorio sia costituito nei confronti dei consiglieri risultati eletti.

 

Sembra quindi che il rito da seguire sia simile a quello civile del lavoro, e che pertanto la notificazione al Consiglio dell’Ordine e alle altre parti interessate possa essere successiva (a cura del ricorrente) o debba addirittura essere disposta dallo stesso CNF, come si legge nella motivazione della sentenza n. 2602[xxxv].

 

Questo rito, che ritiene sufficiente il solo deposito entro il termine, è oggi confermato dalle più recenti sentenze del CNF[xxxvi].

 

Il CNF, se accerta vizi nello svolgimento delle operazioni che comportino l’invalidità del risultato elettorale complessivo, annulla le elezioni; se invece riscontra errori relativi al computo dei voti o alla eleggibilità, procede direttamente alle necessarie correzioni e proclama gli eletti.

 

La sentenza del CNF, come risulta anche dai precedenti, è ricorribile in Cassazione; tuttavia, attesa la lentezza della giustizia (compresa quella domestica) non è raro il caso in cui il procedimento giurisdizionale si protrae per oltre due anni e l’organo contestato, nel frattempo, si rinnova per effetto di nuove elezioni; in questo caso, per costante giurisprudenza, si ritiene che sopravvenga la carenza di interesse con conseguente cessazione della materia del contendere[xxxvii].

 

Per costante giurisprudenza, il reclamo deve essere preciso e circostanziato, con l’individuazione dei vizi lamentati[xxxviii]. Un reclamo generico è pertanto inammissibile.

 

8. Le elezioni suppletive e le più recenti decisioni

 

Se nel corso del mandato biennale vengono a mancare uno o più consiglieri per morte, dimissioni o decadenza, si procede a convocare l’assemblea per le elezioni suppletive, con le stesse modalità.

 

Ciò naturalmente a meno che venga a mancare oltre la metà dei consiglieri, poiché in questa ipotesi avviene il commissariamento (art. 8, D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944 n. 382).

 

Non è previsto dalla legge il subentro del primo dei non eletti alla precedente consultazione, e tale omissione è stata ritenuta congrua dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 260 del 20 giugno 2002, la cui motivazione è densa di contenuti rilevanti.

 

 

La Consulta conferma che l’elezione in argomento avviene tramite un sistema maggioritario plurinominale, nel quale “non sussiste alcuna divisione formale dei candidati in liste e l’intuitus personae viene a costituire il solo elemento giuridicamente rilevante ai fini della votazione... (che imprime) alla votazione un carattere fortemente personalistico ... ”.

 

Inoltre, lo svolgimento di elezioni suppletive “appare coerente con il sistema elettorale previsto ... poichè assicura, attraverso la reiterazione della consultazione elettorale, la rispondenza della scelta del nuovo consigliere alla volontà espressa dagli elettori”.

 

Infine, gli inconvenienti legati alla difficoltà (nei grandi fori) di raggiungere il quorum sono legati a scelte discrezionali del legislatore, che non appaiono irragionevoli.

 

Questi aspetti sono confermati dalla giurisprudenza più recente.

 

In merito alle liste, con sentenza CNF 30 marzo 2011, n. 24 è stato confermato che non si può votare indicando il numero o il motto di una lista, ma che i voti devono essere espressi nominativamente, a pena di nullità della scheda.

 

Quindi i candidati sono liberi di riunirsi con liste e programmi comuni, ma è necessario che la scheda elettorale riporti i singoli nomi.

 

Infine, la già citata Cass., sez. unite, 24 novembre 2011, n. 24812 ha precisato che si indicono elezioni suppletive solo nei casi tassativamente indicati dalla legge, mentre nelle ipotesi di ineleggibilità si procede alla surroga del consigliere.

 

9. Conclusioni

 

E’ certamente un sistema che merita di essere aggiornato ai tempi, con regole più garantiste per i candidati e meno protezionistiche per i Consigli uscenti; vi sono, come abbiamo visto, palesi situazioni di conflitto di interessi che meritano di essere regolate con attenzione.

 

Ma l’ordinanza della Corte Costituzionale, sopra ricordata, ci dà un insegnamento che vale anche per il futuro legislatore: la carica di consigliere dell’ordine è legata alla stima e alla fiducia personali, e non può essere costretta in liste o cordate.

 

Si scelgano i migliori, allora, utilizzando come parametro anche l’art. 57 del codice deontologico:

 

“L’avvocato che partecipi, quale candidato o quale sostenitore di candidati, ad elezioni ad organi rappresentativi dell’avvocatura deve comportarsi con correttezza, evitando forme di pubblicità ed iniziative non consone alla dignità delle funzioni”.

 

(Altalex, 11 gennaio 2012. Articolo di Antonino Ciavola)

 

_________________

 

[i] cfr. CNF 28 dicembre 2001, n. 307.

 

[ii] CNF 13 febbraio 1993 n. 6; CNF 28 marzo 1958; CNF 28 dicembre 2001 n. 307; CNF 5 dicembre 1994 n. 127.

 

[iii] principio confermato da Cass., Sez. Unite, 24 novembre 2011 n. 24812.

 

[iv] Corte Cost., 15 aprile 2011 n. 138 (ord.).

 

[v] Corte Cost., 15 aprile 2011 n. 138 (ord.); in coerenza CNF 26 luglio 2011 n. 130; questa sentenza è stata riformata dalla Cassazione, ma non su questo specifico punto, che è stato confermato.

 

[vi] Cass. sez. unite, 24 novembre 2011 n. 24812.

 

[vii] CNF 23 ottobre 2010 n. 127; CNF 20 dicembre 2008 n. 176, che espressamente lo definisce adempimento facoltativo.

 

[viii] CNF 6 dicembre 1990 n. 118.

 

[ix] CNF 19 aprile 1980.

 

[x] R. DANOVI, Corso di ordinamento forense e deontologia, pag. 170, che riporta CNF 17 ottobre 2002 n. 173.

 

[xi] CNF, 9 aprile 1999, nn. 27 e 28.

 

[xii] CNF, 28 marzo 1958.

 

[xiii] E. RICCIARDI, Lineamenti dell’ordinamento professionale forense, pag. 35.

 

[xiv] F. MOROZZO DELLA ROCCA, Elezioni forensi: il limite numerico nell’espressione del voto, in Giust. civ. 2004, I, 2413 e segg., nota a Cass. 10 aprile 2003 n. 5618.

 

[xv] CNF, 11 marzo 1966.

 

[xvi] CNF, 23 luglio 2002 n. 112.

 

[xvii] CNF, 9 aprile 1999, nn. 27 e 28.

 

[xviii] CNF, 11 aprile 2001, n. 66.

 

[xix] E. RICCIARDI, Lineamenti dell’ordinamento professionale forense, pag. 33.

 

[xx] Cass. sez. unite, 23 giugno 2005 n. 13445.

 

[xxi] R. DANOVI, Corso di ordinamento forense e deontologia, pag. 174.

 

[xxii] Così R. DANOVI, Corso di ordinamento e deontologia pag. 171.

 

[xxiii] CNF 13 ottobre 2001 n. 202.

 

[xxiv] Riportata da R. DANOVI, Corso di ordinamento forense e deontologia, pag. 172.

 

[xxv] Cass., sez. unite, 10 giugno 2003 n. 9296.

 

[xxvi] CNF 18 marzo 1993 n. 29; CNF 15 gennaio 2009 n. 2.

 

[xxvii] CNF 21 febbraio 2011 n. 14.

 

[xxviii] ciò per costante giurisprudenza; recentemente contra CNF 26 luglio 2011 n. 130, riformata però sul punto da Cass., sez. unite, 24 novembre 2011 n. 24812, nel senso indicato nel testo.

 

[xxix] CNF 13 aprile 2011 n. 40.

 

[xxx] si veda però, per un’ipotesi specifica, CNF 15 gennaio 2009 n. 2.

 

[xxxi] CNF 14 aprile 1993 n. 61; CNF 23 luglio 2002 n. 113.

 

[xxxii] CNF 19 aprile 1991, n. 23.

 

[xxxiii] CNF 3 maggio 1995 n. 52; CNF 30 ottobre 1995 n. 105.

 

[xxxiv] Cass., sez. unite, 20 febbraio 2003 n. 2602; Cass., sez. unite, 6 giugno 2003 n. 9069.

 

[xxxv] Riportata per esteso in Rassegna Forense n. 1/2004.

 

[xxxvi] CNF 23 ottobre 2010 n. 127.

 

[xxxvii] Cass., sez. unite, 15 novembre 2002 n. 16160 CNF 26 ottobre 2002 n. 184.

 

[xxxviii] CNF 18 aprile 1986; CNF 18 maggio 1999 n. 59.

 

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